Vita grama di un pensionato nell'Italia del dopoguerra, alle prese con ristrettezze e umiliazioni di ogni tipo che lo inducono al suicidio. Ma al dunque... È il film che suscitò la celebre invettiva di Andreotti contro il neorealismo ("i panni sporchi si lavano in casa"), di cui Umberto D. costituisce di fatto l'atto conclusivo. De Sica e Zavattini schivano meglio del solito le trappole del patetico e anzi il film è a tratti crudele, sgradevole. Ma è difficile negargli un certo spessore poetico.
Capolavoro di De Sica. Tratta il tema della dignità nella vecchiaia raccontando le vicende di un pensionato che non riesce ad arrivare alla fine del mese, solo al mondo (se si esclude la presenza -comunque fondamentale- del cagnolino Flick), e che sembra letteralmente in balìa degli eventi. Non ci sono però colpi bassi allo spettatore, solo una dolente serie di situazioni che mettono lo spettatore davanti alla tristezza della vecchiaia e soprattutto della solitudine. A questo livello, pochi altri sono giunti.
Forse il più bel film di sempre nella storia del cinema italiano. Certamente uno dei più delicati, struggenti e commoventi. Merito di una maestosa regia di De Sica che punta su uno stile scarno e sobrio che, pur raccontando una storia tristissima, non tira mai calci nello stomaco dello spettatore. Molto bella anche la sceneggiatura di Zavattini, mentre l’interpretazione di Carlo Battisti è assolutamente straordinaria.
La tragedia di un uomo anziano sul lastrico, che rimane aggrappato alla vita solo per non abbandonare il suo cane. Il protagonista è eccezionale (è così naturale, che a un certo punto si finisce per accompagnarlo nel suo dramma, quasi condividendone i vari, amari momenti). Qui, pietà e compassione sono merce rarissima e preziosa. Eppure, questo omino (gentile, colto educato e paterno nei confronti della giovane serva) riesce a mantenere una sua dignità anche quando la miseria lo avvolge, come un sudario dal quale non può liberarsi. Cammeo di Memmo Carotenuto. Sfiora la perfezione.
MEMORABILE: Il protagonista (Umberto) prova a chiedere l’elemosina, ma quando uno si avvicina, lui, spinto dall’orgoglio, finge di controllare se piove.
Uno dei vertici della filmografia di De Sica e del filone neorealista, inteso sia come resoconto sobrio ed oggettivo che come recitazione, affidata a due protagonisti estranei al mondo del cinema e per questo più veri, spontanei e partecipi: Battisti, ex docente di glottologia, e la Casilio, quindicenne abruzzese in vacanza a Roma. Contributo essenziale del cagnolino Napoleone (in arte Flike) come motore dell’azione e dei cambiamenti d’umore di Battisti. Una commistione perfetta tra dramma sociale e commedia.
Non posso non iniziare affermando che é un bellissimo film, e i motivi sono tantissimi! Il protagonista é un povero anziano sopraffatto dagli eventi. Tutto molto ben rappresentato se teniamo conto che Carlo Battisti era un esimio professore e non un attore! La mia pellicola preferita di De Sica. Non posso dimenticare Maria Pia Casilio, la ragazza di fatica della pensione dove il vecchio abita. La sua recitazione esprime spontaneità e ironia anche nelle sue parti più serie. Una storia che fa molto riflettere sulla vita e le tristi pieghe che può prendere.
MEMORABILE: Il protagonista che cerca di abbandonare il suo cagnolino, unico amico; ma alla fine i due rimangono assieme. Toccante!
Insieme a Ladri di biciclette, grande capolavoro di Vittorio De Sica e del cinema neorealista italiano. Sceneggiato con la collaborazione di Zavattini, il film ha il pregio di un osservazione lucida della realtà che avviene senza alcun filtro, ma con la freddezza impietosa della cronaca. Assolutamente memorabile la rappresentazione della dura realtà italiana del dopoguerra, attraverso uno stile scarno ma efficacissimo; ottima l'interpretazione del cast.
Vittorio de Sica realizza con questo film una potente e toccante rappresentazione di una parte della società italiana del dopoguerra. Se in Ladri di Biciclette è la terribile situazione di povertà delle famiglia a essere descritta, in "Umberto D". è la situazione dei pensionati. Dopo aver lavorato una vita per il governo, Umberto si ritrova solo, costretto a vivere con una pensione da fame e a sopportare le continue angherie della sua padrona di casa. Una vita senza scopo. De Sica è bravissimo nel farci sentire parte del suo dramma.
Eh se gli italiani (ri)guardassero di più i film di De Sica. (Ri)scoprirebbero da dove veniamo, cioè da periodi di difficoltà generale, povertà, guerra, ma anche dalla poesia della semplicità, dalla solidarietà. "Umberto D." è un film straziante, rigoroso nella descrizione delle dinamiche sociali. La recitazione (si veda la servetta che Umberto cerca di consigliare) è spontanea, neorealistica. Istruttivo.
Ottima pellicola che chiude in bellezza la corrente del neorealismo. Le vicende del povero Umberto D (abbreviazione di Umberto Domenico Ferrari), tristi e malinconiche ma condite con una sottile ironia, riescono ad emozionare e coinvolgere, ma De Sica evita qualsiasi compiacimento e narra il tutto con un occhio delicato ma non privo dello sguardo oggettivo tipicamente neorealista. Bravissimo il protagonista Carlo Battisti.
Pur ristretto negli angusti canoni del neorealismo il film si segnala per la mano delicata e discreta del regista nel raffigurare la dignitosa sofferenza del protagonista che affronta miseria e indifferenza. Ancora più genuina del Battisti è la Casilio, la servetta che vive di uno spontaneo candore. Primo tempo discreto, poi si vivono attimi di gran pathos: il ricovero, la "tentata elemosina", la ricerca dell'amato cagnolino e soprattutto la viva preoccupazione di Umberto di affidarlo a chi lo possa seguire con amore. Ovvero nessuno.
È anziano, solo e la misera pensione non gli basta per vivere. Amaro, impietoso, senza il minimo appiglio consolatorio per lo spettatore, costretto a seguire il dibattersi inane del protagonista (un attore non professionista perfetto) nella sua ricerca senza speranza: ricerca non di denaro, ma di ascolto e dignità. Umberto D. (che dà il bellissimo titolo secco e misterioso al film) si aggira in una giungla urbana che lo ignora e respinge, trovando superficiale attenzione in una servetta e l'unico affetto istintivo in un cagnetto. Coraggioso.
Capolavoro. Insieme a Ladri Di Biciclette uno dei migliori film italiani non solo del dopoguerra ma dalla nascita del cinema. L'interpretazione di Carlo Battisti è strepitosa, la regia di De Sica anche. Struggente. Fa un ritratto spietato di come un uomo non venga più considerato dalla società solo perché invecchiato. Meraviglia, non si può dire altro.
Delicato nel mostrare con realismo la povertà dignitosa di una certa Italia, semplicissimo nel dipingere lo strazio di un pensionato solo al mondo e grandioso in alcuni passaggi a dir poco toccanti (al canile, il passaggio a livello). De Sica centra un altro ottimo film, dotato di tutti i crismi che hanno reso intramontabile il suo cinema. Il rispetto per sè stessi è indispensabile per continuare a vivere, che è cosa ben diversa dal tirare a campare: questo è l'insegnamento di Umberto D. Battisti e la Casilio sono sbalorditivi nella loro naturalezza.
MEMORABILE: Dal passaggio a livello fino al finale lungo il vialetto.
Canto dolente della vecchiaia - dopo quello dell'infanzia e dell'età adulta - tra gli esiti più puri della poetica neorealista di Zavattini, Umberto D. ne rappresenta anche lo sviluppo più compiuto e solido, capace di far emergere con economia di mezzi e segni la potenza emotiva adombrata nello squallore quotidiano. Lo sguardo pietistico degli autori, in sospetto di ricatto morale e provocazione, va piuttosto vissuto nell'urgenza di rinvigorire il mezzo cinema come affermazione di realtà indiscutibile e denuncia. Battisti e Flike s'aggirano per il film come memento silenzioso.
La tragicità di un pensionato nel dopoguerra in Italia. L'unica sua felicità è il cane. Come coinvolge Ladri di biciclette, così coinvolge questo film. Non c'è altro che compassione per Umberto, che addirittura è mal sopportato anche dagli ex colleghi. Da vedere e da capire.
Malinconico e poetico film, "Umberto D." esprime con leggerezza lo stato emotivo di un pensionato oppresso da alcuni debiti con la pensione in cui alloggia, vivendo per di più in un contorno d'indifferenza e viltà. De Sica, dopo Ladri di biciclette, sforna un altro melodramma degno di memoria, dove qui la solita commozione combacia con la tenerezza che lo spettatore prova per il protagonista, interpretato da un bravo Carlo Battisti. Non è il suo capolavoro, ma di sicuro è una delle opere migliori che De Sica abbia diretto.
Opera forse meno strappalacrime di Ladri di biciclette, ma non per questo meno drammatica. La vita di un anziano signore coperto di debiti quanto di dignità umana, cerca di andare avanti, nonostante una società sempre più indifferente e meno solidale con il prossimo. A fargli compagnia, il suo cane che in un modo o in un altro lo rianima. De Sica sceglie persone ricche di "realtà" per il suo film, in modo di rendere realistico ciò che si vuole presentare. Costruito con maestria sotto l'occhio di Zavattini.
Un film eccellente, sorretto da una magnifica prova d'attore (considerando anche che Battisti non era un professionista). De Sica ci offre un nuovo racconto dell'Italia del dopoguerra, questa volta accostandosi ai toni lucidi e freddi della cronaca. Una storia sulla povertà e il degrado sociale che spesso tormentavano e purtroppo accompagnano tuttora, i pensionati. Splendido il modo in cui viene mostrato l'elemento della speranza, senza esagerazioni ma con molta umanità. Da vedere.
Uno dei più grandi capolavori del Cinema mondiale. Ancor più che in Ladri di biciclette e senza le relative concessioni melodrammatiche, De Sica ci offre un durissimo affresco, predittivo finanche, delle condizioni della vecchiaia nel dopoguerra. Carlo Battisti (vero docente) risulta semplicemente superlativo nel tratteggiare con naturalezza e dignità una figura rassegnata ed abbandonata dalla società, un personaggio che però troverà modo di riscattarsi, ritrovando il senso della proria vita. L'esempio grandioso ed unico di Neorealismo Puro.
Capolavoro assolutamente essenziale nell'interpretazione del neorealismo. De Sica, con un cast in gran parte alle prime armi (o estraneo alla professione di attore), realizza un'opera monumentale ed eterna alla solitudine dell'essere umano, all'inutilità di una vita che finisce e che tutti trovano scomoda. Tremendamente toccante e indimenticabile, l'Umberto D del Prof. Battisti passeggia col suo cane alla ricerca di un senso. In realtà, non lo troverà perché è così che deve finire. Sta a noi, spettatori, capire.
MEMORABILE: Umberto che non vuole lasciare l'ospedale per paura di tornare a casa; l'inutile e disperato rapporto d'amicizia con la cameriera.
La misera vita di un pensionato dello stato che travolto dagli eventi pensa al suicidio. Uno straordinario affresco neorealista e una cruda analisi della società che ci circonda. Criticato dall'allora governo italiano, il film raggiunge un acume poetico notevolissimo grazie anche al coeso cast.
Ritratto freddo e lucido non solo dell'Italia e della Roma del dopoguerra ma più in generale dell'uomo che sta solo sul cuor della terra proprio quando l'approssimarsi del tramonto richiederebbe invece contatto ed amore. L'incredibile capacità di De Sica di emozionare e la sua sapienza nel toccare le corde più sensibili delle persone di tutto il mondo (o perlomeno di una belga e di un italiano seduti su un divano a sessant'anni dalle riprese) senza scivolare nel melodramma rendono questo film un capolavoro prezioso ed imprescindibile.
Immenso. Umbero D. figura potentissima ed emblematica di un’epoca passata, che ha segnato la storia dell’Italia intera in un dopoguerra ricco di stenti, povertà, disperazione, egoismo. Umberto D. anima nobile e orgogliosa, caparbia e altruista, che regala tutto il suo amore ad un cane, il suo migliore amico, l’unico in grado di strapparlo dalla disperazione e ad un destino ingrato e beffardo. Tutta la delicatezza del racconto, il cuore, la sincerità e l’importanza per i piccoli particolari di De Sica, in Umberto D. trovano tutto il riscontro possibile. *****
Notevole film di de Sica ma inferiore all'inarrivabile Ladri di biciclette. La vita di stenti dello statale Umberto Domenico Ferrari viene raccontata per accumulazione e con un distacco da referto medico e uno scetticismo che sfiora l’angoscia esistenziale. Sembra che a De Sica non importi nulla del destino del suo personaggio e che il pessimismo sia la chiave per interpretare la vita di Umberto D. Un film che sfiora l’oggettività tipica del "nouveau roman" e che anticipa, profeticamente, certe poetiche tipiche del cinema europeo dei primi anni '60.
MEMORABILE: L'atroce scena nella quale Umberto D. cerca di stendere la mano per sollecitare un'elemosina ma che poi ritira dopo aver finto di appurare se piovesse.
Uno dei film fondamentali del cinema italiano. Vorrei sottolineare l'importanza della regia di De Sica, che facendo uso di attori non professionisti non può contare su prestazioni di alto livello. D'altronde il prof. Battisti si produce in un'interpretazione costantemente e giustamente sofferente del suo personaggio, mentre la Casilio mostra un'ingenua spontaneità di tipo paesano. Tutto il resto lo fanno le inquadrature, i primi piani, l'utilizzo di una Roma spesso sconsolata e vero elemento "realista" di questo capolavoro.
MEMORABILE: Umberto che prova a chiedere l'elemosina al Pantheon, facendo da contraltare a un indigente fastidioso e irritante.
Affresco della società dell’epoca in cui lo struggimento per l’essere abbandonati al proprio destino si avverte in ogni ripresa, in un crescendo di intensità e di percezione del dolore. Le carrellate e i primi piani sono magistrali, la figura del protagonista incarna perfettamente il senso di una vecchiaia come peso sociale. Alcune scene nella casa sono forzate, contrapposte a un finale di ammorbante angoscia.
MEMORABILE: Il primo piano del cane mentre arriva il treno.
Capolavoro di De Sica che colpisce con la violenza di un cazzotto nello stomaco, lasciando lo spettatore tramortito davanti all'indifferenza che circonda il signor Umberto. Si può anche capire lo sconcerto dello spettatore, ma a veder bene l'odissea del protagonista non si esaurisce con il periodo storico in cui è vissuto, ma è una realtà tangibile anche oggi. Cast meraviglioso, su tutti Battisti che, cinematograficamente, dà lezioni su come si interpreta un personaggio così complesso che, pur nella povertà, mantiene intatta la sua dignità.
Un pilastro del neorealismo italiano. Immensamente commovente. Musiche dolcissime e vibranti. Fotografia magistrale e magnificamente suggestiva. L'interprete principale, Carlo Battisti, possiede il volto e l'espressività perfetti per il suo personaggio. La crudezza della realtà è lancinante, il finale tenerissimo e profondamente toccante.
Strepitoso esponente neorealista girato da un De Sica in stato di grazia spalleggiato dalla penna di Zavattini. Come e più che in Ladri di biciclette si respira una disperazione palpabile che colpisce la gente e in particolar modo gli anziani, esseri ormai ai margini e di peso per una società che li accantona e abbandona senza remora alcuna. E la parabola dell'anziano Umberto colpisce duro ed emoziona come poche altre. Per sempre nella memoria il suo girovagare con l'amato cagnolino, scintilla di speranza e umanità. Capolavoro.
MEMORABILE: L'enorme camerata dell'ospedale; Il ritrovamento del cagnolino al canile.
Il film manifesto sulla misera condizione dei pensionati di allora (oltre che uno dei capolavori del cinema neorealista), non poteva che venire alla luce tra polemiche, veti e censure. A distanza di decenni resta una testimonianza dei tempi andati e una galleria di personaggi e caratterizzazioni sempiterni, avvalorati soprattutto dalla bravura di attori straordinariamente "improvvisati" e diretti. Film culto.
Umberto D. è l'esatta definizione di neorealismo nel cinema. Si potrebbero citare a questo proposito, altri meritevoli lavori, la differenza sta nel soggetto: un uomo solo, se si esclude la presenza fondamentale del suo compagno a quattro zampe, contro tutti. E sono proprio questi tutti a fare da degno corollario all'interpretazione di Battisti, segno inequivocabile di un regista che ha saputo coinvolgere i protagonisti (dal "meno" significativo, al più importante) nel suo progetto di riprodurre una storia di vita, esattamente come nella realtà.
MEMORABILE: L'ingegnere, che nell'imbarazzante silenzio dell'incontro, chiede a Umberto se crede ci sarà la guerra. "Quale guerra?"
La regia pudica di De Sica, la sceneggiatura attenta di Zavattini, l'interpretazione mimetica del non-attore Carlo Battisti: sono gli elementi che fanno di questo film una delle opere più belle ed intense di tutto il cinema italiano, oltre al capolavoro del regista. E come tutti i grandi film, pur essendo legato ad un stagione ben precisa come quella del neorealismo di cui costituisce il massima espressione, è sempre attuale: minimalista nei contenuti con la sua storia di un pensionato che campa a fatica, massimalista per le emozioni che riesce a suscitare. Fece scandalo allora, turba ancora.
MEMORABILE: Il tentativo di elemosina, con la mano che si viene capovolta all'ultimo momento
Un ritratto commovente di un povero vecchio a cui le vicissitudini della vita cercano di strappare anche la dignità di essere umano. De Sica non lascia spazio a sentimentalismi di facile consumo riuscendo ugualmente a essere efficace nel rappresentare una condizione sociale che coinvolgeva una parte importante del Paese. A questo si aggiunge una lancinante introspezione della sfera emotiva ricordando come un uomo non possa bastare a sé stesso. Il finale aperto lascia intravedere un piccolo bagliore di speranza.
Straziante e sincero. Punta del neorealismo che stavolta non parla più della miseria proletaria o contadina, ma di una forse ancora più triste perché vissuta in solitaria: la miseria del piccolo borghese che, arrivato a una povera pensione, deve vivere con l'acqua alla gola e non si rassegna a perdere la "dignità" chiedendo l'elemosina. Per quanto il film sia crudissimo, scorre velocemente e sceneggiatura e regia non sbagliano un colpo. Incredibile la perfezione di Battisti nel suo ruolo, tanto da far riflettere su cosa si stia sbagliando oggi.
Un anziano istruito ma povero cerca di sopravvivere con la sua misera pensione e la compagnia del fedele cagnolino. Il film è una rappresentazione neorealista di profondo pessimismo che espone con crudezza la condizione di un'epoca ma che può sempre essere considerata attuale. Carlo Battisti e Maria Pia Casilio sono due esempi che testimoniano come non occorre essere attori professionisti per fornire prove riuscite di ottima recitazione. De Sica esalta il senso della dignità con un'emotività a volte commovente.
Poi dici gli attori non professionisti. Uno fra i primi tre più grandi film italiani si regge sul cappello di un glottologo e sul pancino di tre mesi di una tredicenne abruzzese. Zavattini amava superarsi, puntò su una carta anticinema - a chi interessavano i vecchi nel '52? - e vinse; De Sica oltre un tale livello di realismo non riuscirà più ad andare (forse solo con "Il tetto") ma stavolta non gli basta denunciare o commuovere, usa la mdp come scrittura: basta godersi la scena inutile ai fini narrativi del risveglio della cameriera, così madida di poesia.
MEMORABILE: Il duetto in ospedale con Memmo Carotenuto; L'arrivo a casa con gli imbianchini nella stanza.
Celebre, drammatico ritratto della solitudine e della vecchiaia. Commovente senza tirare nessun colpo basso, vive anche delle interpretazioni sorprendenti di Battisti (docente di glottologia, coinvolto negli Anni Trenta nella tragica polemica Pironti) e della debuttante Casilio, ambedue dotati d'una naturalezza che porta ad una stupefacente adesione ai personaggi. De Sica dirige da par suo e sa toccare con inquadrature sapienti. Su tutte l'addio fra i due prima citati, con lei che, forse consapevole che sarà l'ultima volta, lo accompagna con lo sguardo dalla lontana ed alta finestra.
MEMORABILE: Al canile, l'anziano che non ha le 450 lire necessarie.
Pellicola interessante in termini di realismo per l'epoca, ma straordinariamente deprimente e triste al punto quasi da indurre la depressione nello spettatore. Buona regia "di servizio", protagonista in parte ma tutto è eccessivamente disperante, un sorta di scene collegate fra loro e scelte per suscitare l'effetto patetico più forte. Alla fine ci si ritrova con una tristezza immane senza alcun arricchimento.
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Ho cercato ma non ho trovato niente. Facciamo così: posterò solo due location minori che FORSE non sono ancora state trovate: Se poi non è così...pazienza
DiscussioneZender • 18/01/13 08:41 Capo scrivano - 47698 interventi
Domanda per gli agguerriti davinottiani:
Il neorealismo nel cinema quando nacque? Con Roma città aperta o con Paisà di Roberto Rossellini e Sergio Amidei? Con Sciuscià o con Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini? Oppure fu una invenzione datata 1943 di Luchino Visconti con Ossessione ?
Oppure la primogenitura tocca addirittura a Francesco De Robertis con il suo realistico Uomini sul fondo del 1941?
C'entrano di straforo con questa nascita anche Mario Bonnard e Aldo Fabrizi che firmano il film Avanti...c'è posto nel 1942?
Quelle del neorealismo fu un cambiamento epocale, una svolta culturale e sociale anche nel modo di sentire dello spettatore medio.
Penso che, come in molti altri casi, non ci sia "il" film da cui ha origine tutto, ma un progressivo bisogno di - appunto - realismo, che pian piano si è fatto strada a partire dagli ultimi anni del fascismo, anche e soprattutto in reazione al cinema d'evasione imposto dal regime, e che ha avuto tappe significative con i film che hai detto, primo fra tutti (perché davvero "nuovo" per molti versi) Ossessione.
HomevideoPol • 5/06/17 09:53 Servizio caffè - 185 interventi
Visionato il bluray inglese Cult Films, buon video e traccia audio italiana con sottotitoli removibili. Come extra un lungo speciale sulla carriera di DeSica probabilmente già edito in qualche dvd italiano perchè prodotto dalla Surf Film, le interviste in inglese non sono sottotitolate ma non sono poi molte. Consigliato.
"Si stenta a credere che questa commedia sia diretta da Vittorio De Sica. Un prodotto del tutto ovvio e assai povero di motivi. Tutto resta nel risaputo e nell'inesorabilmente sorpassato". Sul numero 1 di Bianco&Nero, uscito nel gennaio 19852, Gian Luigi Rondi così stronca il film di De Sica. Ovviamente i gusti sono gusti, ci mancherebbe. Ma già il fatto che lo definisca una commedia...
"Si stenta a credere che questa commedia sia diretta da Vittorio De Sica. Un prodotto del tutto ovvio e assai povero di motivi. Tutto resta nel risaputo e nell'inesorabilmente sorpassato". Sul numero 1 di Bianco&Nero, uscito nel gennaio 19852, Gian Luigi Rondi così stronca il film di De Sica. Ovviamente i gusti sono gusti, ci mancherebbe. Ma già il fatto che lo definisca una commedia...
Più che questione di gusti, il giudizio di Rondi che etichetta il film come una commedia pare purtroppo asservito alla volontà di stroncare un film scomodo. L' Enciclopedia del Cinema Treccani cita "l'intervento dell'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti, che deprecava il "pessimo servizio" che il film rendeva all'immagine dell'Italia all'estero".
"Si stenta a credere che questa commedia sia diretta da Vittorio De Sica. Un prodotto del tutto ovvio e assai povero di motivi. Tutto resta nel risaputo e nell'inesorabilmente sorpassato". Sul numero 1 di Bianco&Nero, uscito nel gennaio 19852, Gian Luigi Rondi così stronca il film di De Sica.
Reeves, da dove è tratta l'informazione? Ho davanti la recensione citata e quelle frasi non ci sono, benché Rondi dia un giudizio negativo.