Tra i manifesti del Neorealismo e del cinema italiano di ogni tempo, il film di Vittorio De Sica (al secondo Oscar dopo SCIUSCIA’) conserva ancor oggi intatta la sua forza. L'odissea struggente di Antonio Ricci alla disperata ricerca della bicicletta rubatagli ha commosso le platee di tutto il mondo. Perché negli occhi di Ricci (impeccabile nella sua misura, nel contegno, l’interpretazione dell'allora sconosciuto Lamberto Maggiorani) si legge davvero il dramma di un uomo che vede l'orlo dell'abisso per un furto che a molti apparirebbe cosa da nulla. Ma senza una bicicletta (riscattata dal Monte dei Pegni dopo aver...Leggi tutto venduto le lenzuola!) Antonio non può svolgere il mestiere di attacchino, un posto municipale lungamente atteso e finalmente ottenuto). De Sica sa cogliere senza sbavature la profondità del messaggio che sta diffondendo e la messa in scena semplice, che sfrutta con bella poesia scorci suggestivi di Roma, è di rara efficacia. Portando sempre con sé, nella ricerca per i mercatini e i vicoli, il figlio Bruno (Enzo Staiola), De Sica ricompone in qualche modo la copia del MONELLO di Charlie Chaplin, colpendo allo stesso modo lo spettatore con l'espressività spontanea del bambino. Il quale qui segue il padre senza mai uscire dalle sue direttive, accettandone le decisioni e cercando solo di aiutarlo in ogni modo. Non sempre il film funziona, a causa di qualche pausa melodrammatica superflua, ma complessivamente sa trasportarci come pochi altri in un mondo vivido e “reale”, in cui pare non esistere alcuno spazio per la finzione cinematografica. Roma e i suoi abitanti (il dialetto è pratica di tutti) sono lo sfondo ideale.
Onore al merito storico: quando un film trascende a tal punto il suo campo diventando proverbiale, giù il cappello. In effetti poi è un titolo-chiave per capire il neorealismo, di cui svela anche la fuffa ideologica (data la meticolosità con cui De Sica e Zavattini in realtà pianificano ogni effetto, ogni risultato). E in Ladri di biciclette c'è in nuce molto cinema italiano a venire, commedia inclusa (la magnifica scena della Santona). Nei panni di un allampanato pretino compare un certo Sergio Leone...
Capolavoro di De Sica, uno dei due suoi film (con Umberto D) che resterà nel tempo, per sempre. Dopo anni di cinema fortemente fasullo, caduta la censura di regime che non permetteva le storie di povertà né l'utilizzo del dialetto nei film, troviamo una storia inventata ma più vera del vero, che racconta di povera gente che si arrabatta per (soprav)vivere nello sfascio dell'immediato dopoguerra a Roma. Fin troppe le scene commoventi per poterle elencare, e perfetti gli interpreti scelti tra la gente comune, tra i quali Lamberto Maggiorani che proverà poi a far carriera, con esiti alterni.
Un film che, oltre al valore storico tributato dalla critica, suscita simpatia verso i due protagonisti tanto sono in simbiosi tra loro e immersi nel vivere quotidiano del dopoguerra. La storia assume toni drammatici quando Antonio, resosi conto che il suo mezzo di lavoro è andato perso, non sa se e come rubare la bicicletta. Certo non è godibile al massimo per via di una narrazione (volutamente) scarna e per le prolissità sparse qua e là (e certe lodi sperticate le trovo esagerate), ma è da vedere.
E' un grande affresco neorealista. Sembra di poter tornare indietro nel tempo ad assistere, con partecipazione, alle vicissitudini di questo pover'uomo, che senza bici non può lavorare (e lui l'ha dovuta impegnare). Ma il giovane figlio, con la sua presenza, riuscirà ad alleggerire un po' il tutto, specialmente dopo il fattaccio, aiutando come può il padre. Incredibile come il protagonista non si perda mai d'animo (è la disperazione che gli fa da carburante), anche se finirà col commettere un'ingenuità. Bravi e naturali gli attori. Da vedere!
MEMORABILE: Marito e moglie impegnano persino le lenzuola per poter comprare una bicicletta.
Uno dei film più belli, importanti e famosi del nostro cinema, si fonda su una sceneggiatura di grande semplicità che tuttavia permette di capire perfettamente il neorealismo e le sue tematiche principali nonchè la poetica zavattiniana del "quotidiano" e del "pedinamento". Grande regia ed ottima prova di tutti gli attori che, ovviamente, erano dei non professionisti. Secondo strameritato Oscar per De Sica dopo quello per "Sciuscià".
MEMORABILE: Antonio trova il ladro che però fa finta di sentirsi male e così la gente intorno difende il manigoldo. Una scena dolorosamente vera.
Derubato della bicicletta che gli serve per lavoro, un uomo vaga per Roma con il figlio sperando di ritrovarla. Non c’è molto da dire: è un classico della storia del cinema universale e guardandolo si capisce perché. Gli attori “presi dalla strada” sono di straordinaria espressività, così come i luoghi scelti che ci danno squarci emozionanti di una Roma vera e non da cartolina. Sulla trama poi (quasi un romanzo picaresco che ci conduce di tappa in tappa nei dettagli della Storia), quando c’è lo zampino di Zavattini si va sul sicuro.
Insieme a Roma città aperta, è il capolavoro assoluto del neorealismo italiano e film più celebrato del suo autore. Frutto della collaborazione tra De Sica e Zavattini è un viaggio reale e dell'anima nella roma del dopoguerra ricca di personaggi deliziosamente tratteggiati dalla bellissima sceneggiatura. Ma il film rappresenta anche il frutto del grandissimo talento del regista per la scelta di volti e corpi letteralmente presi dalla strada ma capaci di espressività unica.
Film con un potere espressivo incredibilmente forte. De Sica è bravissimo nel farci vivere da vicino la felicità, la sperenza ed infine la completa disilussione del protagonista. L'atmosfera creata con la fotografia, le musiche e l'eccellente scelta degli attori ci fa sentire parte di quel mondo, di quel dramma personale. Una grande nota di merito va all'attore protagonista, Maggiorani, le cui espressioni da sole valgono a rendere il film forte e potente come un pugno nello stomaco.
Un uomo e suo figlio alla ricerca di una bicicletta simbolo di benessere e speranza. Chi li aiuterà? De Sica è spietato nel farci capire che non potrà farlo la polizia, non potranno farlo gli amici, l'indovina né i sindacalisti. Quell'uomo (il calzante Maggiorani) e quel bambino (lo strepitoso Stajola) potranno soltanto fare affidamento su se stessi. Affresco lucido e pessimista di un'intera nazione. Sceneggiatura metronomica, senza una sbavatura. Inquadrature memorabili. Questo film È il cinema. Eterno.
Insieme a Umberto D. il capolavoro neo-realista e il capolavoro della cinematografia italiana tutta. La triste e dura realtà del dopoguerra viene sottolineata in modo impeccabile; commoventi le interpretazioni. Tra i caratteristi cito anche Memmo Carotenuto. Da notare l'interpretazione del bambino.
MEMORABILE: Il finale e quando gli rubano la bici.
Un uomo insegue una bicicletta in un miserabile tour per tutta Roma, da Val Melaina a Piazza Vittorio, passando per Porta Pia e tanti altri posti della città eterna. Una società che, sin da allora, non è in grado di mettersi dalla parte dei più deboli e dove regna il sopruso. Nulla è cambiato veramente, dal dopoguerra italiano. Questo film, ancora attuale, è senza tempo, per la gamma di emozioni espresse e suscitate.
Ci si accosta con reverenza a un film di mito mondiale, in cui tutto fila alla perfezione. Risulta difficile parlarne. Meglio limitarsi, allora, a sottolineare la straordinaria prova degli interpreti, con un Maggiorani più vero del vero e con uno Staiola che non si scorda mai. Ma tutti, proprio tutti, sono perfetti. L'indimenticabile finale, visto e rivisto, è irresistibile e, come accade per quello di Luci della città, è inutile cercare di porre un freno alla commozione.
MEMORABILE: L'impiegato del Monte che si arrampica per metri e metri, in mezzo alla "roba" impegnata.
La cosa divertente di questa film è che gran parte dei più grandi registi del mondo ne parlano come se fosse il più bello del mondo, i critici pure, il pubblico lo ricorda, la televisione, anche se non è il mezzo di fruizione più adatto, manco per niente. Questo film andrebbe visto una volta ogni tanto, per ricordarci che siamo vivi. Il torpore mentale che impera oggigiorno in quasi tutti si gioverebbe molto della visione della pellicola. Inoltre il tema è eterno (come i sentimenti) e adattabile anche ai giorni nostri.
Opera unica, un grande classico del dopoguerra. Con un tocco di suggestione, sotto lo sfondo nero del neorealismo italiano, De Sica ci racconta una storia "ansiosa" di un operaio che cerca a tutti i costi di ritrovare, insieme al tenero figlio, la sua bicicletta rubata. Regia, come detto, suggestiva quanto la colonna musicale e la scenografia. I visi dei personaggi sono i punti di riferimento del film.
Il neoralismo di Vittorio De Sica. La società italiana, romana in questo caso, dopo il dopoguerra. Disoccupazione e povertà che aleggiano nella capitale ed i cittadini che si aiutano o diffidano fra di loro, rubando agli altri. Ed è quello che succede al protagonista, che persa la bicicletta non potrà più lavorare. La pena che dà il personaggio (ben interpretato) è massima, coinvolgendo anche lo spettatore (oltre che il figlio) nella ricerca disperata, non approvandone il comportamento finale. Bellissimo.
Puro Neorealismo, nient'altro. Vittorio De Sica sforna un piccolo capolavoro, fatto di stravolgimenti di sentimenti che nell'arco di un paio di giorni un uomo (o meglio una famiglia) prova. Deprimente, ma a volte ottimista marcando anche sul tasto della morte che alla fine è sempre la cosa peggiore di tutte. Molte sono le scene memorabili che hanno insegnato cinema nel tempo.
Dalle ceneri un'Italia povera, lacerata dalla guerra e dal regime, sorse come una fenice il Neorealismo, di cui questo film è il più grande esempio. Commovente e suggestivo perché veritiero e intriso di pietas. I personaggi sono uno specchio della sofferenza che accompagna costantemente l'umanità. Non è facile descrivere in poche parole il livello di questa pellicola: mi limito a dire che dovrebbe essere visto almeno una volta per comprendere un'epoca fondamentale della settima arte. Indubbiamente uno dei migliori film mai girati.
Più classico dei classici: questo è "Ladri di biciclette". Sullo sfondo di un'Italia appena uscita da una guerra terribile e di una Roma affaticata, polverosa, popolata da gente dura e poco propensa alla comprensione, si snoda la piccola grande storia di un padre pero alla ricerca della propria bici, fonte di vita. Coinvolgente, commovente, dolce ed amaro: in una parola un monumento del cinema italiano.
Un classico del Neorealismo. Uno tra i più classici. Malinconico e struggente, vero e verista pur nella sua finzione cinematografica, "Ladri di biciclette" è uno dei manifesti della stagione storica del Neorealismo ed è, al tempo stesso, uno dei simboli del cinema di De Sica. Lode al regista che tratta in maniera nuda e cruda una tematica di interesse del dopoguerra italiano: la mancanza di lavoro e la disperazione di un uomo destinato a soccombere non per sua volontà. Vero e amaro.
Che dire di un film del genere? Che cosa aggiungere alle milionate di lettere già spese? Dire qualcosa di "nuovo" è ardua impresa, se non impossibile; mi limito a sottolineare che per me, la pellica del grande De Sica, è un continuo -potente- saliscendi di gioia e amarezza, sentimenti impressi in volti indimenticabili e con un finale immenso. Capolavoro.
Pietra miliare della storia del cinema ed acme del neorealismo. Commuovere profondamente senza scivolare nel pietismo. Questo è il pane di De Sica, oggi merce sempre più rara. L'indimenticato Vittorio sublima un episodio del quotidiano a teatro della vita, avvicinandosi a spiegarci l'effettivo senso di quest'ultima: non ci resta che sperare, soffrire e amare in questo mondo dove chi cerca Cristo deve pregarselo. Il dopoguerra non è rose e fiori, si stava meglio quando si stava peggio. Maggiorani e Stajola sono meravigliosi nel parlare con gli occhi.
MEMORABILE: Il cocciuto menefreghismo del vecchio mendicante; la sequenza finale.
Il neorealismo in una delle sue massime ed eccelse espressioni, il peregrinare del padre e del figlio alla ricerca di un velocipede sottratto si somma alla disperazione che impera tra i popolani nell'immediato dopoguerra, ciò rende la narrazione notevolissima ed imperniata su valori che ormai sono dimenticati ai più. Caposaldo.
Film eterno, di rara bellezza. Emoziona dall'inizio alla fine per merito di una sceneggiatura strepitosa e di una regia incredibile, per non parlare della recitazione. Si è completamente immersi nella storia e nel dramma, si vive ogni scena come se noi spettatori fossimo lì coi protagonisti. In casi come questi la parola "capolavoro" sembra quasi riduttiva. Immenso e struggente. Senza tempo.
Opera monumentale che tratteggia in maniera del tutto strabiliante la vita degli italiani del dopoguerra. La mano soave di De Sica si poggia sulla sceneggiatura tanto semplice quanto efficace e costruisce una pellicola immensa nella sua sensibilità. Un affresco iperrealista, con un tema eterno, coadiuvato da attori non professionisti, ma che forse proprio per questo hanno in loro quel valore aggiunto: quella fondamentale genuinità che tanto serve. Emozionante e struggente: da groppo in gola lo splendido finale.
Capolavoro assoluto, limpida fotografia di una Roma post-bellica che sopravvive alla miseria e alla fame, grazie ai suoi cittadini che si difendono strenuamente l'un l'altro, ma che riescono facilmente a far decadere quei rari capisaldi di dignità e onestà che è possibile rivedere nella figura paterna interpretata con grande intensità da Maggiorani. Il finale è un colpo allo stomaco che ci immedesima totalmente in quel clima di disperazione, tra le vie di una Roma popolare perfettamente immortalate su pellicola da De Sica.
MEMORABILE: Il pranzo in trattoria dove padre e figlio mangiano vicino ai signori della Roma bene...
Un capolavoro del neorealismo italiano diretto con grande maestria dall'indimenticabile Vittorio De Sica. Il film racconta la triste storia che vive la famiglia Ricci quando al protagonista viene rubata la bicicletta (all'epoca unico mezzo di trasporto per i poveri). Gli attori non professionisti recitano decisamente bene, la sceneggiatura è perfetta e De Sica riesce, senza mezzi termini, ad approfondire il tema del dopoguerra italiano in modo straordinario.
MEMORABILE: Nonostante la crisi e la povertà, dalla Santona c'è sempre gente.
In questa storia di miserie, disperazione e ingiustizie, Roma è dipinta come un mondo grigio, avaro e senza cuore, ove Bruno e Antonio vagano senza meta alla ricerca di una soluzione al loro grattacapo, apparentemente piccolo, ma in realtà insormontabile. Nessuno offrirà loro aiuto, resteranno con l'unica cosa importante nella vita: il supporto e l'affetto dell'uno per l'altro. La regia di De Sica è di ampio respiro, ogni inquadratura importante e ogni dettaglio studiato con attenzione, il cast diretto con enorme bravura. Perfetto.
MEMORABILE: Il disperato tentativo di vendetta di Antonio; La vendita delle lenzuola per riscattare la bicicletta.
Ad ogni visione consolida la sua fama e rinnova la toccante esperienza del quotidiano che si sublima in epos, dell’umile cittadino che assurge ad eroe sul quale lo spettatore convoglia la sua empatia partecipandone allo spirito di sacrificio (la vendita delle lenzuola), dolori e sconforti (il furto della bicicletta, l’incontro con il ladro) e gioie effimere (l’entusiasmo del primo giorno di lavoro, la cena in trattoria). Gli interpreti sono persone comuni prese dalla strada ma recitano da star: il volto di Maggiorani ha l’intensità di un Vallone e Stajola è un vero enfant-prodige. Capolavoro.
MEMORABILE: Il padre, disperato, ruba una bicicletta, ma è subito fermato dalla folla; il pianto di Bruno; lo struggente finale.
Mettendo in risalto il degrado del dopoguerra, De Sica imposta una storia toccante sin dai primi minuti (complice anche una colonna sonora che aiuta tanto). Le strade romane di quell'epoca offrono location perfette, per riprese en plein air (ancora poco usate, al tempo). Vedere questo film dimostra che quella sì era vera "crisi" (termine abusato da molti, ultimamente). Eccezionale recitazione di tutti i personaggi della vicenda, tenendo conto che l'intero cast era costituito da attori alle prime esperienze.
MEMORABILE: "Amico, a piazza Vittorio c'è tutta gente onesta!" "Eeehh..." "aaahh"; "E che te devo dì? O la ritrovi subito, o non la ritrovi più. Hai capito?"
La desolazione e la miseria del basso ceto della Roma del dopoguerra sono rappresentate perfettamente da un eccelso De Sica regista. Il film non presenta alcun difetto: la vicenda è lineare ed essenziale, non sono presenti digressioni e il tema, responsabile di un forte impatto emotivo, è trasmesso ottimamente allo spettatore con la giusta crudezza; la stessa crudezza propria della società, la quale conduce alla vendetta e all'umiliazione. Bravi gli esordienti Maggiorani e Staiola. Straordinario De Sica.
MEMORABILE: Il finale, che andrebbe inserito nei 100 (o 10) motivi per cui amo il cinema.
Pietra miliare della corrente cinematografica italica più osannata al mondo: ne possiede tutte le peculiarità e ne rappresenta in assoluto l'apice artistico. Un'Italia in totale dissesto sociale fornisce l'humus ideale per lo sviluppo del dramma: il sentimento che più garantisce l'afflato empatico. De Sica, tra "cinema verité" (l'espressività di Maggiorani è rivelatoria) e sapiente costruzione del climax (si veda lo strepitoso finale "hitchcockiano"), ne modella a suo piacimento le corde emotive miscelando un concentrato di umanità esplosiva irripetibile.
In un Italia uscita distrutta dalla guerra, con ancora mille ferite aperte e ancora lontana dal boom economico si snoda questa amara storia di vita quotidiana. Premesso che il neo-realismo non è il mio genere preferito è innegabile che questa pellicola abbia molti pregi. Una sceneggiatura e una regia impeccabili, una fotografia e un'ambientazione perfettamente in linea con il contesto. Parimenti le interpretazioni di attori non professionisti sono impeccabili e rendono ancora più credibile il tutto. Un po' mieloso qua e là ma tant'è.
Un bell’esempio di cinema di grande impegno che pone l’accento sulla denuncia del disagio sociale dell’epoca tramite un realismo concreto e attori non professionali ma di grande efficacia. De Sica ricorre a qualche lampo umoristico per mitigare l’amara e malinconica tensione di un uomo vittima della cosiddetta “guerra tra poveri”, fa emergere aspetti del malcostume italico tutt’oggi riscontrabili e utilizza una musica struggente ma non invasiva. Un film da vedere e tramandare, ma è stato ricoperto di lodi eccessive.
Pietra miliare del Neorealismo italiano, Ladri di biciclette ci mostra un periodo storico in cui la miseria era la quotidianità. La forza del film sta nell'accoppiare al pover'uomo derubato del proprio mezzo di sussistenza, il figlioletto. E' proprio quest'occhio innocente che subisce gli eventi fino al memorabile finale la caratteristica che imprime estrema drammaticità alla storia. Non è un mistero che il film abbia avuto maggior successo negli anni della ripresa economica piuttosto che all'uscita. Nessun italiano voleva vedersi ridotto così.
Pietra miliare del Neorealismo e del Cinema Mondiale. Il grande Vittorio De Sica racconta con minuzioso realismo l'Italia nel dopoguerra, tra fame e povertà. Attori perfetti, nonostante "non professionisti", immenso Maggiorani e splendido il piccolo Staiola (il suo sguardo finale rimarrà per sempre nel mio cuore!). Regia sobria e ottima la fotografia; perfette le ambientazioni e le musiche. Poi quando ho sentito la voce di Alberto Sordi ho avuto un brivido... Capolavoro assoluto.
Non è solo un manifesto del neorealismo e del cinema italiano nel mondo ma anche (e soprattutto) dimostrazione di come si possa produrre, partendo da un’idea, con pochi mezzi e attori di seconda fascia, un capolavoro senza tempo. Nella lotta del povero e ingenuo proletario contro gli strali del destino, un destino senza scampo, la perdita maggiore è quella di se stessi; una volta spaccato l’imene dell’onestà non c’è ritorno e resta soltanto un disperato futuro di miseria.
MEMORABILE: La puntata in trattoria intrisa di forzata gioia; La calca per salire sul tram a Porta Pia (e non è cambiato niente!); La mozzarella che fila.
Pellicola seminale e da museo; sembra nata sotto la protezione di un un qualche "angelo custode" della celluloide, dunque toccata dalla grazia; anche impegnandosi è impossibile trovarvi dei difetti. Credo che la sua potenza, originalità, genuinità e sincerità siano dovute sia al periodo storico particolarissimo che alla forza di De Sica di mostrare l'arte e nascondere la difficoltà e l'artificio, con quella dote che il nostro Baldassar Castiglione definiva "sprezzatura".
Una straordinaria parentesi di vita quotidiana firmata Vittorio De Sica. A vederlo oggi non pare nemmeno così tanto invecchiato: è un film vero, intenso e commovente, ove ogni tassello è inserito in modo praticamente perfetto, a partire dalla prova del cast. Maggiorani è da lode e la sua ricerca disperata della bicicletta in compagnia del figlioletto è il cuore del film. Le espressioni del piccolo Bruno (specie nella parte finale...) sono di quelle che non si dimenticano facilmente. Capolavoro neorealista.
MEMORABILE: L'inizio, quando Antonio trova lavoro; L'inseguimento al ladro.
Capolavoro in ogni senso storico. Roma, la seconda guerra mondiale è finita da poco (sembra di percepire ancora i nazisti dietro l'angolo!), povertà e difficoltà continuano a opprimere l'esistenza. Anche una semplice bicicletta è un bene di lusso specie se serve per recarsi al lavoro. Struggente il ritratto della famiglia protagonista; non meno toccanti le scene in cui la gente strappa speranze, ai giorni che vanno, tra devozione religiosa e pratiche di dubbia natura. Tra malaffari, disperazione e coraggio ecco l'Italia che impavida si rialzò.
MEMORABILE: Il primo manifesto che il protagonista si ritrova ad attaccar per lavoro, raffigurante (quasi metateatrale) il patinato glamour delle star del cinema.
L'immarcescibile scibile filmico. Un capolavoro che non perde smalto con il passare del tempo, stagliandosi nel firmamento delle opere d'arte. Quella rincorsa al ladro si trasforma in un viaggio emotivo, tra speranze frustrate e incognite presenti. Lo sguardo del bimbo accanto al tavolo di Bruno e suo papà, quasi sprezzante, non si dimentica. Didattico e commovente.
Manifesto del neorealismo italiano; è stupefacente l'abilità degli attori presi dalla strada di interpretare personaggi autentici e commoventi. Nonostante sia a tratti lento, numerose le scene indimenticabili: le indagini al mercato di biciclette, il bimbo che si gusta le mozzarelle sotto lo sguardo dei borghesi fino al triste finale, colmo d'umanità.
Esempio di stile neorealista in cui la figura di un disgraziato esemplifica la ricerca di un lavoro per la sopravvivenza. Ambiente che evidenzia il quadro storico fatto di code per l’acqua pubblica e al Monte dei Pegni, di bimbi che fan la carità, di mense per i poveri. Maggiorani esprime al meglio la dolcezza e la disperazione di chi si trova nel limbo tra innocenza e necessaria delinquenza. Epilogo dove anche il piccolo Staiola aiuta a sottolineare il dramma della vicenda.
MEMORABILE: Il mercato delle biciclette; La distesa di biciclette allo stadio; “Mica la ritroviamo con i santi”.
Sullo sfondo di una Roma ormai completamente irriconoscibile si consuma l’ennesima tragedia della povertà e della disperazione. De Sica travalica la barriera che separa il cinema dalla realtà andando a scovare nel quotidiano un destino comune a molti, lasciando intatti i volti, le voci e gli sguardi pieni di malinconia. Il quadro è inequivocabile e severo e in esso si intravede anche una critica, probabilmente inevitabile, verso determinate istituzioni, alcune delle quali inermi, altre bigotte e fondamentalmente disinteressate agli ultimi.
Capolavoro Neorealista di Vittorio De Sica che si basa su una semplice trama piena di umanità e tensione sociale: a un disoccupato che ha trovato lavoro come attacchino viene rubata la bicicletta, indispensabile per il suo lavoro, e la cerca disperatamente nella Roma autentica, povera e bellissima dell'immediato dopoguerra. Debolezze (il tentato furto, l'aggressione a via di Panico) e riscatto morale sono i temi di De Sica che si ritroveranno in Il generale Della Rovere. Bravissimi Lamberto Maggiorani e il piccolo Enzo Stajola. Splendido bianco e nero.
Storia di (stra)ordinaria povertà e sfiga nella Roma del dopoguerra in quello che è un autentico monumento del cinema italiano e mondiale. Ed è così che va guardato, come si guarda il Colosseo o un tempio fenicio-punico. Il film è infatti ormai troppo datato per farci empatizzare completamente con le vicende. Ciò non toglie nulla alla maestria di De Sica in regia e alla profondità del racconto, un'impossibilità di riscatto sociale simboleggiata dal triste finale. Film di importanza storica che va visto almeno una volta nella vita, con la consapevolezza di entrare in un museo.
Strepitoso ritratto del dopoguerra a Roma, con tanta critica sociale ma anche punte di violenza sottile e nascosta (il pedofilo che cerca di abbordare Stajola offrendogli un campanello): Un film perfetto, con la capacità di commuovere e di far seguire la vicenda dall'inizio alla fine. E quando la ricerca si rivela inutile, non c'è cuore sensibile che non provi un sincero dolore.
Uno dei capolavori del nostro neorealismo. Il film fu scritto da Cesare Zavattini. È una storia molto semplice di drammatica miseria, che dimostra come si possa dirigere un film di altissimo livello, con modeste risorse economiche. Il furto della bicicletta di un uomo, a cui serviva per il lavoro, innesca una serie di accadimenti che hanno del tragico, visto il suo utilizzo. La scelta di attori non professionisti si rivela vincente, data la loro bravura e spontaneità. Rimane memorabile la prova del piccolo Staiola che diede un importante contributo per la buon riuscita del film.
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* Formato audio 2.0 Stereo Dolby Digital: Italiano
* Sottotitoli Italiano NU Inglese
* Extra Scheda biografica regista
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Interviste
Nella scena finale del furto della bicicletta lasciata incustodita davanti al portone vicino allo Stadio vediamo che dei manifesti pubblicitari incollati su un muro comparire e scomparire più volte.
Il punto è lo stesso, come possiamo notare dalla forma della macchia sul muro alla destra dei fotogrammi.
NdFedemelis: Secondo voi quale scena è stata girata prima e quale dopo? Notare come le pubblicità siano palesemente censurate.
DiscussioneZender • 28/06/13 13:44 Capo scrivano - 48372 interventi
In effetti sì, servirebbero...
DiscussioneAle nkf • 28/06/13 14:47 Contatti col mondo - 14031 interventi
Complimenti per l'occhio! Sapendo l'esatto luogo della scena facendo riferimento all'illuminazione del sole nel primo fotogramma e l'assenza di essa nel secondo si potrebbe ipotizzare qualcosa, ma se le scene sono state girate in giorni diversi tutto cambia...
L'ora mi sembra la stessa, l'ombra del palazzo proiettata sul terreno è uguale. Io butto giù questa teoria.
Per me hanno girato prima la scena senza pubblicità e successivamente, per un motivo o per un altro, hanno dovuto fare altre riprese un altro giorno. Quando sono andati lì la seconda volta si sono ritrovati quelle pubblicità (se ci fai caso sono diverse e poste anche uno sopra l'altro, quindi possiamo dedurre che non li ha messi una sola mano) e hanno provato a ricoprirli alla buona.
Infatti quel foglio, con un disegno che sembra una falce e un martello, sotto la finestra non c'è nel secondo fotogramma.
Enzo Scaiola ha raccontato che per il suo ruolo nel film furono visionati circa 5000 bambini. Alla fine in ballottaggio con lui rimase Enzo Cerusico.
[fonte intervista andata in onda su Stracult]
Avvertenza per i possessori del bluray edito dalla San Paolo: leggo che alcuni possessori di suddetto disco lamentano la sua illeggibilità dopo qualche anno. Quindi consiglio di verificare la cosa, a chi lo avesse comprato.
Con i proventi delle vendite estere, Vittorio De Sica recuperò tutti i debiti prodotti da Sciuscià. fonte: Gian Franco Roggero, Neorealismo, ed. Derive e approdi.