Rassegna estiva: Italian Graffiti d'agosto Ficcante e angosciante "noir" dalle venature pre-polanskiane, dove c'è già in nuce tutto il cinema del Petri che verrà (sembra un
Indagine in fase embrionale, senza i vezzi grotteschi e eccessivi di Volontè, perchè quì Mastroianni è semplicemente straordinario, in uno dei suoi ruoli migliori), un un abile rimescolanza tra poliziesco, giallo-fino all'ultimo la tensione e il sospetto su "chi è veramente l'assassino" non molla la presa-, grottesco e commedia (amarissima) di costume di quegli anni.
Dai bellissimi e suggestivi chiaroscuri della fotografia di Di Palma (la sequenza di Mastroianni che lascia il commissariato, in una Roma deserta al fiorir dell'alba), ai flashback perfettamente incastonati nella narrazione, a momenti che saranno seminali per certo cinema a venire (nella squallida celletta in compagnia degli sciroccati e tormentosi Panelli e Tucci, che verrà poi ripresa dal Damiano Damiano di
L'istruttoria è chiusa: dimentichi), agli strani e particolareggianti rapporti di coppia (la tresca con la ragazzina sciocca della Gaioni su accettazione della Presle, la Presle che se la fa con i ragazzi più giovani-il cameriere-) fino a momenti disturbanti e torbidi per l'epoca (l'umiliazione sessuale a due nella svestizione della "servetta" della Gagliardo con il libidinoso e lascivo finto medico), alla meschina "ruberia" di Mastroianni, che compra una patacca di orologio a 5 mila lire, per rivenderlo poi a 150 mila.
Fosco, oppressivo, sullo sfondo di una Roma grigia, algida e plumbea, trattato sulla paranoia, sulla colpa, sullo stato di coscienza, sul potere arrogante delle istituzioni, sulle gretezze mediopiccolo borghesi delle relazioni interpersonali, sulle paure che ha ognuno di finire invischiato nei magli burocratici della giustizia senza avere nè colpa nè peccato (ne farà tesoro Nanni Loy per
Detenuto in attesa di giudizio).
Petri dimostra, poi, di essere un regista "scafato" fin dal suo primo film (l'intuitiva e mirabile scelta di regia nella seuenza dell'interrogatorio nell'appartamento con serra del motel dove abitava la Presle, dove il racconto a flashback si mischia con il presente, riprendendo Mastroianni e la Presle che discutono, per poi tornare sul commissario di Randone in tempo reale, l'inversione di marcia dell'auto di Mastroianni in galleria, vista attraverso il lunotto), regalando pezzi di gran cinema (il racconto a ritroso del suicida in galleria, l'incontro con la madre-di gran bellezza visiva l'attimo sulla spiaggia al crepuscolo con sottofondo
Come sinfonia cantata da Mina- il flashback con il nonno antifascista, dal rigattiere, le interviste con chi ha avuto a che fare con Mastroianni "l'assassino", la Gagliardo che si autoaccusa dell'omicidio, il tacco della scarpa della Presle, l'arrivo al Motel con la polizia, la beffarda prova con il cane che abbaia) fino al cinico finale con la telefonata di Mastroianni al rivenditore di automobili.
Pescando un pò dal polar francofono, un pò dal nero americano, un pò dal solco tracciato da Pietro Germi, Petri realizza un film personalissimo, ancor oggi seducente e intrippante, modernissimo per quanto riguarda stile e narrazione.
Immensi Randone e Mastroianni, da segnalare la Gagliardo nel ruolo della cameriera ingnorante e ingenua e gran cura dei dialoghi che sfiorano la perfezione. (quelli tra l'accusatore di Randone e l'accusato di Mastroianni sono formidabili, intrisi di cinismo e humor nero).
Gran cinema in nero che nulla ha da invidiare ai prodotti d'oltreoceano, e che darà la stura al "poliziottesco" a venire.
Insieme a
Un maledetto imbroglio e al
Rossetto, il punto più alto del "crime movie" italiano dell'epoca.