Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
La storia di Pamela Anderson, raccontata dalla stessa protagonista in una produzione Netflix che vorrebbe essere la risposta veritiera a una serie che ne ha raccontato le “gesta amorose” a suo dire in modo falsato ma che era comunque decisamente piú godibile di questo documentario. Il filo conduttore è una lunga intervista con la protagonista, la cui storia (oltre che le modalità di racconto sempre assai patinato) inanella una serie infinita di banalità, ripetendo pedissequamente gli stessi concetti e la priorità della sua filosofia (chiamiamola cosi) di vita. Evitabile.
Non all'altezza della folgorante puntata d'esordio, ma pur sempre un buon episodio, ambientato nel mondo delle scommesse clandestine riguardanti il pugilato. Qui la trama poliziesca (seppur farsesca) passa un po' in secondo piano per lasciar più spazio al minutaggio sportivo (ovviamente semiserio), con citazione per Rocky. Buona confezione, Leslie Nilsen sempre sul pezzo, North qui un po' sacrificato. Una buona parodia di genere, 25 minuti spensierati e ben spesi.
Terzo episodio dedicato dai Manetti al re del crimine per eccellenza, l‘oscuro Dabolik, qui purtroppo depotenziato dalla monocorde interpretazione del protagonista. Il film, che recupera uno degli albi storici della serie “fumettistica”, si rivela nel complesso godibile, segnato dall’eccellente resa visiva e da un’ottima colonna sonora che a volte tende a essere piuttosto invadente. I limiti consistono appunto nella prova opaca di tutto il cast e in una sceneggiatura che spesso segna il passo.
Definirlo capolavoro (nel suo genere) è quasi riduttivo: non un fotogramma fuori posto o di troppo, non una musica sbagliata, ritmo serrato, montaggio alternato... che altro chiedere? Ah già, la storia, avvincente. E le interpretazioni: Foster disegna una perfetta "non di città tirata a festa", ma il resto del cast non è da meno, compreso Levine, il quale, con poche scene, restituisce uno psicopatico memorabile. E poi c'è lui, Hopkins: magnetico, carismatico, inquietante, allucinato. Un film da vedere. E rivedere. E rivedere ancora.
Il regista Gareth Evans assembla senza troppa (a dire poco) originalità gli ingredienti di un noir (poliziotti corrotti, antieroe solitario con macchie nel passato eccetera) per premere poi il pedale sull’acceleratore e mostrare tutta la violenza possibile che spesso viene “depotenziata” proprio dalla sovrabbondanza che potrebbe renderla indigesta ai non adepti del genere. Ma sono comunque innegabili la perizia tecnica del regista nonché la bravura di Tom Hardy in un ruolo che gli calza a pennello. Un po' in ombra il resto del cast, forse inevitabilmente.
Giovane donna, morta in un presunto incidente, lascia i suoi averi alla figlioletta adottiva; la sorella (con cui aveva tagliato i contatti) viene nominata tutrice della bimba, ma il vedovo si oppone. Chiudendo un occhio sulle puntuali imprecisioni logiche che ci si aspetta da un TV-movie di Lifetime, i fruitori meno esigenti di murder mystery avranno modo di apprezzare uno script un tantino più complesso degli standard abituali, che tira in ballo onesti plot twist (preannunciabili ma non del tutto banali) e coloriture emotive inattese (il femminicidio materno nel prologo). Not bad.
Allucinanti avventure di una coppia di agenti infiltrati nel mondo della droga incaricati di stanarne un importante boss, tale Gaine (Allman). Jim Raynor (Patric) nota Kristen Cates (Leigh) mentre lei corre insieme ad altri colleghi: ne coglie il piglio risoluto e capisce che potrebbe essere la compagna ideale per tuffarsi con lui nel difficile compito assegnatogli. Lei accetta e i due subito si mettono in contatto coi pesci piccoli, tra i quali il giovane Walker (Perlich), che si occupa in qualche modo di garantire per loro.
Il gioco in fondo è sempre lo stesso e lo conosciamo da...Leggi tutto sempre, ma qui subentra pesantemente l'esperienza personale: Jim in particolare, per calarsi al meglio nella "parte" e non indurre sospetti negli spacciatori, non esita a mettersi il laccio al braccio e a spararsi in vena quello che gli vendono. Lei eviterebbe volentieri, ma se ti puntano una pistola addosso dicendoti "Dai bella, schizzatela anche tu" non è che puoi fare la schifiltosa. Poi uscire dal tunnel non è facile, però, e quando certe sostanze ti entrano in circolo liberartene può diventare un problema molto serio. La prassi prevede che una volta acquistata la droga con i soldi della Polizia, allo Stato venga restituita, ma non sempre così verrà fatto...
La trama è davvero elementare, quasi un pretesto per rievocare vent'anni dopo le magiche atmosfere degli Anni Settanta in modo mirabile, al punto che un po' per la fotografia, per i costumi, le auto, ma soprattutto per le musiche ("Knocking on a Heaven's Door" di Bob Dylan, "All Along The Watchtower" di Jimi Hendrix, "Free Bird" dei Lynyrd Skynyrd...) sembra davvero un film girato allora. E se i brani musicali facilmente riconoscibili sono noti classici, il vero atout è la colonna sonora di Eric Clapton: "Slowhand" marchia a fuoco un gran numero di sequenze con la sua chitarra, donando a loro quel feeling caldo inconfondibile che connota il film più di ogni altra cosa. Non è un caso che la regista esordiente Lili Fini Zanuck, moglie del produttore Richard Zanuck, siederà dietro la macchina da presa anche in A LIFE IN 12 BARS, documentario su Clapton del 2017.
Trovata in Jason Patric e Jennifer Jason Leigh una coppia piuttosto convincente (per quanto non troppo memorabile), RUSH si presenta come un oggetto piuttosto anomalo nel panorama dei suoi anni, con un concetto di ritmo relativo, molte scene che sembrano del tutto interlocutorie, scarsa azione e una regia che non sempre mostra di avere il polso della situazione. Tuttavia l'ambientazione e il clima giusto sopperiscono ai difetti, riuscendo a nascondere certe banalità di fondo e contribuendo a immergerci nell'incubo di una coppia che - almeno nel caso di lui - sembra presupporre troppo, pensando di poter controllare una condizione che chiunque sa come possa sfuggire di mano con estrema facilità. Piuttosto inafferrabile il boss dal lungo capello biondo e l'aria da rockstar d'epoca, sterotipata ma corretta la figura del collega di riferimento (Elliott) al quale i due devono sempre rendere conto. Finale ad alto tasso drammatico ed epilogo che ha il merito di non perdersi nelle solite scene posticce consolatorie.
Ambiziosa opera di David Robert Mitchell (anche autore unico della sceneggiatura) che tenta in ogni modo di trascinarci in una dimensione sospesa dalla quale sembra impossibile sfuggire mentre ci si immedesima nello stranito protagonista, il disoccupato Sam (Garfiled), centro di gravità che esplora, in una Los Angeles quasi "aliena" (Silver Lake ne è uno dei quartieri), un mondo ricco di segreti da disvelare. Dalla sua camera con vista sulla piscina "condominiale" Sam osserva col binocolo la vicina seminuda in terrazza e si fa ammaliare dalla giovane Sara (Keough),...Leggi tutto che in costume si accorge di essere spiata e invita Sam a seguirla in camera. Non ci sarebbe nulla di male sennonché la ragazza in breve scompare, lasciando dietro di sé solo un enigmatico simbolo dipinto sulla parete di casa.
E' l'inizio di un'avventura non convenzionale, che conduce Sam a sfolgoranti party mentre segue alcune ragazze che nota uscire dalla casa di Sara e che lo metteranno indirettamente in contatto anche con la figlia (Hernandez) di un ricco magnate, a sua volta scomparso nel nulla, e con altri personaggi bizzarri, primo tra tutti un complottista che lo illumina sui codici che una strana setta tutta da identificare nasconde in oggetti di grande consumo o tra i solchi dei dischi e che meriterebbero di essere decrittati. Sam raccoglierà l'eredità dello strampalato conoscente riuscendo nell'apparentemente ardua impresa di comprendere e mettere tra loro in collegamento i messaggi nascosti.
Una caccia che tuttavia si mescola fluida all'interno di una trama in cui a essere importante è anche la galleria di misteriose figure che si incontrano per via (resta impressa quella del compositore, interpretato da un Jeremy Bobb seppellito sotto un pesantissimo trucco che lo invecchia, autore a quanto pare di quasi tutti i grandi successi musicali degli ultimi sessant'anni). Con loro Sam scambia dialoghi non sempre del tutto comprensibili, mentre c'è comunque da restare soddisfatti della qualità della messa in scena, tesa a identificare un film tecnicamente valido, con qualche momento efficace (il bagno di notte con proiettili) ma con anche molti altri in cui si ha la sensazione che si allunghi il brodo senza un perché, tanto che la durata superiore alle due ore appare decisamente esagerata.
In particolar modo l'ultima mezz'ora pare non finire mai, occupata da un verboso incontro che risponde parzialmente ad alcune domande rimaste in sospeso, ma si dilunga nella spiegazione di ciò che non sembra poter importare a molti e chiude decisamente male in un clima new age stucchevole. Anche il rapporto con le tante (belle) ragazze presenti sulla scena è impostato senza trasporto alcuno, riuscendo solo a tratti ad azzeccare la ricercata atmosfera misteriosa dal sapore vagamente lynchiano di cui il film vorrebbe essere permeato. Diverte la caccia ai codici nascosti, ma occupa una parte minoritaria della trama e non raggiunge soluzioni particolarmente eccitanti.
Il sequel di JAWS OF LOS ANGELES, uno dei più catastrofici shark movie di sempre, riesce a peggiorare ulteriormente le cose abbandonando persino quella lontanissima (diciamo praticamente nulla) parvenza di cinema che poteva catalogare il numero uno alla voce “film”. In comune ci sono una fotografia aberrante, qui resa disgustosa da un filtro ocra disturbante, e il grado zero a livello di tecnica sfoggiato in entrambi.
Si è comunque operata una cristologica moltiplicazione dei pesci che aumenta a dismisura...Leggi tutto il numero di squali presenti sulla scena e che li vede sfrecciare in volo esattamente come nel PIRANHA PAURA di Cameron. Purtroppo, in questo caso, gli effetti non sono di Giannetto De Rossi e la sua équipe ma di un fresco acquirente di Pc dotato di programmino 3D, il quale s'è impegnato a disegnare tanti squaletti in fretta e furia applicando poi un furioso copia e incolla per piazzarli un po' dovunque sullo schermo nei rari momenti di attacco. I pescecani volano orizzontalmente a velocità supersonica e se sei sulla loro traiettoria ti centrano in faccia facendotela rossa come se ti fossi preso una fortissima insolazione. Se qualcuno di loro ha tempo si stoppa d'improvviso e si sofferma per mangiucchiarti.
La trama (se così vogliamo chiamarla e considerando che nulla ha in comune con quella – altrettanto inesistente – del numero uno) mette al centro una presunta squadra di beach volley femminile composta da giovani parecchio in carne che zompano sulla sabbia con scarsa leggiadria, non dando esattamente l'impressione delle campionesse. Quanto accade loro ce lo racconta una del gruppo parlando (in macchina) al proprio video diario, spiegandoci come tutto fosse fantastico, prima della disgrazia. Erano tutte lì per divertirsi, cercare maschi, giocare sulla spiaggia, quando decine di squali volanti sono arrivati a guastare loro la festa.
A fare una brutta fine è dapprima l'allenatore – ricoverato in fin di vita con il viso arrossatissimo e sbattuto in terra dal passaggio di una mandria di squali in volo – quindi le ragazze, vittime di una fine non dissimile. La trama sta tutta qui, perché è difficile ad esempio far rientrare nella stessa un presunto pugile (passa il tempo in casa ad allenarsi tirando pugni all'aria al tempo di “The Final Countdown” in versione tarocca) che combatte gli squali volanti in spiaggia prendendoli a calci e pugni mentre puntano verso di lui: è probabilmente la scena più delirante dell'intero film, conclusa con un pescecanone gigantesco che gli piomba dalle nuvole sulla testa senza lasciargli scampo.
A riempire metraggio, poi, benché il film si arresti prima dell'ora lasciando spazio a interminabili titoli di coda che presentano tutti i personaggi (e relativi attori) come se avessimo notato che esistevano, ci pensa la nostra squadra di volley sovrappeso: tutte insieme a ballare lungamente in casa a più riprese a tempo di rap come nei più inutili video di TikTok. Salvare qualcosa in un simile guazzabuglio diventa impresa impossibile anche per il più incallito dei trashofili, mentre in chi guarda resta in testa un solo, inquietante interrogativo: cos'è quel gigantesco muso di squalo che a metà film, d'improvviso e dal nulla, ascende in cielo come una visione mistica, ruggendo paurosamente e spaventando gli astanti? I più inspiegabili sette secondi del film...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA