Il film è di Jim Jarmusch, ma l'aria carica di flemmatica ironia che vi si respira riflette in pieno lo spirito del suo protagonista, quel Bill Murray venerato da molti per come sa ancora far sorridere senza muovere un muscolo. Non ruba la scena, spesso sembra quasi fare da spalla a un Adam Driver che seppur trattenuto interviene comunque di più, eppure la sua presenza impone sottotraccia la direzione, assorbendo e riconvertendo in sottile sarcasmo l'energia di chi lo circonda. Il film nella sua storia è costruito tradizionalmente, con lo spostamento dell'asse terrestre a causare fenomeni naturali solo vagamente interpretabili sulle prime ma destinati a condurci presto verso l'ennesima apocalisse...Leggi tutto zombi; che sopraggiunge coi dovuti effetti splatter ("Uccidi la testa!") ma senza l'obbligo di indugiarvi. Perché Jarmusch è più interessato alla diversa presa di coscienza del fenomeno da parte degli abitanti della piccola Centerville, che si ritagliano ognuno da solo (Buscemi), in coppia (Glover e Jones) o in gruppo (Murray/Drivers/Sevigny o i tre ragazzini del riformatorio) uno spazio in cui combattere il pericolo a modo proprio. Ad accomunare tutti è una "diversa" percezione del dramma rispetto a ciò a cui siamo abituati. Non c'è alcuna tensione, nessun vero senso di accerchiamento incombente nemmeno quando tale accerchiamento effettivamente si verifica. Né c'è l'intento parodistico forte di un classico insuperato come L'ALBA DEI MORTI DEMENTI. Gli zombi ci sono, occupano le strade, ti braccano ma chiunque, qui, li affronta con la stessa calma olimpica che costante si legge sull'impassibile volto di Murray. E se la cosa suscita spesso la risata lo si deve anche alla notevole performance di Tilda Swinton, conciata come la Sposa di Tarantino (completa di katana) ma totalmente aliena al contesto: forte di una spiazzante naturalezza, fa da perfetto controcanto a Murray con risultati altrettanto felici. Ma non vanno sottovalutate Chloë Sevigny, che completa il terzetto di poliziotti in modo straordinario, e uno Steve Buscemi contadino volgare talvolta impagabile. I non tanti altri viaggiano a livelli inferiori ma si assortiscono bene ai protagonisti componendo un quadro surreale e sospeso, talvolta inafferrabile, strampalato come la scelta di farci riascoltare a più riprese la "Dead Don't Die" di Sturgill Simpson, country anacronistico come l'auto dei tre ragazzi messicani che "sembra uscita da un film di Romero". L'unica nota stonata viene dall'eremita dei boschi cui dà il volto Tom Waits, che dovrebbe aggiungere poesia mentre fa da narratore ma non azzecca mai un intervento convincente, appesantendo un film che proprio non ne aveva bisogno e che di certo non viaggia spedito. Eppure tutto concorre a regalarci la visione inedita di un tema che al cinema si sta logorando da tempo, un riposizionamento inatteso in una terra di nessuno a metà tra la parodia e il dramma, cui si perdona volentieri il meta-sberleffo finale perché parte di una strampalata anarchia generale. Jarmusch scava meno in profondità del previsto e gioca sull'inespressività più espressiva, sulle non risposte più eloquenti, su paradossi nascosti che non serve nemmeno esplicitare. Magari non necessario, ma bizzarro e stralunato al punto giusto.
Nell'ormai dilagante moda degli zombie-movie si inserisce questo ennesimo film ma, essendo diretto da un grande regista come Jarmusch, la qualità è notevolmente superiore alla media. Il mix di commedia nera e horror funziona, senza che una delle due componenti si mangi prepotentemente l’altra, il che crea una perfetta alchimia: si sorride (molto), ma vi sono anche sequenze foriere di spavento e raccapriccio. Nel bel cast Murray e Driver formano una spassosa coppia di sbirri; divertente Buscemi, al pari di una mordace Swinton. Gradevole la ost.
Tipico Jarmusch: dialoghi sopra le righe, accostamenti inaspettati, personaggi borderline, rivisitazioni stilistiche che nel rispettare la tradizione di genere (gli zombi sono il mostruoso anticorpo ecologico del fracking selvaggio, che modifica l'inclinazione dell'asse terrestre) la calpestano (l'uscita di scena della Swinton, il gioco metacinematografico). Le micidiali espressioni di Murray, come sempre impeccabile nei tempi comici, fanno da sole metà film. A mancare è, però, una vera variazione su tema: l'epilogo ha il fiato corto.
MEMORABILE: Buscemi al bar che dialoga con un cliente nero indossando un cappellino trumpiano con su scritto "Make America white again".
Il film sull'apocalisse zombi più tranquillo che si ricordi. I personaggi prendono l'attacco dei non morti con filosofia, come se appartenesse al normale quotidiano, trattando la situazione alla stregua di una "scocciatura" da risolvere. La regia gioca molto su un ritmo volutamente lento e ripetitivo che contrasta con le classiche scene di zombi famelici che assaltano case cercando di mordere le vittime. Anche la colonna sonora è di una flemma enorme. Disarmanti alcune battute che abbattono la quarta parete e mostrano i personaggi consapevoli di essere dentro un film.
MEMORABILE: "Questa storia finisce male"; "Bisogna uccidere la testa".
Caso in cui il materiale pubblicitario (trailer, poster stile vintage) è molto meglio del film. Jarmusch non ci risparmia nessun topos zombesco romeriano, dall'uscita dalla tomba fino ai non morti che ripetono i gesti consumistici fatti in vita, ma mancano il ritmo e soprattutto una sceneggiatura davvero arguta. Battute ce ne sono, ma sono telefonate o spesso semplicemente sciocche. Peccato perché il ricco cast era in palla e l'ambientazione nella cittadina americana azzeccata. Buona la colonna sonora.
Uno zombie-movie stralunato e ironico in cui non mancano i momenti classici del genere ma che non aggiunge molto a un filone inflazionato e già esplorato da tutte le angolazioni possibili compresa quella comico-demenziale. La sceneggiatura non riesce a dare adeguato spazio ai numerosi personaggi e alla fine la morale è sempre la condanna della moderna società dei consumi. Inaspettata almeno per questo autore la ricca e gustosa vena citazionista. Alla fine gli zombi d’autore di Jarmusch sono soprattutto un monito contro la stupidità umana.
MEMORABILE: Iggy pop zombi assetato di caffè; La mitica Carlo Kane zombi che puzza di Chardonnay; In negativo il finale con l'UFO e la battuta sul copione.
Rivisitazione dell'apocalisse zombi ironica e pungente più nelle intenzioni che nei fatti. Lo humor nero funziona a metà, si ride sporadicamente e ci si spaventa poco. Ne risulta un polpettone filosofico esistenziale cinico ma un po' scontato, poco coinvolgente e a tratti pure lento. Si apprezzano la maestria del regista e le colorite caratterizzazioni dei personaggi, ma nel complesso il film delude.
Siamo una massa di pecoroni senza cervello, pieni di vizi e di routinarie fissazioni. Ci controlla e ci manipola la forza superiore del "gran burattinaio". Come dar torto al dipinto di Jarmush, veicolato attraverso uno stile asciutto, sonnacchioso e ironico, da personaggi stralunati, apatici e in parte fortemente caratterizzati? Film con narrazione sincopata, a singhiozzo, avida di suoni, ricca di immagini ossessive riprese dai finestrini di un auto che viaggia lenta su curve o rettilinei, condita da metacinema autoreferenziale. Lascia perplessi.
Condotto con leggerezza lunare per quasi tutta la durata, ha il demerito di affondare nel finale per colpa di critiche risapute (il consumismo) e di una svolta inutile e inesplicabile (l'UFO). Per il resto ci si diverte assai grazie alla consueta pletora di situazioni trasognate e bislacche (il dialogo dei tre poliziotti su "diverse bestie selvatiche"), incongrue apparizioni (la Smart), autocitazioni, affondi politici (il trumpiano Buscemi) o addirittura metafisici (lo spostamento dell'asse terrestre è allusione amletica: "Time out of joint").
Jim Jarmush arriva agli zombi dopo George Romero e tanti registi, fra cui il nostro Dario Argento. Il cast ha molti nomi celebri, ma è difficile trovare empatia con essi, perché riassumono stereotipi già abusati (come lo scontato avviso di mozzare la testa degli zombi). Fra gli attori chiamati in causa forse si salva in corner l'androgina samurai di Tilda Swinton, che azzecca l'ennesimo suo personaggio bizzarro. Francamente, da un ex-Ghostbuster come Murray e da Kylo ren Driver ci si aspettava di meglio.
Black comedy molto divertente con un cast di livello ed effetti visivi molto realistici. Driver ha un personaggio geniale, non tradisce un'emozione praticamente mai e infatti a un certo punto ci svela d'aver letto il copione e di sapere già come andrà a finire. Spassosa anche la Swinton in versione Beatrix Kiddo mentre Tom Waits sembra ancora dentro la ballata di Buster Scruggs. Anche Buscemi piazza un paio di battute micidiali ma la zombi alcolizzata che rantola Chardonnay è davvero definitiva. Si ride parecchio.
C'è un cast che faceva sperare meglio, anche se l'alchimia tra Murray e Driver funzionerebbe e pure la Swinton versione becchino pare indovinata. Il problema è che le loro performance sono spesso ripetitive e non si riesce ad andare oltre alcuni scambi di battute e sguardi ben dosati. Da un punto di vista di zombi e di make up si viaggia senza infamia e senza lode, ma non sembra sia Jarmusch quello da chiamare in causa per questo aspetto.
Dopo i vampiri fascinosi, gli zombi svogliati. Jarmusch dirige un originale horror alla moviola: tornati in circolazione per uno spostamento dell'asse terrestre, i morti ripetono i gesti che facevano da vita, mentre i vivi, salvo rari momenti, si comportano come se fossero già morti. Le battute reiterate o extradiegetiche, l'aplomb dei protagonisti Murray e Driver, la bizzaria degli altri personaggi: tutti elementi che mirano non tanto al divertimento quanto allo spiazzamento. Operazione riuscita, ma resta il sospetto si tratti di un'opera autorefenziale destinata ai soli fan del regista.
Jim Jarmusch dopo i vampiri (il buon Solo gli amanti sopravvivono) affronta gli zombi, ma in modo prettamente ironico. L'obiettivo del regista ovviamente non è far paura, ma far riflettere su temi come l'ecologia e il consumismo. La lentezza, marchio di fabbrica del regista, non incide sul giudizio finale, che è molto positivo. Bill Murray continua a sorprendere: grande attore!
Jarmusch questa volta rivisita il cinema dei morti viventi reso famoso da George Romero, ma l'operazione non riesce (diversamente da Solo gli amanti sopravvivono, in cui si era cimentato con i vampiri e l'esito era stato visivamente suggestivo e originale). Qui tenta di raffreddare la materia e di mantenere un distacco ironico, ma non è ben chiaro a cosa miri. Poco lo aiuta Bill Murray, da tempo dedito a una inespressività semicatatonica e amimica (fuori luogo citare Buster Keaton).
Jarmusch si misura con l'horror quasi come un divertissement e, col suo stile ormai assodato, ci propone una cittadina infestata da zombi, tra il sornione e il classico. La carrellata di alcuni attori in scena è numerosa ma troppo fugace (Pop, RZA, Buscemi ecc, poco più che comparse); i protagonisti col loro fare spiazzante, invece, riescono a contenersi in un'atmosfera "sospesa" e catatonica. Qualche nota stonata qua e là, (gli ufo, il finale moral-catastrofico) non inficia l'insieme. Curiosa la parte della Swinton pallida e "spaziale".
Solo gli amanti sopravvivono era un'opera molto più intellettuale e poetica, mentre l'incursione nel mondo zombesco poggia su uno stile ironico e leggero. In comune c'è il clima ipnotico che permette allo spettatore di godersi l'opera, nonostante a livello di trama succeda ben poco. Murray fa il Murray e Driver è un'inaspettata ottima spalla, mentre il resto del cast (Buscemi e la Swinton) è alle prese con personaggi particolari, senza però scadere nell'inutile macchietta. Finale "metacinematografico" non brillantissimo. Nel mentre, però, si respira grande cinema.
MEMORABILE: Il cappellino "trumpiano" di Buscemi; L'abilità con la spada della Swinton; Lo zombi di Iggy Pop.
Il mondo va fuori asse e i morti rianimati fanno ritorno. Zombie-movie permeato di country music nel quale Jarmush esprime la sua critica sociale pessimistica utilizzando lieve ironia. Citazioni assortite da Romero a Hitchcock, con un clima da fratelli Coen e la spada di Hattori Hanzo. I classici urlacci vengono evitati e si preferisce una placida calma. Murray è spuntato, meglio la Sevigny; discreto il personaggio della Swinton. L’ultima autocitazione risulta gratuita.
MEMORABILE: “Anche da morta puzza di Chardonnay”; “Kill the head”; La decapitazione della coppia sul lettino; I cadaveri di Hipster.
Fatalista, strampalato ed esasperatamente flemmatico. E’ una virtù, visto che ciò non impedisce a Jarmusch (come già altrove) di dispensare genialità assortite e valutazioni caustiche, ma anche un difettuccio perché l’eccessiva riflessione esplicita più del dovuto sia la moderna società apatica, ripetitiva e superficiale, sia l’ideale scambio di ruoli tra vivi e morti. Sorpresa: i cari zombi, quanto a realizzazione e putrescenti dinamiche, sono tra i migliori degli ultimi anni. Rubate il caffè a Iggy Pop e godetevi la serata.
Forse intorno a questa pellicola giravano troppe aspettative da parte di tutti; ecco il motivo per cui i più ne sono rimasti delusi. Il film è una via di mezzo tra gli zombi di Romero e L'alba dei morti dementi; critica sociale e molte situazioni grottesche. Quello che lascia spiazzati è il ritmo molto lento, che però oltre a essere il maggiore difetto è anche il maggior pregio: un po' noioso ma molto particolare. Sicuramente un bel film, ma da non vedere più di una volta.
L’unico motivo di un certo interesse di questo ironichorror è dato da alcuni personaggi, come i due imperturbabili e flemmatici protagonisti e la becchina, dalla camminata geometrica e il singolare modo di esprimersi. Il resto è un mediocre tentativo di ridefinire il concetto di zombi, rubacchiando qua e là e associando la condizione al consumismo e all’esaltazione del superfluo (zombi già eri e zombi sei ora). Poteva essere... ma non è stato.
MEMORABILE: Il ragazzo dà il resto al gestore del negozio: "Ecco a te, Frodo"; Murray dice degli zombi: "Questi non sono normali pedoni".
Il cambiamento della rotazione terrestre dà vita al ritorno dei non morti in una cittadina della provincia americana. Un film dal ritmo lento e dall’ironia pungente e leggera esplicitata dalla caratterizzazione dei personaggi principali interpretati impeccabilmente da Driver e Murray. A margine ma non secondaria la presenza di personaggi minori che rendono il piatto più saporito, dal magnifico Iggy Pop a Tom Waits e Tilda Swinton. Un film che contiene una critica non tanto velata al consumismo e che non deluderà gli estimatori del regista.
La terra si sposta di poco dal suo asse e che succede? Apocalisse zombi, vissuta dal paesotto locale con cast d'eccezione capitanato da Bill Murray; metacinematografico, saturo di citazioni (Romero su tutti), metaforico, con molta ironia tanto che potremmo parlare di conmedia macabra, piena di humor noir (efficace?), zombi che oltre al cannibalismo cercano le vecchie abitudini mortali (dolcettti caffè). Ok tutto molto riuscito, ma il risultato generale? La parola purtroppo è soporifero. Virare su qualche lavoro di De La Iglesia, perché Jarmusch è bravo in altro.
Critica al consumismo sotto forma di pellicola zombi, che pur avendo a disposizione un cast interessante e qualche ottima idea in canna, finisce per sparare a salve. L'idea di inserire tutti i cliché del genere in uno svolgimento nel quale l'apatia del mondo dei viventi è più morto di quello zombesco sembra essere un ottimo punto di partenza, ma la sensazione è che ci sia qualcosa di incompiuto, di non arrivare mai al climax vero e proprio.
MEMORABILE: Le espressioni apatiche di Murray e Driver; Iggy Pop; Tom Waits che vive nella foresta.
L’idea preponderante che matura al termine della visione pende a metà tra la rilettura personale e il tributo a un filone cinematografico che vede in Romero l’indiziato principale. Jarmusch aggiunge agli zombi il proprio stile unico, calmo e impassibile, dotato di un’ironia che solleva qualche dubbio sull’onestà intellettuale della critica sociale che arriva a chiudere. La capacità di sapersi muovere con la camera e di costruire immagini solide e suggestive si nota, fornendo una base solida sul quale Jarmusch ha costruito un oggetto curioso.
Con un cast del genere a disposizione, ci si poteva aspettare di più Anche se nella prima parte il film si apprezza per il tono quasi parodistico delle interpretazioni, da un certo punto in poi prevale la noia per il ripetersi di scene di zombi che piano piano (troppo piano) eliminano i vivi, fino a una sorta di finale quasi metacinematografico in cui Jarmush ci fa spiegare da uno di loro che quella che vediamo è una sorta di Apocalisse a cui siamo destinati per i nostri comportamenti sconsiderati. Lodevole intento, declinato però quando lo spettatore ha già iniziato a sbadigliare.
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DiscussioneRocchiola • 25/06/19 09:56 Call center Davinotti - 1278 interventi
Anche io !!!
Il manifesto è comunque molto bello.
DiscussioneRocchiola • 28/06/19 11:15 Call center Davinotti - 1278 interventi
Nel negozietto di Bobby Wiggins, fonte inesauribile di memorabilia, ho riconosciuto i poster di due film La cosa di Carpenter e Videodrome di Cronenberg.