il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

VENERDI' 13
l'analisi della saga
ENTRA
362715 commenti | 68881 titoli | 27107 Location | 14326 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: L'amore strappato (serie tv) (2019)
  • Luogo del film: La ditta di marmi gestita da Rocco Macaluso (Decaro)
  • Luogo reale: Via della Bullica, Tivoli terme, Tivoli, Roma
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  • Film: Amore amaro (1974)
  • Luogo del film: La tintoria di Antonio (Mann)
  • Luogo reale: Via Cammello 24, Ferrara, Ferrara
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  CINEPROSPETTIVE

ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Maurizio Quadrana

    Maurizio Quadrana

  • Tommaso Nanni

    Tommaso Nanni

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Anthonyvm
Il Cappellaio Matto rapisce varie principesse di fiabe famose (o meglio, le loro controparti sanguinarie, dalla Biancaneve antropofaga alla sirenetta vampirica) e le costringe a combattere fino alla morte. Simpatica l'idea di un crossover horror-favolistico parallelo al Poohniverse (si gradisce il ritorno di Kelly Rian Sanson nei panni della Cenerentola indemoniata), ma chi immagina qualche scalmanato gioco al massacro à la Hunger games resterà a bocca asciutta: le battaglie consistono in duelli poco violenti, girati frettolosamente e per lo più dagli esiti scontati. Occasione persa.
Commento di: Pinhead80
Documentario targato Netflix che affronta uno dei casi che hanno scosso maggiormente l'opinione pubblica a cavallo tra il 2010 e il 2011, ovvero la scomparsa e l'assassinio della povera Yara Gambirasio. Se la prima parte è molto accurata e si attiene a quella che è la vicenda attingendo a molto materiale di repertorio e a ricostruzioni interessanti, la seconda parte tende ad assomigliare a un'arringa da parte della difesa che, a prescindere dalle convinzioni che ognuno può avere, non è correttamente controbilanciata da interventi a sostegno dell'accusa. Peccato.
Commento di: Gold cult
Il primo episodio con Pozzetto e la Monti è il migliore e più divertente. Gli altri sono discontinui, Greggio e la Koll "omaggiano" Kevin Costner con un buffo ma buon segmento, mentre gli altri si trascinano più fiacchi. Non male Pieraccioni, ma la Falchi è di una bellezza troppo fine per un ex alpino, e il vernacolo toscano di Monni è a tratti convulso e incomprensibile. Si salvano Faletti e la Cenci nell'episodio più cattivo, decisamente bocciato l'episodio dei giovani Brignano e Dazzi. Frassica meglio nell'episodio esotico con la Rinaldi, peggio in quello discotecaro. Così così.
Commento di: Nando
Fiction incentrata sulla vittoria italiana ai mondiali di calcio del 1934 in cui i protagonisti sono il commissario tecnico Pozzo, ben interpretato da Merli, e il guascone Ferraris, dedito al gioco e al bere ma poi rivelatosi fondamentale per il trionfo finale, qui un troppo caricaturale Amendola. Notevoli differenze storiche con situazioni inventate ma nel complesso si assiste a un prodotto Tv dignitoso, per gli amanti del calcio d'antan.
Commento di: Schramm
Nella Roma chinatownizzata tra la Gotham di Burton e la Pechino post-imperiale, la Cina è vicin(em)a: Mainetti ha il senso dell’action-romance, del cat3 shawbrossiano, del marvelismo, del romanzo popolare 50's, del gun-fu antinewtoniano di scuola Evans-Tjahjanto. Il sesto senso lo regala alla sala remixando pulp, wuxia, mitologia urbana, epopea sinestetica e grotesque con la precisione di un samurai in ebbrezza poetica, come se Fellini, Hark e del Toro si fossero ritrovati in un sogno lucido e avessero detto: facciamolo. Ahia Borello, ultrastecca di una partitura altrimenti perfetta.
Commento di: Galbo
La famiglia Harrigan gestisce numerose attività criminali a Londra con la collaborazione di un uomo fidato, Harry Da Souza. Particolarmente avvezzo alle storie riguardanti la criminalità organizzata, Guy Ritchie produce e in parte dirige una serie ad alto tasso di violenza, popolata da personaggi caratterialmente estremi come i capofamiglia Conrad e Maeve. Non particolarmente originale dal punto di vista narrativo, la serie è godibile proprio grazie ai personaggi e alle interpretazioni di attori particolarmente in parte, specie quelli maschili come Hardy, Brosnan e Considine.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Ormai, soprattutto negli slasher, sequel e remake tendono a sovrapporsi: certo, questo SO COSA HAI FATTO cita apertamente il film del 1997 fino a richiamarne i due sopravvissuti e la "star" Sarah Michel Gellar per un cameo “onirico”, ma di fatto ne è nel contempo un chiaro remake, dal momento che la situazione che viene a crearsi è identica a quella di allora e il meccanismo pure.

Siamo da principio alla festa di fidanzamento di Danica (Cline) e Teddy (Withers), alla quale è stata invitata...Leggi tutto la migliore amica di lei, Ava (Wonders), e pure il ragazzo col quale quest'ultima stava ai tempi del liceo, Milo (Hauer-King). Da allora è passato qualche anno, ma ancora i ricordi sono vividi, tanto che quando alla festa i protagonisti incrociano Stevie (Pidgeon), una loro ex compagna con la quale poco avevano legato, la invitano a festeggiare insieme il 4 luglio andando sulla strada lungo il mare a godersi i fuochi artificiali. Poi una “canna” di troppo e Teddy comincia a fare lo scemo, a mettersi in mezzo alla strada, a “sfidare” gli automobilisti che passano fino a quando uno di loro, per schivarlo, perde il controllo e finisce giù dal precipizio, sugli scogli. Andare fino a laggiù a vedere che fine abbia fatto è impossibile, ma almeno si chiama la Polizia, che infatti arriva e può solo constatare il disastro.

I cinque si guardano bene dall'ammettere qualsiasi tipo di responsabilità e si ritrovano insieme un anno dopo al matrimonio di Danica, che nel frattempo ha cambiato partner. Tra i regali scartati ce ne è uno inquietante: un bigliettino anonimo sul quale sta scritto ciò che tutti immaginiamo: "I know what you did last summer" ("So cosa hai fatto l'estate scorsa"). I sospetti corrono subito a Teddy, non presente alla festa e che tutti pensano abbia il dente avvelenato per essere stato lasciato. Ma è davvero tutto così semplice? Ovviamente no, e intanto fa capolino un killer che veste come quello del 1997: impermeabile da pescatore, cappellaccio largo e in mano un uncino con cui sventrare le sue vittime. La mattanza prende ufficialmente l'avvio, costringendo il gruppo di ragazzi a contattare Julie James (Love Hewitt), che da un assassino vestito allo stesso modo si era al tempo salvata. E non molto bisogna aspettare perché ricompaia pure Ray Bronson (Prinze jr.), l'altro sopravvissuto. Poco tuttavia i due possono fare per impedire il nuovo massacro...

Formula immutata con la regista Jennifer Kaytin Robinson, anche coautrice dello script con Sam Lansky e Leah McKendrick, che replica senza gran fantasia soprattutto negli omicidi, tutti tendenzialmente identici e mancanti del necessario tasso di splatter. E se si elimina il gusto di veder sprizzare un po' di sangue, in uno slasher, cosa resta? Giusto il colpo di scena in stile whodunit, che occupa l'ultima parte dando una parvenza da thriller classico - che non dispiace - al film. Con una recitazione accettabile dell'intero cast i danni sono limitati, ma certo le situazioni in cui i nostri vengono a trovarsi sanno decisamente troppo di già visto, con l'inserimento dell'immancabile influencer estroversa e invadente esaltata all'idea di riprendere per il suo blog i veri luoghi a Southport dove si era verificato il precedente massacro.

Le dinamiche tra i personaggi funzionano a fatica, i depistaggi sono puerili e pure il killer sembra più goffo del previsto. Qualche discreta sequenza non manca, l'interazione tra passato e presente è elementare ma mantenuta con coerenza, mentre la Gellar “ammazzavampiri” si fa rivedere solo in un incubo di Danica per un paio di minuti, il tempo di sanguinare un po' in faccia. In definitiva un'operazione superflua e mai intrigante, con un paio di jumpscare telefonati e la stanca riproposizione di un canovaccio ampiamente anticipabile anche da chi non avesse visto il modello targato Williamson (che già non era proprio un granché, nonostante successo e sequel). E poi non si può vedere oggi, in uno slasher, un attacco alle spalle reso visivamente solo con lo schizzo di sangue su di un monitor...

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Viaggio nel Mississippi di metà Anni Sessanta, quando ancora la condizione di Stato fortemente ostile all'integrazione razziale creava contrasti sociali insanabili. Tre attivisti per i diritti civili (due ebrei e un nero) vengono uccisi nella loro auto da alcuni poliziotti e nessuno (tranne gli autori del delitto, ovviamente) sa che fine i poveretti abbiano fatto. Per capirlo l'FBI spedisce sul posto due agenti diversissimi: da una parte il progressista Alan Ward (Dafoe), convinto di poter combattere il cancro del razzismo senza doversi mai porre sullo stesso livello d'inciviltà,...Leggi tutto dall'altra il più sbrigativo Ruper Anderson (Hackman), di tutt'altro avviso. Sorprendentemente è nel loro contrasto che il film trova alcune delle scene migliori, in una tensione che spesso esplode in conflitti aperti, benché combattano entrambi dalla stessa parte.

Anderson è originario del Mississippi, conosce quella gente ed è convinto di saperla trattare molto meglio del giovane agente che gli è superiore in grado, ma intanto il gruppo di poliziotti locali - spalleggiati da autorità che la vedono come loro (il sindaco interpretato da L. Ree Ermey, ad esempio) - fa il brutto e il cattivo tempo minacciando e attaccando i neri in modo che non si azzardino anche solo a pensare di dire qualcosa. Ma forse c'è un altro anello debole nella catena dei killer, ed è la moglie (McDormand) del vicesceriffo (Dourif), che ha testimoniato di essere stata con lui a casa, la sera del delitto, ma che i due agenti federali ritengono non abbia detto la verità.

In un crescendo di violenze e soprusi e nel vergognoso silenzio complice delle autorità, Ward e Anderson (che fanno dragare un'intera palude da centinaia di uomini chiamati lì per ritrovare i corpi dei tre attivisti scomparsi) cercano di elaborare una strategia che arrivi a incastrare i colpevoli.

Incorniciato dalla fotografia straordinaria di Peter Biziou (giustamente premiata con l'unico Oscar guadagnato dal film, ma era l'anno di RAIN MAN) e dominato da un Gene Hackman sornione, ironico, a tratti selvaggiamente infuriato che è un vero spettacolo (Hoffman gli soffiò l'Oscar ma l'avrebbe sicuramente meritato pure lui), il film di Alan Parker è una cupa avventura vissuta con grande prevalenza di esterni, recitata magistralmente da un cast folto di nomi che avrebbero fatto strada (Dafoe, la McDormand, Rooker, Dourif) e diretta da un Alan Parker che lavora benissimo sulle immagini finalizzando al meglio il lavoro di una troupe impeccabile. Se i neri sembrano troppo arrendevoli è perché si capisce come non abbiano i mezzi per ribellarsi, chiusi da un'indecisione di fondo che impedisce loro di schierarsi con maggiore decisione dalla parte dei due agenti dell'FBI, lì con il chiaro obiettivo di difenderli. La sceneggiatura di Chris Gerolmo ha ottime frecce al proprio arco e la storia procede senza incagli, arrivando alle due ore senza che se ne avverta la pesantezza. Un lavoro di grande impatto, dirompente nel messaggio e originale nel rapporto che lega i due protagonisti.

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Nuovo tour per Roger Waters dopo US + THEM, dal quale mutua l'idea base di mescolare musica e invettive contro il potere attraverso messaggi giganteschi sparati sugli schermi. Il nuovo palco propone un impianto luci strepitoso e un videowall gigantesco a forma di croce che, sospeso sulle teste della band, mostra animazioni di gusto sopraffino e per l'appunto messaggi fulminanti contro le guerre e gli oligarchi che dominano il mondo, moniti a caratteri cubitali che si materializzano creando un bel collegamento con le canzoni,...Leggi tutto lasciando subito capire come Waters sia prima di tutto compositore e autore dei suoi pezzi (nonché di buona parte di quelli dei Pink Floyd).

Non c'è spazio per le mezze misure, nello show: volano gli insulti, si prendono con veemenza le difese dei popoli indifesi e degli oppressi, come se la musica servisse da semplice accompagnamento per veicolare messaggi universali di pace e di odio nei confronti di chi domina le masse (rappresentate per esempio dalle pecore di "Sheep"). L'apertura è altamente d'atmosfera, con "Comfortably Numb" rivista nella recente chiave watersiana: lo schermo gigante rimanda le immagini altamente suggestive del videoclip relativo, i tempi della canzone vengono rallentati, le chitarre di Gilmour (che davano vita a uno degli assoli più celebrati della storia del rock) rase a zero e sostituite da tappeti di tastiere che restituiscono un brano assai diverso dall'originale. La band è totalmente in ombra, mentre suona, in attesa che lo schermo a croce si sollevi e prenda la posizione che manterrà poi per l'intero concerto.

L'energia si sprigiona con la successiva "The Happiest Days Of Our Lives", a cui segue immancabilmente "Another Brick In The Wall parte 2" e, subito dopo, pure "parte 3" (come nel tour di US + THEM) in un bel sunto dei momenti più noti e trascinanti di "The Wall". Esecuzioni impeccabili, qualche ammodernamento, suoni molto meno sintetizzati rispetto al 1979. Un ottimo break, al quale segue inattesa "The Powers That Be", da "Radio Kaos" (il secondo, sottovalutato disco solista di Waters), rivista in meglio e giustamente recuperata. "The Bravery Of Being Out Of Range" riassume molto del pensiero dell'artista ed è una tappa fissa dei suoi concerti, con lo schermo che si popola di scritte, grida d'aiuto... Il brano tuttavia non è fenomenale e si dilunga oltremodo. Arriva poi l'inedito "The Bar", estesa composizione scritta durante il Covid e qui spezzata in due parti (la seconda in chiusura), in cui lo spirito più cantautorale di Waters si concretizza (come in altre occasioni) in brani poco incisivi e stanchi.

Meglio il ritorno ai Floyd di "Have a Cigar", con inevitabile ricordo di Barrett (e relativi video che passano sullo schermo), che prosegue con "Wish You Were Here" e le parti meno note della suite "Shine On You Crazy Diamond". Un breve aneddoto in cui Waters ricorda un giorno con Barrett a Las Vegas nel '68 (in realtà era il '67, Barrett lasciò i Floyd a Gennaio 1968 dopo pochi concerti in Inghilterra) quindi "Sheep" (uno degli highlights del concerto) e la consueta mascherata da "The Wall" con uniformi e martelli (si suonano "In The Flesh" e "Run Like Hell", che cantata da Waters surclassa la versione "Pink Floyd" con Gilmour e altri alla voce). Subito dopo, un ritorno al presente con "Déjà Vu" dall'ultimo disco e a seguire l'intero secondo lato di "The Dark Side Of The Moon" (nel tour di US + THEM aveva cantato solo il primo) e la presentazione dei due brani finali, "Two Suns In The Sunset" (inatteso recupero da "The Final Cut") e "The Bar" parte 2, al quale viene incollata, senza soluzione di continuità, "Outside The Wall".

Nel contesto generale, maiali che volano (pure pecore, in "Sheep"), raggi di luce, centinaia di volti che appaiono e scompaiono sul megaschermo, intermezzi di Waters che pontifica contro il nucleare o contro i dittatori di ieri e oggi in un clima acceso che mostra quanta energia l'uomo abbia ancora in corpo a ottant'anni, stemperata da siparietti amichevoli in cui Waters discorre a voce bassa con il pubblico, brinda con i musicisti sul palco, parla della moglie e del fratello recentemente scomparso. Nella scelta dei brani non si è retrocessi oltre il 1973 di "Dark Side" lasciando fin troppo spazio a cantautorate spesso anonime come l'ultima "The Bar". Detto di una scenografia spettacolare ma piuttosto monotona, non particolarmente fantasiosa e derivata, anche concettualmente, da quella del tour precedente, il concerto è piacevole ma sembrano mancare una vera spinta innovativa (ci si adagia troppo sugli schemi collaudati da US + THEM) e una scelta dei brani più oculata (chiudere con "Two Suns In The Sunset" e "The Bar" non è esattamente il massimo).

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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