Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Che fine ha fatto Franco Maresco? E soprattutto che fine ha fatto il film su Carmelo Bene che gli aveva commissionato il produttore Andrea Occhipinti? Come Orson Welles, anche Maresco si nasconde e il film vede la ricerca di dove si è celato e il ricordo di cosa aveva fatto in passato, con momenti davvero spassosi, soprattutto quando in scena c'è Francesco Puma. Una commedia che dice molte cose, uno sguardo ironico sull'abisso in cui sta precipitando la cultura contemporanea.
Due tizi tentano di sfuggire alla mafia argentina e nel frattempo devono rubare un'auto. Guai a catena. Sgangherato action che più volte tenta, invano, di far sorridere. La cosa più strana è il contrasto tra quello che succede (rocambolesco e a tratti ridicolo) con il modo serio col quale viene portato in scena. Gli attori sembrano crederci, il pubblico un po' meno. I personaggi, d'altronde non hanno nulla di interessante, per cui la pellicola scorre via annoiando in più occasioni. Il ritmo è forse l'unica cosa a salvarsi, insieme a qualche sequenza movimentata riuscita. Scarso.
Ispirato a una storia vera, "The deliverance" racconta di una donna con problemi di alcolismo che vive con i suoi figli e la madre in una casa che ospita un'entità malvagia. Poco alla volta tutti verranno a contatto con il male con conseguenze terribili. Prima di sfociare nell'horror vero e proprio abbiamo una parte molto consistente di dramma familiare che mette in mostra ancora una volta tutta la bravura di una strepitosa Glenn Close. Peccato si vada a parare in un secondo momento nel solito film esorcistico che tira per le lunghe situazioni triste e ritrite. Bene il cast.
Due amici gestiscono un bar nei sobborghi di Parigi che però non va molto bene. Uno dei due si convince che se riuscirà a entrare nel mondo del jet set francese portando qualche personaggio famoso al bar, riuscirà a salvarlo dalla bancarotta. Blanda e inconsistente commedia che si salva solo per la presenza di Wilson, ottimo attore sottovalutato e della decorativa quanto magnetica presenza della Muti (che recita con un pessimo accento francese). La fotografia di quel mondo vuoto e superficiale è accurata, ma non si capisce se lo si condanni o si induca verso l'autoassoluzione.
Tratto da una storia vera. Il primo caso di molestie sessuali che ha avuto enorme risalto negli Stati Uniti, avvenuto a metà anni Ottanta. Dramma interessante e che offre molti spunti di riflesisone sul comportamento umano in certi frangenti. Forse la parte processuale poteva essere meno incisiva. Scorrevole, nonostante le due ore e più. Convincente la Theron (candidata all'Oscar).
Da un romanzo di Maria Bellonci un pezzo di storia della città di Mantova e i Gonzaga, durante le vicende che portarono lontano, verso il loro declino politico. Il conte Striggi, cancelliere del duca di Mantova, arriverà fino al delitto pur di mantenere lo status quo della dinastia ma anche il proprio. Un racconto denso, irrobustito da un allestimento scenografico ad hoc e mai sofisticato. Sceneggiato passato alla storia per il primo nudo maschile integrale nella televisione di Stato.
Come sempre, qualsiasi possa essere la trama, fenicia o meno che sia, in Wes Anderson a catturare subito l'attenzione è la composizione dell'immagine. Non ti puoi sbagliare: quando vedi quelle ricostruzioni teatrali che in sostituzione delle quinte propongono scenografie coloratissime di rara bellezza, simmetrie studiate in ogni singola porzione dell'inquadratura, è difficile non rimanere abbagliati. Poi certo, c'è anche la voglia di raccontare (anche qui) il mondo secondo logiche grottesche e surreali. C'è però qualcosa di diverso, in LA TRAMA...Leggi tutto FENICIA, rispetto agli ultimi film che agivano coralmente costruendo passo dopo passo le strampalate avventure che riempivano lo schermo. Perché qui c'è un protagonista solo e immediatamente individuabile come tale, ed è attraverso i suoi occhi che seguiamo la vicenda.
"Zsa-Zsa" Korda (Del Toro), magnate dal passato discutibile e perenne vittima di attentati destinati immancabilmente a fallire, si salva nell'incipit da un disastro aereo che ha coinvolto il suo jet privato. Convocata suor Liesi (Threapleton), l'unica figlia dei suoi nove a cui vuol lasciare l'intera eredità infischiandosene degli altri (che potrebbero pretenderne almeno una parte), le illustra il suo prossimo progetto, i cui contorni restano sfumati per essere spiegati solo durante la seconda parte del film. Si sa però chi l'uomo dovrà contattare per ottenere i finanziamenti di cui necessita, non ultimo il fratello Nubar (Cumberbatch), presenza inquietante forse corresponsabile della morte della madre di Liesi (ex sposa di "Zsa Zsa").
Tutto da verificare anche in questo caso, ma sono interrogativi che - già lo sappiamo - non avranno mai la necessità di essere spiegati fino in fondo, perché a Wes Anderson interessa molto di più dispiegare la sua storia attraverso incontri che sono la solita passerella di divi felici di sfilare per il regista texano, da sempre apprezzatissimo nei circoli che contano. E d'altra parte non gli si può negare uno stile personalissimo, una sensibilità unica che lo isola da qualunque altro autore. Non sempre nel bene, sia chiaro, e infatti qui, rispetto ad altre prove più recenti, i dialoghi sono farraginosi, raramente interessanti, e colpiscono di più le gag visive che coinvolgono spesso anche il "precettore" Bjorn Lund (Cena), accompagnatore inseparabile del protagonista insieme alla giovane Liesi.
Non manca poi qualche intuizione che rielabora una situazione comunissima a certe commedie, ovvero il passaggio nell'aldilà, qui buffamente temporaneo e dovuto ai continui tentativi di uccidere Korda che lo portano più volte a sbirciare cosa gli accadrà dopo la morte (incontrerà persino Dio, interpretato da un irriconoscibile Bill Murray, attore feticcio utilizzato giusto per una brevissima apparizione). NDE, Near Death Experience, sarebbe la definizione tecnica, se qui non suonasse tanto fuori luogo: perché in fondo è solo uno dei tanti espedienti surreali che portano Korda a ripresentarsi poco dopo in scena con qualche sfregio o ferita più o meno profonda...
Ancora una volta, però, il difetto maggiore di Anderson rifà capolino: a piccole dosi il film appare simpatico, brillante, stimolante, curioso, sfavillante. E' quando ci si accorge che lo schema si ripete sempre uguale a se stesso che finisce con lo stancare, farsi pesante... Al punto che anche la durata contenuta, alla fine, non è sufficiente a eliminare il difetto, e la logorrea di tanti personaggi (protagonista incluso) tende a sfiancare prima del previsto...
Tratto da una storia vera da cui il regista Alex Parkinson aveva già tratto nel 2019 il documentario omonimo, il film racconta quanto accadde a una spedizione che nel 2012 scese nelle profondità del Mare del Nord (partenza da Aberdeen, in Scozia) per la riparazione di alcune importanti tubature che garantivano il gas a buona parte delle zone limitrofe. Che il film non faccia dall'originalità la sua forza lo si capisce dal titolo e dalla locandina, uguali a mille altri. D'altra parte, ci viene ribadito, si sta...Leggi tutto riportando un fatto di cronaca cercando di attenersi alla realtà dei fatti: non si può pretendere spettacolo ad ogni costo come se si stesse inventando una vicenda mai accaduta con l'unico scopo di intrattenere.
Eppure - a dirla tutta - i personaggi che compongono l'equipaggio della nave e i palombari sembrano usciti da un action qualsiasi e, se non fosse per la ben nota predisposizione all'ironia e la bravura di Woody Harrelson, poco ci sarebbe da dire del cast. Le caratterizzazioni sono chiaramente derivate da stereotipi: Chris (Cole) è il bravo ragazzo che deve farsi una vita con la fidanzata (Rainsbury) che lo ama, Dave (Liu) è l'orientale che ovviamente non parla e ti guarda storto, Andre (Harrelson) è l'uomo di grande esperienza che sdrammatizza senza però mai trasformarsi in macchietta. Loro sono quelli che s'immergono nella campana legata alla nave che li fa scendere negli abissi e quelli che più si vedono.
Poi c'è l'equipaggio sulla nave, meno singolarmente definito ma che avrà presto un ruolo fondamentale. Perché quando arriva la tempesta qualcosa succede, e il primo a uscire allo scoperto nelle profondità del Mare del Nord, il giovane Chris, diventerà la figura chiave, suo malgrado. Càpita infatti che, nel momento del panico diffuso causato dall'infuriare in superficie della tempesta, con la nave che perde il contatto con la campana subacquea, il cavo che legava Chris alla stessa si spezzi. Dove il nostro sia finito sulle prime non si capisce, ma sappiamo benissimo che la sua scorta di ossigeno finirà quanto prima. E su questo gioca il film, che riporta un evento giustamente definito "miracoloso" (ciò che in definitiva giustifica la realizzazione di ben due opere tratte da quanto accaduto) senza tuttavia poterne convertire la potenza in azione.
Se quindi ci si discosta dai molti film già prodotti in tema, lo si deve principalmente a una narrazione molto sobria, priva di quegli effetti e musiche tonitruanti abitualmente legati alle fasi di suspense; perché tali fasi, in sostanza, qui quasi non esistono: rispetto al solito poco accade, nel corso dell'intera storia. La nave è in balia di onde (alcune riprese notturne mostrano l'imbarcazione spostarsi faticosamente tra i marosi) che sembrano sempre le stesse ed è in cabina che tutto si decide: quando ad esempio il comandante (Curtis) decide di innestare la sconsigliatissima guida manuale per recuperare il corpo del povero Chris.
Nel frattempo i minuti in cui il sangue non pompa al cervello del giovane si fanno di attimo in attimo più teoricamente ingestibili, per un'equipe medica, e durante questo arco di tempo si sovrappongono le discussioni su come riportare in nave almeno il corpo. La volontà di mantenere un approccio realistico e lontano da fantascienza, horror o azione spinta fornisce al film il pretesto per difendersi dalle accuse di una narrazione piuttosto piatta, che si concretizza in dialoghi anonimi e in riprese subacquee solo di rado davvero coinvolgenti. La confezione è di discreto livello, ma la quasi totale assenza di scene che possano lasciare il segno si sente, e il lungo finale con appassionati abbracci sulle rive del mare dà l'impressione di chi non sa bene come “fare metraggio” in altro modo. Sui titoli di coda brevi filmati dei veri protagonisti della vicenda, come da prassi.
Un Aronofski meno esplosivo del previsto per un noir a tinte pulp che rimesta nel gran calderone del genere per uscirne con un film nella media, percorso da una certa scossa d'imprevedibilità in alcune circostanze ma privo di quell'inventiva che permette ai migliori di emergere, per di più con l'inserimento di un gatto che sa tanto di espediente ruffiano per accontentare chi ama le deliziose creature e s'intenerisce non appena le vede.
Nel porre al centro della vicenda una ex promessa del baseball che ama l'alcol e i San Francisco Giants, il regista sceglie...Leggi tutto un protagonista dall'aria sufficientemente innocente ma con qualche ombra nel proprio passato (che riemerge costante in un flashback al ritmo di “Rock You Like A Hurricane” degli Scorpions, in cui vediamo la sua auto schiantarsi causando la morte del ragazzo che sedeva accanto a lui); né forte né debole, né furbo né scemo, perfetto esempio di giovane nel quale è facile identificarsi e che si ritrova in un ginepraio dal quale non sa come districarsi. Hank, interpretato con corretto spaesamento da Austin Butler, ha una ragazza (Kravitz) che ama ma che non riesce a sopportare l'idea di non vedergli mettere la testa a posto. D'altra parte lavora in un bar, vive alla giornata e ha la casa stipata di bottiglie di alcolici. Ha anche un vicino inglese con tanto di cresta punk, Russ (Smith) il quale, prima di partire per Londra ad assistere il padre malato, gli chiede di badare per qualche giorno al suo gatto. Il problema è un altro, però: Russ si porta dietro la mafia russa, che lo cerca e per sapere dove quello sia finito intanto prende a calci chi sta in casa sua, ovvero il povero Hank.
Sarà solo l'inizio di una serie di attacchi che costringeranno il giovane a fuggire, a rivolgersi alla polizia dove lo ascolterà la detective Roman (King), a ripararsi da chi pretende che gli si dica dove avrebbe nascosto una certa chiave. Non è neanche così importante ciò a cui quella chiave serva, perché il film si sostanzia in un action triller a base noir in cui ciò che conta è muovere il protagonista tra le strade della New York del 1998, anno in cui è ambientata la vicenda: luoghi ai margini come Coney Island o Flushing Meadows, le due torri gemelle a richiamare un'epoca passata ma che non appare poi così dissimile da quella attuale, le strade e i vicoli di una città comunque mai ripresa nei suoi scorci più riconoscibili. E lì in mezzo Hank, chiaramente in difficoltà nel combattere contro nemici troppo più grandi di lui.
Se Aronofski non esagera con inquadrature virtuosistiche o abusando di quegli stacchi di montaggio che avevano caratterizzato certi suoi esordi, si affida però molto, per dare un'impronta personale al film, all'ottima colonna sonora di Rob Simonsen, ricca di percussioni e fraseggi sincopati che, sparati ad alto volume, lasciano un segno indelebile, pompando induscutibilmente ritmo in sequenze altrimenti un po' anemiche. Per il resto si limita a rielaborare un genere in declino da tempo, accontentandosi di dare forma godibile a una sceneggiatura piuttosto impalpabile, all'interno della quale i saltuari tocchi ironici ovviamente rappresentano la componente chiave, fin dai tempi in cui Tarantino aveva saputo elevare il pulp ad arte pura. In questo senso si può leggere la presenza dei due rabbini killer interpretati da Liev Schreiber e Vincent D'Onofrio, figure sopra le righe e macchiettistiche, forse le uniche in grado di caratterizzare in qualche modo il film; piuttosto debole, infatti, la prova di Austin Butler, spesso oscurato da chi sta in scena con lui (a cominciare da Zoë Kravitz).
Ininfluente quanto ingombrante la presenza del gattone che morde, inevitabili gli spargimenti di sangue, il timido accenno alla tortura e certe minacce sopra le righe. Imprevista l'apparizione nel finale di Laura Dern come madre di Hank, che fin lì avevamo sentito solo via telefono gioire con il figlio dei successi degli amati Giants. Qua e là ottimi sprazzi di cinema, a ricordarci quanto Aronofski non sia un regista qualunque.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA