il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

VILLA PARISI
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361060 commenti | 68584 titoli | 27022 Location | 14237 Volti

Streaming: pagine dedicate

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  • Film: Una commedia pericolosa (2023)
  • Multilocation: Ex Cinema Teatro Massimo (oggi Coin)
  • Luogo reale: Piazzale Appio, Roma, Roma
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  • Film: Panarea (1997)
  • Luogo del film: La spiaggia frequentata da Maria (Merz)
  • Luogo reale: Cala Zimmari, Isola di Panarea, Lipari, Messina
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Paola Casella

    Paola Casella

  • Giuseppe Fiale

    Giuseppe Fiale

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Capannelle
Poco avvincente, sia per quanto racconta che per come lo racconta. Max Giusti in un ruolo neanche tanto credibile che si dipana attraverso una serie di frequentazioni che non aggiungono nulla alla storia. Con una scrittura abbastanza raffazzonata e personaggi che non lasciano traccia, pure per quanto riguarda Calabresi. Gli unici che funzionano sono i componenti della redazione di autori, ma per il resto si vedono entrare tanti caratteri di una pochezza disarmante.
Commento di: Erfonsing.
Un film che cita (saccheggia?) altri più o meno riusciti. Qualche momento di tensione c'è (l'assalto iniziale nella casa di campagna) e Carlyle si conferma attore di livello superiore alla media (il suo è l'unico personaggio interessante, insieme a quello di Renner). Niente per cui stracciarsi le vesti, insomma, anche sul piano tecnico (la freddissima fotografia del primo viene qui riproposta pedissequamente, come pure la colonna sonora). Da vedere nella speranza che dopo giorni e settimane e anni l'infezione finisca: mica ci sarà un 28 secoli dopo?
Commento di: Luluke
La cronaca dei tredici anni di Antoine, ragazzo scapestrato che impariamo a conoscere mentre in lui matura la progressiva consapevolezza di non riuscire ad accettare il mondo dei grandi. E dei loro egoismi e ipocrisie. Truffaut eredita la lezione del neorealismo italiano, ma aggiunge un connotato di forte carattere al protagonista, così da renderlo diverso dai minorenni dei film di De Sica o Rossellini. Perché il regista ci fa capire che crescendo se la caverà, indurendosi nelle esperienze, a dispetto di una fragilità che ancora emerge nel celebre suo sguardo finale davanti al mare.
Commento di: Katullo
Trama e attori riciclati per un basso tentativo di emulazione tarantiniana, un mezzo pulp a buon mercato che si accanisce sul povero Willis, fantozziando un drastico Rooker e relegando la Kurylenko a una armigera svegliata ogni volta che posa la testa sul cuscino. Di rara bruttezza, il film narra di un bolso killer vicino al semolino che all'improvviso si ammutina in nome della moglie scomparsa, invita l'assonnata poliziotta a casa e insieme organizzano un intrepido benvenuto agli ex-colleghi. La scena finale con l'addio alle ceneri sembra il set dell'indimenticato Vianello/Tarzan.
Commento di: Aco
il film presenta una storia interessante che tuttavia non è sufficientemente curata negli aspetti psicologici, finendo per sostenersi in un concentrato di luoghi comuni, di cliché sociali e politici. Peccato, perché gli attori sono bravi (seppure il ruolo della donna sensuale non sia adatto alla Cortellesi) e le situazioni comiche non manchino e facciano davvero ridere.
Commento di: Cerveza
Grande suggestione estetica per questa riduzione di Badham. Una fotografia moderna e dettagliata opta per colori desaturati come un’antica stampa in bianco e nero dipinta ad acquarello. Immagini di sontuosa eleganza pennellano ambienti decadenti, sospesi nel tempo e nello spazio. Di contro, l'appeal del cast, ma soprattutto del protagonista, è opinabile. A noi italiani, per la mimica sorniona a la gestualità da prestigiatore, può ricordare il mago Silvan, o, peggio, la parodia che ne fa Raul Cremona, avvelenando così ogni sereno giudizio riguardo le sue velleità seduttive.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Serie giapponese in 50 episodi autoconclusivi di una ventina di minuti ciascuno (regolarmente doppiati in italiano), concentra in sé tutta la follia delle produzioni d'Oriente per ragazzi alle quali si ispireranno anche i più noti Power Rangers (che da una produzione simile acquisteranno i diritti). Le trame sono elementari, ovviamente puerili, ma quello che fa la forza della serie sono gli effetti speciali: per quanto rozzi ed economici mettono in mostra tutta la fantasia dei giapponesi, autentici maestri dell'impensabile....Leggi tutto E stupisce come con pochi mezzi a disposizione si riescano ad assemblare scene tanto “spettacolari” e – a loro modo – ben girate, che danno forma a deliri a volte sensazionali (impossibile non citare il mostro anguria di FORESTA UMANA, per esempio, che spara semini letali o Lo squalo che uccide piangendo lacrime esplosive).

La prima puntata (GOGGLE FIVE) ci presenta uno scienziato in marcia verso le Alpi tedesche, dove in un cupo castello sta avvenendo qualcosa di misterioso. Un gruppo di grandi menti autodefinitosi “Scienziati contro le tenebre” devono incontrarsi lì per capire cosa stia accadendo. Scoprono che all'interno del maniero si annida un avamposto del temibile Impero Desdak, che materializza lì in un attimo decine di combattenti che strepitano e scalciano dappertutto. Chi è entrato al castello pare sappia già quanto c'è da sapere, non si capisce in base a cosa: “Vengono dalla quarta Dimensione, quella che conduce a Desdak, un impero governato da individui pericolosi e crudeli. Hanno già distrutto molte civiltà e ora vogliono prendersi anche la Terra”. In due minuti e quaranta ci è già stato detto tutto, e si continua con la presentazione di un gruppo di bambini e bambine che, seduti ai computer “Boys and girls” (!), selezionano cinque giovani elementi a cui spetterà il non facile compito di difendere la Terra.

I cinque giovani elementi prendono il nome di “Goggle Five” (non Google, mi raccomando!): dotati di uno speciale orologio da polso, attivandolo si trasformano in cinque supereroi in tutina. Ognuno di loro ha inserita nel casco una pietra proveniente da una civiltà terrestre scomparsa e sa già cosa fare. Nessuno gli ha spiegato nulla, tantomeno il professore che sta a capo della congrega di infanti nerd, ma anche loro sanno già tutto: quali armi usare, che mosse fare (il tempo che trascorrono a muovere le mani in aria producendosi in inutili mosse da marzialisti è molto più di quanto non si pensi), chi è il nemico, come affrontarlo... E' infatti incredibile come il montaggio annienti sistematicamente ogni tempo morto facendo girare l'azione a mille.

Spiegazioni che si risolvono in massimo 15 secondi, accelerazioni e ralenti, corpo a corpo con alieni in bislacchi costumi nonché armi che definire ridicole è poco: i nostri lanciano nastrini, hula hoop, strane bacchette e – quello giallo - un semplice pallone (col tempo evolverà in sfera ferrata) con cui colpisce “a morte” il nemico! Saltano, fanno capriole, rimbalzano e non solo, perché dal nulla la sala computer “Boys and girls” spedisce loro pure cinque velivoli, che i nostri guidano come al solito gridando parole a caso e muovendo le braccia in aria come in un saggio di danza! E, se non basta, i cinque velivoli si uniscono alla “Transformers” dando vita a un robottone che lancia pugni spaziali, trottole trancianti e diavolerie assortite, finendo il lavoro con una spada che s'illumina spedendo il suo raggio intorno alla Terra, quindi fino a rimbalzare in una galassia lontana lontana e fare ritorno per indirizzarsi, una volta direzionato con la spada, sul nemico.

Il capo dei Desdak (o meglio un suo diretto dipendente, perché il capo è una specie di occhione gigante che balzella urlando e agitando le manone) non può reagire che ripetendo ogni volta il suo ritualistico “Maledetti Goggle Five” e tornandosene ad ogni puntata con le pive nel sacco sotto un casco mutuato da quello di Lord Fener. GOGGLE FIVE sembra un cartone animato in live action, concepito per lo stesso tipo di pubblico ma che riesce a incanalare l'eredità dei vecchi kaiju eiga in mostri economici incredibilmente buffi e discretamente realizzati, senza perdere quel gusto tutto giapponese per la creazione di modellini di grande fascino.

Lascia un po' perplessi il fatto che, quando i Goggle chiamano a sé le navicelle, il processo che va dall'arrivo fino alla trasformazione delle stesse in robot sia sempre lo stesso (inquadrature comprese), riciclato identico in ogni puntata... Un po' troppo tirati per le lunghe gli immancabili scontri con i guerrieri ninja in mimetica che aprono ogni confronto coi Desdak capriolando dappertutto, spettacolare il salto di gruppo dall'alto dei Five, riproposto con minime varianti in ogni puntata.

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Acquisita ultimamente dagli americani di Liberty multimedia, la Formula 1 ha beneficiato nel nuovo continente di un rilancio d'immagine mai avuto in precedenza: fino a qualche tempo fa, infatti, era sempre stata considerata dagli statunitensi una specialità europea troppo diversa dalla loro concezione spettacolare delle corse. Introducendo un po' alla volta nuove regole per cercare di limare gli eccessivi dislivelli tra le vetture e studiando nuove vie per il marketing, i nuovi proprietari del brand sono riusciti a imporre definitivamente in tutto il mondo la F1 come la specialità...Leggi tutto regina delle corse, quella che esprime i migliori piloti guadagnandosi la ribalta che per molti meritava.

Il film di Joseph Kosinski innesta quindi una semplice storia di rivincita tipicamente americana all'interno di un mondo codificato da regole precise e dominato da piloti e manager ormai noti a chi si interessa di sport, che qui vediamo muoversi sullo sfondo di un mondo al quale, a dire il vero, un personaggio come il Sonny Haynes di Brad Pitt non si sposa troppo bene. Pilota ultracinquantenne (quando in realtà già superare i quaranta al volante è cosa da miracolati, da fenomeni vero come Alonso e pochissimi altri), un passato nella massima serie ai tempi di Senna e Schumacher, Hayes ritorna - a trent'anni dall'incidente che lo fece uscire bruscamente di scena - senza un briciolo di training, dimostrandosi subito in grado di competere con l'altro pilota della squadra disgraziatissima nella quale entra a far parte, la ApexGp gestita da Ruben Cervantes (Bardem). Il compagno di squadra, Joshua Pearce (Idris), è un rookie promettentissimo, ma non ha la personalità del vecchio Sonny, guascone dalla battuta pronta e con le idee ben chiare su cosa può e non può fare in gara. Il rapporto tra i due si rivela ad alta tensione fin da subito, ma già si capisce che alla fine dovranno fare comunella per il bene del team...

La sceneggiatura, che pure conta qualche bello scambio non privo di ironia che Pitt sa gestire al meglio, è però non solo troppo elementare e povera di spunti che sappiano evolvere dalle basi del più qualunquista dei film sportivi, ma anche poco credibile nella rappresentazione di un circo mediatico - quello della F1 - ritratto come semplice sfondo, privo di figure di spicco e con i protagonisti veri della specialità che sbucano qua e là come specchietto per le allodole, mute figurine che riempiono le scene di massa. L'ambiente autentico non si percepisce e anche i meccanismi con i quali la ApexGp scala posizioni in gara (a proposito, qualcuno ha detto agli autori che la F1 contempla anche le qualifiche?) è lontano dall'apparire credibile.

Certo, tutto si può sacrificare in nome dello spettacolo, ma anche sotto questo punto di vista non sempre le cose vanno per il meglio: le scene in pista, dall'interno dell'abitacolo o dall'alto, non hanno, per dire, lo stesso impatto straordinario che avevano in RUSH, film a questo nettamente superiore per coinvolgimento, studio dei veri meccanismi alla base delle gare, resa visiva... Colonna sonora di Hans Zimmer di grande efficacia invece, con l'apertura alla corsa di Daytona sulle note di "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin che mostrava sequenze di tutt'altra forza e prometteva davvero tanto. Invece spesso il film si sgonfia, le dinamiche tra i protagonisti sono povere, la figura dell'ingegnere e team manager interpretata dall'espressiva Kerry Condon viene dirottata in camera da letto a soddisfare il bel Brad, Bardem non ha proprio modo di brillare dando vita a un personaggio banale e scarico.

E' vero: la strategia delle gomme, dei pit stop, le safety car... tutto ciò che fa F1 è presente, ma sembra inserito a forza come semplice riassunto delle norme che regolano la massima serie automobilistica, utile quanto il fumo negli occhi. E poi come si può far credere che un pilota venga accusato dalla stampa per aver suggerito al proprio compagno di squadra una strategia corretta? Come si può credere che un pilota appena arrivato decida per tutti la pianificazione di ogni gara come se il suo box fosse popolato esclusivamente da incapaci? Troppe cose falsano la resa di corse che ricordano più quelle americane che non la F1; e quel che ne esce sembra rappresentare solo la visione semplicistica che può avere l'America della F1, ben incarnata da un Pitt che l'aria e l'atteggiamento da pilota autentico proprio non ce l'ha...

Poi d'accordo: l'adrenalina scorre, qualche scontro in pista e un sonoro roboante ti calano nell'abitacolo e il divertimento non manca, Pitt azzecca un personaggio indubbiamente simpatico e le scene extra GP non sono così invadenti, però i sorpassi sono deboli, le riprese in pista prive di vera tensione. Curioso, per gli appassionati italiani, ritrovare come commentatori delle gare Carlo Vanzini e Marc Gene, ovvero gli stessi che da anni sono le voci ufficiali della F1 su Sky. Peccato che, non potendo andare a braccio come in diretta, le loro telecronache suonino artefatte, poco autentiche (così come quando li vediamo inquadrati in postazione con le facce, ovviamente, di altri attori).

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Diamo pur atto a Boyle di aver cercato di innovare la formula spostando l'azione più avanti delle solite insignificanti porzioni di tempo precedenti legate al numero 28. Rinchiude i suoi infetti (leggasi zombi, che tanto cambia poco o niente e a un certo punto c'è chi finisce con il chiamarli così pure nel film) sul suolo britannico e la colonia di non contaminati su di un'isola raggiungibile solo con la bassa marea attraverso un percorso rettilineo che, quando il livello dell'acqua sale, scompare.

Uomini di vedetta all'unico portone di accesso, cicliche...Leggi tutto spedizioni sulla Terraferma - popolata di infetti – alla caccia di cibo e altro. Il giovanissimo Spike (Williams) segue il padre in una di queste: sanno che se succede loro qualcosa nessuno verrà mai a recuperarli, ma è una sorta di iniziazione per chi già da minorenne deve cominciare a capire in che mondo vive. Un'avventura tra boschi e campi dove qua e là spuntano gli orrendi esseri. Alcuni avanzano lentamente e li centri facile in testa o sul collo con le frecce (unica arma rimasta a disposizione di un popolo che sta lentamente regredendo verso la barbarie), altri corrono e strepitano e c'è poco da scherzare. Per non parlare degli Alpha, i più evoluti (un discreto grado di intelligenza), ovviamente i più pericolosi.

In casa la madre Isla (Comer) sta male, ma non esistendo alcun medico sull'isola nessuno sa di cosa soffra e suo marito Jamie (Taylor-Johnson), alla festa del paese, se la spassa con un'altra mentre Spike lo spia di lontano. Al piccolo è sufficiente questo per capire che deve prendere sua madre e partire con lei di soppiatto verso la Terraferma alla ricerca del dr. Kelson (Fiennes), uno strano tizio che si dice viva non troppo distante e che, da ex medico di base, potrebbe forse guarire la donna. E qui l'avventura si fa più complessa: mamma non è certo brillante come papà e le insidie si moltiplicano.

Immerso nella natura, nel verde delle coste scozzesi, il sequel firmato Boyle (che torna dopo il numero uno, e sempre con Alex Garland allo script) lavora molto sul make-up degli infetti (nudi, disgustosi, irritanti in quella specie di grugnito urlato, rossi come fuoco nelle riprese notturne) e sull'impatto splatter delle frecce sui loro corpi (con fermo immagine piuttosto inutile), ma poi si dedica al racconto della crescita psicologica del vero protagonista, Spike. Inizialmente timido, confuso, acquisisce pratica e confidenza con gli orrori che lo circondano. Il viaggio iniziatico in un mondo divorato dall'erba che si mangia i pochi resti di civiltà (treni avvolti dalle foglie, case ridotte a ruderi) riporta alla mente LA FUGA DI LOGAN (e non solo), ma qui la presenza degli infetti è un'insidia costante, per quanto lodevolmente Boyle eviti di lasciarsi andare a prevedibili jumpscares.

Gli orrori non mancano, la tecnica resta buona, ma i protagonisti – pur ben interpretati – sono poco interessanti (compreso Fiennes, protagonista della fase più debole e stanca, nonostante la bella idea di un rifugio “non convenzionalmente” allestito) e non elevano a dovere il film, già penalizzato da una parte centrale in cui non succede quasi nulla: il soldatino svedese con tanto di mitragliatore e telefonino si presenta da subito come figura anonima tratteggiata svogliatamente, seguendo cliché abusati. Si assiste pure a un lungo parto di un'infetta per far capire quanto nei sopravvissuti non possano mancare l'umanità né la scintilla amorevole perché... “memento amoris” (“Ricordati di amare”), come dice Kelson dopo aver fatto a Spike una testa così citando il più celebre "memento mori" (“Ricordati che devi morire”). Lezioni di vita che lasciano il tempo che trovano, così come tutta l'ultima parte, che precede una toreada finale piazzata lì come atto dovuto nei confronti di chi qualche bella lotta selvaggia in più se l'aspettava...

Pause che in una durata che sfiora due ore si sentono, incipit con Teletubbies già troppo lungo. Poi certo, qualche scena che lascia il segno non manca (l'attacco dei Lentopasso), l'ambientazione è relativamente insolita, l'Alpha che osserva di lontano in campo lungo acquista tratti quasi poetici... Ma in mezzo troppe fasi di nulla, e quanto a inventiva splatter non ci si è certo sprecati.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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