Note: Aka "I 400 colpi". Fa parte della saga Doinel assieme a "L'amore a vent'anni" (episodio "Antoine e Colette"), "Baci rubati", "Non drammatizziamo è solo questione di corna", "L'amore fugge".
Antoine Doinel è un ragazzino scapestrato, che vive con la mamma e il patrigno e passa la vita fra furtarelli, matinée al cinema, poca scuola e malvolentieri... Esordio col botto di Truffaut che inizia il "ciclo Doinel", un unicum nella storia del cinema: pedinare un personaggio nelle diverse età della sua vita, facendolo interpretare sempre allo stesso attore (Jean Pierre Léaud). Poetico, commovente e tenero senza mai essere melenso o sentimentalista, il primo gioiello di una straordinaria carriera.
Poetico e allo stesso tempo crudo ritratto della vita di un adolescente parigino negli anni '50. La povertà, lo squallore, la mancanza d'amore, l'amicizia, la rigidità ottusa dei professori, la ribellione sono tratteggiati dal regista e dall'attore principale in modo convincente, coinvolgente e mai patetico. Il piccolo Jean Pierre Lèaud, l'attore protagonista, appena esordiente, è veramente bravo e interpreta il personaggio come fosse una parte di sé stesso. Da vedere, sicuramente.
MEMORABILE: Il colloquio del piccolo Doinel con la psicologa
Bellissimo film di Truffaut e uno degli esordi più convincenti nella storia del cinema. La storia del piccolo Antoine, ragazzino in cerca di attenzioni che nè la famiglia nè gli amici riescono a dargli, è raccontata con grande sensibilità. Quasi impossibile non affezionarsi allo sfortunato protagonista, sebbene non vi sia nulla di ricattatorio nella rigorosa sceneggiatura ad opera di Marcel Moussy e del regista stesso. Un film che parla un linguaggio universale, consigliato anche ai numerosi detrattori del cinema francese.
MEMORABILE: Gli ultimi 5 minuti, entrati ormai nella storia del cinema.
Grandissimo esordio di Francois Truffaut, è il frutto di un'attenta e partecipe osservazione del mondo di un adolescente che il regista seguirà nella crescita in film successivi. Le piccole ribellioni e contestazioni dell'età giovanile (e l'insofferenza tipica nei riguardi della famiglia e della società) sono rese benissimo dal regista che chiaramente solidarizza (il film è in parte autobiografico) con il suo protagonista. Bellissime le sequenze finali, veri e propri manifesti della cinematografia di Truffaut.
Formidabile. Eccezionale nel ribaltare il concetto dell'infanzia età felice, perché tutti noi, anche chi è stato più fortunato, ha avuto, da piccolo, giorni terribili, l'occasione, insomma, di capire che la crudeltà da subire è sempre dietro l'angolo ("Mi pareva che la vita d'un ragazzo fosse continuamente costellata di misfatti", dice Truffaut). Da vedere anche come genitori, per ricordare quanto sia importante fare uno sforzo in più. Fantastico Jean Pierre Léaud, addirittura immenso durante il colloquio con la psicologa (senza controcampi).
Celebrato esordio di Truffaut e tra i primi film della Nouvelle Vague. Lo stile è infatti quasi documentaristico e i personaggi sono molto schietti, senza sovrastrutture. Truffaut si spinge al limite del cinismo per illustrare l'ipocrisia del mondo adulto e delle istituzioni educative. Toccante il senso di abbandono vissuto dal giovane protagonista. Da rimarcare il colloquio con la psicologa, nel quale lei è tenuta volutamente fuori campo e il bambino agisce con una spontaneità fuori dal comune. E il fotogramma finale (più che la scena finale).
Primo, notevole e strafamoso film di Truffaut, che narra con leggerezza i problemi di un ragazzo "incompreso". Alcune sequenze sono memorabili, ma l'occhio del regista, oggettivo e imparziale, spesso finisce per limitare il coinvolgimento. Impagabile l'interpretazione del piccolo Jean-Pierre Lèaud, soprattutto nella scena del colloquio nel prefinale. Bella e azzeccata la colonna sonora.
Il primo lungometraggio di Truffaut è già un capolavoro che contiene da subito molte delle caratteristiche che diventeranno tòpoi nel cinema di questo autore (in particolar modo l'amore per il cinema ed i libri). Poetico e coinvolgente come pochi, può contare su uno dei finali più belli, celebrati ed imitati della storia del cinema, così come il film che ispirerà tantissime pellicole, registi e sceneggiatori. Ottima la prova del piccolo Léaud, che diventerà un vero e proprio attore feticcio del regista francese.
Ottimo e drammatico film sulla storia di un ragazzo difficile in un mondo difficile; la trama si complica in un crescendo di drammaticità e di tristi ricadute negli errori che rovinano una vita. Molto ben raffigurata ed orchestrata, complici anche le musiche molto angoscianti.
MEMORABILE: L'incendio della cameretta scampato per un pelo; i pestaggi tra grandi; il colloquio con la psicologa; l'evasione.
Per quanto riguarda i film sull'adolescenza questo è una delle due-tre massime espressioni. Un film che vanta un innovativo uso della camera, che fonde improvvisazione a rigore stilistico; un film struggente, dove l'incomprensione, la solitudine, le piccole grandi crudeltà quotidiane che i ragazzini subiscono vengono raccontate in punta di penna per meglio farle percepire. Straordinario esordio del talento naturale Léaud che, crescerà nel corso dei film di Truffaut. La scena finale, per semplicità e sintesi, è una delle cose più belle mai viste al cinema. Chi non si commuove è un sasso.
MEMORABILE: Il colloquio con la psichiatra; Antoine che accende una candela a Balzac.
Un film molto bello. Poetico e dolce, graffiante e realista. Storia di un delicato passaggio dell'adolescenza di un quasi orfano nella Parigi del Dopoguerra. Un ragazzino naufraga tra una famiglia sterile di sentimenti ed una società indifferente e galleggia nelle strade in balìa degli eventi, fino a ritrovarsi in prigione e in riformatorio. Amara riflessione (semi-autobiografica) di Truffaut sulla solitudine e sul'incapacità di comunicare. Ma qualche spiraglio lo si vede pure. Il finale è un tuffo al cuore. Toccante.
Amarezza e solitudine da un punto di vista adolescente, laddove dovrebbero esserci il calore di una famiglia e l'allegria degli amici. Eppure il film non diventa patetico: ben lontano dal commiserarsi, Doinel versa non più di una lacrima e persevera, umano (nel colloquio con la psicologa fuori campo più che in ogni altro momento), nella sua ricerca di indipendenza e nel suo caparbio anelito di libertà. Con un po' di immaginazione, ci si potrebbe vedere una metafora dell'esistenza.
MEMORABILE: La sensazione di abbandono che travolge lo spettatore ma non il ragazzo tranne, forse, nella splendida immagine finale.
"Faire les quatre cents coups", cioè combinarne di tutti i colori. Le vicende di un quattordicenne in una Parigi fine Anni Cinquanta. Primo film e capolavoro di Truffaut, nonché esordio per Jean-Pierre Léaud (bravissimo in questo film, come forse non lo sarà più nei tanti girati poi con il regista). Descrizione perfetta di una adolescenza rovinata dai "grandi". Famiglia e società verso una nuova generazione che sta cambiando e che non è capita. Si muovono le viscere a seguire Antoine che fugge dal riformatorio, fino a vedere per la prima volta il mare.
MEMORABILE: In giro per Parigi, portando a braccia una pesante macchina per scrivere.
L'inquieto malessere di un ragazzino si esprime con la ribellione a ogni autorità e principio: è questo il destino del giovanissimo protagonista (interpretato da uno strabiliante Léaud) del film quasi autobiografico di Truffaut. Il netto distacco tra il mondo degli adulti e degli adolescenti è disegnato con sguardo fermo, senza retorica e senza pietismi. Ne emerge il senso di un disagio esistenziale vissuto con dignità dal ragazzo, anche se non compreso nella sua reale portata. Un film eccellente per una storia potente narrata con delicatezza.
Questo primo lungometraggio segna l'esordio di Truffaut come regista. Ci catapulta nella triste adolescenza di un tredicenne, che non si sente amato dai genitori e che si pone in maniera ribelle nei confronti degli adulti, ma allo stesso tempo che si sente disperatamente bisognoso di affetto e calore umano. Film che dà il la al movimento della "Nouvelle Vague" e che racchiude in sè l'infanzia tormentata del regista. Un film diretto, impregnato di forti sentimenti, che non cade mai nella melodrammaticità. Da vedere.
La prima visione de "I quattrocento colpi", di solito, è un'esperienza sconvolgente e pura. Alla seconda, il film manifesta più chiaramente la sua natura elettiva, una struttura cinematografica la cui scansione ritmica predilige al racconto gli affondi emozionali, gli indugi imprevedibili, le sottrazioni ardite capaci di sprigionare, aldilà delle parole, il corpo stesso dei pensieri. Truffaut china il proprio sguardo ad altezza di bambino e lascia che le cose, gli adulti, il mondo, s'innalzino a quell'imponenza che costringe alla solitudine e giustifica il silenzio. Appassionato.
MEMORABILE: La madre. La lezione di ginnastica. La "psicologa". La fuga, manifesto di tutto il film.
Capolavoro assoluto di Truffaut nonchè manifesto della Nouvelle vogue. Il regista racconta se stesso e lo fa attraverso un personaggio (ed un attore) suo alter ego perfetto. La famiglia, la scuola, Balzac... i ricordi indelebili dell'infanzia raccontati da un autore al suo folgorante esordio.
Il varo della saga su Doinel - alter ego di Truffaut integrato con disinvolture mutuate dal giovane Léaud - si qualifica come il più degno adattatore cinematografico del naturalismo francese: l'attitudine a riferire oggettivamente un contesto e, tramite l'estrema mobilità della macchina da presa e le minuziose osservazioni di strade, stanze, arredi, parole, gesti e persone, dischiudervi un significato profondo, che lo spettatore capta emotivamente sotto forma di indignata denuncia dell'inadeguatezza di famiglie, società, istituzioni. Vitale e autentico, come lo straordinario Léaud.
MEMORABILE: Le marachelle in aula. Il luna park. Il colloquio con la psicologa. Il finale.
Per il film d'esordio Francois Truffaut sceglie una storia quasi autobiografica, riuscendo così a raccontare le disavventura del giovane Antoine Doinel con grande sensibilità. La visione della pellicola è accompagnata da una sensazione di disagio interiore, a ricordo dei giorni brutti che chiunque ha potuto vivere durante l'adolescenza. Léaud è straordinario a dare vita al ragazzino "ribelle" verso istituzioni e famiglia, ma anche il resto dei comprimari non è da sottovalutare. Un buon film che deve essere conosciuto.
Difficile non avvertire un retrogusto autobiografico nella vicenda di Antoine, nato fuori dal matrimonio e cresciuto sino all'età di 8 anni dalla nonna materna (proprio come Truffaut), incompreso da una madre incapace di vero affetto, problematico nel rapportarsi all'autorità, amante del cinema e vorace lettore di Balzac (tutti elementi rintracciabili nel passato del regista). Lo sguardo di Antoine in camera, alla fine del film, rappresenta un momento struggente, pervaso del dolore del rifiuto ma anche della speranza del domani.
MEMORABILE: Mentre Antoine viene tradotto davanti al giudice con il carro cellulare, i luoghi familiari gli scorrono davanti e gli occhi gli si inumidiscono.
"Truffaut sosteneva che i bambini devono essere ritratti per come sono, non per come li vedono, o vorrebbero vederli, gli adulti". Ed è proprio ciò che fa col suo primo lungometraggio: racconta in maniera oggettiva, per far sì che il pubblico stia dalla parte del suo personaggio, evitando però facili lacrime e scene troppo dolci. Abolito ogni mezzuccio per colpire la commozione dello spettatore. Antoine deve solo crescere e in fretta, diventare grande per liberarsi da tutte le trappole che lo circondano. Musiche bellissime, finale meraviglioso, poetico.
MEMORABILE: La sequenza finale, pura poesia in movimento.
Meraviglioso esordio nel lungometraggio di Truffaut, che ha il merito fondamentale e l'idea geniale di mettere al centro dell'opera la figura d'un adolescente che incarna - potremmo dire a livello zero, nella sua imperturbabile ingenuità - quella voglia di libertà, emancipazione e totalità tipica della Nouvelle Vague ma senza gli intelletualismi che saran poi (pur con risultati straordinari) di Godard, Malle, Rivette. Disincantato e partecipe, sinceramente emozionante. Simbiotico diventerà il rapporto Lèaud-Truffaut, splendido Regista Pedagogo.
MEMORABILE: L'altarino a Balzac; il sogno del furto della locandina di Citizen Kane; il colloquio con la invisibile psicologa; il fotogramma finale.
L'aver dimostrato all'esordio una padronanza da veterano dietro la macchina da presa, con il risultato di una incantata leggerezza che segnerà tutta la sua carriera, è stato l'elemento che ha consentito al film di Truffaut di entrare nell'elenco dei capolavori, al di là di una storia bella e formativa (una lezione sulla crescita di un adolescente con tanti riferimenti autobiografici), che coinvolge nella sua amara dinamica, ma non quanto l'aspetto tecnico-registico.
Grandissimo esempio di cinema. Truffaut ci racconta la storia di un ragazzo incompreso che cerca di cambiar vita. Ottima tecnica registica e la scena dell' "interrogatorio" al giovane protagonista (bravissimo Jean Pierre Leaud) è splendida.
Ottimo esordio di Truffaut, che racconta il mondo della prima adolescenza con gli occhi veritieri del bambino ma anche con quelli scaltri e smaliziati dell'adulto. La ribellione alle regole degli adulti di Antoine è quella di un movimento stesso, quello della Nouvelle Vague, di cui questo film è uno dei principali manifesti: imperfezione formale a favore di trasparenza e sentimento, capacità di trasmettere emozioni. E Truffaut, raccontando un po' di se stesso, nell'evasione alla quotidianità, nella sovversione delle regole, c'è decisamente riuscito.
In questo film quello che sembra regolare i rapporti tra adulti e adolescenti è un rigido inquadramento in cui questi ultimi sono soggetti passivi, da gestire e mal sopportare. Trattato (a volte fisicamente) come un oggetto, Antoine sembra per tutto il film intento ad una continua fuga (dalla scuola, dalla famiglia, dalle autorita, dal riformatorio). Il grande merito di Truffaut è quello di guardare a questi ragazzi con grande amore, rispetto, trattandoli da "piccoli adulti" che meriterebbero più attenzioni da parte degli adulti veri.
Opera prima di Francois Truffaut che racconta, servendosi di un alter ego, uno spaccato di vita adolescenziale in parte vissuta e in parte romanzata. Un film che rimane impresso per la cinica e realistica messa in scena delle situazioni. L'incomprensione e la mancanza di attenzioni da parte dei genitori che genera nel protagonista atti di ribellione e desiderio di esser notato è un tema sempre attuale, che porta a un susseguirsi di vicende senza lieto fine. Quand'ero piccolo mia madre utilizzò questo film per suscitarmi timore verso il collegio al fine di indurmi a comportarmi bene...
MEMORABILE: "Non tutti hanno la lingua come la sua, professore".
Vita randagia quella di Antoine, dodicenne parigino. Famiglia e scuola riservano poche gioie e un amaro senso di rifiuto. Poi l'inspiegabile alternanza di energia spensierata e profonda malinconia tipica di quell'età. Inspiegabile, ma non per il 27enne Truffaut, che trova nel piccolo Léaud il suo alter ego (il film è autobiografico) e realizza un capolavoro di sincerità, vitalità e umanità. Ecco com'è la vita quando il futuro è un cruciverba senza schema e le corse in spiaggia si fermano sulla battigia, già non più terra, ma non ancora mare.
MEMORABILE: I primi piani di Léaud; Le foto segnaletiche; Il colloquio in soggettiva con la psicologa; Il "freeze frame" finale.
In questo film Truffaut affronta brillantemente uno dei dilemmi eterni sull'uomo, cioè se e quanto le situazioni sociali condizionino la persona. Ci mostra infatti come anche un innocente, quale è appunto un bambino, possa diventare un criminale (o meglio possa diventarlo agli occhi della società) per reagire ai soprusi di cui è vittima (nel film il rapporto difficile con i genitori e il maltrattamento da parte di insegnanti bigotti e conservatori). Emblematico il dialogo nel finale con lo strizzacervelli.
Folgorante esordio di Truffaut, con uno sguardo attento e partecipe sull’”età ingrata” attraverso le disavventure del suo “alter ego” Antoine Doinel (personaggio poi seguito in altre occasioni), tra incomprensioni familiari, insuccessi scolastici e una ricerca quasi disperata di affetto e accettazione. Colpiscono la delicatezza e la sensibilità con cui il regista francese segue Antoine, interpretato con spontaneità da Jean-Pierre Léaud, destinato a una carriera di tutto rispetto.
MEMORABILE: L’altare a Balzac; Antoine a scuola; Il colloquio con la psicologa; Il finale (con particolare riguardo per l’ultimo fotogramma).
Il film è uno dei grandi manifesti sulla (possibile e a ogni costo ricercata) libertà dell'individuo a dispetto degli stretti legami di una società opprimente, tanto più se a doverli sperimentare è un adolescente poco più che infante. Si svolgerà essa pienamente solo nel maestoso finale (con la famosa corsa infinita e quel punto di domanda davanti al mare) ma è riscontrabile in ogni atto del giovane Leaud: l'esempio più bello si ha forse nella timida scoperta autonoma della letteratura con conseguente eliminazione di barriere scolastiche o domestiche.
La tenera spontaneità di Jean-Pierre Léaud e il tocco sensibile e autobiografico di Truffaut ci offrono un film straordinario, unico nel raccontare con naturalezza i palpiti di un ragazzino che cresce senza l'amore e l'attenzione di cui ha bisogno. Primo atto della saga di Antoine Doinel, alter ego del regista, che vedrà Léaud diventare grande insieme al suo personaggio. Un film che ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema.
MEMORABILE: La lunga corsa fino al mare con il fermo immagine finale sul volto di Antoine.
Esordio di Truffaut e del personaggio di Doinel, ragazzino che compie scorribande fino a finire al riformatorio. Descritta l’età della crescita con le incomprensioni genitoriali, scolastiche, del sistema. Resa senza pietismi o drammi, mettendosi al livello (anche di inquadrature) del protagonista. Girato con leggerezza nei movimenti non perde mai la freschezza delle gesta malandrine fino al simbolico finale liberatorio.
MEMORABILE: La madre morta; L’orologio tirato avanti; Il colloquio con la psicologa; Il piano sequenza finale.
Un esordio che sorprenderebbe per la sua freschezza registica anche se uscisse ai giorni nostri. Sebbene la narrazione sembri a prima vista usuale, in realtà non bisogna approcciarsi al film come se fosse un racconto convenzionale; bisogna viverlo come ritratto del personaggio, come suo stato d'animo: la mdp segue tutto dalla sua prospettiva alternando primi piani vicinissimi a meravigliosi campi lunghi e il suo dramma infantile è vissuto in modo spensierato, in ribellione verso la Francia gollista dei padri. Incantevole l'ultimo fotogramma.
MEMORABILE: Le corse dei due bambini seguite dalla macchina da presa; Il finale.
Un film arcinoto, bellissimo, con sequenze entrate nella memoria collettiva. Visto con gli occhi di oggi è interessante soprattutto da un punto di vista sociologico ed educativo, per mostrare i progressi della società attuale. Un inno alla libertà e alla ricerca del sé con un Lèad strepitoso in ogni fotogramma. Il meglio dell'opere è nelle piccole cose, negli sguardi degli attori e nei piccoli gesti quotidiani. Truffaut subordina la propria verve registica al racconto, ma nonostante ciò si ritaglia intere scene nelle quali la tecnica la fa da padrona.
MEMORABILE: Léaud che sorprende la madre con l'amante; Il tema scolastico non del tutto "originale"; L'intervista con la psicologa.
Con un titolo che tradotto in italiano non significa nulla, Truffaut esordisce raccontando l'infanzia, anche la sua, l'infanzia negata, incompresa e solitaria come spesso è. Un ragazzo alle porte dell'adolescenza verrà condannato dagli adulti per quegli stessi errori che la società pratica con disinvoltura e senza tante remore. Gemellato con il celebre Monello di Chaplin, il film termina con una sequenza-immagine che più "aperta" non si poteva.
Truffaut apre per la prima volta (di numerose) il suo cuore allo spettatore e narra con leggerezza e malinconia questa storia di crescita dolce e amara, fatta di amicizia giovanile, famiglie destabilizzate e voglia di evadere da una realtà opprimente. Chiaramente autobiografico e pilastro imprescindibile del cinema futuro del grande regista francese, il film si fa apprezzare per la sua sincerità senza fronzoli e per l'onestà intellettuale di chi si racconta senza scadere in moralismi. Esordio notevole.
All'esordio, Truffaut fa entro centro pieno, colpendo al cuore, con un capolavoro che riesce ad emozionare anche all'ennesima visione: se il piccolo Antoine suscita il nostro affetto è perché, anche se abbiamo avuto un'infanzia più felice della sua, come ogni bambino in certi momenti ci siamo sentiti come lui, incompresi e posti ai margini di un mondo, quello degli adulti, governato da regole astruse. Un film prezioso: ci ricorda che siamo stati bambini e nello stesso tempo, con quello sguardo in macchina dell'ultima inquadratura, ci richiama ai nostri doveri da adulti. Sublime.
MEMORABILE: Le pagine macchiate e strappate; La notte in gabbia; Il colloquio con la psicologa con l'inquadratura sul volto di Antoine; La corsa verso il mare.
Non serve conoscere la storia del cinema per capire di essere dinnanzi a uno dei più grandi capolavori di un’arte che da questo momento in poi, non sarà più la stessa. Col suo primo lungometraggio Truffaut inventa la Nouvelle Vague e scardina il cinema dalla sua messa in scena gessata e teatrale. Gli attori qui non sembrano recitare bensì esprimersi naturalmente e non sembrano professionisti ma gente presa dalla strade; anche gli interni non appaiono più ricreati artificialmente ma è tutto realistico e si respira un’aria quasi documentaristica. Uno spartiacque punk e ribelle.
L'esternato disagio di Antoine Doinel, nonostante il contesto sociale disagiato in cui si trova a trascorrere la propria preadolescenza (quando si dice una scuola da incubo), ha più a che fare con una ribalda autoaffermazione che mira al superamento degli ostacoli affettivi generati in seno al nucleo familiare, scardinati ad un livello di sensibilità artistica ed emotiva superiore. In questo l'esordio di Truffaut, permeato di un linguaggio antiretorico e con in dono uno sguardo peculiare sulle cose (si veda il famoso finale), non ha perso d'incisività. Lascia più freddi il resto.
MEMORABILE: Colloquio fuori campo con la psicologa.
Film storico e rappresentativo della Nouvelle Vague, forse il più famoso del regista francese, che vede protagonista un giovane ragazzo perduto nei suoi pensieri, con una famiglia alla spalle poco rassicurante per lui. L'influenza del neorealismo italiano è notevole, non solo per via del giovane protagonista furbetto e costretto a compiere piccoli furti, ma anche per le ambientazioni povere e di borgata. Un punto di vista di Truffaut sull'infanzia e sulle condizioni sociali di una famiglia forse non adatta a mantenere e campare un figlio adolescente. Cult del cinema francese
Vicende quotidiane di un ragazzino con madre anafettiva e patrigno ignavo e fallito. Dolorosa china discendente di un’anima infantilmente innocente, che nonostante una bontà di fondo e il bisogno d’amore è da tutti inquadrata come ribelle senza speranza, a partire dalla scuola nozionistica e repressiva anziché educativa. Truffaut si esprime qui con la sua nota delicatezza di tocco che vela appena la ferocia dell’accusa, con un atto d’amore per l’infanzia e di denuncia dell’incuria e dei pericoli insiti nell’età della formazione. Toccante.
MEMORABILE: Il colloquio con la psichiatra; La lunga corsa verso il mare.
Un film davvero sorprendente, che già al momento della sua uscita rese chiaro che un nuovo modo di concepire il cinema stava bussando alle porte. La forza di Truffaut consiste nel raccontare in modo passionale ma non retorico una storia che è poi quella della sua vita. Le sequenze a scuola, poi, spiegano meglio di ogni saggio perché contro l'autoritarismo di lì a poco ci sia stato il '68.
Qui nasce la Nouvelle Vague, ma anche Truffaut e non ultimo Léaud, interprete di una naturalezza straordinaria che incarnerà questo personaggio altre tre volte. "I 400 colpi" non si limita a raccontare l'adolescenza, ma ne ridona lo sguardo e lo spirito allo spettatore in un processo di immedesimazione perfetto, in cui per 90 minuti scordi di essere adulto. Fortemente autobiografico, ma non del tutto, costruisce mattone su mattone un personaggio universale e uno spaccato impietoso su famiglia e scuola. Emozionante ma mai pietoso né ruffiano. Giustamente una pietra miliare.
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François Truffaut compare di sfuggita nella scena del "rotore" al luna park, come si dice negli extra del dvd.
DiscussioneDaniela • 18/06/20 09:15 Gran Burattinaio - 5937 interventi
Nel film compare in un brevissimo ruolo l'attore Jean-Claude Brialy ed inoltre, in apparizioni non accreditate, i registi Philippe de Broca, Jacques Demy, Jean-Luc Godard e lo stesso François Truffaut.
DiscussioneZender • 18/06/20 09:34 Capo scrivano - 48291 interventi
In realtà Godard (se ha ragione Imdb) non appare ma se ne sente solo la voce, quindi non lo aggiungiamo. Se invece si vede e ha torto Imdb ovviamente lo aggiungo.
DiscussioneDaniela • 18/06/20 11:34 Gran Burattinaio - 5937 interventi
Zender ebbe a dire:
In realtà Godard (se ha ragione Imdb) non appare ma se ne sente solo la voce, quindi non lo aggiungiamo. Se invece si vede e ha torto Imdb ovviamente lo aggiungo.
è corretto quanto riportato su IMDB, presente solo in voce
HomevideoZender • 12/10/20 18:56 Capo scrivano - 48291 interventi