il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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  • Film: Amore amaro (1974)
  • Luogo del film: La tintoria di Antonio (Mann)
  • Luogo reale: Via Cammello 24, Ferrara, Ferrara
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  • Film: Cover girls - Ragazze di tutti (1964)
  • Multilocation: Villa Giulia
  • Luogo reale: Via di Villa Giulia, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Maurizio Quadrana

    Maurizio Quadrana

  • Tommaso Nanni

    Tommaso Nanni

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Siska80
Il possente Hulk Hogan deve vedersela col solito cattivone pronto a tutto: ne viene fuori una pellicola in definitiva non disprezzabile che, pur avendo ben poco da raccontare, riesce comunque a catturare l'attenzione per la capacità non indifferente di tenere desta l'attenzione sino al (prevedibile) finale grazie a un ritmo elevato e a sequenze d'azione girate con un certo mestiere. Inutile dire che il protagonista non nasce come attore, ma è pur vero che se la cava (al pari del resto del cast, del resto) e la fotografia non è il massimo. A conti fatti merita comunque un'occhiata...
Commento di: Jj berzeli
Piccola gemma, questo film, estremamente curato in tutto (regia, attori, fotografia, interni, dialoghi...). Sorprende la bravura del regista nel dire con il non detto, a suggerire più che a spiegare, senza però lasciare lo spettatore a brancolare nel buio. La storia infatti è molto complicata ma si segue facilmente per l'ottima caratterizzazione dei personaggi e la scia di mollichine lasciata durante tutto il film. Menzione particolare per Pierre Niney, perfetto nel ruolo del gigolò allampanato e un po' tonto, buone le protagoniste femminili Vacth, di rara antipatia, e Adjani.
Commento di: Herrkinski
Una donna con una malattia cognitiva degenerativa si trova implicata in un omicidio; dovrà salvarsi la vita, ma sarà difficile distinguere la realtà dall'immaginazione. Un'idea già affrontata in varie salse, quella dell'indagine condotta da un protagonista che perde la memoria; in questo caso si sceglie un registro da slow-burn che necessita di assoluta attenzione per non perdersi alcun dettaglio. Tra il noir e il dramma psicologico, con momenti onirici quasi cronenberghiani, costruisce una buona atmosfera, anche se la durata risulta eccessiva. Valida la fotografia vecchio stile.
Commento di: Teddy
Non è Roth, né Wan né tantomeno Cronenberg, è “Breeder”, film dalle buone premesse ma che, inevitabilmente, si infrange nella boria e nella laccatura di un’autorialità artificiosa e fine a ste stessa. Se come horror fa acqua da tutte le parti (e non bastano gli ultimi dieic, ruffiani minuti per sollazzare il genere), come psycho-thriller smarrisce completamente la bussola, incapace di gestire ogni minima parvenza di emotività e phatos. Bocciato.
Commento di: Hart crane
La storia si alimenta di un substrato di incipienti conflitti tra un composito gruppo di europei nelle Galapagos del 1929. La corda civile ha poca presa e quella pazza strariperà alla grande. Ad accendere i fuochi il cinismo manipolatorio e luciferino di Eloise, che riproduce quell’ipocrisia borghese, predatoria e colonialista, dalla quale gli altri ospiti dell’isola erano fuggiti. Se il prefinale parrebbe liberatorio, il seguito svela nuovi epidemici conflitti. Frana l'intento di ricreare una società perfetta in un altrove esotico. La borghesia resta nel sangue e l’uomo è l’uomo.
Commento di: Jj berzeli
Sebbene sovente viri nel pecoreccio, il coraggio del film non può essere sottostimato, considerando il periodo che l'Italia stava passando all'epoca di uscita. È facile oggi considerare i piani per una deriva a destra deliranti o assurdi ma tra colonnelli greci, maiali della Decima Mas, Borghese, morti e scontri di piazza, attentati dinamitardi, in quel periodo mica erano tanto fuori luogo. E poi c'è la seconda parte, quella dell'attuazione del piano, un capolavoro di comicità in cui ogni azione fa ridere per la sua assurdità. Bravo Tognazzi, come al solito.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Viaggio nel Mississippi di metà Anni Sessanta, quando ancora la condizione di Stato fortemente ostile all'integrazione razziale creava contrasti sociali insanabili. Tre attivisti per i diritti civili (due ebrei e un nero) vengono uccisi nella loro auto da alcuni poliziotti e nessuno (tranne gli autori del delitto, ovviamente) sa che fine i poveretti abbiano fatto. Per capirlo l'FBI spedisce sul posto due agenti diversissimi: da una parte il progressista Alan Ward (Dafoe), convinto di poter combattere il cancro del razzismo senza doversi mai porre sullo stesso livello d'inciviltà,...Leggi tutto dall'altra il più sbrigativo Ruper Anderson (Hackman), di tutt'altro avviso. Sorprendentemente è nel loro contrasto che il film trova alcune delle scene migliori, in una tensione che spesso esplode in conflitti aperti, benché combattano entrambi dalla stessa parte.

Anderson è originario del Mississippi, conosce quella gente ed è convinto di saperla trattare molto meglio del giovane agente che gli è superiore in grado, ma intanto il gruppo di poliziotti locali - spalleggiati da autorità che la vedono come loro (il sindaco interpretato da L. Ree Ermey, ad esempio) - fa il brutto e il cattivo tempo minacciando e attaccando i neri in modo che non si azzardino anche solo a pensare di dire qualcosa. Ma forse c'è un altro anello debole nella catena dei killer, ed è la moglie (McDormand) del vicesceriffo (Dourif), che ha testimoniato di essere stata con lui a casa, la sera del delitto, ma che i due agenti federali ritengono non abbia detto la verità.

In un crescendo di violenze e soprusi e nel vergognoso silenzio complice delle autorità, Ward e Anderson (che fanno dragare un'intera palude da centinaia di uomini chiamati lì per ritrovare i corpi dei tre attivisti scomparsi) cercano di elaborare una strategia che arrivi a incastrare i colpevoli.

Incorniciato dalla fotografia straordinaria di Peter Biziou (giustamente premiata con l'unico Oscar guadagnato dal film, ma era l'anno di RAIN MAN) e dominato da un Gene Hackman sornione, ironico, a tratti selvaggiamente infuriato che è un vero spettacolo (Hoffman gli soffiò l'Oscar ma l'avrebbe sicuramente meritato pure lui), il film di Alan Parker è una cupa avventura vissuta con grande prevalenza di esterni, recitata magistralmente da un cast folto di nomi che avrebbero fatto strada (Dafoe, la McDormand, Rooker, Dourif) e diretta da un Alan Parker che lavora benissimo sulle immagini finalizzando al meglio il lavoro di una troupe impeccabile. Se i neri sembrano troppo arrendevoli è perché si capisce come non abbiano i mezzi per ribellarsi, chiusi da un'indecisione di fondo che impedisce loro di schierarsi con maggiore decisione dalla parte dei due agenti dell'FBI, lì con il chiaro obiettivo di difenderli. La sceneggiatura di Chris Gerolmo ha ottime frecce al proprio arco e la storia procede senza incagli, arrivando alle due ore senza che se ne avverta la pesantezza. Un lavoro di grande impatto, dirompente nel messaggio e originale nel rapporto che lega i due protagonisti.

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Nuovo tour per Roger Waters dopo US + THEM, dal quale mutua l'idea base di mescolare musica e invettive contro il potere attraverso messaggi giganteschi sparati sugli schermi. Il nuovo palco propone un impianto luci strepitoso e un videowall gigantesco a forma di croce che, sospeso sulle teste della band, mostra animazioni di gusto sopraffino e per l'appunto messaggi fulminanti contro le guerre e gli oligarchi che dominano il mondo, moniti a caratteri cubitali che si materializzano creando un bel collegamento con le canzoni,...Leggi tutto lasciando subito capire come Waters sia prima di tutto compositore e autore dei suoi pezzi (nonché di buona parte di quelli dei Pink Floyd).

Non c'è spazio per le mezze misure, nello show: volano gli insulti, si prendono con veemenza le difese dei popoli indifesi e degli oppressi, come se la musica servisse da semplice accompagnamento per veicolare messaggi universali di pace e di odio nei confronti di chi domina le masse (rappresentate per esempio dalle pecore di "Sheep"). L'apertura è altamente d'atmosfera, con "Comfortably Numb" rivista nella recente chiave watersiana: lo schermo gigante rimanda le immagini altamente suggestive del videoclip relativo, i tempi della canzone vengono rallentati, le chitarre di Gilmour (che davano vita a uno degli assoli più celebrati della storia del rock) rase a zero e sostituite da tappeti di tastiere che restituiscono un brano assai diverso dall'originale. La band è totalmente in ombra, mentre suona, in attesa che lo schermo a croce si sollevi e prenda la posizione che manterrà poi per l'intero concerto.

L'energia si sprigiona con la successiva "The Happiest Days Of Our Lives", a cui segue immancabilmente "Another Brick In The Wall parte 2" e, subito dopo, pure "parte 3" (come nel tour di US + THEM) in un bel sunto dei momenti più noti e trascinanti di "The Wall". Esecuzioni impeccabili, qualche ammodernamento, suoni molto meno sintetizzati rispetto al 1979. Un ottimo break, al quale segue inattesa "The Powers That Be", da "Radio Kaos" (il secondo, sottovalutato disco solista di Waters), rivista in meglio e giustamente recuperata. "The Bravery Of Being Out Of Range" riassume molto del pensiero dell'artista ed è una tappa fissa dei suoi concerti, con lo schermo che si popola di scritte, grida d'aiuto... Il brano tuttavia non è fenomenale e si dilunga oltremodo. Arriva poi l'inedito "The Bar", estesa composizione scritta durante il Covid e qui spezzata in due parti (la seconda in chiusura), in cui lo spirito più cantautorale di Waters si concretizza (come in altre occasioni) in brani poco incisivi e stanchi.

Meglio il ritorno ai Floyd di "Have a Cigar", con inevitabile ricordo di Barrett (e relativi video che passano sullo schermo), che prosegue con "Wish You Were Here" e le parti meno note della suite "Shine On You Crazy Diamond". Un breve aneddoto in cui Waters ricorda un giorno con Barrett a Las Vegas nel '68 (in realtà era il '67, Barrett lasciò i Floyd a Gennaio 1968 dopo pochi concerti in Inghilterra) quindi "Sheep" (uno degli highlights del concerto) e la consueta mascherata da "The Wall" con uniformi e martelli (si suonano "In The Flesh" e "Run Like Hell", che cantata da Waters surclassa la versione "Pink Floyd" con Gilmour e altri alla voce). Subito dopo, un ritorno al presente con "Déjà Vu" dall'ultimo disco e a seguire l'intero secondo lato di "The Dark Side Of The Moon" (nel tour di US + THEM aveva cantato solo il primo) e la presentazione dei due brani finali, "Two Suns In The Sunset" (inatteso recupero da "The Final Cut") e "The Bar" parte 2, al quale viene incollata, senza soluzione di continuità, "Outside The Wall".

Nel contesto generale, maiali che volano (pure pecore, in "Sheep"), raggi di luce, centinaia di volti che appaiono e scompaiono sul megaschermo, intermezzi di Waters che pontifica contro il nucleare o contro i dittatori di ieri e oggi in un clima acceso che mostra quanta energia l'uomo abbia ancora in corpo a ottant'anni, stemperata da siparietti amichevoli in cui Waters discorre a voce bassa con il pubblico, brinda con i musicisti sul palco, parla della moglie e del fratello recentemente scomparso. Nella scelta dei brani non si è retrocessi oltre il 1973 di "Dark Side" lasciando fin troppo spazio a cantautorate spesso anonime come l'ultima "The Bar". Detto di una scenografia spettacolare ma piuttosto monotona, non particolarmente fantasiosa e derivata, anche concettualmente, da quella del tour precedente, il concerto è piacevole ma sembrano mancare una vera spinta innovativa (ci si adagia troppo sugli schemi collaudati da US + THEM) e una scelta dei brani più oculata (chiudere con "Two Suns In The Sunset" e "The Bar" non è esattamente il massimo).

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Thriller sardo dal titolo intrigante che palesa fin da subito qualche difficoltà nella gestione della presa diretta, con la voce off della detective Anna Carreras (Piras) coperta parzialmente da musiche che ne compromettono la piena comprensione. In seguito il problema, pur non risolto del tutto, rientra, mentre alcune belle riprese dall'alto, intanto, nascondono i limiti di un budget assai ridotto.

Il prologo con l'omicidio di una giovane nel bosco, con l'assassino vestito di nero in tenuta da SO COSA HAI FATTO...Leggi tutto, sembra a tratti quasi una parodia involontaria del genere, anche se fortunatamente la fotografia, piuttosto ricercata (pur se filtrata in modo esagerato), conferisce un aspetto professionale alla scena. A quanto pare si tratta del secondo delitto del serial killer di turno, che uccide ragazze appendendole a testa in giù e legandole con corde e nastri colorati. La citata Anna Carreras, chiamata a indagare sulla morte di sua sorella Claudia (la ragazza dell'incipit), prende con decisione in mano le operazioni. Figlia di un poliziotto a sua volta ucciso misteriosamente tempo prima, la donna si fa notare subito per il piglio risoluto e l'incapacità di smorzare i toni anche con il suo secondo, Fiorenzo Vargas (Muscas), convinto che lei non sia la scelta migliore per le indagini, coinvolta com'è nella vicenda.

Anna ostenta impassibilità, mentre spiega al suo team (e a noi) le coordinate del caso: sguardo che non si abbassa mai, espressione di ghiaccio, si sente in realtà colpevole per non aver saputo prendersi cura della sorella, finita alla deriva e una volta addirittura recuperata (come vediamo in un flashback) mentre dormiva sotto un ponte. I primi interrogatori non sono l'esempio massimo del collaborazionismo, da parte di chi di fatto si rifiuta di fornire elementi utili all'indagine, e mette in evidenza le problematiche dovute all'assenza non solo di prove ma pure di indizi validi. Forse c'è qualcuno che ha visto un fuoristrada allontanarsi dalla scena del secondo delitto ma è ancora troppo poco, anche se poi il possibile proprietario dello stesso, che mantiene un fratello con gravi ritardi mentali, spinge Anna a credere di avere in mano il colpevole. Glielo dice l'istinto, che a quanto sostiene rappresenta l'80% della probabilità di azzeccarci, per chi ha grande esperienza nel campo come lei. Vargas la asseconda di nuovo poco convinto, proponendosi come l'elemento più “sano” e misurato della coppia.

Mirko Zaru, autore unico della sceneggiatura, dirige un film che cerca di lavorare soprattutto sull'approfondimento psicologico della protagonista. Non potendo contare su una recitazione complessiva troppo soddisfacente (nella maggior parte dei casi è anzi piuttosto scarsa), si affida a una Maria Chiara Piras che, spesso in tenuta nera alla Carrie-Anne Moss, mostra comunque una bella convinzione, azzeccando il personaggio. Non basta però, perché molte scene durano costantemente più del necessario e il tempo utilizzato per le pause e i silenzi non si concretizza in uno sperato accrescimento dello spessore. Detto di una storia che a livello di intreccio giallo vola bassissimo, risolta con un colpo di scena telefonato quanto improbabile, restano di buono una colonna sonora di bella resa e la fotografia superiore alla media di questo tipo di produzioni. Però le lungaggini, gli inciampi nella recitazione, l'artificiosità con cui vengono portati in scena molti dialoghi penalizzano non poco il lavoro di chi comunque potrebbe in futuro dimostrare di avere delle frecce al proprio arco.



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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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