Bellissima l'apertura del film che riprende Beverly dagli occhi bianchi, sospesa a mezz'aria che "galleggia".
Poi ci si sposta a Derry, nei giorni nostri, in una Luna Park
hooperiano, dove, con inaspettata ferocia e brutalità, una coppia gay viene aggredita e pestata a sangue da un gruppetto di omofobi (risvegliando , così, la "fame" di IT , che si manifesta in un tripudio di palloncini rossi svolazzanti).
Inizio che carbura ancora di più con la chiamata di Mike ai 7 membri dei "Perdenti", ora adulti, e con posizioni sociali di un certo rilievo, dal manager aziendale, allo sceneggiatore/scrittore di film horror (simpatica variante metacinematografica che fa il verso a King stesso, negli studi della Warner, con Peter Bogdanovich seduto sulla seggiola del dolly che disquisisce di brutti finali e amore per il cinema), al comico alla
Lenny.
Mentre Beverly passa , con disinvoltura, da un padre molesto a un marito violento e geloso (durissime, comunque, le violenze domestiche a cui è costretta Beverly ora adulta-la bellissima e bravissima Jessica Chastain-, moglie maltrattata di un uomo ricco e psicotico e ancora, nel flashback, avvinghiata dal padre incestuoso che la cosparge col profumo della madre morta, in un'abbraccio che di paterno ha ben poco).
Fino al brutale arresto del bullo parricida Henry Bowers (che si credeva morto nel primo capitolo), che, detenuto in un manicomio criminale, riceve la visita dell'ex amico, ora tramutato in uno zombi marcescente alla stregua
landisiana.
Prometteva bene il secondo capitolo (e la sua durata fiume di 170 minuti non accusa il colpo della lungaggine e della noia, e già quì e dettaglio non indifferente), che però, purtroppo, usa e abusa di una CG invasiva, cafona e baracconesca, che rovina non solo gli intenti, ma anche le parti "orrorifiche", riducendo il tutto alla stregua di uno pseudo-cinecomics (su tutte, la più brutta esteticamente e la più cialtrona, la statua del boscaiolo che insegue Richie che nemmeno l'Asylum), che non stupisce che Muschietti, poi, abbia realizzato
Flash (non per nulla).
Parti orrorifiche contettualmente anche interessanti (come le creature mostruose che fuoriescono dai biscotti della fortuna nel ristorante cinese alla primo incontro dei 6 "perdenti" ora adulti, come il moscone con la testa di neonato, ma vanificate da un'orrenda e pacchiana computer grafica che ne mina le potenzialità).
Notevole quando passa dal passato al presente in una sola inquadratura (come nel rifugio sotterraneo costruito da Ben, dove troneggia il manifesto di
Ragazzi perduti) e impreziosito dai flashback adolescenziali, ma che perde proprio nelle parti incubotico/allucinatorie, se non in pochi frangenti.
Tre su tutti: la bambina , con la voglia sulla guancia, che segue una lucciola e si trova a faccia a faccia con IT che frigna di solitudine e finta benevolenza, la casa degli specchi dove Bill cerca disperatamente di salvare la prossima vittima di IT, con quest'ultimo che sfonda lo specchio infrangibile a testate (omaggio sussurrato a
Welles e
Clouse) e soprattutto Jessica Chanstain alle prese con un'innocua (all'apparenza) vecchina. che, sullo sfondo nel corridoio, comincia a ballare e dimenarsi con tutte le inquietudini del caso, gira nuda in
cucina, e si tramuta in una grinzosa, pupazzosa e mostruosa vecchiaccia di
Shining versione extralarge.
Buono anche il momento in cui si vede il volto di Pennywise al naturale, mentre si trucca davanti allo specchio. Propietario, in passato, di un circo itinerante dai sapori
freaky.
Poi il sussegguirsi degli eventi terrorizzanti rientra nella norma di un qualsiasi capitolo di
Nightmare (ritorna pure
Nightmare 5 -Il mito, guarda caso, programmato al cinema di Derry nei flashback, ora cinema abbandonato alla
Ultimo spettacolo, con chiusa dei battenti presumibilmente nel 1998, a giudicare dai manifesti sbiaditi di
C'è post@ per te e
Avengers-Agenti speciali), tra Beverly/zombessa dai capelli di fuoco alla
Ghost Rider, la mamma di Eddie legata in stile
Saw nel fetido retrobottega della farmacia, il bagno della scuola che si tramuta in una vera e propria camera di sangue, fino alla sfacciata scoppiazzatura della testa granchiosa di Stanley, prelevata arrogantemente , senza tanti complimenti, dalla
Cosa carpenteriana.
Nel mezzo deliranti riti sciammanici che nemmeno
Stati di allucinazione, l'esilarante e cialtronesco vaso indiano rituale, il covo di IT che sembra il pianeta organico del primo
Alien, sfere volanti luminose che manco nei b-movie anni 80, IT sottospecie di ragno tutto in CG e la baracca crolla sotto i colpi delle pagliacciate (la lancia tirata da Eddie in bocca al proteiforme IT è la ciliegina sulla torta delle pacchianate da cinecomiscs), almeno fino a quando IT regredisce allo stato di neonato grinzoso a furia di umiliazioni e parolacce (nel suo delirio, comunque, un colpo di genio ben assestato).
E peccato che quel "gran finale" pubblicizzato nella frase di lancio, non lo sia affatto, ahimè.
Poi, vabbè. hai Tom Woodruf jr che ti crea dei make up prostetici efficaci, e mi fai vedere il volto in putrefazione del piccolo Georgie in CG, scelta assai discutibile anzichenò.
E se la lunghissima durata non pesa, la serie di sottofinali prende per sfinimento (non dissimile da quelli sfiancanti del
Ritorno del Re di jacksoniana memoria), tirandola inutilmente per le lunghe e diventando irritante tra la incancrenita casa di IT che si autodistrugge simil
Poltergeist, il bagno nel fiume, gli occhiali sul fondo, la puzza delle ciabatte della mamma di Eddie, le storielle d'amore, la letterina di Stanley, l'addio di Mike a Derry, e vissero tutti felici e contenti.
Muschietti riesce a regalare qualche sprazzo geniale ancora di grande cinema, la fotografia di Checco Varese è stupefacente, il cast in palla (anche come somiglianza fisionomica degli adulti con i ragazzini del capitolo uno), ma le troppe battute umoristiche fuori luogo, la frastornante CG e i finalini da latte alle ginocchia ne minano drasticamente le potenzialità.
Nel marasma di pessimi sequel di rara inutilità, comunque, la seconda parte di IT, seppur con i suoi innumerevoli difetti e facendola spesso fuori dal vaso (indiano), ha ancora qualche freccia al suo arco, ma nettamente inferiore alla squisitezza del primo capitolo.