Rassegna estiva:
Postatomica-L'estate italiana del dopobomba Anno 1983, il buon Aristide pare darsi una calmata per quando riguarda i sessi e gli orgasmi neri, prende le intelaiature gore/splatter di
Rosso sangue e si butta a capo fitto nel nascente sottofilone del post atomico.
Ne esce un filmetto poveristico, scombiccherato, grezzo e rattoppato, ma pervaso dalla vena sleazy e dalla professionalità del vecchio caro zio Joe (che qui si firma Steven Benson), che apre già il film con cadaveri marcescenti divorati da enormi e schifosi ratti, una velata scena di cannibalismo e fa quasi stuprare la sua musa (Gesmer) da un gruppetto di pustolosi contaminati.
Già si entra nel mood massaccesiano, anche con la notevole caccia sullo stile
La decima vittima (con tanto di pubblicità su un integratore), che trasuda di atmosfere sepolcrali alla
Antropophagus (i fatiscenti sotterranei dove si svolge il gioco della morte).
Squallide e desolate location, fabbriche e casolari abbandonati, i soliti trabiccoli sistemati poveristicamente dal meccanico sulla Tiburtina, le pagliaccesche sganassonate budspenceriane di Mario Pedone, il palese filo che alza il sasso, la riconoscibilissima controfigura di Al Cliver sulla moto, il make up
scimmiesco (di alcuni mutanti) palesemente appiccicato con lo scotch, le scoordinate e farlocche scene di lotta corpo a corpo.
Eppure il filmaccio funziona e diverte pure, con alcune intuizioni visive degne di nota (i monatti ciechi alla
Omega man, l'uomo pesce di Ceccarelli sul ridicolo baracchino a quattro ruote con a fianco due ancelle poppute, la trappola con la ragazza legata, a seno nudo, e sanguinante) e brevi ma incisive esplosioni splatter di cui Massaccesi non può farne a meno (l'ascia piantata in testa alla
Rosso sangue, pezzi di cervella che fuoriescono dopo essersi sparati in bocca) e nella dimora dell'uomo pesce saltano fuori riverberi
caligoliani, con il mutante squamoso che sbava e grugnisce mentre pastrugna, sul letto, la Gesmer prima di saltarle addosso infoiatissimo. Per poi tenerla legata, con una corda al collo, mentre il mutante pescioso ronfa, in un'immagine che ricorda lo schiavismo/sessual lucasiano di
Jabba the Hutt verso la principessa Leila.
Gran finale con bimbetti
scanners dai poteri illimitati e distruttivi e chiusa sospesa con uno stop frame a suo modo geniale.
Fa una strana sensazione vedere Laura Gesmer angelica, pura, virginale e dalla figura quasi mariana (ma lo zio Joe non resiste di farle scoprire le tette, almeno una volta), Al Cliver funziona come granitico eroe dal cipiglio eastwoodiano (e che si chiami Shannon-come Mark Shannon/Manlio Cersosimo-non sembra essere messo a caso), Gabriele Tinti sfregiato e con benda johnfordiana, ma su tutti è il fido George Eastman a fare la sua possente figura.
E nel solito parapiglia dopobombesco all'amatriciana, tra carrette mal assemblate, furgoni blindati, moto, motorette, regimi totalitari nazistoidi (capitanati da un Gordon Mitchell trucidissimo) con i soldati dagli elmetti inequivocabili, bombe a mano, scontri a fuoco bambineschi e action da bancarella, si piazza il colpo di genio dell'involuzione di alcuni mutanti che arriva direttamente dall'isola del Dottor Moreau.
Ponte ideale per Massaccesi in pieno fulgore rozzo-apocalittico-fantascientifico, dopo le imprese di
Caligola e prima della deriva post brassiana.