Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Dopo un lustro sabbatico dalla Terra, l'Uomo d'acciaio torna all'ovile, letteralmente quello della fattoria adottiva, professionalmente a quello dell'alieno più forte al mondo. In realtà il supereroe per antonomasia mancava fin dai tempi di Reeve, quindi vuoi per la forte attesa, vuoi per la cgi galoppante, l'evento è notevole e anche le aspettative se ne giovano, nonostante agli addetti ai lavori, Singer compreso, la cosa non basterà a dar vita a un sequel già programmato. Routh, giovane stampato sull'immagine del suo predecessore, è un bel Superman; Spacey e Bosworth: sì e no.
Atto d'amore alla beata infanzia, abdica il cinéma vérité per lasciare che sia la realtà ad adattarsi alla sintassi filmica e il cinema a prendere il ritmo imprevedibile dello sviluppo. Ne deriva il ritratto di un'età perduta, forse mai esistita, abitata da esseri speciali che sopravvivono a cadute dal sesto piano. Ingenuità (l'arringa sul diritto di voto) e falsi miti (un’infanzia difficile prepara ad affrontare meglio l'esistenza) non inficiano l'incanto di una perfetta coralità intessuta in un montaggio incalzante e complice, illuminata e vivificata dalla spontaneità dei bambini.
Martino cavalca un soggetto che più nazionalpopolare non si può: il calcio. Un contesto nel quale sguazza Banfi, già tredicista l'anno precedente. Film modesto che dà il suo peggio durante la trasferta brasiliana, snocciolandone tutti i cliché: natiche, travestiti, “meninos de rua” e calciatori. Un'impegnativa trasvolata oltreoceano, per poi finire con lo scritturare come “perla negra” un attore svizzero. Si ride qui e là in una confezione grezza di sapore para-televisivo. Il suo culto è probabilmente dovuto ai numerosi camei che accesero il tifo allora e la nostalgia oggi.
Versione sadica di “Giochi senza frontiere". Donna disperata (ma in gran forma) accetta un passaggio da uno sconosciuto. Si risveglia in un dedalo di cunicoli e trappole, incontrando persone lungamente desiderate e altre ostili e insistenti. Il genere trappola più claustrofobico viene allungato a dismisura e ibridato con thriller, fantascienza, horror (con visioni incubotiche ed efficaci sequenze macabre e splatter). Un'occhiata la merita.
"Pourquoi pas" prendere un vigilante spruzzarci un po' di spy movie e servire il tutto in salsa parigina. Il primo capitolo si lascia guardare volentieri grazie all'ottima confezione, dal montaggio frenetico e le buone coreografie di combattimento. Sarà nel suo limite che trova la sua vera forza, ovvero la distanza fisica tra Neeson e i vari adoni americani che lo precedono e (susseguono) nel ruolo, rispondendo all'inconscia domanda di un pubblico bisognoso di eroi più comuni. Tanto sta che il paparino/arma-letale si è fatto saga ventennale e ha rilanciato l'archetipo.
Nel 1940 il piccolo George fugge dal treno che lo stava portando in campagna per metterlo al riparo dai bombardamenti per tornare a Londra dalla mamma... Un percorso di iniziazione puntellato di ostacoli e incontri significativi: il carattere fortemente didascalico del racconto prevale sul realismo della messa in scena per cui la trama, benché resa più drammatica dal momento storico in cui è ambientata, non risulta molto diversa da quella di un classico romanzo ottocentesco, a parte la condanna di ogni discriminazione razziale. Film ben fatto ma più convenzionale del previsto.
Il sicario è una delle figure più utilizzate al cinema nonché la più sfruttata in ambito noir, anche nella sua variante grottesca: si presta da sempre all'innesto di buone dosi di black humour in sceneggiatura, quindi niente di strano se a interpretare il killer di turno viene chiamato Christoph Waltz, due Oscar all'attivo e una riconosciuta propensione all'ironia certificata dalle esperienze con Tarantino.
La storia è stravista? Certo, indubitabilmente. Il vecchio e il giovane. Danny Dolinski (Waltz) è un sicario in attività da...Leggi tutto trent'anni, vanta trascorsi impeccabili e un'infallibilità garantita. Soffre però di artrite alla mano e, dopo sei mesi di inattività e un'operazione, non può proprio dirsi ancora a posto. I suoi capi quindi gli affiancano, per la nuova missione, un nuovo promettente ragazzotto, Wihlborg (Hoffman), pronto ad essere addestrato. Dolinski dovrà seguire Danny e, se sarà il caso, spiegargli dove sbaglia. La classica coppia scoppiata in partenza: il vecchio si sente ancora in grande forma mentre il giovane vorrebbe solo essere “osservato”, come gli hanno comunicato, non certo instradato. Ma quando i due arrivano al campo da golf dove sta giocando la vittima designata, Dolinski pretende di fare tutto da solo. Si verificherà tutto ciò che chiunque ha un po' di dimestichezza col genere si aspetta.
Ennesimo film che fa mucchio e da rigettare in toto, quindi? No, perché comunque Waltz è uno spasso e Hoffman (figlio dell'ammiratissimo Philip Seymour) gli tiene testa con bravura. La coppia funziona, quindi, e per quanto le dinamiche tra i due siano scontate, vederli recitare con tanta leggerezza, senza scadere eccessivamente nel grottesco ma nello stesso tempo senza mai prendersi troppo sul serio (nel caso di Waltz, perlomeno), è piacevole. E se Lucy Liu fa da contorno senza brillare, prigioniera di un personaggio persino più stereotipato degli altri, poco male: resta in secondo piano, non è lei a fare il film.
Quanto alla vicenda, scelte prima Londra e poi Belfast come teatri dell'azione, si snoda senza intoppi, diretta da un regista che fa quel che deve limitandosi a dare il giusto ritmo all'azione, con veloci siparietti familiari (la madre di Dolinski) e un superiore cinico come da copione che qualche buona battuta (non comica) la piazza e insieme a figure più in ombra contribuisce a riempire lo sfondo necessario. La seconda parte si sposta dalla noir comedy all'azione perdendo per strada l'estrosità di Waltz (di cui resta qualche raro bagliore, che accende i dialoghi qua e là) e seguendo la via maestra del genere senza sorpresa alcuna fino all'epilogo, ma qualche paesaggio irlandese e scontri abbastanza ben coreografati ce la fanno accettare senza problemi.
Horror comedy per ragazzi a tema zombi prodotta da R. L. Stine (il creatore della collana di libri chiamata “Piccoli brividi”) e tratta da un suo romanzo. Ha la particolarità di annoverare nel cast due grandi comici del fu “Saturday Night Live” come Chevy Chase e Dan Aykroyd e, se per il primo la presenza si limita a una breve quanto anonima apparizione in apertura e chiusura, il secondo è una figura chiave, nel film, seconda per importanza solo ai due protagonisti.
Questi ultimi sono una coppia di giovani amici che si conoscono da tempo: Mike Broadstreet...Leggi tutto (Kazadi), poco contento della sua vita, è considerato dai compagni il classico sfigato, Amy Maxwell (Monroe), già meglio piazzata nella classifica di gradimento scolastico, è, come tutti in zona, appassionata di film horror. D'altra parte c'è da capirla: la città è stata ribattezzata Carverville in onore di Len Carver (Aykroyd), il miglior regista horror di sempre, specializzato in tema zombi. Non fa più film da trent'anni ma, almeno lì a Carverville, viene ancora considerato una leggenda, con orde di fans pronte a gioire per l'annuncio di quello che dovrà essere il nuovo film del loro beniamino dopo tanto tempo.
La proiezione è in programma per il giorno di Halloween nel cinema locale gestito da Richard Landro (Czerny), ma quando Carver si presenta lì con la pizza sottobraccio (su cui svetta l'occhio di Horus, antico simbolo di protezione), si sente male e crolla a terra. Salta tutto, ovviamente, ma Mike, che lavora al cinema come proiezionista, decide comunque – su insistenza di Amy (lui non li sopporta, gli horror) – di montare la pizza e di sedersi nella sala (vuota) con lei a vedere l'ultima fatica di Carver. Quando però la macchina si avvia, il proiettore libera nell'aria una strana sostanza che si diffonde in tutta la città trasformandone gli abitanti in... (ma guarda un po') zombi! I due adolescenti, si capirà poi perché, sono a quanto pare gli unici (insieme a Carver, ricoverato in ospedale) a non subire il contagio e dovranno attivarsi per riportare le cose a posto insieme al regista.
Una trama facile facile che cerca di costruire intorno a Carver un'aura di mistero (si fa per dire) e una storia legata a oscure maledizioni egizie rivelate nel finale da tale Mezmerian (Chase) attraverso uno specchio. Questi è poi lo stesso personaggio che si era visto nell'incipit, nel quale ci erano state mostrate parti di uno dei vecchi horror di Carver.
Girato con maggiori mezzi della norma ma con un make-up zombesco decisamente scarso, il film rinuncia fin da subito a tentare la carta dell'orrore per lanciarsi piuttosto nell'avventura, alla quale si cerca vanamente di associare qualche vaga spiritosaggine. Con un Chase totalmente sprecato (poteva sostituirlo chiunque, in quelle poche pose) e una coppia di ragazzi che non sono il massimo della simpatia, non resterebbe che Aykroyd, a poter dare un minimo di senso al tutto, ma il suo personaggio è debole quanto il resto e non presenta alcuna sfumatura divertente. Un film chiaramente indirizzato a un pubblico giovanissimo che abbia voglia di celebrare Halloween osservando un po' di zombi inoffensivi (sangue? Neanche a parlarne!) che caracollano spaesati o che si siedono in sala al cinema per fissare lo schermo bianco.
La scena migliore è forse quella dopo i primi titoli di coda, con Chase, Aykroyd e gli altri seduti in un ufficio a guardare il film mentre si alza a gran voce una proposta unanime: “Più zombi, ci vogliono più zombi”. Interverrà pure H.R.Stine in video, a benedire (inutilmente) l'operazione. La gag più simpatica è invece inserita ancora prima dei titoli di testa: una voce off su quadro nero tiene a precisare che quella che vedremo non è una storia basata su fatti realmente accaduti e che gli attori che interpretano gli zombi non sono stati in alcun modo mutati o chirurgicamente operati per essere trasformati in reali zombi. Il fatto che il meglio si veda prima e dopo i titoli fa capire l'andazzo...
La novità è di quelle che non sembrano proprio promettere bene: la splendida Val di Sole, teatro di tutte le avventure di Don Donato & friends nonché uno dei pochi punti di forza della serie grazie alla freschezza dei suoi suggestivi paesaggi montani, viene abbandonata in favore di Cinecittà World, espediente piuttosto desolante utile a fare un po' di promozione al parco tematico del titolo. Il nuovo capitolo porta insomma i consueti protagonisti a Roma, come “scorta” ai freschi sposi Luna (Murgia) e Luigi (Dianetti) in viaggio di nozze.
Ci...Leggi tutto sono tutti, con l'aggiunta dei recenti acquisti "coatti" Angelo (gemello del monsignore sempre interpretato da Mattioli) e Zara (Massera), la sua giovane compagna "ultraromana". L'arrivo in pullman ce li mostra sbarcare felici nella Capitale direttamente a Cinecittà, dove Angelo procura per loro dei braccialetti "vip" donatigli dalla signora francese (Cléry) che si occupa della gestione del parco, la quale ha assunto come lavorante suo fratello, un tipo che non sembra avere proprio tutte le rotelle a posto (d'altra parte lo interpreta Ceccherini...). I nostri alloggerano in un albergo interno allestito con fogge draculesche e cominceranno presto a divertirsi con le attrazioni del posto nel chiaro obiettivo di pubblicizzarlo.
Edoardino (Milano) è ossessionato dal ruolo di padre da quando sa che sua moglie Gina (Stafida) è incinta, mentre lei è preoccupatissima dai "piedi a caciotta" (conseguenza della gravidanza) e da un corpo che si dice certa vedrà sfiorire. Più defilati invece – almeno inizialmente - Don Donato (Salvi) e il Monsignore (Mattioli), che lascia il campo libero soprattutto al gemello rozzo Angelo. Le altre tre donne invece, Luna, Zara e la single Olivia (Marchione), sono quasi sempre insieme, con l'invadente e rumorosa Zara a prendersi la scena anche quando – secondo la storia - al centro dovrebbe stare Olivia, alla ricerca di un partner sull'immancabile app di incontri. A scaldare l'intreccio, tuttavia, è il fatto che il Monsignore si è portato dietro dalla Val di Sole quattro lingotti d'oro su cui ha messo gli occhi il fratello mezzo pazzo della signora francese, assistito da due tirapiedi che maltratta da par suo.
Sarà la caccia ai lingotti a movimentare una seconda parte in cui Ceccherini - anche ricorrendo a qualche volgarità inedita, per la saga - si impone come il personaggio più vivo e meno inquadrato del lotto (la ancora affascinante Cléry interviene invece poco), che dà una sveglia a una formula da tempo stantia e che fatica a trovare gag in grado di donarle smalto. Fortunatamente Mattioli e Salvi sono piuttosto in vena (quando nella seconda parte possono imporsi) e Marco Milano in versione ringiovanita per l'occasione (si tinge i capelli e cambia look dopo che la commessa di un negozio di abbigliamento per bambini pensava, vedendolo, fosse il nonno e non il padre, del nascituro) qualche timida gag la offre.
Se quindi da una parte la location è indubbiamente molto più scialba, canonica e spenta, rispetto alle verdi montagne del Trentino, sottraendo suggestione al film, dall'altra la sceneggiatura meglio strutturata del consueto e la buona prova del cast (con Ceccherini miglior acquisto) permettono, con l'aiuto della regia vivace di Raffaele Mertes, di tenere a galla il tutto. Conosceremo poi una "particolare" ex di Luigi e un veggente con palla di vetro interpretato dal simpatico Jonathan del Grande Fratello. Più in funzione di “disturbatore solista” il Don Gabriele di Carbotti, prestigiatore dilettante, meno "inutile sfondo" rispetto alle puntate precedenti.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA