il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

IL "GIALLO" DI TORTORA E ARGENTO
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  • Chiara Laperuta

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Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Ruber
La regista confeziona un film in cui il sesso (forte e molto esplicito!) viene usato come cura e aiuto per le paure e le debolezze. L'ultima notte di libertà, per un giovane che ventiquattro ore dopo si infilerà la fede al dito, si trasforma in qualcosa da lui non cercato. Il casuale incontro con la giovane Axelle lo "imprigiona" nel suo piccolo appartamento per una notte di folle sesso sì, ma anche di confessioni, riflessioni e dubbi. Due soli attori, un unico interno e tanta penombra. Brava la protagonista femminile disinibita, dal viso dolce. Pecca per un finale scontato.
Commento di: Myvincent
Il forzuto Ercole, figlio del re di Dacia (falso “storico”) viene fatto prigioniero dai romani perché oggetto di invidia e cattiveria. Ma, naturalmente, l’ordine sarà ristabilito a dovere. Noioso peplum che si regge sulla muscolatura scultorea di Mark Forest, mentre tutto il resto soggiace a scenografie, ritmi e trovate narrative di scarso valore. Pessimo.
Commento di: Mr.chicago
Film-diesel che ci mette un po' a ingranare, ma quando prende poi il giusto ritmo è visivamente e psicologicamente appagante come pochi. A parte il fatto che non si è mai visto un serial killer prendere tante botte in una pellicola del genere, il film di esordio di questo promettente regista sudcoreano ha anche la capacità di spiazzare lo spettatore con colpi di scena mirati e sapienti. Peccato per i primi due-terzi, che in confronto all'ultima parte (nella quale si evince la vera anima nera del film) sono troppo timidi, con risvolti leggeri forse inappropriati.
Commento di: Erfonsing.
Un film sostanzialmente in soggettiva, in cui i mostri (Godzilla più altri esseri di dimensioni ciclopiche) vengono mostrati solo attraverso gli occhi di chi - umano - li guarda. L'armamentario classico c'è tutto: le navi, il treno, gli aerei e Godzilla fa quello che deve fare in una grande città, con la sua coda, le sue creste e i suoi ruggiti. Da guardare - nonostante la storia non sia granché - per la fotografia (clamorosa a dir poco) e per composizioni di immagini strepitose (ad esempio i paracadutisti che scendono con fumogeni rossi attraverso nuvole terrificanti).
Commento di: Cerveza
Un “centro sociale” tutto al femminile, autogestito da ragazze risolute e indipendenti, ma che non possono fare a meno di uomini e gattini. Nonostante l’innesco possa far presagire qualcosa di sovversivo in anticipo sui tempi, nella realtà si squaglia all'istante, trasformandosi in un’inconsistente commedia rosa in cui tutti tornano a interpretare i cliché dell’epoca. Dopotutto era un'occupazione studentesca fatta in ballerine e gonna a ruota. Vista la loro avvenenza, più che femministe sembrano le concorrenti di Miss Italia che s'impadroniscono di un hotel a Salsomaggiore.
Commento di: Herrkinski
Ragazzina del liceo viene manipolata e sedotta dall'affascinante allenatore di football. Basato su una storia vera, è un tv-movie che assomiglia agli innumerevoli prodotti analoghi sfornati tuttora da canali come Lifetime. La manipolazione a opera del coach è comunque messa in scena con una certa efficacia, anche se risulta poco credibile che certi atteggiamenti inappropriati, così spudorati in pubblico, non avessero avuto conseguenze immediate; ma d'altro canto, erano altri tempi. Buono comunque il cast e scorrevole la narrazione; un racconto ammonitore destinato alle famiglie.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Variante “british” dei "Sette uomini d'oro", mantiene inalterato il numero dei protagonisti della saga di riferimento, anche se il settimo diventa l'elemento in più e non è sempre lo stesso: quello ufficialmente legato alla banda sarebbe Bernard (Ferro), costretto a rimanere in carcere a coprire la fuga, ma all'esterno, durante il colpo, il settimo diventa un cialtrone aggregatosi ai nostri per caso, Sam (Stander). Quindi il numero corretto dice 6 + 2: Bernard partecipa attivamente alla riuscita del piano, Sam è invece l'elemento disturbatore...Leggi tutto coinvolto loro malgrado perché, in quanto malato cronico, è presenza costante nell'infermeria da cui tutto parte.

Siamo a Londra, e il direttore del carcere cui dà il volto Adolfo Celi fronteggia da par suo – quindi con sublime sadismo – la rivolta messa in atto dopo il suo divieto a mostrare ai detenuti l'attesissima partita di Coppa d'Inghilterra tra Sheffield Wednesday ed Everton, per seguire la quale pare che l'Inghilterra intera si fermi. Dopo qualche giorno di faticosa resistenza da parte di sempre meno detenuti, arriva il momento di organizzare un colpo di cui nulla sappiamo. I sei del titolo (Moschin, Vianello, Mitchell, Gozlino, Zamperla e Corrà), coadiuvati da Bernard – che rimane in carcere per verificare che pure lì tutto proceda come stabilito e a trasmettere a beneficio delle telecamere di sorveglianza un filmato preregistrato che mostri come in infermeria nulla di strano stia accadendo – mettono in atto il loro piano: approfittare del calo generale di attenzione dovuto alla partita per fuggire e... rientrare! Avranno a disposizione esattamente un'ora e quarantacinque minuti (la durata del match) per realizzare una rocambolesca evasione e stampare nella zecca di stato (dopo essersi procurati la filigrana) migliaia di sterline autentiche, da nascondere e recuperare in un secondo tempo a scarcerazione avvenuta.

Agli ordini di Benjamin (Moschin), di fatto la mente (lo chiamano “Brain”, infatti), gli altri sfrutteranno le loro abilità per portare al termine la rischiosa impresa. Il film è la cronaca quasi in tempo reale di quanto accadrà durante la temporanea e segreta evasione, utile a procurarsi l'alibi più di ferro che si possa immaginare. L'idea, piuttosto originale, segue quella degli heist movie classici senza che però nulla ci venga anticipato, di modo che chi nulla sa potrebbe avere qualche difficoltà a capire cosa accade in scena.

Scelto come mezzo per spostarsi un autobus a due piani (cosa c'è di più inglese?) e dovendo subire l'esuberanza perniciosa di un insopportabile elemento disturbatore come lo sciatto, rumoroso e irritante Sam (ruoli simili purtroppo Stander li ha spesso ricoperti con esiti non felici anche in altri film), i sei cominciano a spostarsi da una parte all'altra della città portandoci a scoprire begli scorci di Londra. Si muovono sui tetti (notati dalla coppia Erika Blank/Ray Lovelock, veloci camei di utilità nulla), si travestono da pompieri, fanno un po' di tutto fronteggiando ovvi imprevisti accompagnati da qualche bello stacco musicale jazzato di Trovajoli e dalla brillante “Seven Time Seven” cantata dai The Casuals.

La regia di Michele Lupo è piuttosto spigliata e la sceneggiatura è congegnata discretamente, anche se certi inserti di umorismo inglese “artefatto” (si veda lo sketch con il solito Terry-Thomas) e personaggi scarsamente sopportabili - come la vecchina petulante interpretata da Gladys Dawson e soprattutto il debordante Stander - non aiutano ad apprezzare il risultato. Vianello in chiave semiseria è depauperato, Moschin come architetto geniale anticipa un po' l'Ugo Piazza di MILANO CALIBRO 9. Si lascia vedere più di altri film in tema grazie all'originalità dell'ingegnoso piano, da scoprirsi un po' alla volta...

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Thriller poliziesco scarsamente avvincente, s'aggroviglia in una trama piena di buchi e spiegata come capita, faticando alla ricerca di un movente decente da dare alle azioni del solito gruppo di sconsiderati che, già nella prima scena, vediamo entrare in un ristorante giapponese, sfondare la porta di una saletta intima dove una coppia sta mangiando e sequestrarne l'occupante maschio. La donna resta indietro, colpita di striscio e lasciata lì, mentre la povera cameriera giapponese viene ammazzata senza pietà.

Fine dei titoli di testa e si riavvolge il nastro,...Leggi tutto ma questa volta di sole sei ore, il che comporta che alla stessa identica scena assisteremo di nuovo dopo appena dieci minuti (dando uno strano senso di triste ripetitività); il tempo di spiegarci chi è il poveretto brutalmente rapito: si tratta di Larry Sorenson (Mehler), felice per aver trovato impiego come dirigente in una grande azienda come la MaxGen. Un ufficio di lusso e come collega una sventola (Openshaw) che lo invita subito fuori a mangiare. Al ristorante giapponese, per l'appunto, e ci risiamo; viene sequestrato da un gruppo di presunti terroristi che gridano contro l'imperialismo, lo legano a una sedia e diffondono un video di minacce: o pagate o lo ammazziamo.

Tutto molto improvvisato, a quanto pare. Per fortuna che a indagare c'è uno bravo, Jimmy Kelsoe (Kramer), il classico sbirro che non ride mai, con la faccia da duro che sa pure essere dolce, quando vuole; con la moglie (Gold) di Larry, ad esempio, decisamente sconvolta e che lo abbraccia per farsi consolare. Jade Marlo (Givens), la collega di Kelsoe, glielo dice chiaro: quella ti sta puntando, altro che preoccupata per il maritino... E poi quella coppia ha di sicuro qualcosa da nascondere: non vengono da Boston come sostiene la moglie (l'accento è troppo diverso), per esempio. Kelsoe ha capito subito che quella storia puzza di marcio...

Intanto i rapitori hanno messo una cimice in casa dei Sorenson e ascoltano quello che si dicono il poliziotto e la moglie non troppo inconsolabile... E questo ci introduce all'unico vero personaggio azzeccato del film: un ex galeotto russo (Danyliu) che mostra un'acutezza straordinaria. Smonta la cimice, spiega chi le produce e molto altro, facendo più lui in un cameo di pochi minuti di tutti gli altri nel corso del film. E' l'unico momento in cui ci si sveglia un po', sedati come eravamo dallo sguardo da marpione di Kramer, poliziotto dai modi spicci che quando c'è da fermare una rissa al biliardo mica esibisce il tesserino: prende tutti a pugni perché non gli piacciono le scartoffie da compilare. Meglio risolvere la cosa alla Bud Spencer. Anche la collega lo chiama John Wayne e la cosa fa pensare. Ancora di più quando quello indossa un giubbotto con spalline esagerate fuori moda da due decenni.

Regia fiacca, finale raffazzonato con la solita sparatoria notturna. E dire che si fa di tutto per dare ritmo al film: musiche, azione concitata, pistole spianate... Non basta: la storia, con colpetti di scena risibili e retroscena gangsteristici da quattro soldi, sa proprio di dozzinale, e non c'è verso di rianimarla. Non per colpa del buon Kramer, per carità, che in fondo il suo ruolo da poliziotto umano, comprensivo e con gli attributi lo sa interpretare...

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D'accordo, magari non sarà un gran film in senso stretto, ma la voglia, dopo quattordici anni di silenzio, di immettere nuova linfa in una saga che per forza di cose ristagnava, andrebbe premiata. Già il prologo contenente la scena da cui tutto si svilupperà viene spostata nel 1968, regalando un flavour inedito chiamato a giustificare l'idea dalla quale questo sesto capitolo prende le mosse: la Morte non scherza e, se a salvarsi da una disgrazia da lei già progettata sono in cento, quei cento dovranno morire. Non solo: dovranno morire pure i loro discendenti,...Leggi tutto che non sarebbero mai dovuti nascere! La puntigliosità del tristo mietitore viene scoperta da Iris, che per ultima avrebbe dovuto perire insieme al gruppo di persone salite sulla Sky View Tower, un ristorante piazzato sulla cima di un'altissima colonna in cemento. Salvatasi, come gli altri, dalla imminente disgrazia, scopre che tutti quelli che avrebbero dovuto defungere sfracellati al suolo, bruciati e via dicendo, sono negli anni morti come mosche uno dopo l'altro, e tutti per cause anomale.

Ora è il turno della famiglia di Iris la quale, raggiunta la consapevolezza di essere braccata dalla signora con la falce, si è rintanata a vivere da sola in una catapecchia isolata costruita per evitare incidenti fatali causati da ogni tipo di inconvenienti. Lei sa cosa sta succedendo e l'ha annotato a mano su di un librone illustrato che consegna a sua nipote Stefani (Santa Juana), unica a credere che possa davvero esistere un sinistro disegno ordito nientemeno che dalla Morte in persona. Stefani era andata dalla zia per poter conoscere finalmente l'origine dei propri orrendi e costanti incubi, ma invece di baci e abbracci viene edotta sull'esistenza dei piani ultraterreni preparati per eliminare la sua famiglia (del tutto abusiva sulla Terra, a questo punto). Prova a informare di ciò il fratello e i cugini, ma nessuno le dà retta; almeno fino a quando la sanguinosissima morte di qualcuno non li farà ricredere.

E qui cominciano i giochi: chi sarà e come verrà ucciso il prossimo? Pontenziali pericoli vengono piazzati ovunque, ben inquadrati da una regia che sa bene come far salire la tensione: ogni oggetto in scena, anche il più apparentemente inoffensivo, può nascondere un rischio letale, e quando sullo sfondo o in primo piano qualcosa comincia a muoversi in modo insolito, capiamo che la Morte sta iniziando a “ragionare” su come far fuori chi ha preso di mira. Fuoco, benzina che cade sul pavimento, pezzi di vetro nascosti nel ghiaccio: il campionario è ampio e già sappiamo che non tutto verrà poi davvero utilizzato per l'azione "delittuosa".

Il bello è anche questo: scoprire cosa davvero accadrà, di quello che potrebbe accadere. Sappiamo solo - e lo capiamo fin da come finisce la prima vittima - che la creatività con cui gli obiettivi verranno uno a uno eliminati soddisferà gli amanti dello splatter. Buona parte dell'efficacia di ogni capitolo in fondo si gioca sulla capacità di stupire con effetti speciali fantasiosi e coreografie di morte di grande impatto (la “spettacolarità” della saga comincia con l'incidente stradale del capitolo due, messo in scena magistralmente e rimasto una delle vette di sempre del genere). Il resto va dal guardabile al piacevole, con qualche non disprezzabile tocco ironico e una protagonista che, per quanto non straordinaria, fa quel che deve assistita da una famiglia nel complesso simpatica e tenuta relativamente a freno.

Buffa la zia rinchiusa nella casa “a prova di morte”, azzeccato il colpo di scena che riguarda il fratello tatuatore, inquietante la presenza di Tony “Candyman” Todd al suo ultimo film e già malato (è J.B., uno dei sopravvissuti all'incidente sulla Sky View Tower, allora un bambino). Lo sforzo corale nel confezionare un capitolo all'altezza dei migliori è evidente, e in questo senso anche il beffardo finale non delude affatto. Certo, uscendo dalla sala fa un po' rabbrividire, il pensiero a quanti possano essere i pericoli mortali che si possono nascondere nell'ombra...

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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