il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

ORCHIDEA DE SANTIS
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  • Stefan Salvi

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  • Gianna Segale

    Gianna Segale

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Rebis
Potrebbe essere un post atomico in cui le macerie familiari si ricompongono in nuovi aggregati sociali, il giustizialismo imperversa ed esseri mutanti valicano il confine tra umano e non umano. Invece siamo negli squat del Kent, dietro casa nostra. Incombe il menarca e per Bailey il mondo assume tonalità paniche e struggenti da catturare con lo smartphone e proiettare sui muri della camera come ombre cinesi. Istanze del reale e sinestesie poetiche convergono, cospirano sbalzando il film in una dimensione percettiva, inesorabile, appassionata. Ost bellissima.
Commento di: Reeves
Un film sopravvalutato che si salva soprattutto perché Vittorio De Sica è un grande direttore di attori. Ma la storia di questa donna tutta concentrata su un malinteso amore materno è in realtà infarcita di banalità e sembra scritta apposta per valorizzare la Loren come attrice drammatica. Sontuosa coproduzione internazionale, ma il risultato è molto appariscente quanto poco sostanzioso.
Commento di: Natron
La produzione e la regia telefilmiche sembrano più interessate a raccontare la storia che a inquadrarla e montarla, i personaggi sono solo abbozzati, interpretati da attori che pare non aspettino altro che la pausa pranzo: gli ingredienti minimi per una violenta novella rurale da vedere d'un fiato, a cui bastano poche, tremende, struggenti sequenze per far dimenticare tutto il resto e fissare nella mente immagini che fanno fatica a dissolversi: Bubba che porta in braccio la bambina, terrorizzato dentro lo spaventapasseri, solitario in mezzo al campo, il capo reclinato da una parte.
Commento di: Markus
La messa in scena di drammi di varia natura in questo film di Costella, ambientato a Cortina d'Ampezzo, si distacca dagli stereotipi dei cinepanettoni. La trama segue una famiglia romana coinvolta in drammi fisici e psicologici. Le interpretazioni di Foglietta e Battiston sono indiscutibili, sebbene il ruolo di lei risulti un po' forzato. Tuttavia, la pellicola è permeata da un clima di mestizia poco attraente. Il vero dramma, però, è rappresentato dalle inquadrature che mettono in evidenza il dramma ecologico degli abeti delle Dolomiti uccisi dal "bosforo", un parassita.
Commento di: Siska80
A causa del sequestro di decine di turisti, un agente si ritrova a collaborare con un negoziatore di ostaggi... Pellicola interessante anche se non pienamente riuscita (la caratterizzazione dei personaggi principali si basa infatti su vecchi cliché) che, oltre a uno spunto intrigante (e purtroppo aderente alla realtà), ha da offrire una buona dose di azione, venendo supportata da una colonna sonora in grado di generare una certa tensione. Il cast non offre qui una prestazione memorabile, ma si tratta di uno di quei casi in cui si sta più attenti allo snodo che a tutto il resto.
Commento di: Teddy
I tagli che la produzione impose a Orson Welles sprofondano il film in una meccanicità ridondante, con passaggi narrativi poco fluidi e un finale pressoché falciato. Peccato, perché l’opera - a partire dall’accuratezza della messinscena - disvela umori sottilmente morbosi calandosi sempre più in un vortice esistenzialista tetro e spettrale. Gran cast, con Dolores Costello e Agnes Moorehead sugli scudi e splendida fotografia di Stanley Cortez.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

La prima riunione intorno a un tavolo dei protagonisti, dopo pochi minuti di film, rende già benissimo l'idea di quello che ci aspetta: nomi e parole che s'incrociano vorticosamente lasciando stupiti per l'assenza di informazioni utili a rendere da subito comprensibile la vicenda. Si assiste impotenti a frasi il cui senso ultimo sfugge, come se il regista ci rendesse noto che non abbiamo ancora a disposizione i mezzi necessari per interpretare correttamente ciò che sta accadendo. E ci vorrà ancora un po', prima che questo avvenga. Poi finalmente emergono tracce...Leggi tutto di una qualche storia, nascoste sotto una cortina fumogena diradabile a fatica.

Il volto impassibile di Michael Fassbender, dietro un paio d'occhiali che lo irrigidiscono ancor più di quanto l'espressione monolitica comunichi, prende apparentemente le redini del gioco insieme a sua moglie Kathryn (Blanchett): deve scoprire l'immancabile talpa che ha fatto trapelare informazioni su un misteriosissimo codice Severus di cui poco o nulla è dato sapere. Sono cinque gli agenti del SIS sui quali si concentrano i sospetti e una, guarda un po', è pure Kathryn. Meacham (Skarsgard) esige da George risultati in tempi brevi e lui allora, passando attraverso una Londra ripresa in suggestivi scorci per nulla cartolineschi, invita i cinque a casa sua per cercare di far luce su un enigma che si fa ancora più complesso nel momento in cui Meacham muore in circostanze sospette (un indizio ben preciso porta a Kathryn, la donna che ama).

C'è da lambiccarsi il cervello, se si vuol venire a capo di qualcosa, e l'impresa più ardua non è quella di George ma dello spettatore, costretto a districarsi all'interno di un labirinto in cui si rischia di perdere con estrema facilità il filo che porta alla soluzione. Sono quei film che si compiacciono della loro inestricabilità, che nella testa degli autori dovrebbe accrescere il fascino dell'operazione ma che invece, in molti casi, spinge a sperare soprattutto in un dialogo chiarificatore, in una una chiave di lettura in grado di dissipare la nebbia che avvolge troppi interrogativi. Lo stimato David Koepp, autore unico della sceneggiatura, pare invece più curarsi di mantenere molte zone d'ombra, di fornire indizi solo accennati, di immergere il film in un'atmosfera carica di mistero che la curata fotografia, le scenografie di grande effetto e soprattutto una colonna sonora di eccellente suggestione accrescono indubbiamente.

La recitazione è qualitativamente soddisfacente, il cast non delude con una Cate Blanchett credibile nei panni della femme fatale dallo sguardo ambiguo. Per il resto soprattutto estenuanti faccia a faccia, scene corali di singolare staticità e una precisa collocazione all'interno di un filone che ha già al suo attivo titoli noti come LA TALPA; titoli che il suo pubblico lo hanno e vengono impostati secondo le regole del film spionistico di alto livello, senza concessioni allo spettacolo e all'azione per lavorare a un livello più intimistico, affollando i dialoghi di codici e linguaggi apparentemente piuttosto ostici, ricchi di tecnicismi respingenti (glitch?) che più volte viene voglia di restituire al mittente. Per amatori, amanti del sofisticato e pure un po' del fumo negli occhi...

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Ricky Tognazzi e la moglie Simona Izzo (presente anche tra gli sceneggiatori) ricostruiscono gli ultimi tredici anni di vita di Francesca Morvillo (Pantano) e Giovanni Falcone (Reggiani) partendo dal giorno del loro incontro in un ristorante, lui reduce dalla separazione dalla moglie, lei ancora felicemente unita a un uomo con cui condivide l'interesse lavorativo, oltre al letto. Eppure l'attrazione tra i due protagonisti è immediata, lo si capisce (come avrà modo di sottolineare in seguito proprio il marito di Francesca) da come lui guarda lei e da come lei si lascia guardare...Leggi tutto da lui.

La carriera del grande giudice palermitano rimane, per una volta, piuttosto in ombra rispetto all'evoluzione del rapporto tra lui e la donna che ama e che prova per lui un'attrazione irresistibile, arrivando a sposarne in pieno anche il gravoso impegno civile che lo schiera in prima linea contro la mafia, conscio di rischiare quotidianamente la vita. Francesca è magistrato a sua volta, si occupa di minori e di un caso in particolare, che seguiamo fin dall'inizio e che riguarda un ragazzo accusato di aver ucciso il padre. Non parla, né lui né sua madre, benché entrambi sappiano benissimo che il vero colpevole è un altro. Atteggiamento esemplarmente rappresentativo di quella mentalità complice che diventa il terreno ideale per la prosperazione della criminalità organizzata.

Giovanni e Francesca sono uniti - a livelli diversi - in una lotta impari che ha coinvolto l'intero apparato di giustizia siciliano soprattutto in anni (gli Ottanta) in cui Cosa Nostra aveva dichiarato guerra allo Stato, eliminandone fisicamente i più coraggiosi e strenui difensori. Non che non si scandisca il trascorrere degli anni attraverso le date precise degli attentati, come è usanza inevitabile per ogni film che racconti questo particolare periodo storico, ma ciò che i registi puntano a mettere in luce è la grande complicità, tra amore ed emozione, che unì le anime di Giovanni e Francesca, continuamente messa alla prova da eventi funesti che portano il primo a desiderare di allontanarsi dalla seconda per proteggerla ed evitare che possa finire coinvolta in eventuali azioni delittuose compiute ai suoi danni.

La relazione però, che sicuramente visse momenti di grande intensità emotiva, tende talora a spegnersi in una resa poco cinematografica e che ricorre a dialoghi anonimi, tesi a porre l'accento sulla melodrammaticità della situazione. L'escalation di sangue e ferocia non si percepisce in tutta la sua virulenza, è tenuta quasi in secondo piano lasciando che filtri qua e là attraverso i servizi dei telegiornali d'epoca, qualche riunione in ufficio, la collocazione all'interno del suo spazio temporale di attentati che echeggiano in una telefonata, una fredda comunicazione... Anche perché il punto di vista scelto è in primis quello di Francesca, non di Giovanni, inevitabilmente più coinvolto nella lotta.

Conferiscono allora una dimensione precisa al lavoro di Francesca le parti relative al processo del giovane recluso nel carcere minorile (sono purtroppo le più deboli), sganciando ulteriormente il film dai tanti che negli anni hanno dato risalto solo all'attività del suo più celebrato compagno. Così, tuttavia, ci viene parzialmente preclusa la possibilità di calarci nell'estrema drammaticità del momento storico, impedendoci di cogliere la statura vera di Falcone, dipinto come un giudice simile a molti altri quando sappiamo quanto così, per forza di cose, non potesse essere. La dolcezza delle parentesi intime è in ogni caso ben resa da due attori che sanno restituirla con misura e garbo, mentre la regia svelta aiuta a ripercorrere, da una visuale diversa, le tappe di un'avventura che conserva ancor oggi tratti di autentico eroismo.

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Ben poche ambizioni per l'ennesima commedia sul creativo in disgrazia, in questo caso un autore di programmi di successo che ritroviamo con la barba lunga e l'aria disillusa nello studio di una donna che l'ascolta e sembra volerlo spronare. L'uomo si chiama Giancarlo (Giusti) e, benché sembri ancora sorridente, sente di dover spiegare perché non ha più nulla a che spartire con il proprio passato. A colpi di flashback lo rivediamo più giovane, sbarbato e pieno di vita negli studi televisivi dove dirige una squadra di collaboratori fidati, con cui elabora...Leggi tutto le strategie per la trasmissione di cui è a capo, rivolta a un pubblico in età avanzata cui dare in pasto un po' sempre le stesse cose. Tutto sembra procedere per il meglio; ma allora cos'è successo, in seguito?

I problemi sono cominciati quando a Giancarlo è morta nonna, una nonna che non vedeva da decenni. Recatosi per dovere a Zagarolo al funerale, vi incontra solo un lontano cugino, Bernardo (Calabresi), che si spende in affettuosi abbracci ricordando i tempi passati insieme. Non basta: lo strano tipo sale in macchina con lui e gli si piazza in casa, dove anche la moglie (Spada) di Giancarlo non sa bene come trattarlo. Bernardo è un campagnolo rozzo e invadente, fissato con "il rito di nonna" ovvero un procedimento attraverso il quale è in grado di sapere cosa la gente pensa della persona alla quale strappa una ciocca di capelli. Il prescelto è ovviamente Giancarlo, che scoprirà in tal modo cosa dicono di lui (per l'appunto) i colleghi, gli amici (che lui chiamava "veri amici") e anche la moglie; e non sono certo parole dolci... Si rifugerà così nell'amore per una ballerina venticinquenne (Castagnotto), che gli presenterà un gruppo di strani personaggi con cui il protagonista si metterà in testa di rinnovare la trasmissione che dirige. Non si rivelerà una grande idea... In attesa tuttavia di capire cosa abbia cambiato totalmente la vita di Giancarlo, ne ripercorriamo le vicende, con il cugino di campagna cui spetta movimentare un'azione che senza di lui ristagnerebbe.

Calabrese, con accento romano/ciociaro, prova a rivitalizzare un Max Giusti piuttosto spento, costretto dalla sceneggiatura a un ruolo da moderno Scrooge appena più addolcito, pronto ad osservare senza esser visto non il passato e il futuro, ma solo un presente assai triste, in cui scopre che successo e denaro non sono tutto, nella vita. I duetti tra di loro qualcosa sortiscono, soprattutto grazie ai soliti tempi comici perfetti di Calabrese (che se la fila con la domestica orientale sciorinando saggi proverbi di provincia), ma la conduzione di Umberto Riccioni Cartese appare piatta e adagiata su temi e situazioni davvero troppo stravisti. Ci voleva almeno un po' di fantasia in più e la ricerca di qualche buona gag che innervasse una storia che procede incolore: da una parte la moglie accusata di tradire Giancarlo che si dimostra matura e stanca delle sue accuse, dall'altra lui che cerca di contenere l'esuberanza del cugino e di capire come riparare alla carenza d'affetto.

In aggiunta: oltre a un Pupo in qualità di ospite stizzito alla trasmissione (si vede in più occasioni), troviamo un conduttore tv senza spina dorsale e un gruppo di amici stufi di essere presi in giro da chi si guadagna il rispetto solo pagando loro le cene. Una commedia uguale a mille altre che non riesce a trovare nel simpatico Max Giusti il mattatore che riesce ad essere in teatro. Il titolo del film è quello dell'omonima canzone di Cesare Cremonini targata 2008 e che si ascolta in un'unica occasione. Platinette, in versione Mauro Coruzzi, è tra i collaboratori di Giancarlo alla trasmissione, Simona Marchini è la madre che il figlio consulta quando cerca di capire cosa voglia il suo pubblico...

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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