Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Il titolo del film e la presenza di Vincent Price non ingannino lo spettatore. Non si tratta di un horror gotico, benché verso la fine qualcosa in tal senso si veda, quanto un melodrammone a tratti molto noioso, che tende a prendere interesse vero solo quando sulla scena appare la figura del cinico protagonista. Il resto si divide tra schermaglie amorose e il solito castello, solo che stavolta non succede nulla di che. Recitazione di una volta e di una volta lo è anche la pellicola. Oggi appare veramente datata. Guardabile perché il suo perché c'è, ma non riesce a elevarsi mai.
Film molto crudo e cupo, che fa letteralmente a pezzi la Chiesa a tutto tondo, senza darle alcuna speranza e senza salvarne alcuno. È un'importante critica sociale che si occupa di temi scottanti di cui si parla fin troppo poco. La critica è portata avanti concentrandosi sulla questione centrale, senza concedere al film momenti che siano brillanti o che ci distraggano. In questo senso, è innegabile, il film ha un ritmo lento e leggermente soporifero. Ma forse era necessario. Non convince la fotografia in controluce, che a un certo punto finisce per infastidire. Un buon film.
Una giornata qualsiasi di Henry "bel vestito", l'emblema della middle class di un'America che sta cambiando. La sua azienda sembra andare a gonfie vele, ma la liquidità scarseggia. Perché le banche non prestano soldi, favorendo così gli usurai. Deve perciò arrangiarsi per farla sopravvivere. Anche in modi non ortodossi. Lui, reduce dello sbarco di Anzio, vive una realtà priva di sogni e di speranze. Nel mondo degli affari, come nella vita di tutti i giorni. Film riflessivo, interpretato da un Lemmon che fa le prove generali per la maschera drammatica di Missing. Vincendo un Oscar.
Interessante documento sessantottino al 100%, che però mostra sensibilità diverse a seconda del regista di ciascun episodio. Bellocchio ci racconta soprattutto l'ironia con la quale egli stesso vedeva il cinema e il suo impegno politico, Godard anticipa la radicalità delle sue scelte, Lizzani ci mostra una New York diversa dalle solite cartoline e Bellocchio ci dice che per lui teatro e psicanalisi sono particolarmente importanti. Pasolini, come sempre, è il più evangelico, ma il film, nel suo insieme, è molto interessante.
Un uomo si barrica nella sua camera dopo aver compiuto un omicidio. Soggetto da noir giocato invece su toni crepuscolari; Gabin ripercorre la sua vita e le due relazioni raccontate sono delicate. La stranezza è che stavolta è il ruolo dell’uomo, che tende a essere sdolcinato, tra volontà di matrimonio e di volere figli. Piuttosto azzardata, per i tempi, l’inquadratura della Arletty nuda sotto la doccia. Conclusione di cupezza emotiva, girata molto bene.
Con la collaborazione di Brecht, Fritz Lang dirige uno dei film che meglio chiariscono perché il regista sia scappato dalla Germania nazista e cosa temesse del terzo Reich. Un film pieno d'azione e di suspense, ma capace anche di mettere in scena interrogativi morali non banali e dubbi che riguardano come dobbiamo comportarci di fronte al male assoluto. Un thriller, ma anche un saggio non solo di sapere cinematografico.
Larry Cohen ha sempre dimostrato in carriera di saper inventare storie particolarmente originali e insolite (si pensi a BABY KILLER o STUFF - IL GELATO CHE UCCIDE, ma i suoi titoli bislacchi sono tanti), che colpiscono proprio perché, pur affondando le mani nel cinema di genere, sanno plasmarlo evitando di percorrere strade troppo battute. Càpita anche qui, con questo BEST SELLER, in cui al centro sono Dennis Meechum (Dennehy), anomala figura di poliziotto...Leggi tutto scrittore, e tale Cleve (Woods), sicario che mira apertamente a diventare il protagonista del nuovo romanzo del primo. Per farlo, comincia a seguire Dennis in azione (dopo averlo "conosciuto" durante una rapina di quindici anni precedente, nel 1972), salvandogli in qualche modo la vita e permettendogli di catturare l'uomo che questi stava inseguendo.
Dennis sulle prime non capisce cosa quel misterioso individuo voglia da lui, ma va all'appuntamento datogli e lo incontra: Cleve comincia a spiegare quanti uomini lui abbia ucciso, nel corso degli anni, per favorire l'ascesa di David Madlock (Shenar), oggi importante leader di una multinazionale, la Kappa. Delitti in sequenza, i cui articoli su ritagli di giornale Cleve ha tenuto e che Dennis legge, cominciando a capire. D'altronde Cleve non ha alcuna intenzione di tenere segreto nulla: il suo obiettivo è semplicemente vedere pubblicati su un libro (che lui è sicuro diventerà un best seller) le proprie poco edificanti imprese. Dennis si lascia in parte blandire dai seducenti modi di fare di quel personaggio strano ma dalle idee chiare, frequentandolo e ascoltando le sue "lezioni di vita".
Due figure molto diverse, contrapposte: da una parte la semplicità e la correttezza, dall'altra il mellifluo modo di fare di chi ne ha viste tante e non si fa alcun problema a eliminare fisicamente chi tenta di ostacolare il suo disegno. In fondo un killer è un killer, perché mai dovrebbe porsi dei problemi per far cantare la pistola? Madlock, ovviamente, saputo della volontà del suo ex sicario di far pubblicare un romanzo in cui si parla del suo passato facendo nomi e cognomi, cerca di impedirlo, ma fregare Cleve non è da tutti, e nemmeno Dennis ci riesce. Si limita ad ascoltare nel tentativo di entrare in qualche modo nella testa di quello strano individuo, che lui vorrebbe - se potesse - consegnare alla giustizia, anche perché durante la rapina del 1972 uccise spietatamente due suoi amici agenti.
Dei due attori contrapposti il più interessante e carismatico è di gran lunga Woods: è lui la figura grazie alla quale il film trova la sua ragion d'essere; perché Dennehy è un buon attore, certamente, ma è troppo confinato in un ruolo stereotipato, prigioniero di dialoghi in cui funge quasi sempre da spalla (ad eccezione di quelli con la lamentosa figlia). Se però la sceneggiatura ha molte frecce al proprio arco, la regia di John Flynn è al contrario troppo inamidata: anonima nelle scene d'azione, fatica a mantenere ritmi da buon film di genere e zoppica in più parti, con la musica tipicamente Anni Ottanta (a tutto sintetizzatore) di Jay Ferguson che prova a movimentare un po' il tutto. In sostanza sono il copione e Woods a salvare un film altrimenti piuttosto sbiadito, che recupera nel finale ma non sa sfruttare al meglio i punti di forza dello script. Si gioca sulla soglia dell'improbabile, ma lo si fa con competenza e voglia di stravolgere gli schemi precostituiti di un genere troppo spesso uguale a se stesso.
Storia di una mediazione condotta nell'Iraq del 2005 dal generale del Sismi Nicola Calipari (Santamaria). Il suo obiettivo è quello di liberare la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena (Bergamasco), finita nelle mani di militanti in guerra per liberare il loro paese dagli americani che all'epoca l'avevano invaso. Calipari (soprannominato per l'appunto "Il nibbio") arriva in Iraq con l'aereo e prende contatto con i suoi uomini per una missione ancora tutta da spiegare; perché quanto abbiamo appena visto accadrà solo... 28 giorni dopo, come direbbe...Leggi tuttoBoyle. L'azione si ferma, quindi, e retrocediamo di 28 giorni, al momento in cui Giuliana Sgrena viene catturata dagli iracheni e sbattuta nella camera di un appartamento in attesa del da farsi.
Fin da subito le autorità vengono informate della cosa e mettono in movimento Calipari il quale, raggiunto da una telefonata mentre era in auto in direzione vacanze con la famiglia (la moglie è Anna Ferzetti), è costretto a mollare tutto e partire per Baghdad. Il film racconta il difficile lavoro di tessitura con personaggi equivoci, ricattatori, gole profonde che dovranno portare Calipari sulle tracce della Sgrena. Naturalmente si alternano le sue vicissitudini con qualche scena in Italia, dove nelle alte sfere si decide come agire e al Manifesto ci si preoccupa per la fine che potrebbe fare la loro amata collega. Alla famiglia di Calipari invece non viene lasciato troppo spazio, giusto qualche raro scambio qua e là, massimo un paio con i due figli. Perché il focus è in massima parte in Iraq, dove una fotografia dalla forte dominante ocra tinge tutto dei colori caldi della terra e della sabbia.
Ben ricreata l'atmosfera locale, correttamente scritti i dialoghi che con lenta progressione sembrano portare agli sviluppi positivi della mediazione. Nella sua camera chiusa la Sgrena si rende conto di una condizione non certo felice per la quale fatica a immaginare una soluzione che possa riportarla in Italia. Parla in inglese perché quella è la lingua con cui si interfaccia chi è di paese diverso, quindi abbondano inevitabilmente i sottotitoli.
La realizzazione di Alessandro Tonda è valida, solida. Forse non sempre troppo scorrevole ma impostata con perizia, così da infondere la necessaria credibilità alla vicenda, non facile da rendere fruibile anche a un pubblico di non appassionati. Invece si capisce come il lavoro in regia sia intelligentemente studiato per permettere di introdurre un numero di personaggi relativo, lasciando giustamente sullo sfondo chi non riveste ruoli di grande rilievo nella vicenda. Il risultato, insomma, è sufficientemente godibile, diverso da quello che siamo abituati a vedere nel genere, e contribuisce a creare un film a suo modo originale e interessante, non solo da un punto di vista storico.
Commedia surreale che segna il debutto sul grande schermo del giovane Zach Galligan, futura star del blockbuster GREMLINS e qui protagonista assoluto. L’uso del bianco e nero conferisce fin dalle prime scene un’atmosfera straniante e retrò: Adam Beckett (Galligan) si esibisce alla Carnegie Hall al pianoforte davanti a un pubblico numeroso, ma si scopre che lo strumento ha suonato autonomamente! L’umiliazione è inevitabile. In seguito, Adam si ritrova su un treno in Europa, dove incontra un enigmatico architetto...Leggi tutto svedese che gli rivela che quello alla Carnegie Hall era solo un sogno. Incoraggiato a tornare nella sua terra natale per affermarsi artisticamente, il giovane fa ritorno a New York, città ormai trasformata: un terremoto ha devastato l’area e l’Autorità Portuale ha assunto il controllo delle leve del potere.
Disorientato, Adam fallisce un esame artistico – incapace di ritrarre una modella nuda (Van Ravenstein) – e viene assegnato a un lavoro curioso: presidiare da una cabina l’ingresso di un tunnel per segnalare, premendo un pulsante, le auto danneggiate, come gli spiega un collega bizzarro (Aykroyd). In quello stesso luogo incontra nuovamente Mara, la modella tedesca, che lo invita ad assistere a esibizioni eccentriche e lo affascina con i racconti della propria vita. La parentesi sensuale apre la seconda parte del film, in cui Adam incontra per strada un barbone (Rogers) con il quale si dimostra particolarmente gentile e che passerà poco dopo a trovarlo invitandolo in un viaggio grottesco ad esplorare un misterioso mondo sotterraneo. Qui i barboni, guidati da Padre Knickerbocker (Jaffe), sembrano poter dominare chi si muove sul mondo soprastante e spiegano al ragazzo che c'è un solo luogo dove loro non hanno potere: la Luna, dove dovrebbe recarsi per incontrare la sua anima gemella, Eloy (Tom).
Deluso dalla modella scoperta in compagnia di un altro uomo, Adam si imbarca così su un autobus la cui destinazione muta da “Miami Beach” a “Moon”, guidato dal comandante Breughel (Murray). Il veicolo ospita esclusivamente passeggeri anziani, a eccezione del protagonista, e giunge sulla Luna, dove lo scopo della visita dei gruppi di "turisti" diventa chiaro: il consumismo sfrenato e l’acquisto compulsivo in mercati esageratamente forniti. Eloy è lì ad accoglierlo, insieme ad altre ragazze che salutano i visitatori come in uno spot hawaiano, recitando ripetutamente “Welcome to the Moon”: l’idillio tra i due può finalmente sbocciare.
La lunga avventura lunare (tutta a colori, per marcare ancor di più la differenza con la grigia realtà terrestre) è la più azzeccata, anche per la (pur blanda) denuncia della società dei consumi; memorabile l’idea (solo narrata) dei microchip impiantati nei corpi dei passeggeri di ritorno dal nostro satellite che intervengono automaticamente sostituendo la parola “Luna” con “Miami” nelle conversazioni. Meno efficace l'altra parentesi surreale, nei sotterranei di New York, dalle vaghe ambizioni autoriali concretizzate in sterili scene di massa o che richiamano iniziazioni esoteriche.
Un cinema votato a una sorta di ingenuo sperimentalismo reso “cult” dalle presenze di star del “Saturday Night Live” come Murray e Aykroyd (doveva esserci pure John Belushi, ma morì prima delle riprese). Il primo si vede di più, come detto, anche se non ha modo di brillare granché nonostante il sorriso sornione che ogni tanto gli altera l'espressione, il secondo si concede un paio di interventi nella cabina all'entrata del tunnel spiegando in modo esagitato (e divertente) il mestiere a uno sbigottito Galligan. Il resto sono incontri in una New York alternativa di cui sottolineare gli aspetti più “arty” e un'idea distopica della metropoli devastata che è solo accennata, con qualche stacco musicale che accentua l'eccentricità dell'opera e (troppo) lunghe esibizioni del protagonista al piano in teatro. Galligan è piuttosto espressivo, ancorché inevitabilmente immaturo, mentre gli altri gli girano intorno a rotazione lasciando raramente il segno; al contrario del film, talmente bizzarro da colpire.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA