Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Gli Younuts ormai si sono specializzati in pellicole nostalgiche (se con l'estate grossomodo erano riusciti a rispolverare un certo clima anni'80, con la rabbia hanno rischiato seriamente il pubblico ludibrio). In questo caso l'operazione da nostomaniaci pare indecorosa, per la banalità della rappresentazione e perché Lillo mostra qui molti limiti; più che un omaggio a un certo cinema sembra una presa per i fondelli, ma anche quest'ultima andrebbe fatta con un certo stile, vedi il mitico "Fico d'India".
Tratto dall'antologia scritta da Isaac Asimov. Trasposizione cinematografica mediocre, in cui il messaggio dello scrittore americano è trasmesso a tratti. Ovviamente non si può dire che il film non intrattenga, anzi. Adrenalinico e con buoni momenti di azione. Regia di Alex Proyas più che efficace. Will Smith perfetto nel ruolo. Mediocre invece la colonna sonora.
Protagonista di quello che sembra il solito spy movie è la geopolitica, che gira attorno al controllo delle fonti petrolifere. Attraverso storie apparentemente parallele, il pregio del film - non facile da digerire, i personaggi sono tanti e i dialoghi spesso serrati (una visione potrebbe non bastare) – sta nel mostrare come nessuno sia indispensabile: tutti, anche gli innocenti, possono essere sacrificati sull’altare della politica reale, politica dell’ “USA e getta” come già visto, per esempio, in X-files (nell'episodio "Nuove creature"), ma anche in House of cards.
Seppur non privo di difetti, è un notevole e originale vigilante-movie "sociale" in cui si passa dalla classica figura del "giustiziere" solitario alla visione collettiva dei giustizieri di quartiere. Ambiguo e contraddittorio, meno violento della media del genere seppur non privo di scene forti, si muove tra la (timida) denuncia sociale e l'exploitation senza approfondire nessuno dei due ambiti. Resta comunque un perfetto ritratto del degrado metropolitano Usa di fine '70/inizi '80, arricchito da grandi attori quali Skerritt e Kotto nonché da una bella Ost a firma Piccioni.
Tratto dall'omonima opera di Rostand, il cortometraggio di Cohl è diviso in quattro atti e racconta la storia di un gallo borioso e vanitoso che pensa di essere il Re di tutti i galli e le storie dei personaggi che gli ruotano attorno. Per farlo, il regista, utilizza la tecnica dell'animazione in stop-motion con i personaggi che si muovono a scatti e che vanno a comporre quattro momenti differenti della giornata. L'operazione è suggestiva ma è comunque necessario agganciarsi alle didascalie introduttive per comprendere in toto quello che viene proposto. Cohl ha fatto di meglio.
"Pierrot Le Fou" è lettere in libertà in assemblamento cromatico e l'appello di un assente. Pagliaccio, criminale e nomignolo d'uomo: Ferdinard (Griffon) di Jean-Paul Belmondo mantenuto, borghese debosciato e letterato fuorilegge in fuga con l'àmant fàtal, la gangster lady Marianne (Renoir) di Anna Karina insieme verso l'eccitazione suicida dell'avventura ludica del linguaggio deflagrato. Forse il più folle, polisemico, debordante, esagerato, nevrotico, anarchico, complicato, nauseante, languido, esaltante, malato, presuntuoso, distruttivo e geniale film della storia del Cinema.
Qualità e difetti dei film di Dupieux sono quasi sempre gli stessi: all'attivo idee folgoranti, assolutamente geniali, gag improvvise che possono risultare esilaranti; in negativo non può invece non notarsi una pesantezza di fondo che si traduce in lunghe fasi di attesa solo di rado brillantemente affrontate e non si può pensare che la breve durata (anche questa volta non si raggiunge l'ora e venti) risolva il problema.
Qui siamo di fronte all'esasperazione (ma forse nemmeno troppo) dell'effetto metacinematografico: Dupieux sceglie come pretesto l'incontro...Leggi tutto tra un lui (con un amico) e una lei (col padre) rendendo consci loro (ma anche noi) del fatto che stanno recitando e che quindi nei dialoghi s'introducono suggerimenti su come pronunciare le battute, quali parole evitare per non incorrere nel politicamente scorretto e così via. Il film nel film, infatti, sarà nientemeno che il primo diretto da un'Intelligenza Artificiale, col regista ridotto a un avatar che comunica su sfondo bianco dallo schermo del pc. Già questo potrebbe essere un bel colpo di genio, ma il gioco che fa passare i protagonisti da una falsa realtà alla finzione vera e propria all'interno di uno stesso dialogo crea momenti effettivamente piuttosto stranianti.
David (Garrel) è il bel ragazzo che deve incontrare Florence (Seydoux) nonostante non la sopporti. Lei è innamoratissima, lui non la può vedere e per togliersela dalle scatole ha pensato di piazzarla a Willy (Quenard), amico un po' tonto che si fa chiamare Willy convinto che fosse il nome del simpatico ragazzino di IL MIO AMICO ARNOLD (mentre tutti sappiamo che quello è Arnold! Willis è il fratello). Florence, invece, arriverà all'incontro insieme a suo padre (Lindon), borioso attore orgogliosissimo di essere stato appena chiamato per recitare nel nuovo film di Paul Thomas Anderson. L'unico altro personaggio che si aggiunge ai quattro (ma non è una presenza indifferente, visto che è titolare del miglior tormentone del film) è Stéphane (Guillot), comparsa chiamata esclusivamente per servire il vino al ristorante dove siedono i quattro. Lo stress gli impedisce di versare senza spandere (la mano trema incessantemente) e la trovata è gestita nel migliore dei modi a testimonianza del grande spirito comico di Dupieux, che non sbaglia i tempi e sa azzeccare momenti a loro modo memorabili.
Quenard, già protagonista assoluto nel precedente YANNICK, è di nuovo simpaticamente fuori di testa e ha ottimi duetti soprattutto con Lindon, che mal sopporta il suo fare ingenuamente offensivo. Meno esplosiva la coppia "principale" composta da Garrel (poco più di una spalla per Quenard) e dalla Seydoux, cui invece spetterebbe il ruolo più autentico e vario, meno macchiettistico e ponderato. La riflessione sul metacinema non è certo nuova (meno che meno per Dupieux, che ci ha costruito sopra molti dei suoi film) ed è condotta senza trovate particolarmente rivoluzionarie. E' però spesso gustosa, aiutata da una recitazione impeccabile e in alcune parti spassosa. Peccato non aver saputo rendere sapidi anche certi scambi che diventano troppo interlocutori...
La prima riunione intorno a un tavolo dei protagonisti, dopo pochi minuti di film, rende già benissimo l'idea di quello che ci aspetta: nomi e parole che s'incrociano vorticosamente lasciando stupiti per l'assenza di informazioni utili a rendere da subito comprensibile la vicenda. Si assiste impotenti a frasi il cui senso ultimo sfugge, come se il regista ci rendesse noto che non abbiamo ancora a disposizione i mezzi necessari per interpretare correttamente ciò che sta accadendo. E ci vorrà ancora un po', prima che questo avvenga. Poi finalmente emergono tracce...Leggi tutto di una qualche storia, nascoste sotto una cortina fumogena diradabile a fatica.
Il volto impassibile di Michael Fassbender, dietro un paio d'occhiali che lo irrigidiscono ancor più di quanto l'espressione monolitica comunichi, prende apparentemente le redini del gioco insieme a sua moglie Kathryn (Blanchett): deve scoprire l'immancabile talpa che ha fatto trapelare informazioni su un misteriosissimo codice Severus di cui poco o nulla è dato sapere. Sono cinque gli agenti del SIS sui quali si concentrano i sospetti e una, guarda un po', è pure Kathryn. Meacham (Skarsgard) esige da George risultati in tempi brevi e lui allora, passando attraverso una Londra ripresa in suggestivi scorci per nulla cartolineschi, invita i cinque a casa sua per cercare di far luce su un enigma che si fa ancora più complesso nel momento in cui Meacham muore in circostanze sospette (un indizio ben preciso porta a Kathryn, la donna che ama).
C'è da lambiccarsi il cervello, se si vuol venire a capo di qualcosa, e l'impresa più ardua non è quella di George ma dello spettatore, costretto a districarsi all'interno di un labirinto in cui si rischia di perdere con estrema facilità il filo che porta alla soluzione. Sono quei film che si compiacciono della loro inestricabilità, che nella testa degli autori dovrebbe accrescere il fascino dell'operazione ma che invece, in molti casi, spinge a sperare soprattutto in un dialogo chiarificatore, in una una chiave di lettura in grado di dissipare la nebbia che avvolge troppi interrogativi. Lo stimato David Koepp, autore unico della sceneggiatura, pare invece più curarsi di mantenere molte zone d'ombra, di fornire indizi solo accennati, di immergere il film in un'atmosfera carica di mistero che la curata fotografia, le scenografie di grande effetto e soprattutto una colonna sonora di eccellente suggestione accrescono indubbiamente.
La recitazione è qualitativamente soddisfacente, il cast non delude con una Cate Blanchett credibile nei panni della femme fatale dallo sguardo ambiguo. Per il resto soprattutto estenuanti faccia a faccia, scene corali di singolare staticità e una precisa collocazione all'interno di un filone che ha già al suo attivo titoli noti come LA TALPA; titoli che il suo pubblico lo hanno e vengono impostati secondo le regole del film spionistico di alto livello, senza concessioni allo spettacolo e all'azione per lavorare a un livello più intimistico, affollando i dialoghi di codici e linguaggi apparentemente piuttosto ostici, ricchi di tecnicismi respingenti (glitch?) che più volte viene voglia di restituire al mittente. Per amatori, amanti del sofisticato e pure un po' del fumo negli occhi...
Ricky Tognazzi e la moglie Simona Izzo (presente anche tra gli sceneggiatori) ricostruiscono gli ultimi tredici anni di vita di Francesca Morvillo (Pantano) e Giovanni Falcone (Reggiani) partendo dal giorno del loro incontro in un ristorante, lui reduce dalla separazione dalla moglie, lei ancora felicemente unita a un uomo con cui condivide l'interesse lavorativo, oltre al letto. Eppure l'attrazione tra i due protagonisti è immediata, lo si capisce (come avrà modo di sottolineare in seguito proprio il marito di Francesca) da come lui guarda lei e da come lei si lascia guardare...Leggi tutto da lui.
La carriera del grande giudice palermitano rimane, per una volta, piuttosto in ombra rispetto all'evoluzione del rapporto tra lui e la donna che ama e che prova per lui un'attrazione irresistibile, arrivando a sposarne in pieno anche il gravoso impegno civile che lo schiera in prima linea contro la mafia, conscio di rischiare quotidianamente la vita. Francesca è magistrato a sua volta, si occupa di minori e di un caso in particolare, che seguiamo fin dall'inizio e che riguarda un ragazzo accusato di aver ucciso il padre. Non parla, né lui né sua madre, benché entrambi sappiano benissimo che il vero colpevole è un altro. Atteggiamento esemplarmente rappresentativo di quella mentalità complice che diventa il terreno ideale per la prosperazione della criminalità organizzata.
Giovanni e Francesca sono uniti - a livelli diversi - in una lotta impari che ha coinvolto l'intero apparato di giustizia siciliano soprattutto in anni (gli Ottanta) in cui Cosa Nostra aveva dichiarato guerra allo Stato, eliminandone fisicamente i più coraggiosi e strenui difensori. Non che non si scandisca il trascorrere degli anni attraverso le date precise degli attentati, come è usanza inevitabile per ogni film che racconti questo particolare periodo storico, ma ciò che i registi puntano a mettere in luce è la grande complicità, tra amore ed emozione, che unì le anime di Giovanni e Francesca, continuamente messa alla prova da eventi funesti che portano il primo a desiderare di allontanarsi dalla seconda per proteggerla ed evitare che possa finire coinvolta in eventuali azioni delittuose compiute ai suoi danni.
La relazione però, che sicuramente visse momenti di grande intensità emotiva, tende talora a spegnersi in una resa poco cinematografica e che ricorre a dialoghi anonimi, tesi a porre l'accento sulla melodrammaticità della situazione. L'escalation di sangue e ferocia non si percepisce in tutta la sua virulenza, è tenuta quasi in secondo piano lasciando che filtri qua e là attraverso i servizi dei telegiornali d'epoca, qualche riunione in ufficio, la collocazione all'interno del suo spazio temporale di attentati che echeggiano in una telefonata, una fredda comunicazione... Anche perché il punto di vista scelto è in primis quello di Francesca, non di Giovanni, inevitabilmente più coinvolto nella lotta.
Conferiscono allora una dimensione precisa al lavoro di Francesca le parti relative al processo del giovane recluso nel carcere minorile (sono purtroppo le più deboli), sganciando ulteriormente il film dai tanti che negli anni hanno dato risalto solo all'attività del suo più celebrato compagno. Così, tuttavia, ci viene parzialmente preclusa la possibilità di calarci nell'estrema drammaticità del momento storico, impedendoci di cogliere la statura vera di Falcone, dipinto come un giudice simile a molti altri quando sappiamo quanto così, per forza di cose, non potesse essere. La dolcezza delle parentesi intime è in ogni caso ben resa da due attori che sanno restituirla con misura e garbo, mentre la regia svelta aiuta a ripercorrere, da una visuale diversa, le tappe di un'avventura che conserva ancor oggi tratti di autentico eroismo.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA