Non esistono finora differenze sostanziali tra i film di Checco Zalone: la qualità delle gag (se naturalmente non risulta indigesta la formula) rimane pressoché inalterata. Cambiano gli scenari, i personaggi, ma il protagonista resta sempre talmente uguale a se stesso - nei comportamenti, negli atteggiamenti, nelle espressioni - che consideratane l'assoluta centralità all'interno di ogni storia è difficile restarne delusi. Anche perché si capisce il lavoro che sta dietro alle sceneggiature: semplici quanto si vuole, becere nell'approccio, spesso sgraziate nella loro scorrettezza ma ricche di quella paradossale ingenuità maliziosa che è la...Leggi tutto chiave dell'unicità di Zalone e che si identifica alla perfezione col personaggio. Qui c'è una punta di satira in più che prende di mira grossolanamente gli statali del "posto fisso", quelli per cui il lavoro in Regione o in Provincia è l'obiettivo di una vita: raggiuntolo ci si è garantiti la serenità fino alla pensione e bisogna mantenerlo ad ogni costo, a fronte di proposte in apparenza più allettanti. E' questo ciò che il vecchio politico della Prima Repubblica (Banfi) raccomanda a Zalone: piuttosto accettare di farsi trasferire ma abbandonare il posto mai, per nessun motivo. Così il nostro (anti)eroe, coccolato dai genitori con cui ancora vive a 38 anni, vezzeggiato dalla fidanzata e dalla di lei famiglia, lascia l'Italia per finire in una cittadina norvegese tra i ghiacci, dove si prospettano giorni terribili. A sorpresa invece vi incontrerà una bella ricercatrice (Giovanardi) che non solo lo porterà a conoscere l'amore vero (la fidanzata "ufficiale" non viene rimpianta per un solo secondo) ma anche un nuovo sentimento di civiltà a lui del tutto sconosciuto. Mentre il film agisce come sempre sui luoghi comuni Checco incomincerà a rispettare le file, a non suonare il clacson a chi non passa subito quando scatta il verde, a non consumarsi nella gelosia. Un mondo nuovo in cui dilettarsi nel vecchio gioco dei contrasti tra società diverse, che al cinema - specialmente quando si tratta di commedie - funziona sempre. Poi improvvisa la nostalgia, che scatta quando la tv mostra Sanremo 2015 col ritorno della coppia Al Bano & Romina ("si sono riuniti e io non ne sapevo niente!")... L'inedita varietà di paesaggi giova (il film è raccontato in lunghi flashback da uno Zalone catturato da una tribù africana), la qualità delle battute è ancora mediamente superiore alla norma e Checco un comico talentuoso quanto "diverso". In poche parole si ride, al solito svagatamente ma con la sensazione che di commedie così argutamente costruite in Italia ce ne siano sempre meno. Intelligente il recupero di Micheli nel ruolo del padre e del citato Banfi, entrambi a loro agio anche in una commedia dai toni differenti rispetto a quelli cui sono abituati, un po' troppo sopra le righe Sonia Bergamasco come nemica giurata di Zalone. Gli intermezzi africani sono chiaramente escogitati per poter inserire la prevedibile voce off.
Come sono lontani i tempi in cui Zalone si esibiva cantando le sue odi prosaico-triviali al ritmo di un pianoforte. Oramai ha ripiegato sul politicamente corretto pur di accattivarsi maggiori consensi, un po' come se a Alvaro Vitali, ai tempi dei suoi "Pierini", avessero messo un silenziatore sul deretano. Ciò che ne vien fuori è un filmettino che non osa se non la prolissa ostentazione delle manie che assillano l'italiano, lavoro sicuro in primis. Pochi acuti, qualche risata ma resta l'amaro in bocca. Ottima, invece, Sonia Bergamasco.
Checco Zalone continua a ripetere il suo cliché con battute spesso divertenti e che vanno dritte al bersaglio. Stavolta mette efficacemente alla berlina i luoghi comuni sul "posto fisso", ma la pellicola appare meno effervescente del solito. Tra le note liete la presenza, seppur stillata, di Maurizio Micheli e Lino Banfi. Perfidamente simpatica Sonia Bergamasco e piacevole presenza quella di Eleonora Giovanardi. Buona la colonna sonora con omaggi ad Albano e Romina e a Celentano.
Satira sul mondo dei dipendenti pubblici corrotti e nullafacenti di cui tanto si sente parlare in televisione, contrappone la rozzezza degli italiani con la civiltà degli scandinavi. Zalone è uno di questi "parassiti" disposto a tutto pur di mantenere il posto fisso; spedito in Norvegia troverà l'amore e qui comincerà la sua trasformazione. Il film è un insieme di gag alcune divertenti e altre no; pur non essendo nulla di che è sicuramente un gradino superiore alla maggior parte delle commedie italiane che girano ultimamente.
MEMORABILE: Il presidente Mattarella che mangia le foche.
La nota satira di Zalone continua a convincere e, a giudicare dalle risate di una sala strapiena, c'è speranza ancora per il futuro; insomma, al quarto film il comico pugliese non è più fenomeno del momento bensì parte di quei piccoli-grandi geni della risata all'italiana (in un momento in cui ce n'è penuria). Stavolta mi pare di avvertire maggior cura nella sceneggiatura e un'inaspettata ricchezza anche nelle location (internazionali) e, forse per la prima volta con lui, la rivelazione di un'eccellente coprotagonista (Giovanardi).
Checco Zalone ancora una volta riesce, con l'aiuto del "solito" Gennaro Nunziante, a confezionare una commedia gradevole, lontana da facili volgarità, che riesce a divertire pur senza far gridare al miracolo. Rispetto ai precedenti lavori del comico pugliese qui le location sono più internazionali, ma quello che viene dipinto è sempre il ritratto del popolo italiano, con i suoi pregi e difetti. Il film si snoda leggero tra situazioni e sketch, alcune volte riuscite altre volte meno, unite tra loro dalla simpatia del protagonista.
Il solito grande Checco Zalone che, piaccia o non piaccia, è fra i migliori comici italiani degli ultimi anni: quarto successo consecutivo dietro al grande schermo. Questa volta realizza a modo suo una satira di diversi malcostumi italiani (su tutti l'idea del posto fisso nelle pubbliche amministrazioni...) costruendo un film omogeneo ove una trama tutto sommato ben costruita e con pochi intoppi si alterna alle sue gag. Nel cast c'è anche il grande Lino Banfi.
MEMORABILE: Checco da bambino; Checco insulta un ristoratore per come ha cucinato la pasta.
Leggera commediola comica di Zalone che questa volta prende come tema l'egoismo e quell'"amore" tipicamente italico per il posto fisso. Belle le scene girate al Polo Nord e discreti i comprimari. Si ride senza volgarità e parolacce. Piccola comparsata anche per uno stanco e poco comico Lino Banfi. Di rito il lieto finale e il finale "buonista".
Una buona commedia che secondo me segna il salto di qualità di Zalone: ogni tipo di volgarità è infatti escluso ed è un'ottima cosa. La trama è buona ed è piacevole la parte dove si ironizza sugli statali fannulloni e i mammoni (categorie di cui Zalone fa parte). Buone anche le protagoniste femminili e le gag sono quasi sempre molto divertenti (soprattutto nella prima parte). La regia di Nunziante è più che discreta e ne fa una commedia migliore rispetto a molte altre nel panorama italiano.
MEMORABILE: Zalone che, entrando nell'ufficio, si dirige subito verso l'uomo non sapendo che in verità è il segretario della "tenace" dottoressa.
Non la classica commedia all'italiana alla quale si era rimasti assuefatti. Una piccola ventata di freschezza si avverte in un plot non eccessivamente banale e che rispecchia comunque parte della società odierna. Un condimento di gag ben riuscite non guasta affatto per un film che merita sicuramente una visione.
MEMORABILE: La dottoressa e gli assegni di liquidazione.
Zalone non tradisce. E' una delle poche costanti in un mondo che punta decisamente verso il basso. Non pretende di fare morali, non fa finta di realizzare un film solo perché nel periodo natalizio al cinema ci vanno anche le masse. E' dannatamente naturale, leggero e para..."vento". Ti prende in giro davanti, non dietro. E il risultato è onesto come lui. Si sorride, il tempo passa; e alla fine si è anche soddisfatti. Nel suo genere Zaloniano, riuscito. P.S. Nota di merito per il disabile che urla "Grazie mamma!" appena saputo che manterrà il suo posto fisso.
MEMORABILE: La resistenza per il fisso; Zalone civilizzato e Zalone che torna alle origini (Albano e Romina gli aprono gli occhi);"I felini sono merendivori".
Ancora una "mossa" intelligente di Checco Zalone, che non abbandona né cambia il suo cliché per cercare di stupire a tutti i costi. Procede con una semplicità evidentemente studiata e, attraverso passaggi piuttosto piani, come le riforme (in questo caso delle Provincie) ne approfitta per scorrazzare dall'Africa al nord Europa; fa in modo che si ammiri e abbracci la compostezza sociale norvegese ma, alla fine, si consideri la bontà dello stile di vita italiano (soprattutto quello del sud), facendo diventare virtù i nostri vizi.
Il re degli incassi presenta questa nuova pellicola incentrata sulla figura del posto fisso e su tutte le varie sfaccettature che tutto ciò comporta. Nuovo one man show di Zalone che cambia location e regala le solite, divertenti e simpatiche battute. Tutto all'insegna della semplicità e della quasi assenza di volgarità gratuite; si sorride ma in fondo in fondo allo stesso tempo si riflette. Cast di contorno appropriato, in special modo la Bergamasco.
La formula è vincente e funziona. Il quarto film della coppia Zalone/Nunziante è l'ennesimo successo di pubblico ed è meritato, perché i due riescono a proporre qualcosa di molto divertente in modo intelligente, non volgare e quasi mai prevedibile. E' una commedia sull'Italia e gli italiani che fa ridere parecchio e pure fa riflettere sui problemi e vizi tipici del nostro paese. Bravi tutti gli interpreti, non solo il protagonista, questa volta più controllato e meno irriverente del solito.
Ancora una volta manca completamente una vera storia e ci si accontenta di mettere insieme una serie di variazioni e siparietti su un unico tema appiccicati grazie al flashback, la voce fuori campo e qualche musichetta di repertorio. Manca la cattiveria vera, la fustigazione dei costumi, la satira. La regia di Nunziante, ormai giunta al quarto film, continua a limitarsi a tenere al centro dell'inquadratura il suo protagonista. Gli unici guizzi li regala Lino Banfi.
MEMORABILE: Checco che sente nostalgia dell'Italia con il concerto di Al Bano e Romina.
Solitamente non amo frequentare le commedie italiche, specie quelle dell'ultimo trentennio, ma il film di Zalone piace perché il Checco nazionale riesce a mettersi in rapporto con lo spettatore in modo immediato, senza fronzoli. Qualche volgarità c'è, ma di quelle che proprio "vanno dette". Il ritratto dell'italiano medio è calzante e, forse, solo quelli che ci si vedono dipinti troppo bene lo disprezzerano. Brave la Giovanardi e la Bergamasco ma soprattutto Micheli (padre molto simile al figlio) e Banfi (vecchio trombone che la sa lunga).
Filmetto che rispecchia l'attuale stagnazione della commedia all'italiana. Anche qui si spinge l'acceleratore al massimo sul politicamente corretto e sul buonismo esasperato... poi le risate non mancano, ma a volte si esagera. Lo Zalone degli esordi risulta ben lontano. Si salvano le location internazionali e qualche buona performance tipo quella della Bergamasco e dei marpioni Banfi e Micheli.
Sorta di Celentano 2.0 (e infatti apprezzato dal "molleggiato" nazionale), al netto di incassi stratosferici ed esagerati, Zalone migliora rispetto al suo (scarso) film precedente e realizza una pellicola più strutturata e con una storia divertente che ironizza sulla favola del posto fisso italico. Il film è più riuscito nella prima parte (dove l'ironia è più affilata) che nella seconda dove "pesa" maggiormente l'elemento sentimentale, ma nel complesso il film è gradevole, non volgare e recitato (anche dai comprimari) meglio dei precedenti.
Commedia che si regge più sulla canzone tormentone che sulla comicità di Checco Zalone. Sì, "La prima Repubblica", dove Zalone imita Celentano, è la bella boccata d'aria di un film sopravvalutato. Certo, il tema del posto fisso è interessante, come le location che diventano internazionali, ma se si deve ridere per le crisi isteriche di una donna che manda Zalone persino al polo nord, pur di sbarazzarsene, allora non ci siamo (anche se quando prova a portarselo a letto...). Maurizio Micheli riesumato per nulla, cameo insipido di Lino Banfi.
Torna il Re Mida del moderno cinema (?) italiano e si rivede il terremoto mediatico e di incassi che da anni accompagna il comico pugliese. Filmicamente parlando subito si crea un'autofagocitazione assoluta di qualsiasi tempo cinematografico e strutturale. Niente più che una mitraglia: non tutte riuscite, piazzate come facendo un continuo zapping televisivo e servite dalla verve di Zalone. Eppure il divertimento non manca e grattando la vernice ci si trova a ragionare, magari non di fino ma efficacemente sulle pene di un'Italia piccola piccola.
Buffo menestrello del Bel Paese che fu, tra devozione del posto fisso e predilezione del calore di una famiglia solida e unita, Checco Zalone, al tempo della globalizzazione, guarda oltre i confini nazionali e scopre il ghiaccio dei rapporti sentimentali occasionali e il caos della famiglia allargata. Comico della parola più che della fisicità, Zalone, tra candore e furbizia e senza la boria di un regista di regime, interpreta un film che incontra la realtà e la fa lievitare in modo lieve e sorridente. Trama meditata, gag a raffica, finale nobilissimo.
Divertente commedia dagli incassi stratosferici ed esagerati in cui la ricetta non cambia di molto rispetto ai film precedenti. Va comunque riconosciuta al film di Zalone la capacità di descrivere vizi e virtù degli italiani in maniera garbata e senza volgarità. Interessante la scena nostalgica sulle note di Albano e Romina e una rivelazione la Giovanardi, brava e bella.
MEMORABILE: Zalone fermo al semaforo suona il clacson e... sorpresa sorpresa.
Come argomenti Zalone non ha proprio nulla di nuovo da dire: i noti pregi e difetti dell'italiano furbastro, familista, approfittatore, mammone, latin-lover, creativo e di buon cuore e rapidi sguardi all'attualità (società multietnica, copie di fatto e unioni gay). Lo sforzo qualitativo si ravvisa nella forma, quella di una commedia vivace, leggerisima e recitata in modo deciso dallo spigliato attore-sceneggiatore e da colleghi ben diretti come la Bergamasco, fredda donna in carriera, la dolce rivelazione Giovanardi e gli ospiti d'onore Micheli e Banfi.
MEMORABILE: Gli scontri Zalone-Bergamasco; il racconto alla tribù africana.
Stavolta Il Zalone pigliatutto, tra molti sorrisi e qualche risata di pancia, mi ha convinto più che in altre occasioni. Il gradimento non è uniforme (la parte africana viene presto a stancare, il reboot di Celentano è inutile) ma le trovate sono causticamente satiriche e mai volgari e la cura di location, musiche e sceneggiatura, palese sin dalle prime immagini, dà un taglio sicuramente convincente all'intera opera. Molto brave le attrici, Micheli e Banfi (soprattutto...) un po’ pesci fuor d’acqua. Incassi meritati, forse non giustificati.
Il solito Zalone, ma che almeno cerca di rinnovare il suo personaggio ignorante in favore di una scaltrezza maggiore. Spesso si ride e il protagonista è in gran forma; peccato che la trama cambi troppe location e la regia non riesca a rendere coeso il tutto, così che alla fine sembra di assistere a una serie di sketch. Comunque la satira funziona e anche i comprimari sono ben scelti (su tutti Micheli), inoltre non ci si annoia mai anche per la breve durata. Senza pretese.
Zalone al quarto film si internazionalizza, mettendo a confronto i vizi italici, in particolare l'ossessione per il posto fisso e le tutele assistenziali, con i modelli sociali stranieri più evoluti e civili, come quello norvegese. Complessivamente il film è divertente e acuto, probabilmente il migliore di Zalone finora. La parte ambientata in Norvegia è forse quella più riuscita, mentre la tribù africana poteva anche risparmiarcela. Convincenti anche le prove della Giovanardi e della Bergamasco.
Questa volta l'ironia dissacrante di Checco cerca di fare a pezzi tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili legati al posto di lavoro fisso. Devo dire che rispetto alle opere precedenti un passo in avanti è stato fatto, perché i momenti comici non sono solamente legati ai classici strafalcioni che farebbero inorridire qualsiasi membro dell'Accademia della Crusca, ma attingono anche a un repertorio più classico della commedia. Bene così.
Cambio di direzione per la comicità di Zalone, che lascia da parte le storpiature linguistiche per concentrarsi sulla critica sociale e in parte ambientale (anche la recitazione diventa più seriosa). Qualche buona battuta evitando la grossolanità e uno sguardo ai difetti dell’italiano in trasferta per far riflettere sorridendo ma lasciando uno spazio ai buoni sentimenti. Stesso approccio anche per le musiche, dove il verso al Celentano civile sembra azzeccato. Poca alchimia tra lui e la Giovanardi.
MEMORABILE: Il cinghiale come tredicesima; Da bambino a battere il timbro; Il periodo equino.
Zalone, che sta sfruttando alla grande il suo momento d'oro, si veste questa volta da statale. La storia nella prima parte colpisce maggiormente nel segno (sia chiaro senza inventare niente che già non si sapessimo), ma nel prosieguo perde smalto. La parentesi semi-polare ha qualche buon momento, su tutti i colpi di clacson e le file, ma l'amore un po' annacqua il resto delle gag. Il finale è dolce come ci si aspettava, ma in linea con una buona sensazione di leggerezza. Mediocremente gradevole.
Commedia sconnessa ma divertente, che getta alla rinfusa tutti i possibili tipi di satira sull'Italia in crisi, tra posto fisso (curiosa la breve parentesi polare, forse memore del bel Sottozero), campanilismo, corruzione, razzismo e chi più ne ha più ne metta. Il ritmo non si arresta un secondo, la mdp azzarda qualche movimento e le risate non mancano (forse per la legge dei grandi numeri, vista la quantità di gag - anche volgari, come con la cinepanettonata dell'orso polare), anche se Zalone lo si preferisce quando evita smorfie o idiozie.
Insieme al suo film d'esordio, questo è il migliore fra quelli interpretati da Checco Zalone! Gag veloci, divertenti, con un ritmo davvero serrato. Molto piacevoli le ambientazioni, spettacolare tutta la parte del suo cambiamento in "persona civile", che decade più tardi come una sorta di crisi d'astinenza. Simpatica la comprimaria che fa da spalla al protagonista, così come la dottoressa Sironi, degno villain di tutto il film. L'unica nota stonata l'ho avvertita nella scena dello spermiogramma, che ho trovato alquanto becera.
MEMORABILE: Checco insegna a simulare i falli in area di rigore; Il clacson al semaforo; La ricetta della pasta al ristorante italiano.
Con una trama più equilibrata e maggiore coraggio, ci poteva quasi scappare il capolavoro. Zalone invece si accontenta della solita commedia nazional-popolare, mettendo alla berlina noti vizi e virtù dell'italiano medio, divertendo ma senza mai "pungere" davvero lo spettatore. Ad abbassare il livello c'è anche qualche caduta di stile (su tutte la canzoncina stile Celentano, inascoltabile e male incollata). Comunque nel complesso un film piacevole e un buon ritratto dell'Italia, il paese dell'immobilismo per antonomasia.
Giochiamo sempre sulla caricaturizzazione sociale e sulla sfrontataggine del personaggio ma la scrittura è migliorata, le gag più diluite e montate con bravura: insomma un'impalcatura più solida e meditata regge meglio il "peso" del comico. In sottofondo una critica al costume italiano sì cerchiobottista e inevitabilmente qualunquista ma capace di stilettate non banali verso la gestione della res publica e il provincialismo italiano. Simpatica la varietà delle tante figure di contorno, ordinaria la Giovanardi.
Zalone continua nella sua fortunata serie di film che per ora riescono a tenere il passo, collezionando incassi notevoli nonché favori di pubblico e critica. La maschera dell'italiano medio, cinico, opportunista e fondamentalmente ignorante, continua a funzionare e in questo film il respiro internazionale (dall'Africa alla Norvegia) aiuta ancora di più l'export di una divertente (e inquietante) italianità tutta da ridere.
Riuscita commedia di Zalone che spinge ancor di più sulla satira dell'Italia e degli italiani: corruzione, mafia, inquinamento, razzismo, i disastri della Prima Repubblica. Gag e battute a raffica dall'inizio alla fine. Questa volta si moltiplicano le location dando al film un respiro più internazionale. Ottimi gli interpreti tra cui Bruschetta, la Giovanardi, la Bergamasco e i redivivi Micheli e Banfi.
MEMORABILE: Zalone ha nostalgia dell'Italia guardando Al Bano & Romina Power in tv!
Epopea internazionale dell'impiegato statale italico, impersonato dal sempre simpatico Zalone che spero di vedere prima o poi in un film con qualche ambizione in più. Anche questo è un collage di luoghi comuni e scenette risapute, che fanno sorridere ma non molto di più. La volgarità è sotto controllo (tranne per le scene con l'orso e il rinoceronte, di cui si sarebbe potuto fare a meno). Storia, personaggi, tutto di carta velina, un innocuo passatempo.
Al quarto impegno l'accoppiata Nunziante-Zalone prova a proporre una sorta di satira che colpisce gli impiegati pubblici e tutti i luoghi comuni connessi. Ma il genere non è nelle loro corde finendo così col fare un prodotto meno che mediocre dove Zalone continua a consumare le solite, imbarazzanti gag che propone ormai da un decennio. Sdoganato dal grande pubblico, non si fa problemi a inserire nel contesto battute razziste, sessiste. Ma se fa cassa vuol dire che ha ragione lui. Resto del cast non pervenuto.
A differenza dei suoi film precedenti, Zalone inserisce tematiche sociali molto forti, come la necessità di ottenere, spesso grazie ad aiuti poco nitidi, il posto fisso e a difenderlo strenuamente. Si ride a crepapelle, debbo ammetterlo, specialmente nella prima ora, quando il Nostro è costretto a girovagare per il mondo pur di non cedere al ricatto delle dimissioni; meno nella seconda parte, ma nel complesso è un film divertentissimo. Successo italiano enorme.
Non c'è tanta novità in questa commedia tipica zaloniana. Il personaggio è sempre lo stesso, ma cambiano le situazioni; forse a variare un po' è la credibilità del protagonista, che risulta più reale nel rapporto con le donne che incontra. Ci sono un paio di gag che fanno ridere e divertono, ma in sostanza il succo del film non è eccezionale nella sua composizione totale. Una buona Sonia Bergamasco regge bene il personaggio, primo antagonista, oppositore di un Checco, come al solito imbarazzante e quasi ridicolo (come personaggio).
Si ha la netta impressione che Zalone proponga più o meno lo stesso stile di comicità (ha ragione lui, evidentemente, visto gli incassi) e di conseguenza lo stesso film. La sensazione di già visto non inficia del tutto lo spettacolo che alterna momenti più riusciti ad altri che non sanno colpire. Il difetto peggiore è che proprio non diverte e ci si limita a qualche sporadico sorriso. Paradossalmente tende a funzionare di più il lato nostalgico e drammatico (la fine del sogno norvegese e il richiamo della patria). Resto del cast alquanto anonimo (per non dire non pervenuto).
MEMORABILE: La famiglia allargata; Il corso di lingua; Le chiamate con Banfi.
Carrellata quasi insostenibile di tutti i luoghi comuni relativi al posto fisso e al mammismo in cui Checco Zalone si tuffa come al suo solito: tante risate ma anche rischio di indigestione; a tal proposito la parentesi nordica accumula a sua volta troppi stereotipi in positivo ed errori (i figli di lei che parlano inglese e italiano con accento milanese!); per fortuna come antagonista troviamo l'adorabile Sonia Bergamasco, mentre Banfi non incide. Occhio alla microcitazione de La grande bellezza!
MEMORABILE: Checco crolla davanti alla fontana dell'acqua Paola come il turista giapponese; Albano e Romina insieme e quel che ne consegue.
Commedia divertente in cui il protagonista, radicato alla sua terra e al posto fisso, coglie con una satira gustosa gli anacronismi che fanno stagnare la parte peggiore del nostro Paese in una sorta di provincialismo culturale. Il film mescola stelle e stalle in una trama leggera che dà modo al protagonista di piazzare battute fulminanti che strappano risate convinte. Regia curata e buon cast di contorno per una maschera che entra a pieno titolo fra le migliori del nostro cinema. Delizioso!
Zalone, se non altro, dimostra intelligenza e un certo garbo. Il contrasto fra i vizi della maschera italica, retrograda e tradizionalista e la "civiltà" europea del politicamente corretto strappa qualche sorriso, al netto di luoghi comuni (i nordici tristanzuoli) e stoccate all'acqua di rose (il ministro Magnu). Simpatico il segmento sul rigurgito nostalgico (la commozione di fronte all'auto in doppia fila o alla reunion Albano-Romina). Di regia e recitazione manco si parla, ovviamente.
Film deludente con storia scontata e priva di emozioni. Qualche battuta simpatica ma le aspettative non sono state mantenute. Buona la sceneggiatura e incantevoli le location. Lino Banfi in giusta dose partecipa alle sorti di questa avventura infondendo serenità e fiducia al personaggio di Zalone. Un pizzico di realismo in più avrebbe giovato alla sceneggiatura.
I primi quarantacinque minuti stupiscono positivamente per ritmo, trovate, montaggio e via dicendo. Dopo la parte con i genitori in Norvegia, purtroppo, il film nella seconda metà cala vistosamente, batte strade troppo risapute o eccessive, per cui assai meno divertenti, solo con qualche sporadico ritorno di interesse. Bruttina la cornice africana. Zalone si ripete, ma bene, mentre il resto del cast, ad eccezione di Micheli e della Bergamasco, è poco incisivo, Giovanardi compresa. Affiora, qua e là, l'inutile volgarità.
Apprezzabile questo quarto film dell'accoppiata Nunziante/Medici per la sua comicità garbata. Si scherza su pregi e difetti degli italiani senza eccedere in stereotipi beceri e senza scadere nel grossolano. Ottima la prestazione di Lino Banfi nei panni del senatore Binetto, impagabile la vicenda che fa da cornice all'intero film e il giudizio finale dello sciamano.
Ragioni di un fenomeno mediatico e commerciale con pochissimi precedenti: per quale arcano motivo gli italiani vanno a vedere e celebrare in massa una commedia che li rovescia come dei calzini e mette (efficacemente) alla berlina le loro abitudini più odiose e recondite? Forse perché guardarsi allo specchio dà l'illusione di puntare il dito e ridere di un altro da sé. Un'operazione assai più intelligente (e riuscita) di quanto forse si sarebbe potuto preventivare. Missione compiuta.
Al quarto film in cui interpreta se stesso, Zalone mostra un po' la corda: che sia talentuoso si è capito, che la sua comicità sia anche intelligente pure, ma questa storiellina su uno dei più coriacei sogni dell'uomo medio, il posto fisso, lascia un po' il tempo che trova. Pur ben comprendendo che i luoghi comuni sono mostrati per essere messi alla berlina, qui forse ce ne sono un po' troppi e, oltretutto, sono sempre gli stessi: impiegati, italiani all'estero, civiltà nordiche e inciviltà latine. Non che non si rida ma lo si fa quasi in automatico.
Checco Zalone affronta un tema delicato come il lavoro (in particolare modo la raccomandazione) come (forse) solo lui sa fare al giorno d'oggi. Non è niente di eccezionale, intendiamoci, ma almeno ci si diverte, nonostante non ci siano scene che rimarranno indelebili nella memoria dello spettatore. Lino Banfi e Maurizio Micheli si apprezzano per come fanno da "spalla" al protagonista.
Niente di nuovo, per questo funziona. Ormai vedere un film di Zalone è come vedere una serie tv: cambiano i contorni ma di fatto si prospetta una nuova avventura dello stesso personaggio (carismatico), un protagonista che funziona sempre per la sua comicità genuina e il suo stile (per nulla preoccupato del retaggio che si trascina dietro), per le battute fatte con i giusti tempi comici. In questo caso poi l'umorismo si muove sulle differenze culturali (un italiano in Norvegia). Buon ritmo, ma la cornice africana e in generale la seconda parte arrancano faticosamente.
Partendo da una satira mordace sul mito del posto fisso, Zalone tocca anche, con risultati meno felici, il tema dell’italiano all’estero. Per quanto avrebbe potuto graffiare di più, evitando divagazioni e concessioni ai buoni sentimenti, va riconosciuto al comico pugliese il merito di essere sempre sul pezzo e di piazzare una messe di battute puntuali e politicamente scorrette, aiutato anche da un cast più che accettabile in cui spicca la perfida, anche se a tratti caricaturale, Bergamasco. Banfi e Micheli hanno visto tempi migliori, ma appaiono tutt’altro che in disarmo.
MEMORABILE: Le quaglie; “Un invalido in famiglia serve sempre”; “In un Paese civile è la femmina che va di lingua”; “La prima repubblica non si scorda mai”.
Sempre il solito Zalone, che questa volta esalta/ironizza sulla figura dello statale, quello che brama il posto fisso cercando di acchiapparlo come da bimbi si faceva sulle giostre con la coda del cavallino. Senza più lasciarlo. La formula è sempre la stessa e non ci si capacita di un simile successo. Zalone però almeno è furbo e si fa affiancare da due cavalli di razza che sono poi gli unici a strappar risate: Banfi becero a livelli massimi e un Micheli un po' meno volgare di Lino sono gli unici ad evitare il monopallino. Però che pochezza...
La prima parte fa ridere, eccome se fa ridere. C'è un buon ritmo e le situazioni divertenti si susseguono l'una all'altra. Peccato che nella seconda parte tutto diventi estremamente prevedibile - per la verità l'epilogo è scontato sin da quando si palesa sullo schermo la Giovanardi, ma ci può stare - e quanto di buono visto sin lì, si disperda, seppure solo parzialmente. Si arriva comunque alla fine senza problemi ma va detto che il finale buonista e conformista si rivela piuttosto "sconcertante". Zalone mattatore ma gran parte del cast tiene botta e ha la faccia giusta.
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Hai centrato perfettamente il problema, Neapolis… Lo scricchiolio delle buste e il crocchiare dei popcorn mi danno un fastidio enorme durante la visione del film…Ci dovrebbe essere silenzio quasi assoluto in sala in quei momenti, invece….
Ma gli esercenti delle sale cinematografiche guadagnano molto con la vendita dei dolciumi …Quando è possibile, meglio andare al cinema nei giorni feriali quando non c’è calca.
Ancora?? Caspita io gli davo 55 come massimo se è arrivato a 59 come mostra anche mymovies può arrivare anche a 65 certo. Comunque deve andare via prima che parti Carlo se no gli ruba spettatori.
Incassi quasi definitivi, ormai, per Quo Vado? € 65.070.960 per 9.311.883 spettatori al 14 febbraio 2016.
Dati Cinetel.
Considerando che, nel conteggio, manca il monitoraggio del 7% del mercato italiano, il traguardo dei 70 milioni di euro per 10 milioni di spettatori è praticamente raggiunto per il film di Zalone.
Negli ultimi 30 anni solo il film Titanic ha staccato più biglietti per un totale di 13.700 milioni di spettatori mentre l'incasso totale di Avatar "è fermo" a 65.600.000 euro.
RITENGO INUTILE AGGIUNGERE ALTRE CONSIDERAZIONI, I DATI PARLANO DA SOLI.
DiscussioneAlex75 • 24/06/21 13:43 Call center Davinotti - 710 interventi
Graf ebbe a dire:
Hai centrato perfettamente il problema, Neapolis… Lo scricchiolio delle buste e il crocchiare dei popcorn mi danno un fastidio enorme durante la visione del film…Ci dovrebbe essere silenzio quasi assoluto in sala in quei momenti, invece…. Ma gli esercenti delle sale cinematografiche guadagnano molto con la vendita dei dolciumi …Quando è possibile, meglio andare al cinema nei giorni feriali quando non c’è calca.
Io non ho mai sopportato nessun rumore al cinema e non vi ho mai acquistato dolciumi e altro. L'unica infrazione ammissibile al silenzio sono le risate.
DiscussioneAlex75 • 24/06/21 13:52 Call center Davinotti - 710 interventi
Graf ebbe a dire:
Raremirko Quo vado? non piace a tutti ma a tantissimi sì... I fatti ed i numeri sono inoppugnabili.
Carlo Verdone, Aldo Giovanni e Giacomo hanno più talento e i loro film più spessore però Zalone ha inventato una ricetta filmica con un’ amalgama di ingredienti più o meno comici che piace alla stragrande maggioranza del pubblico. Un piatto semplice e saporito come una pizza margherita o un piatto di spaghetti pomodoro e basilico (con, magari, una spolverata di parmigiano…). A chi non piace mangiarsi una pizza? Come diceva Zender il trionfo del suo film non può essere accreditato alla mera sorte.
Sarò più preciso quando lo vedrò fra qualche giorno….
Avendo parecchi film degli anni '50, '60, '70 e '80 ancora da guardare, e poco tempo da dedicare alle visioni, non sono molto interessato alle produzioni contemporanee. Ho guardato questo film di Zalone perché suggeritomi da Youtube e perché l'argomento m'interessava. E' stata un'ora e mezza spesa bene. Non grido al miracolo, però da tempo non mi capitava, guardando un film recente, di ridere al 70-80% delle battute e di avere l'imbarazzo della scelta per la sezione "MEMORABILE" della recensione sul Davinotti. Inoltre, mi sembra che lui gestisca oculatamente la sua carriera, evitando di sovraesporsi, e questo torna a suo merito.
MusicheAlex75 • 24/06/21 13:57 Call center Davinotti - 710 interventi
Tracklist della colonna sonora: 1. Italiano Boy (Checco Zalone) 2. La prima repubblica(Checco Zalone) 3. Africano Boy (Checco Zalone) 4. La prima repubblica Africa (Checco Zalone) 5. Love's Theme (Love Unlimited Orchestra) 6. I Sogni Son Desideri (Maria Cristina Brancucci) 7. Nostalgia Canaglia (Al Bano & Romina Power) 8. Because You Loved Me (Céline Dion) 9. Felicità (Al Bano & Romina Power) 10. Tornerò (I Santo California)
DiscussioneRaremirko • 11/07/21 20:59 Call center Davinotti - 3863 interventi
Film abbastanza godibile e che ben fotografa la leggerezza del popolo italiano, che a me a volte fa imbestialire.
Ottimo Banfi (purtroppo poco sfruttato), indicatissima la Bergamasco e Zalone fa più volte sorridere; saggia la decisione di aver limitato tutto a 80 minuti, comunque abbastanza vari e pieni di idee.
Tecnicamente non si grida al miracolo ma almeno le volgarità sono meno marcate rispetto a Sole a catinelle; ancora una volta, comunque, non mi capacito del successo planetario di Medici, anche internazionale.
Di sicuro il film della coppia Nunziante/Medici che meglio inquadra sociologicamente i personaggi ed i temi trattati; più che mostrare verità, comunque, si mostrano situazioni consolidate e/o immodificabili.