Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Commedia sexy con Banfi superstar, che sfrutta ogni appiglio della pur magra sceneggiatura coprendosi di ridicolo e di lividi in tribunale (è un avvocato pugliese trapiantato in Piemonte), in casa (la moglie stupenda che gli impone una dieta ferrea), con l'amante (moglie di un giudice) e gli invitati alla sua festa nella villa ipertecnologica. Lino ha fatto di meglio, qui è perennemente "sovraeccitato" e cartoonescamente "disgrazieto". Forzata la parentesi mafiosa, noioso Santonastaso.
Il road movie USA per eccellenza. La leggenda di Kowalski il ribelle, ex eroe di guerra, ex agente decorato, ex pilota di corse, che per vincere una scommessa percorre a folle velocità le strade che da Denver portano a San Francisco. Il ruolo della vita per Barry Newman. Il suo viaggio esistenziale attraverso l'America rurale. La Dodge Challenger. La polizia che cerca di fermarlo. Il DJ Super Soul che lo aiuta e lo sostiene. La musica. La gente che si raduna per vederlo sfrecciare. I crediti futuri: da Duel ai Guerrieri della notte, da Interceptor a Grindhouse. Un film Immortale.
Shark movie patinato e senza pretese, sfrutta il solito canovaccio dell'immersione avventata, per non dire suicida, con ossigeno nelle bombole che scarseggia e squali digitali insistenti che sfrecciano come siluri e amputano con irrisoria facilità e precisione chirurgica. Chi ha gradito 47 metri uncaged può anche immergersi nel relitto della Charlotte, gli altri restino sulla barca. Scontato ribaltamento di ruoli: la donna alpha ha polmoni d'acciaio e al suo bel lui non resta che regalarle un figlio e lavorare all'uncinetto. Julian Sands meritava miglior commiato.
Cartonatissimo sexy peplum che, nonostante la brevità, non sa più cosa inventarsi per allungare il brodo. Tra interminabili scene di eruzioni, combattimenti gladiatori e cuscinate fra meretrici nei lupanari, il film arranca in maniera deprimente, stimolando più sorrisi involontari che eccitazione. Pure Lucretia Love pare tradire spesso quell’espressione di persona che sta per scoppiare a ridere da un momento all'altro. Dialoghi atroci fintamente eruditi e un montaggio spiazzante completano un’opera fallimentare dall’aria decisamente raffazzonata.
Un guerriero promette all'amico morente di far conoscere al di lui padre la sua triste sorte. Inizia così il viaggio... Film che ha ben poco da raccontare e lo fa in maniera sinceramente un po' noiosa. Certo, la ricostruzione dell'epoca, i costumi, il trucco e gli scontri armati non sono affatto disprezzabili e il cast si impegna per rendere credibili personaggi a dire il vero non molto coinvolgenti. Ne viene fuori una pellicola che non giunge alla sufficienza e che si dimentica in fretta. Le musiche sono orecchiabili ma mancano di originalità, il finale non sorprende.
La vicenda si snoda sui classici binari dei film "alla Hallmark": lei, lui e l'altro, tutti bellocci, con tanti capelli e sorrisi bianchi, uno ricco e l'altro squattrinato. Insomma, sappiamo già tutti dove si andrà a parare. Il film, in ogni caso, si eleva per una scrittura certamente più ricercata rispetto al genere sopracitato, ma di fondo resta quel nocciolo piuttosto puerile che, nella seconda parte, quando il film barcolla non poco dopo una prima ben costruita, appare ancora più evidente. Simpatica l'idea di Dakota Johnson che lavora in un'agenzia matrimoniale newyorkese.
Un piccolo aereo sorvola di notte le Florida Keys lasciando cadere in mare quattro grosse casse che s'inabissano. Una spedizione notturna con a bordo brutti ceffi armatissimi parte poco dopo in barca per recuperarle, ma non ha fatto i conti con gli squali, e ci vuole poco per accorgersi di quanto le acque siano infestate. Il misero gruppetto ci lascia le penne, come ben si può immaginare, in un attacco che comunque – al di là dell'evidente budget misero tipico delle produzioni Asylum – qualcosa in più della media, almeno a livello di creatività, già...Leggi tutto lo fa intuire.
Lo stacco successivo ci porta a cinque anni prima: una coppia di giovani si stringe e si bacia sul molo quando lui annuncia a lei che dovrà partire per una imprecisata missione di lavoro non sapendo purtroppo il giorno del ritorno. Quel giorno non giungerà mai, perché il rientro al presente ci mostra Gia (Cole), la stessa ragazza, in lacrime sullo stesso molo: è una agente della DEA (Drug Enforcement Administration) di Miami che viene a scoprire come in quel famigerato tratto di mare che avevamo visto all'inizio qualcuno ha perso qualcosa. Per la precisione rinviene sul fondo alcuni vasetti contenenti il “te del Reverendo”. Questo è quanto riporta l'etichetta e che si vede da fuori ma, una volta aperti, ecco celati all'interno voluminosi pacchi di cocaina. E quel Reverendo non è altro che il cognome di un grosso uomo d'affari locale (Hanks) chiaramente losco. E' lui che aveva mandato la prima spedizione a recuperare in mare le casse e ancora lui a inviarne una seconda che vada lì per capire che fine abbia fatto la prima. E a recuperare le casse, naturalmente.
Sul posto, quindi, si ritroveranno Gia, tornata lì da sola per capire cos'altro ci sia là sotto, e il nuovo gruppo di criminali attrezzati per riprendersi le casse adagiate sul fondo. Ma già l'arrivo in loco, con i resti della prima imbarcazione spersi in mare un po' dovunque, lascerà tutti perplessi. La risposta non tarderà ad arrivare, perché anche di giorno i numerosi squali che infestano la zona si mostrano pronti a prendere di mira chi si avvicina. Da qui si può ben immaginare come proseguirà il film, con i narcotrafficanti che si tufferanno a ripetizione cercando di eludere la “sorveglianza” dei pescecani, Gia che presto si unirà a loro senza sapere con chi ha a che fare (almeno inizialmente) e gli squali che attaccheranno in forze, spesso saltando fuori pesantemente dall'acqua e divorando arti appena possibile.
Una trama già ampiamente vista (il “tesoro” sommerso da recuperare evitando gli squali ha quasi creato un genere a sé stante) ma che in questo caso ancora funziona. Perché gli effetti speciali finalmente si vedono, pur se penalizzati dalla solita cgi approssimativa (movimenti ultraveloci spesso innaturali, scarsa resa dell'interazione tra computergrafica e riprese nonché altri difetti da sempre associati al genere). Si è visto di ben peggio, nel campo; e se dalla recitazione non ci si può aspettare granché, la regia di Ferrante garantisce se non altro una certa esperienza, contando i film già da lui girati sull'argomento.
Insomma, non si esce dagli ambiti di sempre ma ci si muove con più gusto del consueto, tentando qualche colpo di scena simpaticamente piazzato nel finale che si accompagna a un'improvvisa esplosione splatter di bella ferocia (una decapitazione volante, un braccio sgranocchiato tra urla lancinanti...). Le pinne che si avvicinano veloci in gruppo il loro impatto ce l'hanno e nella terra di mezzo tra la serie B più solida e la serie Z sempre più praticata dal genere shark, GREAT WHITE WATERS si ritaglia fieramente il suo spazio; qualcosa in più di quanto ci si poteva attendere da una produzione Asylum. Insolitamente grigia Miami, lontana cornice di un film comunque quasi per intero ambientato in mare.
Il titolo è rivelatore: dietro la facciata di una semplice agenzia di incontri matrimoniali si cela il vero tema del racconto, un’indagine profonda sui sentimenti condotta dalla protagonista Lucy (Johnson). Personaggio di notevole complessità, Lucy osserva le molteplici sfumature dell’amore da una prospettiva "terza", consapevole e privilegiata, che le consente di cogliere ciò che spesso sfugge agli altri. Glissando su un brutto prologo nella preistoria che lascia il tempo che trova (probabilmente il semplice desiderio di aprire originalmente, spacciando...Leggi tutto poi il pretesto come frutto dell'immaginazione di Lucy), si inquadra immediatamente il compito della protagonista, figura di punta dell'agenzia "Adore", specializzata nel far incontrare anime che si vorrebbero gemelle.
Un'agenzia matrimoniale vecchio stampo, insomma, che raccoglie le ultime tracce umane di un mestiere oramai depauperato e annichilito dallo strapotere delle app automatizzate. Lucy ha eloquio formidabile, capacità unica di empatizzare col cliente inducendolo a credere di poter contare sulla migliore complice possibile, nella difficile caccia al partner ideale. I casi bizzarri presentati in sequenza, che di tanto in tanto compaiono come intermezzi, alleggeriscono il tono generale grazie all'uso sapiente dell'ironia. Far sorridere attraverso il racconto di difetti e virtù condivisi è un espediente ampiamente collaudato, forse abusato, ma che continua a funzionare con efficacia.
C'è poi il bel rapporto con le colleghe, che naturalmente vedono in Lucy il modello a cui puntare, ci sono gli inviti ai matrimoni combinati grazie al suo talento nel trovare la persona giusta per ciascun cliente. Un dono che si basa sulla capacità di infondere fiducia in chi, affascinato dalla sua sicurezza, pende dalle sue labbra. Single per scelta, Lucy incontra allo stesso rinfresco il suo ex, John (Evans), che lì lavora come cameriere, e Harry (Pascal), l'uomo che in agenzia definirebbero un "unicorno" per la sua caratteristica quasi di miraggio. Semplicemente perfetto: fascinoso, bello, ricco, acculturato, alto... racchiude in sé tutti i requisiti più ambiti dalle donne; e pure Lucy, che aveva lasciato John per non fare una vita "al verde", si lascia irretire: un invito a cena al ristorante di lusso, conti sempre pagati (e siamo a New York, dove sono tra i più salati al mondo), scambi di opinioni lontani dalla banalità, complimenti di cui andare fiere... Dall'altra parte John: a 37 anni è un attore fallito, non ha un mestiere fisso e ancora vive nella stessa casa di un tempo, condivisa con altri inquilini, non ha cambiato auto. MATERIAL LOVE, dice il titolo, e al denaro Lucy non fa mistero di guardare come primo requisito da ricercare nel compagno a cui tendere.
Non serve anticipare il finale telefonato perché conta come ci si arriva; e il come, qui, significa soprattutto una sceneggiatura (scritta dalla stessa regista, Celine Song) molto ponderata, che studia ogni frase e tenta di sfuggire alla scontatezza dell'intreccio attraverso dialoghi curati, giochi di sguardi, silenzi inseriti al momento giusto, sorrisi... Il tutto impreziosito dalla bella espressività di Dakota Johnson, primadonna indiscussa intorno alla quale tutto ruota. Poi certo, alla materialità granitica della prima parte subentrerà una seconda in cui ogni certezza verrà scalfita confondendo i pensieri, aprendo la protagonista a una realtà da osservare da una prospettiva diversa.
Più apertamente indirizzato verso il sentimentale che la commedia, MATERIAL LOVE non racconta nulla di nuovo né lo fa con toni diversi dalla norma, ma sa essere delicato, apparentemente sincero e piacevole da seguire. Almeno fino a quando, nella seconda parte, si indulge in zuccherosità eccessive diluendo le scene senza più trovare negli scambi la necessaria malizia. Si annacqua il buono che c'era e, per colmo di mestizia, rifà capolino la scena d'amore tra i due cavernicoli. A quel punto si capisce che non c'è più nulla da dire e il superfluo si apre la strada mentre il film chiude malamente.
Da una storia realmente accaduta Richard Linklater ricava un film costruito in forma di falso documentario, senza che però le interviste alle persone che hanno avuto un ruolo nella vicenda prendano mai il sopravvento sull'azione. Presenziano semmai, nel ruolo di narratori, così da spiegare quello che non è a quel punto più necessario mostrare in scena.
La storia è quello di un personaggio anomalo e singolare, Bernie Tiede (Black), autentica incarnazione del bene: disponibile con tutti, espansivo senza mai essere invadente, generoso, perfetto per il...Leggi tutto lavoro che si è scelto, quello di lavorante alle pompe funebri specializzato nel truccare e "vestire" i cadaveri (esemplare la presentazione del suo lavoro in aula universitaria, dove è stato invitato), ma anche pronto a consolare i parenti dei defunti, a cantare con bella voce ai funerali, a vendere le bare al "negozio"... Chi l'ha assunto ne è entusiasta, chi lo conosce ne parla solo bene o benissimo. Un uomo apparentemente senza un difetto, incapace di arrabbiarsi con qualcuno, impeccabile non solo dal lato professionale.
All'esatto opposto sta invece Marjorie Nugent (MacLaine), fresca vedova ormai anziana: intrattabile, scorbutica quando non perfida, odiata da chi le sta intorno, ricchissima quanto insopportabile. Bernie la vezzeggia come tutte le altre "clienti" senza mai sembrare untuoso o falso, e la donna, sulle prime diffidente, finisce con l'apprezzare, al punto di decidere di trascorrere con lui molto del suo tempo, speso in grandi viaggi intorno al mondo all'interno di un rapporto di sincero affetto.
Ambientato a Carthage, nordest del Texas, un film piuttosto diverso da quanto siamo abituati a vedere. Non tanto nella forma (il mockumentary è ormai espediente narrativo diffuso) quanto nella delineazione dei caratteri e specialmente di quello di Bernie, che giustamente si guadagna il titolo in qualità di assoluto protagonista (molto più della MacLaine, qui in un ruolo da "spalla" e non certo per l'intera durata); è un personaggio lunare, al quale Jack Black riesce a dare la giusta dignità attraverso un'interpretazione calibrata, contenutissima, insieme tenera e a suo modo enigmatica. Matthew McConaughey, nel ruolo del procuratore distrettuale Danny Buck, comincia in sordina, si confonde tra i tanti intervistati sul caso ma lentamente acquista importanza, pur rimanendo comunque ai margini (tranne nella fase processuale e in quella immediatamente precedente). E ha comunque modo di mostrare le sue indubbie qualità.
Linklater, che aveva già ricavato il meglio da Jack Black in SCHOOL OF ROCK, si conferma regista interessante, anche se qui avrebbe dovuto innervare il suo lavoro con una maggiore iniezione di energia, perché il film spesso rischia di scorrere piatto, rallentato ulteriormente dalle cantate in chiesa e da ritmi sonnacchiosi che a lungo andare rischiano di farsi stancanti. Fortunatamente nella seconda parte il film cambia registro e le tecniche di "difesa" di Bernie risultano gustose da seguire, con gli intervistati che si interrogano su come porsi di fronte a quanto accaduto e a un concetto di giustizia che viene letto differentemente da quanto la logica sembrerebbe suggerire. Un modo non banale di porsi di fronte ai fatti che porta colpevolmente a simpatizzare contro chi non lo meriterebbe. Dunque una riflessione che coinvolge nel contempo i comportamenti di uno stato non qualsiasi come il Texas, con tutto il suo carico reazionario. Debole registicamente, imperfetto ma con più di una freccia al proprio arco (stranamente non grazie a Shirley MacLaine, meno incisiva dello sperato).
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA