Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Arthème porta a passeggio suo zio, che è costretto sulla sedia a rotelle. In teoria dovrebbe spingerlo per farlo passeggiare, ma quando Arthème incontra una fanciulla che passeggia in modo provocante, non ci pensa due volte e abbandona lo zio in un boschetto... Anche in questo corto della serie Arthème un colpo di follia (che però è l’unico, purtroppo) costituisce il punto forte del film, vale a dire il momento in cui il vecchio zio, nottetempo, reagisce in maniera particolare a un tentativo di rapina…
Una discreta opera che gioca con più generi, dall'horror più metaforico alla black comedy, mantenendo un equilibrio che giova indubbiamente alla realizzazione finale. A livello di tensione la prima parte è costruita ad arte, con una caratterizzazione dei personaggi più che soddisfacente, mentre la seconda, pur esplodendo nella "violenza", ha una valenza di significati maggiore lasciando alla sensibilità dello spettatore l'interpretazione del disegno finale. Regia lodevole soprattutto negli interni e nella direzione di un ottimo cast, con la Taylor Joy di rilevante bravura. Piacevole.
Uno dei più gradevoli Vanzina del nuovo millennio, che ha il merito di rinunciare alla comicità sguaiata di moda nel periodo in favore di un tono garbato e sorretto da un cast affiatato in buono stato di forma. Purtroppo il film, nonostante i temi trattati (corruzione, intercettazioni), raramente riesce a lasciare il segno e tutto si risolve in una critica sociale all'acqua di rose: contro ogni logica per tutte le vicende i salmi finiscono in gloria, talvolta a costo di svolte narrative prive di ogni plausibilità (il concerto di Berlino).
Un uomo (Troisi) viene ucciso nella sua villa; il giorno dopo viene ritrovato il cadavere e partono le indagini. Per lo spettatore non mancheranno due grossi colpi di scena... Quest'opera teatrale sembra giocare a carte scoperte con chi guarda ma invece no. Andamento non sempre facilissimo da seguire (bisogna stare attenti a non confondere i vari cognomi, in questo caso). Nel cast spicca la Aldini, mentre il personaggio di Montagnani non è fuori parte ma stona un po' con il contesto più "serioso".
Villeneuve affronta con ambizione un progetto rischioso e si assicura il successo dal punto di vista estetico: l'impatto cromatico cromatico della fotografia e la variegata colonna sonora ci trasportano a tutti gli effetti su mondi alieni, mentre la sceneggiatura ripropone i temi classici della tragedia in modo quasi operistico. Le due pecche principali sono la prova di Chalamet, poco intenso, e una sceneggiatura che esita nella parte finale, tradendo la natura da primo capitolo del film.
Commedia per famiglie basata sulla contrapposizione tra i due personaggi principali, che incarnano diversi approcci al rapporto con i nipoti. A parte qualche caduta di ritmo nella parte centrale, complice anche l'inconsistenza degli altri personaggi e una scelta di casting mediocre per gli attori più giovani, il film si porta a casa il risultato, in gran parte per merito del grande mestiere di Salemme e Tortora, che trovano un buon feeling reciproco. I due attori reggono il film sulle proprie spalle con una comicità "sorniona" ma funzionale al genere.
Peter Farrelly torna all’antico, alla commedia comica politicamente scorretta, e lo fa con un film che centra il bersaglio grazie a un soggetto che, per quanto non nuovo, è sviluppato bene attraverso una sceneggiatura che non perde un colpo e trova in John Cena – soprattutto – un interprete sorprendentemente azzeccatissimo: sarà lui (ma all’inizio ancora non lo è) Ricky Stanicky, amico immaginario di Dean (Efron), JT (Santino) e Wes (Fowler), che si conoscono fin da bambini e che fin da allora hanno capito come aver inventato una figura inesistente cui...Leggi tutto addossare ogni colpa o da raggiungere quando non si ha voglia di stare in famiglia sia stata una mossa estremamente utile.
C’è la festa per il bambino che sta per nascere? All’ultimo momento si finge una chiamata di Ricky che, sul punto di essere operato di tumore, li chiama a sé. Riuniti, i tre se ne vanno felicemente a un concerto scatenandosi senza pensare a nulla, scoprendo solo in un secondo tempo che intanto il figlio di JT è nato prima del previsto e senza aver potuto contare sulla presenza di suo padre in ospedale.
Alla fine arriva inevitabilmente il momento in cui le persone care pretendono di conoscerlo, il famoso Ricky, e l’unica chance per non far cascare il palco è ingaggiare qualcuno per impersonarlo. Ci pensa un attore da quattro soldi in disgrazia (Cena), il quale impara a memoria “la bibbia” - ovvero il quaderno dove i tre hanno sempre scritto tutto quello che si erano inventati di volta in volta di far fare a Ricky - e viene presentato “in famiglia”. Eccolo il famoso Ricky Stanicky: un giovialone un po’ rozzo dalla battuta sempre pronta, che è difficilissimo cogliere in fallo su quanto imparato con scrupolo stanislavskiano e che è simpatico a tutti!
Una bella idea che ne rielabora di ampiamente sfruttate per mettere in scena una commedia ricca di gag felici e di momenti spassosi. Specialmente da quando sul set compare per la prima volta il travolgente John Cena in versione Ricky, alla festa per la circoncisione del figlioletto di JT. Utilizzando meccanismi comici già sperimentati e ben oliati, il film scorre veloce come un treno e inventa almeno una trovata memorabile, ovvero i gesti involontariamente “equivoci” in pubblico di uno strepitoso William H. Macy, a capo dell’azienda per cui lavorano Dean e JT. Meno integrato Wes: non fa nulla dalla mattina alla sera, sogna di diventare uno scrittore ed è il meno convinto a portare avanti la grande truffa che presenta, come si può immaginare, controindicazioni rischiosissime.
Si viaggia sempre sul filo del rasoio, in pubblico con Ricky, ed è questo ciò che dà maggior divertimento. Anche perché Cena è una sorta di Schwarzenegger brillante, coi tempi comici perfetti ed è lui il personaggio sul quale il film basa la sua riuscita, molto più che su Efron (la sua bella moglie al fianco è Lex Scott Davis), Santino o Fowler, cui spetta quasi di fare da semplici spalle all’esuberanza di Cena. Mai una sequenza di troppo nonostante una durata non contenutissima, ottima organizzazione delle scene, musiche adeguate, qualche buffo personaggio di contorno che non fa mai male. E’ evidente come tra i due Farrelly fosse Peter, la geniale mente comica.
L'ultimo film prodotto da Andy Warhol è diretto dal suo compagno Jed Johnson e affronta il Male che alberga cinicamente nella casa newyorkese di cui è proprietaria la signora Hazel Haiken (Baker), estetista dal doppio lavoro inquietante: nell'ombra fa da intermediaria per l'uccisione di vittime spesso con qualche difetto congenito che i genitori vogliono eliminare. Un'attività ancor più spregevole di quella d'un normale sicario, che tuttavia frutta un bel po' e permette alla donna di vivere decisamente bene. In casa ospita la nuora - madre di...Leggi tutto un figlio down e sposata con un uomo che è sempre lontano per lavoro - ed è sempre in contatto con le sue ragazze (tra queste la ventinovenne Stefania Casini).
La novità, in un tran tran assolutamente folle, è rappresentata dall'arrivo del giovane L.T. (King), piazzato, attraente e strafottente come nella tradizione warholiana (un perfetto “sostituto” di D'Allesandro, in poche parole). Viene da Los Angeles, dove non era soddisfatto, e ha già un bel curriculum da killer alle spalle. La "signora omicidi" non pare molto convinta di lui (ha sempre lavorato con donne), ma gli trova una stanza e in breve lo affianca alle altre, che nel frattempo vediamo comportarsi da vere farabutte: intasano i water dei bar, incendiano le sale dei cinema... ma come sappiamo non è nemmeno quello, ciò di cui devono vergognarsi. Cosa dovremmo pensare ad esempio di P.G. (Casini, presenza fissa di molti film della factory warholiana), che solleva un neonato dal suo lettino e lo scaraventa giù dalla finestra di un alto palazzone lasciando che si schianti al suolo?
Sono scene decisamente forti, che indubbiamente colpiscono e caratterizzano un film per il resto piuttosto convenzionale. Se non fosse per gli intermezzi occupati dalle odiose malefatte compiute quasi sempre ai danni di persone indifese, l'opera sarebbe decisamente più anonima delle precedenti prodotte dal grande artista americano, con Carroll Baker che passa il tempo in casa rispondendo al telefono accettando nuovi incarichi, le altre a bighellonare per la città e L.T., unico maschio del cast che abbia una certa rilevanza (se si esclude il detective corrotto che perseguita Hazel e che conosce molti aspetti della verità), impegnato a sorridere sardonicamente e a sfruttare il proprio sex-appeal. A lui spetterà di stravolgere l'agghiacciante routine della casa dopo essersi reso protagonista di un'altra azione nefanda ai danni di un ragazzo autistico (di nuovo una scena che girare così oggi sarebbe impensabile, se si considera il gelido realismo, che nulla nasconde, con cui viene messa in scena).
Una buona direzione del cast e una regia che senza strafare si limita a sbrigare la pratica con discreta perizia, permettono di seguire la storia agevolmente, cogliendo l'insolito appeal di alcuni personaggi (la nuora di Hazel in primis, alla quale è la stessa suocera a dire di svegliarsi perché suo figlio non tornerà tanto presto), l'immutata bellezza della Casini con la sua tipica aria un po' svampita che le si riconosce in buona parte dei film di Warhol e un finale crudo in linea con la scelta di raccontare "piattamente", con fotografia e stile non certo da thriller, affiancandosi in questo a certo John Waters anche nel toccare argomenti forti stemperandone l'impatto cupo con l'inserimento in un contesto quotidiano di scialba ordinarietà. Più interessanti, di rottura e viscerali i film di Morrissey con D'Allesandro...
Da una graphic novel di Gipi un film cupissimo, ambientato nel solito futuro distopico in cui una gigantesca calamità ha ridotto gli uomini a vivere in minuscoli gruppi e in condizioni di indigenza immediatamente riscontrabili in abiti stracciati degni dei più classici postatomici. Ogni oggetto, luogo, persona comunica una sensazione di prossimo disfacimento: ruggine, scrostature, sporcizia diffusa...
L'azione comincia nella laguna veneta, sul delta del Po, dove vivono un uomo (Pierobon) e suo figlio (De la Vallee). Si spostano in barca sulle acque immote... Il ragazzo...Leggi tutto cattura un cane che suo padre dice di voler scambiare con tale Ringo (Ferracane) per ottenere un po' di cibo, che scarseggia drasticamente, ma l'incontro con quest'ultimo mette in scena la sgradevole ruvidezza nei rapporti interpersonali che diverrà il leitmotiv del film. Quando il padre muore, il figlio se ne parte in barca per raggiungere la strega cieca (Golino) vicino alla chiusa, elemento separatore che li divide da un mondo sconosciuto e pericoloso. Spera che la donna possa leggergli (diceva di saperlo fare toccando solo le parole sulla pagina) il diario lasciatogli da suo padre perché lui è analfabeta, come quasi tutti quelli della sua età. Quando la cosa si rivela inevitabilmente impossibile, il ragazzo varca la soglia della chiusa e si avventura nel mondo sconosciuto, dove lo attenderanno incontri con bifolchi di ogni sorta. Come i due contadini (Donadoni e Ravera) presso i quali si stabilirà per qualche giorno facendo la conoscenza di una coetanea (Roveran) che quelli tengono rinchiusa in una gabbia in attesa di poterla chissà quando scambiare con del cibo.
L'obiettivo resterà per tutto il viaggio sempre lo stesso: riuscire a farsi leggere il diario del padre per scoprirne i segreti. E’ un obiettivo singolare, in qualche modo fonte di una qualche originalità per una storia che ne ha in sé pochissima ma sfrutta con una certa intelligenza gli scenari del Polesine sottolineandone la desolazione e l'abbandono anche attraverso una fotografia plumbea e una colonna sonora che ha indubbiamente qualche buon momento. La regia di Cupellini non riesce tuttavia a dare la giusta dinamicità all'avventura e - soprattutto nella prima parte - arranca nel vano tentativo di trovare un'identità autoriale raggiunta solo in rare occasioni.
Il personaggio migliore, cui dà il volto un Mastandrea al quale manca il naso e che si copre con una maschera da sub col vetro rotto, arriva solo nella seconda parte e dà finalmente un certo senso all'operazione, fin lì autoindulgente nell'indugiare troppo sui paesaggi o i primi piani (spesso scarsamente espressivi) dei due ragazzi. Banale nella messa in scena, poco efficace nel racconto, il film non può nemmeno dire di riservare per il finale un messaggio particolarmente significativo. Restano una buona direzione del cast, il fascino di luoghi che si prestano a specchiare la povertà umana che fa da comune denominatore, la buona resa di un futuro senza scampo vissuto lontano dalle città e dal rumore.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA