Scorsese si dimentica di essere un bravo ragazzo e confeziona un filmone para-spielberghiano studiato per piacere al colto e all'inclita. Durante la visione, ha avuto l'impressione di avere accanto un tizio che sgomitasse ogni due minuti per farmi notare la bellezza della fotografia tutta giocata sull'accattivante contrasto blu-arancio con spruzzate d'oro, la fastosità dell'ambientazione, la magia del cinema dei pionieri, le meraviglie del 3d, gli occhioni blu dell'orfano, la poesia sparsa a piene mani... Ma il troppo stroppia. Indigesto.
Fiaba dall'andamento banalotto, Hugo Cabret si avvale tuttavia di una messa in scena che, di per sé, fa gusto a parte e reca un'ambizione non da poco: restituire la bellezza degli albori dell'arte del cinema, vista come teatro dei sogni. Lo fa in modo efficace, come un sorriso che incuriosisce. Forse più digeribile e adatto a un bimbo che a un adulto preparato sulla questione.
MEMORABILE: Questa fantasiosa Gare du Nord, fatta di ingranaggi
Per chi ama la settima arte, l’idea di fondo è bellissima, forte ed audace: l’amore incondizionato per il cinema che sa regalare agli spettatori emozioni uniche. Peccato che sia contornata da una storiellina per ragazzini, semplice ed edificante che di emozioni "vere" ne regala solo quando appunto parla di cinema. Per il resto oltre alla sconfinata passione cinefila di Scorsese e dietro la confezione scintillante ed un buon 3d (ma non certo indispensabile e straordinario come si diceva) c’è abbastanza poco. Non male, ma che delusione!
MEMORABILE: Hugo che porta per la prima volta al cinema la sua amica.
Visivamente accattivante grazie all'interno dei grandi orologi della stazione, alle ricostruzioni dei film di Méliès e all'automa. Ma non altrettanto incisivo dal punto di vista della sceneggiatura, che limita la pellicola (l'artista smarrito, che rifiuta il passato e la storiella del ragazzino, un po' dickensiana con spruzzate Tim Burtoniane, che cerca uno scopo). Comunque è commovente rivivere la magia di questo regista pioniere, pieno d'inventiva, che sosteneva di fabbricare sogni (come dargli torto). Nel complesso è un film riuscito, ma poteva essere molto di più. Non male il 3D.
MEMORABILE: Hugo sostiene che il mondo è una macchina e che anche lui deve avere un'utilità nell'ingranaggio, perchè nelle macchine non ci sono pezzi in più.
Ignobile polpettone ruffiano, pretenzioso, noioso e tipico di un carrozzone hollywoodiano che rimescola la cultura europea per renderla più digeribile a masse di americani medi e a giurati dell'Academy reazionari e svogliati. Uno dei peggiori Scorsese e, visti gli ultimi lavori, non c'è da stupirsi per una fiaba che punta ad essere solo quello, vuota e fastidiosa nel cercare di rincorrere l'effetto magia a tutti i costi. Nell'originale, pur essendo a Parigi, tutti parlano inglese con accento British giusto per far capire che Scorsese ha letto Dickens.
Cameron apriva sull'occhio umano e chiudeva sulle iridi di un avatar. Scorsese apre sull'occhio di un bambino e chiude su quello di un automa. Lì venivano rivisitati i miti fondativi dell'immaginario americano, qui sono mitizzate le origini del cinema. Entrambi rivendicano, nel prodigio stereoscopico, l'urgenza del sogno, il ruolo evolutivo della mitopoiesi. Forse c'è più amore nella costruzione delle immagini (bellissime) che in ogni singolo personaggio: ma quello di Scorsese è un lavoro di tessitura che accoglie, rifonda, esalta il fattore tecnologico al servizio dell'immaginazione.
Omaggio al cinema che va diritto alle radici della settima arte. Scorsese realizza con Hugo Cabret non il suo film migliore, ma uno dei più coinvolgenti sentimentalmente. La storia dell'incontro tra il piccolo orologiaio e l'anziano maestro Méliès intriga e commuove; lo sfondo della stazione e delle vie di Parigi è magnifico e la resa del 3D più che buona. Il regista italo americano si conferma inoltre ancora un grande direttore di attori. La prova del picccolo protagonista è decisamente superba.
Il ritorno di Scorsese avviene con una deliziosa confezione per ragazzi, con un validissimo impatto 3D molto utile nel gioco dell'amore per il cinema che trasuda come sottotrama, mischiando origini e modernità in un'ambientazione impeccabilmente riuscita: quella della stazione, degli orologi e mille e piu ingranaggi. Un po' Pinocchio, un po' Dickens, un po' europeo e un po' buonista; ma è un intrattenimento che prende, funziona e coinvolge grazie a un buon ritmo, convincenti interpretazioni e un riuscito input per la riscoperta del passato.
Scorsese devia dai generi a cui ci aveva abituato e si addentra nell'avventura per famiglie con buoni risultati; questo "Hugo" è infatti un delicato film che va oltre i canoni del semplice intrattenimento. Omaggio artificiale (la presenza del 3-D e la ricostruzione computerizzata di Parigi) e moderno nei confronti del cinema più classico, quello ancora capace di farci sognare. E' interessante però vedere come il film decolli emotivamente soltanto mostrando gli spezzoni delle vecchie pellicole, ma forse è proprio questa l'intenzione di Scorsese.
A prima vista è difficile riconoscere la mano di Scorsese in questo film (che pare piuttosto uscito dalle fantasie di Tim Burton, per non dire Luc Besson). Eppure questo Hugo Cabret è un altro personaggio perfettamente scorsesiano: un ragazzino inquieto e sognatore, messo in qualche modo "fuori" dalla società ed in perenne ricerca di qualcosa; in fondo non è tanto diverso da una Alice Hyatt o da un Travis Bickle. Sorprende semmai il taglio generale, leggero e divertente per gli standard del regista newyorkese. Davvero notevole, comunque...
Che questo film sia un grande omaggio che Scorsese fa verso il cinema, è indubbio. Omaggio, naturalmente, agli scopritori, i fratelli Lumière, ma soprattutto a Méliès, primo "cinematografaro" che comincia a sfruttare tutte le potenzialità visive ed espressive che il mezzo offre. Lo fa usando le stesse tecniche (in versione attuale) che Méliès usava, cioè trucchi a non finire e una storia scaldacuori. Onestamente però ci dice anche che la settima arte è una fucina di illusioni, come illusione è che, ingranaggi di metallo possano avere un cuore.
Confezione extralusso al limite del barocco estetico. Scorsese pomposamente traccia un racconto memorabile per gli orpelli, dove anche una fotografia satura svilisce tra infinitesimi particolari. Sceneggiatura povera che ne rimane vittima anch’essa, sebbene l’omaggio alle origini del cinema rappresenta al meglio il senso di magia che ancora ne pervade.
L'opera di per sè stessa è girata con molto gusto ed eleganza, però chi ama il cinema di Scorsese non può che rimanerne deluso. Il problema fondamentale sta nella piattezza della sceneggiatura, che offre un lirismo troppo poco marcato che non è in grado di fare breccia nel fanciullinno insito in ogni essere umano. La presenza di Kingsley rende ancora più chiaro il riferimento a Dickens. Troppo fumoso.
Laddove The artist si poneva come una riproposizione pedissequa del linguaggio del cinema che fu, Hugo Cabret si configura invece come un commosso omaggio in piena regola ai film in bianco e nero (si veda, tra le tante cose, il treno dei fratelli Lumiere oggetto del sogno di Hugo). I personaggi sono tutti ben caratterizzati, ma l'esile vicenda di cui sono protagonisti, molto dickensiana, non è altro che l'impalcatura metalinguistica di uno spettacolo ben più grandioso e magico. Non il miglior Scorsese di sempre, ma rimane nel cuore...
MEMORABILE: "Le macchine non hanno pezzi in più. Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo".
In questo incredibile omaggio ai fratelli Lumiere, a Geoge Méliès e più in generale alla nascita della settima arte, Scorsese prova a fare Spielberg ciccando clamorosamente la sua prova registica. 5 Oscar sì, ma tutti alla confezione. Fotografia (Richardson terzo Oscar), scenografie (Ferretti terzo Oscar), sonoro, effetti e montaggio sonoro. Tutti meritati. Ma al di là della bellezza visiva e sonora la storia latita terribilmente, gli attori sembrano oggetti avulsi dal contesto e la noia la fa presto da padrona. Male anche i baby attori e Kingsley.
MEMORABILE: Il lavoro di montaggio di Méliès e la creazione degli effetti speciali nei suoi film.
Non poteva esserci miglior omaggio a Méliès che con un film per ragazzi, che unisce il senso dell’avventura con la meraviglia scenografica (davvero incantevole). Scorsese gioca con i più piccoli la carta della fascinazione fantastica e dell’immedesimazione nel piccolo orfano custode degli orologi della stazione, mentre ai cinefili regala accorate e commosse sequenze dedicate al padre dei sogni in celluloide. Gronda retorica narrativa e immaginifica, ma lo scopo è encomiabile: una dichiarazione d’amore alla magia della decima musa.
Una favola adolescenziale per esaltare uno o forse l'unico pioniere della cinematografia, il francese Méliès. Buoni propositi e situazioni di buon impatto visivo ed emotivo che conducono a una digressione sul cinema degli inizi. Fotografia e colori meravigliosi ed interpreti adeguati; Cohen mostra il baffetto alla fine buonista, Kingsley si dimostra interprete di razza, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Cabret è una pellicola tanto bella quanto superflua, melliflua come un sogno pilotato; miagola vagiti di luce e ammanta la storia con una Parigi da innamorarsi. Tutto è talmente perfetto nella sua ricerca della materia onirica da dimenticarsi che non si sogna solo con belle immagini ma c'è bisogno anche di una storia. Eppure la trama c'è. Cabret è un fantastico gioco. Non necessita di esser aggiustato, forse è il nostro automa... ognuno sa se c'è dietro un messaggio per noi o meno.
Che Martin non si discuta è un imprescindibile affermazione apodittica, che Cabret sia opera su commissione in cui meno s'amalgamano spunti personali e esigenze produttivo-commerciali è un fatto. Così il film, ineccepibile tecnicamente e formidabile nell’ambientazione scenografica, rischia una certa anodinicità narrativa, un palpabile vuoto d’anima, che la passione cinefila di Scorsese risarcisce giusto con un paio di assestati colpi d’ala emotivi. Il piccolo Butterfield ha l’aplomb dickensiano, gli occhi di Kingsley il luccicore della passion bruciata.
MEMORABILE: Meliès/Kingsley svegliato dall’inconfondibile suono della cinepresa a manovella; L’arto meccanico di Sacha Baron-Cohen; L’automa.
Scorsese si cimenta con una favola dal sapore dichiaratamente dickensiano raggiungendo un buon risultato sia dal punto di vista tecnico (buona la resa del 3D) sia da quello artistico. Il nostro, da sempre innamorato della magia che sa proporre il cinema, ci regala una dichiarazione di questo suo sentimento nonché un bell'omaggio a uno dei pionieri della settima arte: Méliès. La sceneggiatura non è che sia grandissima cosa, ma anche grazie all'impiego di ottimi interpreti (Kingsley su tutti) la pellicola risulta ben più che gradevole. ***
Se premettiamo che "è il pensiero che conta" e non il risultato, allora il giudizio diviene positivo, ma non altrimenti. Per sopperire alla mancanza di idee si tenta, ma invano, di coivolgere sentimentalmente o stupire, ottenendo invece un senso di scontatezza, di già visto (il colmo, per chi vuole rendere omaggio alla fantasia e alla creatività). L'idea è lodevole, ma il film non funziona, non diverte, non incuriosisce. Buona tecnica e ambientazioni, ma scarso il film.
Hugo Cabret fortunatamente non è solo un "carrozzone" di effetti speciali, è anche una storia ben pensata per rendere omaggio al cinema muto degli anni '30. Certo Scorsese ha fatto ben altro, ma il suo amore per il cinema qui è ben evidenziato. Premiato con cinque Oscar.
Parte da premesse interessanti e la ricostruzione scenica e l'atmosfera sono notevoli. Anche la fotografia è buona, malgrado si basi sopratutto su due tonalità di colore tra il giallo arancio e il blu, che sono tipici di certe locandine cinematografiche dell'epoca narrata nel film. La trama ha un intreccio interessante, anche se però perde colpi con soluzioni banali e di facile presa, andando avanti verso il finale.
La doppia palla è esaustiva: un film mediocre che desta interesse solo dal punto di vista tecnico, per le suggestioni indotte dal bel 3D. Vorrebbe essere una favola moderna per grandi e piccini, ma il risultato sembra piu uno svogliato compitino di un ragazzo che ha leggiucchiato Dickens e lo rappresenta alla maniera ridondante di Wes Anderson.
L’essenza del cinema è la fantasia e qui Scorsese esce dai suoi consueti canoni tematici per realizzare un film dal gusto fiabesco che con le sue svariate citazioni cinematografiche vuole essere un elogio della settima arte e del contributo in termini fantastici che gli ha dato Georges Méliès. La vicenda del piccolo Hugo è sceneggiata con fantasia ma anche con la precisione associabile all’orologio che si vede in alcune locandine. Scenografie da oscar capaci di trasportare in un’altra dimensione. Soundtrack gradevole e ricca di effetti sonori.
MEMORABILE: "Sai, le macchine non hanno pezzi in più. Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo. E anche tu!"
Qualcosa decisamente non torna in questa rutilante opera di Scorsese, ineccepibile sotto l'aspetto visivo ma piena di lacune per quanto riguarda tutto il resto. Troppi sottotesti infantili per un pubblico adulto e, contemporaneamente, ritmo lentissimo e digressioni sull'arte e sulla stanchezza degli anziani incomprensibili a un pubblico più giovane. Un'ode al cinema, confezionata con grande mestiere, ma che di certo non lascia il segno. Naturalmente fotografia ed effetti ai massimi livelli.
Semplicemente divino e con interpretazioni sublimi e sentimentali, il film è un ingranaggio dedicato al cinema e che festeggia il cinema come arte immortale. Scorsese ha saputo cogliere l'attimo e imprigionarlo nei personaggi che hanno reso la storia indimenticabile. Il muto che attrae perché è da li che tutto iniziò. L'orologio del tempo che salva tutto.
Episodio singolare nella filmografia di Scorsese in cui decide di celebrare la nascita e i primi passi del cinema attraverso la figura di Georges Méliès. Tra il fiabesco e il citazionismo mira a toccare le corde più sensibili degli amanti del cinema, cavalcando una fotografia tra il blu e il giallo-arancio decisamente bruttina e un copione abbastanza scialbo. Il genere non gli appartiene e si vede perché non raggiunge i picchi che dovrebbe, rimanendo sottotraccia e deludendo le aspettative dovute al nome e al budget speso. Discreto, ma nulla più.
E' mio personale parere che Scorsese da una ventina d'anni a questa parte stia solo facendo film "commerciali" d'autore. Vale a dire, sa quel che il pubblico vuole e lo produce con bravura, malgrado non abbia nulla da dire al riguardo. E' invece stata una gradita sorpresa questo sentito omaggio ai primi passi del cinema e alla sua magia che ancora non è morta. Una fiaba per bambini apprezzabile anche dagli adulti, ambientata in una meravigliosa stazione parigina che emana fascino e incanto da ogni bullone arrugginito.
Inconsueta escursione del caro Martin nel mondo del fantastico: speriamo sia stata una sbandata temporanea. È doloroso infatti pensare che lo stesso uomo abbia concepito sia Toro scatenato che questa pellicola zuccherosamente e molestamente amélizzante. Il ricco impianto visivo e l'ode al cinema degli albori fungono da specchietto per le allodole: le emozioni sono infatti artefatte e, già rimasticate, vengono messe in bocca a personaggi che paiono essere sortiti da uno dei tanti "favolosi" film girati dopo quel "funesto" capostipite.
Sincero omaggio di Scorsese all'arte cinematografica e alla figura pionieristica di Méliès, resa molto bene dall'interpretazione di Kingsley. Il film alterna toni drammatici ad altri più favolistici, tanto che sembra frutto di Spielberg o Zemeckis più che dell'autore di Toro scatenato. Visivamente ineccepibile, con una splendida resa del digitale e begli effetti. Va un po' per le lunghe ogni tanto, con una parte iniziale leggermente prolissa, ma la storia coinvolge e la direzione dei piccoli protagonisti è strabiliante.
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Per quanto concerne Dickens pure a me è venuto in mente, forse per la presenza di Kingsley.
DiscussioneDaniela • 4/11/12 23:35 Gran Burattinaio - 5946 interventi
Didda23 ebbe a dire: Daniela nel commento ebbe a dire:
"confeziona un filmone para-spielberghiano".
Pure io ho provato la stessa sensazione.
Per quanto concerne Dickens pure a me è venuto in mente, forse per la presenza di Kingsley.
Caro Didda, nel tuo commento hai osservato:
"L'opera di per sè stessa è girata con molto gusto ed eleganza, però chi ama il cinema di Scorsese non può che rimanerne deluso".
Ed infatti... Amo moltissimo lo Scorsese di Taxi Driver, Toro scatenato, Quei gravi ragazzi, L'età dell'innocenza, ho visto quasi tutti i suoi film e anche in quelli che non ho apprezzato (come The Departed) ho percepito la sua mano. Qui no, sono certa che, se avessi visto il film al "buio" e senza titoli, non avrei capito che era un suo film.
Daniela, anche a me sembra difficile poter riconoscere la mano di Scorsese in questo film. Però il suo amore per il cinema è noto e questo traspare dal primo all'ultimo fotogramma.
Caesars ebbe a dire: Daniela, anche a me sembra difficile poter riconoscere la mano di Scorsese in questo film. Però il suo amore per il cinema è noto e questo traspare dal primo all'ultimo fotogramma.
Concordo, un sentito omaggio al cinema, da vedere a mio parere in sala e che viene sminuito dalla visione domestica. Anche il 3D mi aveva convinto
Certamente film da godersi appieno nelle sale cinematografiche, però devo dire che ho apprezzato molto il 3D anche visto in TV.
DiscussioneDaniela • 28/10/13 13:04 Gran Burattinaio - 5946 interventi
Caesars ebbe a dire: Daniela, anche a me sembra difficile poter riconoscere la mano di Scorsese in questo film. Però il suo amore per il cinema è noto e questo traspare dal primo all'ultimo fotogramma.
Mai messo in dubbio l'amore di Scorsese per il cinema :o) però confermo quanto scritto in precedenza. Se dovessi distillare in una sola parola quello che mi trasmettono i suoi film - sia i capolavori assoluti che quelli considerati minori o dichiaratamente su commissione - questa parola sarebbe: febbre.
Questa "febbre" che è tensione, vibrazione emotiva oltre che estetica, vedendo Hugo Cabret non l'ho sentita...