Dopo l'incredibile esordio di ERASERHEAD, la grande prova d'autore di ELEPHANT MAN e il passo falso del kitchissimo DUNE (dal quale comunque viene riproposto il protagonista Kyle MacLaghlan), David Lynch con VELLUTO BLU codifica definitivamente le coordinate del proprio stile. Ottenuta dal produttore Dino De Laurentiis l'opportunità di controllare il final cut, Lynch mette in scena il suo primo, vero incubo surreale destinato a diventare paradigma. Ci sono già le magnifiche, eteree musiche...Leggi tutto di Angelo Badalamenti, il favoloso studio di suoni e rumori di sottofondo che costituisce quasi una traccia in grado di proseguire autonomamente, ci sono gli sprazzi di follia semi-incomprensibile, gli squarci di sesso e sangue, i colori intensi di una fotografia figlia dell'amore di Lynch per la pittura. Un insieme unico che dà vita a un film imperfetto (e dire che il regista ha impiegato quattro anni a perfezionare e completare la sceneggiatura) ma terribilmente affascinante. Spesso ipnotico nel suo andamento lento ed estatico, apparentemente futile e sconclusionato, BLUE VELVET (il titolo viene da una vecchia canzone del 1964 riproposta più volte nel corso del film) rischia di non piacere per il suo approccio a volte troppo intellettuale e pretenzioso, per il voler prolungare in eccesso scene che non lo meriterebbero, ma lascia intravedere un attento studio di ogni inquadratura che non può non essere apprezzato. Isabella Rossellini era allora una semiesordiente.
In "Velluto blu" David Lynch ci mostra in anteprima alcuni degli elementi che costituiranno le basi della celebr serie tv Twin Peaks: le musiche di Badalamenti, il protagonista Kyle MacLaghlan, l'atmosfera di malsana complicità che pare avvolgere tutto e tutti. Anche una sceneggiatura un po' troppo farraginosa, a dire il vero. Perché non è che tutto giri alla perfezione, nel film. L'intreccio a volte s'incarta e il rischio di cadere addormentati, ipnotizzati dalla magia lynchiana, è latente.
Opera meravigliosa. La sequenza della stanza è stupenda e Dennis Hopper è sublime nella parte che incarna. È un film che non lascia molto spazio alle ipotesi, si discosta dalle opere più criptiche, o meglio libere, di Lynch. Qui ci si attiene a fatti e a personaggi e le cose hanno un filo conduttore chiaro, sebbene questo filo nasca dall'ignoto. Film da amare o odiare, come tutta la filmografia del regista.
Bicefalo e chiaroscurale, contiene in nuce almeno un tema poi meglio sviluppato – su un piano molto più visionario ed astratto - nei film più recenti di Lynch, ovvero la compenetrazione di due lati della realtà: l’uno sensuale, delicato, innocente ed ideale e l’altro oscuro, brutale, perverso, suburbano. Questi due estremi sono resi ottimamente il primo dai volti fanciulleschi e ingenui di MacLachlan-Dern; il secondo dalla maschera feroce e psicopatica di Hopper e dalla sessualità malata della Rossellini. Cromatismo acceso, di stile pittorico.
Visivamente è bellissimo: sembra una sequenza di quadri d'autore, specie dentro le quattro mura della Rossellini. Le musiche sono fascinose. Come storia però è molto meno equilibrata e denuncia diverse lacune e esagerazioni. Hopper non si scorda ma conveniva farlo così perverso? E l'ambiguità, sensuale ma non sempre credibile, della Rossellini? Gli altri protagonisti (quelli "normali" o ingenui) incidono poco. Lynch vuole stupire, scavare nel torbido ma, insomma, si perde strada facendo.
Fuor di dubbio: Dennis Hopper e Isabella Rossellini rappresentano, rispettivamente, "l'anima" ed "il corpo" del film. Ch'è realizzato con uso sapiente dell'illuminazione (e di conseguenza della fotografia) in grado di rendere convincente l'intera messa in scena. Ma la lentezza di fondo sembra dominare, a più riprese, il ritmo del film che è giallo solo marginalmente, essendo diretto (centralmente) nel territorio dello psicologico (alquanto confuso). Tra le cose più (stra)ordinarie di David Lynch.
Ottimo lungometraggio di Lynch. Dalla perfezione apparente del paesino di provincia americano escono i mostri nascosti e le storie di lucida follia che vivono nel sottosuolo dell'apparente paradiso. Ben prima di Twin Peaks Lynch teorizzava sulla falsità delle apparenze e sull'ambiguità del sogno americano.
MEMORABILE: La lunga sequenza dei titoli iniziali.
Forse uno dei film più comprensibili di Lynch, nonostante alcune assurdità della sceneggiatura. La fotografia è il vero punto di forza della pellicola, sinuosa e ammaliante, così come anarchica e destabilizzante è l'interpretazione di Dennis Hopper, assolutamente e volutamente sopra le righe. McLachlan e la Dern abbastanza antipatici con le loro facce da ragazzini e la Rossellini semi-esordiente ma efficace. Il film talvolta è lento e alcune scene rasentano il trash, tuttavia si lascia seguire, a differenza di molte altre pellicole del regista.
Addensato sulla dialettica frustrante e irrisolta di purezza e corruzione - con i fidanzatini immacolati (MacLachlan-Dern) attratti e repulsi dalla coppia mostro (Rossellini-Hopper), in uno scenario che veicola l’orrore nel candore e viceversa - Blue Velvet fu per Lynch la fucina di Plutone, l’opera che ha forgiato le strutture architettoniche di un immaginario cinematografico epocale. Lo stupore irriducibile generato dalla scoperta dell'intrinseca adiacenza dei contrari dà vita a un noir lentissimo e febbricitante, cromaticamente languido e pastoso, ricolmo di straniante ironia. Irripetibile.
Più fascinoso che perfetto. Abbaglia anche con le tonalità cupe, conquistando l’attenzione con immagini che fanno dimenticare (almeno di primo acchito...) che alla trama che lì ci ha portato manca sicuramente qualcosa. Recitato molto bene, con momenti di grande cinema: lui nell’armadio, quasi tutto Hopper, la stupefacente scena con la Rossellini nuda a casa del poliziotto. Ottime le musiche.
Unico film davvero buono di Lynch, soprattutto unico comprensibile. Certo, i tocchi e le anomalie classiche del regista ci sono e sono evidenti, ma il fascino è innegabile ed è anche grazie alle musiche e alla stupefacente fotografia che si può quasi gridare al miracolo. Bravissimi anche gli attori, con un Hopper ambiguo e un Maclachlan mai più così bravo come nella parte del giovane. Non una bellezza la Rossellini, ma molto funzionale all'opera ed al contesto di decadimento. Sublime la scena dove Stockwell canta con una lampada come microfono. Bravo, Lynch.
Apre un nuovo capitolo nella filmografia di Lynch, anche se rispetto a pellicole come Strade Perdute, Mulholland Drive e l'ultimo Inland empire risulta ancora fin troppo lineare. Il concept di base è ottimo, verrà poi ripreso in Twin Peaks (sotto la bella facciata di una ridente cittadina si nascondono segreti, perversioni eccetera): però forse qui Lynch è ancora piuttosto legato alla materia "film" standard. È il 1986 e i lungometraggi successivi andranno ben oltre.
In una cittadina dove la vita scorre nella semplicità si annidano inquietanti personaggi e storie fatte di sesso violento, droga e rapimenti, che un giovane scopre dopo aver trovato un orecchio mozzato. Al di là della storia (non particolarmente avvincente) ciò che davvero conta sono le atmosfere e le situazioni torbide che ogni tanto si rapprendono in una malata visionarietà che trasforma interni quotidiani borghesi in altrettanti teatrini dell'incubo. Bella la musica di Badalamenti. Curioso (beffardo?) il finale esageratamente lieto.
Eccessivo definire capolavoro un film come questo, dal quale ci si aspetta sempre, ma invano, di venire completamente coinvolti. Se ne nota la realizzazione girata con un certo senso del cinema, ma è un thriller ordinario che tenta di colpire con l'arma della storia condita con perversione e depravazione. Certi contenuti visionari sono da ricordare, ma per thriller più intensi rivolgersi quantomeno a Hitchcock o a De Palma. ***
Film vizioso, come ha un'aria viziosa Kyle MacLachlan, nonostante si atteggi a bravo ragazzo della porta accanto. Sotto la superficie di un lindo quartiere residenziale brulicano cose immonde, come mostra la sequenza d'apertura, così basta seguire la circonvoluzioni uterine di un orecchio tagliato per ritrovarsi dietro lo specchio. Rossellini modesta ma funzionale, Hopper iconico, Stockwell da incorniciare. Musica e fotografia imprescindibili per un'opera che affascina ed irrita, sicuramente importante ma soprattutto come prova generale per Twin Peaks con le sue perversioni provinciali.
Miscuglio di surrealismo e visioni, dove tutto prende delle pieghe tanto assurde che in fin dei conti son queste a mantenere l'attenzione viva; riflettendo su chi è il regista, allora viene da sè che non è affatto lento e nemmeno più di tanto emblematico (sebbene molti conti non tornino); c'è un inizio ed una fine che si capiscono benissimo, solo che è la trama in sè ad essere tanto malsana e quasi angosciante da caratterizzare notevolmente il prodotto. Ottime interpretazioni per il trio Rossellini-McLachlan-Hopper e piacevolissima musica.
Un film non perfetto ma terribilmente coinvolgente. I temi della sessualità, della violenza, della corruzione e dell'innocenza vengono sapientemente intrecciati dal regista, dando vita ad un'ipnotica e cromatica discesa agli inferi. Bravo MacLachlan nei panni del giovane protagonista che scopre il male dietro la pulita facciata dei sobborghi e che riesce a tener testa a due "mostri" quali Hopper e la Rossellini. La sua aria febbrile riesce a rendere inquietante anche il lietissimo finale.
Il bravo ragazzo, la bionda findanzatina d'America e la torbida donna bruna, tormentata e piena di segreti. Già accennato in Eraserhead, torna Lynch su questo universale triangolo che si affaccerà spesso nel suo cinema. Attraverso gli occhi di Kyle MacLachlan ci fa conoscere il mondo della notte, l'altra faccia della quiete. Uno dei suoi tanti capolavori (e Gian Luigi Rondi non l'ha ancora capito).
Grande film di Lynch che riesce come spesso accade nelle sue pellicole a trasmettere allo spettatore l’atmosfera morbosa e malata che pervade la storia all’interno del quale si muovono personaggi molto diversi tra loro. E quel che colpisce di più è proprio questa alternanza tra candore-innocenza e perversione-violenza che attraversa i vari momenti del film fino ad arrivare al suo epilogo. Molto azzeccato il cast con una ovvia nota di merito per un Hooper sopra le righe. Fotografia da incorniciare e buona, e funzionale, anche la colonna sonora.
Ipnotica discesa noir agli inferi (e ritorno) impreziosita da un grande gusto per i cromatismi, la composizione dell'immagine, il singolo momento prezioso e le grandi musiche di Badalamenti: la fluidità della sceneggiatura viene sacrificata al simbolismo, all'opposizione tra la facciata e il torbido mondo notturno di Lumberton, ma rimane uno dei Lynch di più agevole fruizione. Ottimo MacLachlan nei panni dell'ambiguo protagonista, grande Hopper in quelli del cattivo psicopatico, una rivelazione la Rossellini.
MEMORABILE: Il dettaglio della bocca di Dorothy, dopo che Jeffrey l'ha colpita; il numero musicale di Ben con la lampada.
David Lynch riesce ad essere ancora contenuto in questo film, mentre si sbilancerà con le sua ansie ed angosce nelle successive pellicole. Bellissima la fotografia nella stanza della donna seviziata e impressionante la scena in cui lei si ritrova nuda e violentata nella casa del poliziotto. Si può dire che questo film rappresenta un punto di partenza per Lynch, l'inizio di uno studio che traspone l'inconscio in storie ed immagini.
Non il mio Lynch preferito ma grande film. Uno dei più lineari e facili del regista che dopo il mezzo flop di Dune può finalmente lavorare su un soggetto suo e con il controllo totale di ogni aspetto artistico. Attori come al solito superlativi a cominciare dal grande Dennis Hopper. Molte delle tematiche proposte saranno riprese in Twin Peaks ma qui sono espresse in una forma più pura e più cruda che forse nel formato televesivo non sarebbe stata accettata. Molto evidente e sottolineato in ogni modo il contrasto tra luce e buio.
MEMORABILE: Dennis Hopper che pronuncia la fatidica frase: "Now it's dark".
A Lumberton ci sono linde casette con il prato che scende verso la strada, bianchi steccati, la radio locale che dice di andare a tagliare la legna nel bosco, ma anche personaggi strani, pericolosi, con alle spalle infanzie malsane che li hanno segnati per la vita. Il film si regge sulle perversità di un Hopper che è a suo agio nel personaggio e sui ripetuti nudi di Isabella Rossellini, più curiosi che eccitanti. Al di fuori della casa di Dorothy, unico punto notevole del film, dove si consumano pruderie un po' fanciullesche, niente di nuovo.
Lynch con la consueta abilità ci trascina in un mondo perverso e malato, dove la comprensione è solo una piccola parte del tutto. Ognuno può trovare mille spunti differenti e covare dentro di sè interpretazioni di ogni tipo. È come se una presenza invisibile e malvagia guidasse i protagonisti nel loro agire. Lynch scava nel subconscio e ci getta in faccia stranezze di ogni genere. Affascinante e complesso come ogni sua opera.
Una delle prove registiche più morbose e inquietanti dello sciamano Lynch, che racconta una vicenda sfuggente e ambigua, come ambigui sono i personaggi, fra i quali spicca un repulsivo e spiazzante Dennis Hopper. Il regista crea ed elabora un personalissimo linguaggio filmico e visionario, e una modalità narrativa sincopata ed allucinata che saranno il suo marchio di fabbrica. Non perfetto, ma imprescindibile e indimenticabile.
L'efficacissima dicotomia tra l'ambiente idilliaco della sonnacchiosa provincia americana e l'atmosfera torbida e malsana che ruota intorno ad una misteriosa cantante di night club fanno da filo conduttore per questa riuscita opera di David Lynch. Più che la vicenda in sè (si tratta di un noir per certi versi convenzionale dal punto di vista narrativo), colpisce lo spettatore la modalità di rappresentazione, di stampo pittorico, con una fotografia di altissimo livello e un cast praticamente perfetto così come la prova del regista.
Caratterizzato da un ritmo pachidermico e una vicenda a tratti priva di mordente, la pellicola di David Lynch pone tutto il suo valore sulle atmosfere bucoliche ed evocative di una cittadina quasi incantata e sospesa, dove nella tranquillità quotidiana personaggi bizzarri ed inquietanti accompagnano il protagonista in un incubo (sotto) terreno, fatto di misteri, rapimenti, masochismo, Eros nelle sue più carnali sfaccettature. Uno scontro/incontro tra purezza e amoralità che indaga i lati oscuri e imprevedibili dell’animo umano. Superba fotografia.
Un film esteticamente molto curato con una fotografia e una colonna sonora che "fanno" il film stesso. Il vero punto debole è la prima parte, un tantino fine a se stessa e lenta: ci si appassiona davvero alla vicenda solo verso la fine. Migliore del cast una raffinata e affascinante Rossellini. Ottima confezione per un noir "normale", ma imbellettato da risvolti psicologici (da chi scrive tuttavia non eccessivamente avvertiti). Buono per certi versi, pesante per altri.
Sublime visione di immagini fotografate in maniera stupenda alternate a una trama sconcertante, a tratti grottesca che a momenti induce all'alienazione. Cosa ci può essere di cupo e marcio nascosto sotto l'apparente bellezza di una ridente cittadina... o di una bella cantante... Sociologicamente e psicologicamente interessante.
MEMORABILE: L'orecchio ritrovato; La conclusione dell'appuntamento.
Un film che per i primi 50 minuti risulta a suo modo avvincente, grazie anche a un'intrigante sceneggiatura, ma che poi scema progressivamente a partire dal "giro in macchina" concludendosi poi con un finale scontato. Non male i membri del cast, tra i quali campeggiano la Rossellini con una lodevole performance e un discreto Hopper. Da evidenziare un Lynch un po' spento nelle scene con luce, di cui comunque si apprezzano originali scelte registiche.
Il fuoco divampa sullo schermo, drappi rossi, incipt idilliaci merciscenti, psicopatici melomani che aspirano droghe da una mascherina, cadaveri in piedi, sparatorie al ralenti, dark lady devastate nel corpo e nella mente, uccellini meccanici che divorano vermi, orecchie amputate. Puro cinema lynchiano, che prende i visceri e il cuore, immaginifico e fiammeggiante noir che arriva da un'altra dimensione, onirica e incubotica, sanguigna e ferina. Lynch sovverte il genere americano per antonomasia, creando atmosfere uniche tra l'horror e la fiaba nera. Capolavoro.
MEMORABILE: Il pestaggio notturno a Kyle MacLachlan sulle note di "In Dreams" di Roy Orbison; La Rossellini nuda con il corpo coperto da echimosi; "Adesso è buio".
La storia è semplice: un giovane uomo si trova implicato in una losca storia di rapimenti, attratto dal clima misterioso che vi aleggia. Il modo è originale e suadente, colpisce e avvolge anche noi come il protagonista, stordito da qualcosa che è già dentro di lui. Simbolico, psicoanalitico, visionario, "Velluto blu" è senza dubbio un nuovo modo di fare cinema: vedere senza chiedersi troppi perché...
Credo che sia il lavoro più rappresentativo di Lynch e uno spartiacque tra la sue carriere. Prima di questo film il regista tendeva all'onirico quasi esasperato costringendo lo spettatore a interpretare le sue visioni, da qui invece i film diventano più "mainstream", più abbordabili, in maniera tale che chiunque possa apprezzare il suo lavoro. Lo definisco un lavoro sapiente e ben organizzato, precursore anche della serie di Twin Peaks per le ambientazioni e le tematiche trattate. Nel cast su tutti emerge Hopper. Merita una visione.
MEMORABILE: L'interpretazione di Hopper, quasi a far concorrenza ai ruoli preferiti di Jack Nicholson.
La poetica lynchiana al servizio della narratività come non lo sarà mai più nella carriera del cineasta americano. Vero e proprio esercizio di stile, idee e ricerca visiva tra iperrealismo e nera abitudine del quotidiano. Un punto solido, uno spartiacque o forse solo un gran bel film?
La provincia americana torbida e malata nella pellicola di un Lynch avviato a futuri successi. Strepitoso Hopper in un ruolo cattivissimo che gli calza a pennello, cantante non bellissima ma iper erotica e perversa la Rossellini che si mostra anche nuda integrale; nemmeno i cosiddetti "buoni" sono esenti da pecche: MacLachlan aiuta la polizia ma instaura una malsana relazione con la Rossellini e anche la Dern pare un po' troppo curiosa, almeno all'inizio. Non manca nulla: violenza, turpiloquio, sesso, corna, sadomaso, poliziotti corrotti.
MEMORABILE: La maschera inalatrice di droga usata da Hopper prima di ogni azione violenta intrapresa.
Nella sonnacchiosa cittadina di campagna in stile anni 50 piomba la violenza senza ragione. Le contrapposizioni tra colori dark e pastello, universitari imberbi e delinquenti psicopatici, stupri e frasi d'amore, son miscelate in un noir che scorre filante. Lynch sa accelerare e creare un pathos classico anche con un finale tipo fiaba come per dare speranza di un mondo migliore. Hopper è sinistramente ispirato e la Rossellini ha un fascino che sopperisce alle scarse doti canore.
Il film di Lynch ha lasciato il segno, per l'impietosa rivelazione delle perversioni nascoste dal perbenismo americano di facciata e per le scelte stilistiche visivamente molto impattanti. Il regista si compiace nel provocare lo spettatore contrapponendo in modo netto e disturbante l'idilliaca innocenza con le deviazioni più morbose, senza lasciare spazio a equilibrio e razionalità. La Rossellini si mette coraggiosamente a nudo, in tutti i sensi. Eccessivo e pretenzioso, ma efficace.
È un noir moderno dove l'azione investigativa del protagonista comincia da fatti materiali esteriori per poi svolgersi (anche) su un piano psichico (il suo), non meno materiale pur se traslato e ineffabile. Corteggia e seduce con visioni simili a sogni (ora dolci ora inquietanti), personaggi squilibrati, apparizioni, languori e morbosità erotiche, belle musiche. Se magnetizza con la raffinatezza delle immagini non trascura però l'intrigo e la narrazione (d'intrattenimento torbido, sottile); confonde le idee e tenta di venire a capo di enigmi.
Confesso che la famosa estetica di Lynch io non riesco proprio a "comprenderla" e quindi ad apprezzarla; detto ciò, del film rimane poco altro: tutto fatto di situazioni paradossali, dialoghi volontariamente sciocchi e un soggetto che è dichiaratamente raffazzonato, a tratti poco comprensibile e per il resto un po' banalotto. Certo ci sono scene intriganti (l'orecchio che cita Buñuel, Blue Velvet...) e certo il limite è mio, ma se devo giudicare con coscienza non vado oltre *!. Capisco che per altri sia un capolavoro visivo, per me no.
L’idea di base della sceneggiatura è piuttosto semplice e assimilabile agli standard del thriller, anche se è il modo in cui si sviluppa a fare la differenza. Lynch destruttura e arricchisce la pellicola di particolari del tutto fuori dell’ordinario, cercando un’espressività contraddistinta da una ricerca personale ben precisa. Vive del lato estetico e dell’impatto emotivo che può scaturire dalla forza di alcune scene spinte al limite. Sembrano le prove generali di quello che troverà una forma espressiva migliore in Twin Peaks.
Una storia maledetta nel più puro stile del regista del Montana, che torna in questo film a respirare l'aria di casa. Nella tranquilla provincia americana due ragazzi si imbattono per gioco in un orrore più grande di loro (impersonato da un grandissimo Hopper, delirante al punto giusto) e scoprono, in una sorta di iniziazione al mondo reale, che il marcio si è insinuato anche fra le sicure mura domestiche. Cast all'altezza del talento visionario di Lynch, sceneggiatura perfetta che non spreca nulla, la Dern più ambigua che mai. Un gran bel film!
MEMORABILE: L'impeto dell'ex ragazzo della Dern frenato dall'apparizione della Rossellini nuda.
Per i lynchiani incalliti può risultare più importante e affascinante che bello, anche come riscatto dal fallimento di Dune. Dal suo microcosmo, prima ancora che da quello di Eraserhead, si sviluppano tutti i personaggi che popoleranno gli incubi lynchiani delle ultime tre decadi, dalla "woman in peril" al simbolico MacLachan, sino a una sfilza di freak e villain d'impatto scenico prorompente (quella di Hopper è, per largo distacco, la miglior prova). Snodi narrativi ancora un po' farraginosi, finale debole.
MEMORABILE: L'ultima visita di Jeffrey all'appartamento di Dorothy.
La geniale perversione di Lynch generaa una pellicola di notevole impatto visivo che oltre gli splendidi ma sporadici nudi di una conturbante Rossellini offre la visionaria violenza del bruto Hopper. Lynch cattura lo spettatore con immagini di violenza ma poi cerca di ammaliarlo con musica anni 50. Indubbiamente straniante per l'epoca, ma tuttora attuale.
Misteriosa e ricca di fascino, questa pellicola lynchiana entra nella nostra testa permettendoci di identificarci perfettamente con il protagonista, un ottimo MacLachlan e la sua amica, una giovanissima Dern. Il resto del cast (Rossellini e Hopper su tutti) è magistralmente diretto e fa la sua figura; il tutto ambientato in un contesto cittadino apparentemente tranquillo, scosso da una improvvisa scoperta macabra. La fotografia, la regia e la colonna sonora sono il valore aggiunto di quest'opera fondamentale per la carriera di Lynch.
Due ragazzi si improvvisano detective per scoprire il mistero che si cela dietro il ritrovamento di un orecchio mozzato. Scopriranno un mondo oscuro e inquietante dietro la superficie tranquilla e affettuosa della provincia americana. Per la prima volta Lynch riesce a coniugare la sua visionarietà con un racconto di genere poliziesco e firma un classico del neo-noir. Il contrasto tra bene e male, realtà e sogno, amore e sadismo anticipa le atmosfere del primo Twin Peaks. Hopper entra di diritto nel pantheon dei grandi cattivi di celluloide.
MEMORABILE: L’idilliaco inizio sulle note di "Blue velvet"; Il ritrovamento dell’orecchio; "In dreams" di Orbison eseguita da Stockwell; Le inalazioni di Hopper.
"Velluto blu" recupera le allucinate atmosfere noir precedenti e le intinge nelle acque torbide della sua futura poetica: tra doppi, chiaroscuri ed escrescenze. Incubi urbani cristallizzati nell'assolato perbenismo provinciale americano, corpi discordanti che s'intrecciano al servizio di una morbosità trascendentale (dichiara che l'idea del film sia nata durante una seduta di meditazione nelle quali ha visualizzato due labbra carnose alle quali ha poi dato vita la Rossellini) e sofisticati meccanismi narrativi che giocano sugli opposti per un equilibrio orientale. Lynch "anno zero".
Lunga vita a David Lynch, uno dei pochi registi capaci di farti passare da un thriller più o meno comune al grottesco senza neanche che tu te ne accorga. Anche qui, come spesso capita nei film del geniale regista, l'inizio può sembrare un film denso di mistero, ma è tutta una scusa per immergersi come sempre in un sogno, forse non delirante come in altri casi nella sua filmografia, ma stavolta con qualcosa di perverso e voyeuristico, aiutato dalla bella fotografia. Un buon cast completa un'opera godibile anche perché il grottesco stavolta non è troppo spinto. Consigliato.
L'arte di David Lynch si insinua sottilmente come una nuvola di fumo tossico nella storia del cinema e questa volta la colora di blu, nel senso inglese di "malinconia" che è la sensazione che lasciano capolavori come Alice nel paese delle meraviglie. Anche qui per entrare nel mondo magico ci vuole uno strano oggetto: in Alice era una bottiglietta. Qui il protagonista entra in contatto con un vero orecchio umano staccato. Un po' brutale come inizio di un viaggio che non per questo sarà meno allucinante. I suoni attutiti e l'atmosfera sospesa lasciano il posto al respiro del cattivo.
MEMORABILE: La sequenza iniziale; Il cattivo che inala dalla maschera a gas; Laura Dern con look anni '60; Isabella Rossellini e la distopica parrucca nera riccia
Centrale (nucleare) nella filmografia di Lynch, definendo una volta per sempre quelle che saranno le coordinate del suo cinema futuro impegnato a sondare il mistero trascendente nella più banale quotidianità come il male (e la malattia) più turpe sulla superficie più anonima. Ed è evidentemente "naturale" che l'indagatore di questo sottobosco così profondamente promiscuo non possa che essere il prototipo del good boy incarnato dal viso e dalla fisicità di MacLachlan, irresistibilmente attratto ben più che affascinato dalla lirica bestialità di Hopper e Rossellini. Respinge e avvolge.
MEMORABILE: La formidabile esecuzione di "In dreams" di Roy Orbinson.
Tra le opere più comprensibili di Lynch, "Blue Velvet" ci porta nell'America pulita dei quartieri residenziali di ville con giardino e ne ribalta completamente la facciata, a partire da un orecchio mozzato e giocando con i volti candidi dei giovani MacLachlan e Dern. Il primo si presta molto bene a viaggiare nel torbido, qui raffigurato da una Rossellini e un Hopper diversamente disturbati. Ma l'autore non esagera e si limita a generare suggestioni, manovrando i colori alla sua maniera (i soliti drappi rossi!) e distillando inquietudine qua e là. Non travolgente ma riuscito.
MEMORABILE: L'orecchio; Kyle nascosto a spiare; La Rossellini nuda; I cadaveri eretti o seduti; Il pettirosso con l'insetto in bocca.
Zona oscura (o meglio, "blu") dove si incontrano clandestinamente Fellini, Hitchcock e Al Adamson, con un'attenzione al feticismo per i dettagli non inferiore a quella di Dario Argento. Uno "strano mondo" naif come la provincia americana idealizzata degli anni '50 e marcio come il pulp della stessa epoca dove si annidano personaggi perversi che attraggono e ripugnano allo stesso tempo. Nel cast spicca una straordinaria Isabella Rossellini: senza nulla togliere agli altri il film si regge praticamente su di lei. Opera seminale che ha creato l'immaginario lynchiano vero e proprio.
Pellicola difficilmente classificabile: in parte noir, in parte mistery, in parte psycho, ma soprattutto surreale e visionario, come parte della produzione del regista. Avvincente più per ' onirica messa in scena che per lo snodo dei misteri, che sono molto meno interessanti. Quel che si dice un film di David Lynch: sui generis, avvincente, ma non come potrebbe esserlo un giallo, più come potrebbe esserlo un sogno.
Puro Lynch quando inizia avvolgendo lo spettatore per poi, pian piano, deragliare risultando quasi fastidioso. Vero che vive di contrapposizioni (elegia e sporcizia, buio e fuoco, bionda e mora, indagini quasi infantili del protagonista che poi finiscono per scoprire un mondo perverso e inspiegabile) e che tutti i crismi di Lynch già ci sono (i tendaggi pesanti, la doppia donna, la musica, il noir, Kyle McLachlan), ma manca qualcosa per essere Lynch al 100%, infatti si capisce qualcosa. Attori, fotografia, sonoro strepitosi.
Giardini perfetti e anime scompigliate, angeliche bionde e mercuriali more, tenerezza e violenza, drappi e canzoni anni '50, labili confini tra bene e male: c'è proprio tutto Lynch in questa sua (quasi) ultima opera ancora legata ai laccioli della narrazione coerente, prima del definitivo trasferimento dal Montana verso l'altrove. Rivisitazione del noir, di cui la storia ha tutti i difetti, è un film stilisticamente ineccepibile, talmente ineccepibile che ci si scorda, appunto, della friabilità del racconto. Hopper alla soglia dell'immortalità, resto del cast funzionale. Epocale.
Démodé e avveniristico, affollato di reliquie del passato eppure saldamente alienato nel presente. Lynch aleggia nella provincia americana smontando e rimontando fatti e paesaggi come fossero la mappatura di un incubo tra il sonno e la veglia. La pellicola è una vera e propria condanna spirituale, rigogliosa di audaci inquadrature, pregna di personaggi e simbolismi che, da qui in avanti, infesteranno tutta l’opera del regista. Seminale.
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Strana operazione, perché i contenuti inediti corrispondono a quelli del BR mgm... Ottimo il restauro invece, speriamo torni al cinema.
HomevideoRocchiola • 6/04/20 10:00 Call center Davinotti - 1318 interventi
Grande trasferimento in HD operato in occasione del venticinquesimo anniversario dall'uscita nelle sale. Perfetto il video molto pulito e dettagliato in panoramico 2.35. Qualche riserva sull’audio italiano, un DTS 5.1 troppo basso con dialoghi a tratti quasi sussurrati, pertanto bisogna alzare molto il volume. Extra davvero interessanti.