Il cinema di David Lynch: filmare la trascendenza

5 Maggio 2009

PREMESSA
 
“Penso che sia una cosa di vitale importanza proteggere il mondo del film evitando di svelare certi dettagli che potrebbero comprometterne l’esperienza. […] Il cinema assomiglia tantissimo alla musica. Anche quando è molto astratto, a tutti i costi le persone vogliono comprenderlo a livello razionale[…] non riuscirci è frustrante. ”

La citazione di David Lynch in apertura è una premessa metodologica indispensabile a quanto segue, e per chi lo scrive, e per chi lo legge. Se è vero, come afferma Giorgio Viaro (in “Nocturno Dossier n. 77 – La Fossa dei Serpenti”, 2009) che la decodifica di un film di Lynch è più prossima ad una seduta di psicoanalisi che ad un saggio critico, e se la psicoanalisi è solo una delle tante letture possibili, allora la seguente non può che essere un’ipotesi interpretativa tanto poco esaustiva quanto definitiva. Cercheremo almeno di indagare attraverso una sorta di rigore filologico, attenendoci esclusivamente alle dichiarazioni rilasciate dall’autore nel suo saggio “Catching the Big Fish” (“In acque profonde”, Mondatori, 2008) e prendendo in considerazione solo i lungometraggi che rivendicano totalmente la sua paternità registica. 
In particolare, verrà escluso Dune, che per ragioni produttive non può essere ritenuto piena e libera espressione dell’autore il quale, com’è noto, subentrò ad Alejandro Jodorowsky, Moebius e H.R. Giger, per volere di Dino De Laurentiis, a progetto ormai avanzato.
 
“Quando diressi Dune, non realizzai il montaggio finale […] sentivo di aver tradito i miei ideali […] il risultato finale non corrispondeva a ciò che volevo io”.

Si farà inoltre riferimento a quattro momenti distinti nella produzione del regista, di cui due sono premessa ai successivi, andando a definire una prima e seconda “maniera”. I motivi della cernita si chiariranno in corso d’opera. La trattazione, cui è invitato a partecipare il lettore, seguirà un procedimento di tipo analogico e intuitivo:
 
“La vita è piena di concetti astratti e l’unico modo per venirne a capo è usare l’intuito. Intuire è vedere la soluzione. […] Le persone dicono di fare una certa fatica a capire un film, ma penso che in realtà capiscano molto più di quanto si rendano conto: possediamo tutti il talento di intuire le cose.”
 
1 – IL QUARTO STATO DI COSCIENZA
 
“Me lo immagino come una stanza bianca e rotonda, con le pareti nascoste da tende gialle, rosse e blu. Le tende simboleggiano i tre stati di coscienza: la veglia, il sonno e il sogno. Nello spazio vuoto tra una tenda e l’altra, puoi scorgere il candore dell’Assoluto: la pura coscienza di beatitudine. In quel frammento di bianco puoi trascendere.”

Nel brano riportato, Lynch evoca un’immagine utile a descrivere il Quarto Stato di Coscienza: la Trascendenza, dimensione che travalica le condizioni di veglia, sonno e sogno. “Catching the Big Fish” non è solo una libera dichiarazione d’intenti autoriali, ma è anche il tentativo di consegnare ai lettori una chiave d’accesso al suo mondo, vale a dire la Meditazione Trascendentale. Per inciso, il libro è anche un sincero e persuasivo invito a praticarla. Chiaramente non si tratta di una mera tecnica di rilassamento, quanto di un’autentica esperienza cognitiva e percettiva che modifica intimamente e radicalmente sé stessi e la propria visione del mondo; Lynch vi s'immerge quotidianamente da circa 40  anni, per questo possiamo affermare che essa definisce compiutamente il suo paesaggio interiore.

 
2 – MEDITAZIONE E CAMPO UNIFICATO

La Meditazione dà accesso al Quarto Stato di Coscienza, ovvero la parete bianca, nascosta dalle tende gialle, rosse e blu: bianca è la totalità armonizzata dei colori. Per scorgerla bisogna passare da uno stato di coscienza all’altro: veglia, sonno e sogno. L’approdo, il traguardo conseguito è il Campo Unificato, ovvero la percezione della sostanziale omogeneità dell’Essere aldilà del differenziato, la pietra filosofale perseguita dagli alchimisti o la matrice unitaria e coerente del reale individuata dalla fisica quantistica.
 
“Ogni singola cosa esistente proviene da questo campo.
 La scienza moderna e quella antica si stanno quindi riconciliando.”

Nella scienza vedica il passo fondamentale per accedere al Campo Unificato è la conoscenza del Sé: l’Atman, l’oceano infinito di coscienza pura. Immergersi nella Meditazione significa conoscere sé stessi in una dimensione ampia e omogenea, significa dischiudere il Sé ed esperire la pura coscienza nella quale siamo immersi e della quale costituiamo una parte. Da un punto di vista antropocentrico, tutto è coscienza e sua espressione: l’uomo come la materia inerte, il mondo come l’intero universo.
 
“Uno sconfinato oceano di coscienza si fece luce, acqua e materia. I tre elementi si scissero nella molteplicità.
 In questo modo l’intero universo fu creato in forma di uno sconfinato oceano di coscienza,
 che eternamente si dispiega su se stessa.” 

(Upani?ad)

Luce, acqua e materia sono rielaborati dall’autore nella triade cromatica primaria. In questa prospettiva cercheremo di comprendere come i tre stati di coscienza abituali - premessa indispensabile alla Trascendenza – si debbano intendere, e quali film nella produzione del regista li possano rappresentare.

 
3 – LA COSCIENZA

La teoria del Campo Unificato, della risonanza infinita e analogica dell’identico nell’apparentemente differenziato, ci permette di amplificare la condizione dei tre stati di coscienza fino a rintracciarne le fila all’interno dell’evoluzione della coscienza storica e collettiva specificatamente dell’uomo occidentale, della quale - nessuno dubiterà - Lynch è figlio (nonostante gli approdi alle filosofie orientali). Possiamo definire schematicamente lo sviluppo della coscienza umana secondo tre tappe storiche distinte, che rispondono a tre diverse concezioni del mondo e quindi della nostra relazione ad esso: Saggezza, Santità e Sapienza.
  La Saggezza qualifica, grosso modo, il mondo delle idee tipico della storia greca e romana: con essa s’intende l’esplorazione dell’etica, del Sommo Bene, della retorica, dell’uomo a partire dalla sua esperienza inedita con un mondo faticosamente sgravato dall’irrazionale, galvanizzato dall’emancipazione dal dominio del divino: il corpo è così compreso, socializzato e accordato alla ragione civilizzatrice.
  La Santità è l’apporto precipuo del Cristianesimo, laddove l’azione e il fine umani sono subordinati al divino e la predominanza fisica, esperienziale, sociale e ormonale del corpo può trovare un accordo con la mente solo attraverso una sua mortificazione assiale: una sublimazione funzionale al ricongiungimento o annientamento nell’amore di Dio.
  La Sapienza invece, che domina l’uomo dal Rinascimento fino - almeno - all’Età dei Lumi, è l’urgenza di conseguire, catalogare, contenere attraverso strutture enciclopediche e meccanismi lulliani tutto lo scibile umano: è la ricerca di una Clavis Universalis (la scienza?) che consenta di accedere alle ragioni remote dell’Essere, alle sue cause più profonde. La loro scoperta coincide con la loro riproducibilità e traduce l’uomo da creato in creatore, artefice e demiurgo.

 
4- PRIMA MANIERA: TENDE GIALLE, ROSSE E BLU

Cuore Selvaggio è giallo, Fuoco cammina con me! è rosso, Velluto Blu, naturalmente, è blu. I tre colori primari. La composizione pittorica di un film di Lynch è ovviamente più elaborata e riccamente composita: qui si afferma solo la dominanza cromatica, l’orizzonte luminoso di riferimento che si può catturare da un’osservazione attenta delle tre opere. Cuore Selvaggio apre su esplosioni fiammeggianti e precipita i personaggi nelle riarse e assolte distese deserte che coprono lo spazio tra Cape Fear e New Orleans. Fuoco cammina con me!, e più in generale il serial Twin Peaks, fissano a fuoco nella memoria dello spettatore la stanza dalle tende rosse, zona liminare e non franca, preambolo alle spaventose oscurità della Loggia; rosso è il semaforo che oscilla ininterrotto sopra l’incrocio dove Laura deciderà di adempire al suo destino. Velluto Blu si dischiude su densi, fluttuanti drappi blu notte, orario oscuro che fagocita i due fidanzatini nell’incubo per espellerli, nel finale, verso un cielo azzurro incastonato sopra le villette a schiera, altrove improbabile e irraggiungibile.

La Saggezza è risveglio: l’uomo greco scende nelle piazze per dialogare, conoscere se stesso, definire la sua natura sociale; si scopre responsabile delle sue (rel)azioni, compone la sua coscienza individuale e cerca le ragioni teleologiche dell’Universo. La veglia è luce: Cuore Selvaggio è abbacinante e infiammato, luminoso, conduce i protagonisti sulla strada (di mattonelle gialle nel Mago di Oz di cui il film è una rilettura) in un viaggio di formazione e crescita, pone l’obbiettivo in loro, nel pieno sviluppo di un potenziale. Nel finale, Sailor (letteralmente “marinaio”, con conseguente evocazione del viaggio omerico) si risveglia e comprende – parossisticamente e grazie alla bolla perfetta della fiaba in cui è racchiusa Sheryl Lee, strega buona del Sud (poi angelicata in Fuoco cammina con me!) - qual è la sua posizione nel mondo e ciò che realmente vuole.

La Santità è sonno: la mente e il corpo cospirano, si arrendono in esausto sincero accordo al riposo della coscienza. Il corpo che dorme interrompe l’appercezione di se stesso e si annienta, vive il suo silenzio recondito, il dispiegarsi dell’inconscio, la visione Teologica, inattingibile dell’Universo. Il sonno è rosso: interno e uterino, sanguigno e palpitate, carnale.
 
“Dormire è importantissimo.
 […] Quando sei ben riposato, hai un’esperienza più lucida, più profonda.”


“Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci. Non so perché. C’è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi. Forse è rosso. Ed entri in un altro mondo.”

Twin Peaks è l’esplorazione delle zone ferine e devastanti dell’inconscio (la Loggia Nera), è l’espressione del limite interiore definito tra la volontà di vita e il cupio dissolvi. Nel finale angelico di Fuoco cammina con me! Laura è beatificata, martire del dissidio strutturale interno all’uomo.

La Sapienza è sogno: persecuzione ideale di un’utopia, è la rielaborazione della realtà in una struttura onnicomprensiva capace di dare ragione dell’esistenza degli enti; è visione eziologica. Il sogno è blu: oceanico e archetipo, libera espressione dello spirito, è la riorganizzazione immaginifica del vissuto e delle proprie origini.
 
“Nel caso di Velluto Blu mi trovavo in serie difficoltà con la sceneggiatura. […] Di colpo ricordai di aver fatto un sogno la notte prima. Eureka. Tre piccoli elementi di quel sogno risolvevano tutti i miei problemi. Ma è successo solo quella volta.”

Velluto Blu
, in fondo, è l’inseguimento di un ideale di completezza impossibile - il sogno dei passeri di Sandy - in una realtà mostruosa e cangiante che rivendica in continuo lo sghignazzo allucinante dell’incubo. Il finale è la concrezione beffarda e parodistica dell’immaginario desiderato.

Velluto Blu, cronologicamente, è il primo. Ma nel processo ciclico e perpetuo che i tre film rappresentano – veglia, sonno e sogno - è anche l’ultimo e premessa al successivo. Cercheremo di comprendere ora, retrospettivamente e in una visione organica, cosa rappresentino i primi due film del regista.

 
5 – IL DITTICO DEI MOSTRI: L'OPERA AL NERO

Nel magistero alchemico - la cui dottrina rivendica anche origini vediche - l’Opera al Nero è la fase preliminare di un elaborato processo – materico e psicologico all’unisono – che culmina nel conseguimento dell’Opus, la Pietra Filosofale, nascita e pieno sviluppo delle potenzialità dell’Adepto. Definita anche Nigredo, putrefazione e decadimento della materia originaria e vile, è dominata da umori melanconici e cupezze saturnine. Come principio, nella prospettiva più ampia e ciclica dello sviluppo dell’Essere, ne rappresenta anche la fine, dove la morte è premessa alla vita, giacché la necrosi prepara il nutrimento indispensabile al corpo nuovo. Da un punto di vista coscienziale, è lo stato precedente - o successivo - al naturale ciclo di veglia, sonno e sogno, è può essere ricondotto alla fase prenatale, alla gestazione della coscienza individuale prima della sua incursione nel mondo. La coscienza è nera poiché è immersa nell’assenza di colore, prepara lo spazio vuoto indispensabile ad accogliere i cromatismi dell’esperienza (che corrispondono, nell’Alchimia, alle tre fasi successive del magistero: Citrinitas giallo, Albedo bianco e Rubedo rosso).
 
“Eccomi qui, intrappolato in questa dannata cosa [Eraserhead]. Non riesco a finirla. Il mondo mi sta lasciando indietro. […] Non volevo che mi raccontassero che cosa succedeva nel mondo, perché per me era come morire.”

Eraserhead e The Elephant Man (per il quale Lynch venne “adottato” da Mel Brooks, alla ricerca di un talento per il suo progetto), sono interconnessi all’idea di parto nella simbologia del monstrum inteso come individuo nascente e nato. Nel primo, Mary, la fidanzata di Henry, partorisce, (oniricamente) cervelli e feti, prima di dare al mondo un mostro urlante e marcescente che verrà ucciso dal padre stesso. In The Elephant Man, l’esposizione (e occultazione) del corpo deforme di Merrick all’occhio – non dissimile - del pubblico prima e della scienza poi, inquisisce innanzitutto la Madre, la Natura stessa. La generazione del singolo, aldilà della specificità, delle aberrazioni e mutazioni del corpo, è proliferazione e ipertrofia, riaffermazione dell’implicito polimorfismo dell’Essere, per cui è di per sé mostruosità, destinata, in extremis, a decadimento e corruzione organica dopo la reiterata parabola di veglia, sonno e sogno. Il bianco e nero – che cinematograficamente è assenza di colore, soluzione stilistica mai più ripresa dall’autore - è rappresentazione necessaria di uno stato.

Non sappiamo cosa ci sia aldilà della parete bianca, ma collochiamo spontaneamente la stanza circolare descritta da Lynch in uno spazio sconfinato e buio, sorta di cosmo uterino proteso in una contrazione - o dilatazione - infinita. L’adiacenza esterna dell’oscurità fagocitante alla parete bianca esprime la definizione della coscienza individuale, nonché la sua precarietà assoluta. Eraserhead è l’infanticidio, così come The Elephant Man è il suicidio, al cospetto della Madre. La cancellazione del “creato”. Per l’artista fisiologicamente non partoriente – e per l’Alchimista quindi – i due atti sono, concettualmente parlando, la premessa indispensabile al processo di auto-generazione.

 
6 – ON THE ROAD: IL SE'

Dopo la nascita i tre stati di coscienza regolano e scandiscono l’esistenza del singolo; quest’ultima partecipa e contribuisce quindi allo sviluppo della coscienza collettiva universale. La Trascendenza permette di cogliere se stessi in questo Campo Unificato di coscienza e di vivificarlo consapevolmente. La conoscenza del Sé ne è la premessa e il fondamento. Il Sé è allo stesso tempo soggetto – l’io che agisce e definisce il mondo - e oggetto - agito, prodotto dal (o del) mondo. 
La Trascendenza conduce all’evoluzione dell’io nel Sé grazie al ricongiungimento con l’Altro da Sé (l’oggetto): è l’annullamento del (o nel) differenziato ora percepito come omogeneo. Non è un processo di sublimazione, ma l’assunzione del doppio (tematica ricorrente nell’autore), dell’apparentemente diverso, in noi (soggetto): la porta dell’Eden conduce all’Abisso, e viceversa. È la riabilitazione dell’Inferno (l’altro negato o ancora non riconosciuto - il diavolo), il suo riassorbimento nella coscienza individuale e collettiva.
 
“Che cosa sono le tenebre? L’assenza di qualcosa. Accendi la luce e le tenebre scompaiono. […] la luce della coscienza pura, il Sé: la luce dell’unità. Non combatterle. Non preoccuparti nemmeno delle tenebre. Accendi la luce e le tenebre svaniscono.”

Da qui la violenza implicita ai film di Lynch:
 
“Spesso mi hanno chiesto perché, se la meditazione è un’esperienza splendida e dona tanta beatitudine, i miei film sono così cupi e traboccano di violenza. […] I film rispecchiano il mondo in cui viviamo. Sono storie. Nelle storie non mancano mai i conflitti. […] Mi innamoro di certe idee. E vivo su questo pianeta. Se dicessi di essere un illuminato […] sarebbe tutto un altro paio di maniche. Invece sono un uomo qualunque […] che fa le sue scelte come chiunque altro.”

La circolarità perfetta di Strade Perdute rappresenta questo processo di ricongiunzione. All’inizio, Fred risponde al citofono: scopriremo che è lui stesso a suonare e a parlare ("Dick Laurent è morto"), diventato omicida (in)consapevole. Le riprese dell’abitazione, sempre più invasive, registrata nelle VHS che la coppia rinviene davanti alla casa, sono la visione che l’io ha del suo stesso sguardo nello sconcerto dissociante del non-riconoscimento (La polizia: “Avete una videocamera?”- Renee: “No, Fred le detesta”- Fred: “Preferisco ricordare le cose a modo mio, come le ricordo io, non necessariamente come sono avvenute”). L’Uomo Misterioso, sorta d’incarnazione della visione oggettiva è ubiquo perché onnipresente (l’Uomo: “Ci siamo già incontrati, mi pare”- Fred: “E dove ci saremmo visti?” - l’Uomo: “A casa tua, l’hai dimenticato? A essere più precisi, sono lì in questo istante”), genera l’orrore, il rifiuto dell’io a se stesso, timore che sarà valicabile solo incarnandosi temporaneamente nell’Altro da Sé, nel diverso, ossia Peter. “Spesso basta un piccolo cambiamento per appagare il desiderio”. Narciso, l’io che riesce a riconoscersi solo nei confini apparenti ed effimeri della sua immagine circoscritta, è ormai morto. La struttura narrativa del film annienta il movimento nello spazio/tempo poiché identifica la causa nell’effetto (Fred), con uno spostamento ellittico, momentaneo, nel dissimile (Peter) solo funzionale a maturare la consapevolezza dell’io nel Sé, a ricostituire l’unità cosciente dell’individuo.

A dimostrazione che il processo evolutivo dell’io nella conoscenza del Sé non è necessariamente orrifico e onanistico, ma anche riconciliatore e quietante, Una Storia Vera (The Straight Story, letteralmente: la storia lineare, diritta, non circolare e perduta…) ripropone l’allegoria del viaggio che innerva buona parte della produzione del regista: ma qui, in perfetta antitesi di complementarietà a Strade Perdute, viene rappresentato il compimento serafico ed esatto del Sé, nella purezza di un quieto classicismo cinematografico d’altri tempi. Alvin Straight si ricongiunge al fratello “perduto”, al proprio doppio generazionale e biologico: “Nessuno ti conosce meglio di un fratello”. La volta stellata che li sovrasta e conchiude nel finale è adesso un altrove possibile e integrale, androgino, l’appercezione dell’imperfetto incanto dedotto dalla totalità e dalla bellezza del cosmo. Strade Perdute è l’Altro da Sé di Una Storia Vera, l’Inferno. Il dittico è ancora espressione dell’identico.
 
“Le tendenze ostili si annullano in prossimità della coerenza” 
(Yoga)
 
7 – SECONDA MANIERA: LA PARETE BIANCA
 
“La scatola e la chiave. Non ho la più pallida idea di che cosa siano.”

È chiaro che quanto più ci addentriamo nella definizione del Quarto Stato di Coscienza tanto meno possiamo confidare nelle capacità evocative del linguaggio e della scrittura. Dimensione percettiva e cognitiva che travalica i limiti della logica intrinseca alla triade coscienziale ciclica di cui sopra, la Trascendenza offre la sola strada dell’esperienza pura per essere compresa. Ciò nonostante tenteremo di rintracciarne sommariamente le linee guida.
 
“La meditazione non serve a catturare le idee. […] In questo caso specifico però [Mulholland Drive] entrai in meditazione e dopo circa dieci minuti… puf! Eccole. Le idee arrivarono una dopo l’altra come una sfilza di bollicine. Idee per lo svolgimento, l’inizio e la fine del film. […] È l’unica volta in cui ciò è successo durante la meditazione.”

Dopo le danze, Mulholland Drive inizia con il sonno di una donna avvolta tra lenzuola rosse. Betty e Rita (nome fittizio rubato fortuitamente a un manifesto con la Hayworth) cercano di ricostruire l’identità di quest’ultima, vittima di amnesia. L’indagine, che segue gli indizi del sogno (la chiave e la scatola blu) non approda a nulla di sensato poiché Rita sta totalmente smarrendo i limiti della sua definizione identitaria: ella è ormai immane, prossima all’indifferenziato, pura coscienza pronta a ricomporsi in una qualsiasi personalità venga - cinematograficamente - rappresentata. Il collasso della narrazione che il film mette in atto, la frantumazione delle identità con conseguente ricostituzione provvisoria di ruoli analogici - disintegrati ciclicamente, nel finale, da una vorace, giocosa entropia (i vecchi e di nuovo la danza con i continui scambi di copia) - esprime la libertà creativa della matrice coscienziale originaria, il Campo Unificato.

In senso più ampio - sia diegetico che metafilmico - INLAND EMPIRE mira a compromettere, oltre al livello prettamente narrativo, anche l’esperienza concreta dello spettatore: nell’inseguimento imperituro di apparenze, camuffamenti, sembianze e sogno si volatilizza la consequenzialità logica del racconto. 
L’atemporalità, l’implosione spaziale di INLAND EMPIRE consente di mettere in scena la permeabilità essenziale delle dimensioni transitorie nel Campo Unificato (il foro), l’illogica, caleidoscopica intenzionalità creatrice dell’umano. La coscienza è bianca poiché irradia all’unisono la totalità dei colori, ricompone in un flusso omogeneo la molteplicità dell’Essere.
 
“In ciascuno di noi c’è un campo di unità. È lì da sempre. Sconfinato, infinito ed eterno. È il livello della vita che non ha mai avuto una genesi. Esiste ed esisterà sempre. […] Nell’essere umano, l’atto di ravvivare questo campo conduce all’illuminazione: il pieno potenziale dell’individuo.”

ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO REBIS

Articoli simili

commenti (8)

RISULTATI: DI 8
    Finzi

    5 Maggio 2009 10:22

    Tanto di cappello, Rebis!!! Ammetto che certi termini mi sfuggono ma va detto che Lynch lo conosci veramente bene. Non ho visto tutti i suoi film ma mi ha fatto impazzire "Strade Perdute" e invidio chi riesce ad entrare in qualche modo nela testa di Lynch. per me resta un genio ma certe volte non riesco neanche vagamente a comprendere quel che vuole dire.
    Ellerre

    5 Maggio 2009 10:33

    Complimenti per l'ottimo lavoro.
    Xamini

    5 Maggio 2009 11:32

    Porca miseria, che lavoro!
    Chapeau, Rebis.
    Rebis

    6 Maggio 2009 04:29

    Grazie a tutti di cuore, davvero...
    Soprattutto per aver retto la lunghezza dell'articolo, di certo non un fattore incoraggiante...
    Rebis
    Zender

    6 Maggio 2009 06:24

    Io credo che chi ama davvero Lynch non lo trovi così lungo, anche perchè è spesso spezzato da citazioni e capitoli che ne rendono gradevole la lettura. Un lavoro insolito e ovviamente ben scritto (non ci riferiremmo altrimenti all'autore come al "Maestro Rebis").
    Don Masino

    13 Maggio 2009 03:54

    Ho potuto leggerlo solo adesso, a distanza di tempo vedo. Ottimo lavoro Rebis, Lynch meritava assolutamente un pezzo così. Bravo!
    Harrys

    23 Febbraio 2010 12:29

    Ora che ho scoperto che si possono commentare gli approfondimenti, non posso che congratularmi con te, Rebis. Sull'argomento, inoltre, mi permetto di consigliare il libro "In acque profonde" di David Lynch.
    Mell kell

    15 Agosto 2022 20:58

    Accidenti, non mi ha mai convinto del tutto (specie per Twin Peaks) ma questo articolo contiene molti spunti di riflessione che ne invitano ad una attenta rilettura. Grazie di averlo postato!