Tre ore di Lynch, di questo Lynch, sono un autentico banco di prova per capire se il cinema unico, a suo modo straordinario, del regista americano (che fu prima pittore, non dimentichiamolo) fa o meno per voi. Lynch nella prima mezz'ora illude quasi lo spettatore di poter afferrare la trama: ci mostra un regista (Jeremy Irons) alle prese con i suoi due attori principali (Laura Dern e Justin Theroux), ai quali spiega come il film che stanno per girare sia il remake di una pellicola mai terminata e "maledetta". Vuoi vedere che Lynch gira un thriller, magari alla VELLUTO BLU? Macché: tempo un quarto d'ora e siamo proiettati...Leggi tutto nel consueto delirio alla STRADE PERDUTE. Esiste un unico protagonista: è Laura Dern (anche co-produttrice), la quale comincia un viaggio mentale in cui non c'è modo di separare la realtà dalla finzione: si sovrappongono i flashback, spuntano personaggi che ciclicamente si ripresenteranno, non esiste apparente legame logico tra le scene e a noi - che ormai conosciamo il "vero" Lynch da un pezzo - non resta che riempirci gli occhi con le visioni affascinanti, irripetibili, disegnate da questo straordinario artista. Potentissimi suoni di sottofondo si confondono con musiche di ogni tipo, ma questa volta si gira in digitale, e la definizione, i colori, ne risentono. Un po' della magia (comunque sempre fortissimamente presente) si perde. Restano la potenza delle immagini, le suggestioni di un intreccio impalpabile che pure, inspiegabilmente, pare quasi di poter interpretare. Sbagliato: INLAND EMPIRE è forse l'opera lynchiana più criptica e personale.
Lynch è così: o lo si ama o lo si odia. E' un luogo comune, ma se andrete a vedere Inland Empire capirete da dove è nato. Al cinema (pieno fino a scoppiare) molta gente se n'è andata prima della chiusura (in musical) ma anche dopo solo un'ora delle tre previste. Certo, non è un film per tutti, ma come si fa a non rimanere ammaliati da certe immagini, dalla loro folgorante potenza evocativa? D'accordo, ci sono anche molte lungaggini che si potevano evitare, ma Lynch è così: o lo si ama...
Il film mette a dura prova la pazienza dello spettatore e personalmente mi sono sentita presa in giro. Per la prima volta, dopo un'ora di proiezione, completamente confusa e frastornata dal susseguirsi di immagini scollegate tra loro e prive di senso, sono stata assalita da un senso di noia mortale e da una gran voglia di andarmene via (non vi dico dopo 3 ore di film!). Il signor Lynch dovrebbe capire che non basta solo esser dei geni nel riprendere certe immagini. Io pretendo almeno un minimo di trama.
Lynch è un grande visionario, maestro e genio dell'intrattenimento psicotropo. Non penso si possa semplicemente "vedere" un film di Lynch e farselo piacere, impossibile! L'unico modo per digerirlo, forse, é quello di farsi stravolgere dalle immagini, dai suoni e dalle atmosfere malate, lasciarsi incuriosire dai dettagli. La trama è totalmente incomprensibile, quasi snervante: a mio parere però questo film é un'esperienza, da vivere, nella speranza che ti lasci qualcosa... forse inutile?!? Grazie.
Un'opera che sta al di qua della parola e al di là del pensiero, che mette tra parentesi un secolo di cinema trascorso e in ginocchio tre decenni almeno di quello a venire, una struttura armata moebiusiana ed escheriana di schiacciante perfezione, un inattaccabile palindromo. Mare aperto, lavico, ancor più e ancor prima che un film (cosa che ontologicamente non è, dato il digitale) la più ineffabile delle esperienze. Terminata la quale sarà difficilissimo essere lungimiranti con il cinema.
L'errore nel guardare questo film sta nel cercare un senso che non esiste ad una storia che non c'è. Lynch ci regala uno dei suoi deliri (il più estremo) che necessariamente snatura la forma di film per diventare qualcos'altro.
Tre ore di emozioni discordanti e al limite della fatica fisica in un continuo passaggio da realtà a sogno, da delirio a delirio, da paranoia a paranoia, da film a film. Lynch è l'unico regista in grado di fare tutto questo. Cosciente del suo nome lo fa senza compromessi e firma un'autocelebrazione davvero magnifica.
Il film è estremo: la durata, la trama, la regia, la fotografia, la musica, tutto contribuisce a catapultare lo spettatore in un'altra dimensione dove i personaggi si scambiano, si ritrovano, mutano identità, si cercano, si combattono, si uccidono, interpretando di volta in volta la vittima e il carnefice, il vincitore e il vinto della stessa battaglia. E' un lungo, brutto sogno ad occhi spalancati, un'incursione solitaria nel bosco di notte, una visita alla casa abbandonata in fondo alla strada. Inquietante, ma irresistibile.
MEMORABILE: Il monologo di Laura Dern di fronte all'uomo con gli occhiali, nella stanza in cima alle scale.
L'autarchia del cinema di Lynch trova la sua espressione più forte in questo lavoro incredibile, summa distorta dei suoi lavori precedenti e punto di arrivo della sua recente vena creativa. Ho capito quasi nulla, ma non mi stupirei se ad una seconda visione quelle che sembravano pennellate deliranti non celassero una struttura più "logica". Irresistibili i conigli della sitcom (playstation, roba sua), ammaliante il dialogo iniziale della Zabriskie, deliziose le fasi musical. In ginocchio, impotenti, supplicanti davanti a una spiegazione che non avremo.
MEMORABILE: la sequenza di Laura Dern in mezzo ai tre barboni.
Forse il più criptico e incomprensibile tra i film di Lynch. Una specie di lungo incubo messo su pellicola, con sequenze, dialoghi, inquadrature ed effetti sonori che rendono perfettamente la dimensione onirica. Nei primi tre quarti d'ora c'è pure una trama da thriller/horror che però in seguito lascia posto ad una serie di immagini oniriche e deliranti spesso senza nessuna connessione. Il talento di Lynch è innagabile, ma tre ore di incubi e bizzarrie sono eccessive e la scelta di utilizzare una telecamera digitale non convince. Buon cast.
"Inland empire" è il film più sperimentale di Lynch, dopo Eraserhead. Una trama irraccontabile che fa sembrare quella di Strade perdute normale, un vortice d'immagini, suoni, visioni, apparizioni, sparizioni che cattura, sconvolge e ipnotizza lo spettatore fin dalle prime meravigliose immagini. Molto più estremo di Strade perdute e di Mulholland Drive, "Inland empire" è forse il film definitivo di Lynch sui meandri della mente.
Probabilmente il capitolo finale dell'opera di Lynch, fino al prossimo film. Con un digitale sporco e invadente, Lynch racconta le riprese di un film che si confondono con i sogni (incubi?) dei protagonisti. Una strepitosa e matura Laura Dern interpreta con angosciante talento questa storia delirante in cui la realtà si confonde col sogno e con elementi altri, apparentemente estranei alla trama. Al solito Lynch si aggiunge un che di intimo, molto personale, tanto da far emergere un giudizio morale (cosa strana per il cinema lynchiano).
Come al solito David Lynch è bravissimo nel non far capire niente. Questo è forse un pregio e non un difetto. La storia è contorta, ma si apprezzano il contorno (la bravura degli attori), la colonna sonora e le stesse riprese fatte dal grande regista. Forse se si capissero subito, i film Lynchiani, non piacerebbero così tanto.
Anche per me, che sono un fan di Lynch, che non pretendo una trama lineare, che mi faccio stordire dai suoi incubi, anche per me, questo è un film difficile. Alcune parti, come il monologo della Dern, mi sono risultate indigeste, tanto che ho avuto la tentazione di pigiare il tasto forward sul lettore. Eppure resto sempre ammaliato dalle sue trovate. Il personaggio che si vede da un'altra prospettiva e si rincorre, la bigotta che minaccia "un violento omicidio del cazzo!", la corsa al ralenti poi velocizzato che ha un'anima tutta horror. Maestro!
MEMORABILE: Una donna, che scopriremo avere fattezze mostruose, comincia a correre verso la telecamera: prima pianissimo, poi...
Film arduamente valutabile non solo per la durata oceanica ma soprattutto per la cripticità dei contenuti che ne fanno, forse, il film più complesso di Linch e sicuramente quello più difficile da interpretare. Come spesso accade nelle opere di questo regista è inutile aspettarsi una trama lineare e cercare di capirne tutti i significati e le sfumature. Come in un sogno (e la componente onirica è essenziale nelle pellicole di Linch) è meglio lasciarsi trasportare e avvolgere dalle immagini, senza voler dare per forza un significato a tutto.
Capolavoro visionario di Lynch, che qui estremizza tutta la sua arte in un film lungo, difficile da capire e un po' pesante, per la serie di intrecci senza fine e varietà di tematiche trattate. Dopo tre ore di visione si ha un senso di straniamento. Eppure si rimane catturati da alcune sequenze bellissime e confusi da altre che sembrano apparentemente senza senso. Ad ogni modo, Inland Empire è la summa dell'arte di Lynch, un esempio di metacinema ricco di rimandi intertestuali ad altre opere del regista stesso. Stupendo ma non per tutti.
Grandiosa summa del'opera di Lynch dove non ci viene risparmiato niente della sua delirante poetica. Le tematiche che già furono di "
Mullholland Drive e Lost Highways sono dilatate ed espanse quasi all'infinito in un vorticoso gioco di specchi tra realtà, sogno, incubo, distorte dimensioni spaziali e temporali, cinema nel cinema, scambio di identità e chi più ne ha più ne metta. Non uno ma 10, 100, 1000 film in uno. Memorabile.
Capolavoro assoluto di Lynch. Difficile, se non impossibile rimanerne indifferenti. Inutile cercare di capire la trama (lo stesso Lynch ha dichiarato che ognuno è libero di darne la propria interpretazione), ma la potenza evocativa delle immagini colpisce direttamente l'inconscio. Senza ombra di dubbio vedere Inland Impire è stata un'esperienza inquietante e sconvolgente. Opera d'arte senza prezzo. Chi ama più il Lynch di Elephant man e Una storia vera può storcere il naso. Lynch immenso.
Ottimo lavoro di sperimentazione che gioca molto sul fatto di non avere assolutamente una trama lineare, anzi, confonde completamente l'intreccio tra il reale, il sogno e il film girato dentro al film. Abbandonando ogni pretesa di comprenderne la logica, possiamo solo estrapolare l'angoscia del tradimento che si trasforma in un incubo di 3 ore, fatto di primi piani incombenti e di personaggi surreali. Onirico oltre ogni limite, una pietra miliare per chi apprezza il cinema di Lynch.
MEMORABILE: Davon: "Se è uno shock quello che cerchi, Marylin, ti consiglio di guardari allo specchio."
Che i film di David Lynch non siano convenzionali penso che accordi tutti, ma personalmente questa pellicola non ha catturato il mio interesse come hanno fatto le altre. Credo che la durata (eccessiva) sia "la goccia che fa traboccare il vaso". Il film è un labirinto dal quale uscirne è assai difficile e si sarebbe potuto sopportare questo flusso di pensiero libero solo per una durata inferiore. Ritengo sia sopravvalutato.
Tre lunghissime, interminabili ore di trama inesistente e scene completamente sconnesse. Se infischiarsene completamente di proporre una sceneggiatura che abbia il minimo senso è genialità, beh, allora non è così difficile avercela. Certo, tecnicamente è bellissimo, le musiche pure, le scene ben studiate e ben studiato e approfondito è il tema della confusione tra realtà è finzione, ma la totale mancanza di senso suona come una presa in giro. Inaccettabile.
Un film mai girato dentro un'ipotesi di film, dentro un'ipotesi di film già girato, dentro un film mai visto. Il Ricordo di un film dentro un'ipot...no, forse non era un
film. Cinema che implode per accumulo di materiali immateriali. Buio che aspetta la luce. Eccola, torna la luce. Happy End. Domani si replica. Assoluto.
Si è parlato dell'abilità particolare di Lynch nel confondere ed alienare lo spettatore, ma a me ha piu che altro irritato e annoiato. D'accordo, una magistrale rappresentazione visiva di ciò che potremo chiamare angoscia, paura e quindi anche perdita dell'orientamento; visivamente con i giochi di luce, con le immagini e i suoni abbiamo tra le piu inquietanti rappresentazioni visive mai viste, ma tutto il resto cos'è? E' come dire "Ok, non importa se gli spettatori e i miei attori stessi, non capiranno cosa succede; tanto sono criptico e sofisticato"!
Nikki e Susan, due derive "specchiate" dentro un'unica anima, unite dalla stessa minaccia, stesse paure; l'una trae linfa dall'altra. Destini differenti, paralleli, divisi da un confine inafferrabile quanto marcato, irrazionale quanto reale. Un grosso incubo/sogno ad occhi chiusi, o spalancati, che dischiude la propria forza ambigua ed evocativa posandosi sulle sensazioni primarie dell’essere umano. Elegia all’angoscia, all’invidia, al tradimento, al parossismo formale, all’identificazione col protagonista, allo straniamento esistenziale. (****)
Da salvare il gusto visivo della prima e ultima mezz'ora, per il resto questo percorso della donna (una determinatissima Laura Dern) all'interno del suo mondo e del suo inconscio è veramente sfiancante. Come del resto è lecito aspettarsi da Lynch, cui va riconosciuto un certo magnetismo ma due ore di nonsense sono troppe. Un film non per tutti (e tra quei tutti mi ci metto senza remore leggendo divertito le motivazioni che lo incensano).
Quando il film uscì nelle sale qualcuno ipotizzò che per Lynch il film rappresentasse quello che per Kubrick ha rappresentato e rappresenta tutt'ora 2001: Odissea nello spazio; e infatti è proprio così: trattasi di un capolavoro come pochi, in grado di scuotere, meravigliare e porre allo spettatore interrogativi e suggestive interpretazioni inerenti il suo svolgimento. E' la mente messa alla prova, è nella mente la soluzione di ogni enigma. Onirico, con dialoghi e musiche sublimi. Implosivo. Lasciati andare.
Le oscure radici dell'incubo. Così vorrei definire questo film, questo tetro viaggio nell'onirismo più puro ed emblematico della carriera del regista. Ma anche un ritorno alle origini stilistiche proprie del capolavoro Eraserhead: le oscure ed inquietanti scene, non-sense a profusione, personaggi ciclici ed apparentemente scoordinati, piani e campi fuori da ogni logica (o quasi). Tutto è posto per straniare e proiettare lo spettatore nell'incubo e nelle tenebre, così come lo è la magnifica Laura Dern, immersa in un buio vortice senza uscita. Notevole.
MEMORABILE: Le profezie della vicina, l'uomo misterioso del piano di sopra, le prostitute, l'espressione della Dern nella corsa verso la MDP.
Smunta e attonita, la (meta)attrice Laura Dern vive (ed è vissuta da) molteplici universi lontani e distinti che si compenetrano in labirinti sinestetici ove vorticano realtà, (meta)cinema, inconscio, presente, passato. Nell’impero della mente non ci sono tempi, luoghi, norme o confini, bensì barbagli mnesico-subliminali, suoni trascendenti, cromatismi metafisici, baluginii di nonsense, dialoghi abortiti ed ermetiche presenze: lasciate ogni speranza o voi che entrate, perché la chiave d’accesso all’inintelligibile è proprio l’abdicazione ad ogni logica. Cinema-istinto.
MEMORABILE: L’ambigua vicina di casa; la sit-com con i personaggi dalla testa di coniglio; la telefonata; «È tutto ok, stai solo morendo»; il ballo finale.
L'ultimo, sino a ora, film di Davi d Lynch è il più controverso, criptico e onirico di tutti i suoi lavori. Seppure riesca con maestria a creare delle scene di enorme suggestione che scuotono e catturano, allo stesso tempo è un'opera dalla durata enorme per uno stile così impegnato da assimilare. Potevano uscire due buoni film ma si sa, a Lynch non importa piacere al pubblico e allora prendiamo questo lavoro così com'è, senza porci troppe domande sui significati e sulla (assente) sceneggiatura, che è più simile a un lunghissimo sogno piuttosto che a una trama delineata.
Pellicola assurda, grottesca, misteriosa, preteziosa, ansiogena, presuntuosa; in una parola, lynchiana. L'atmosfera di Mulholland Drive viene estremizzata: la struttura lineare è assente e sembra che le scene siano state montate alla rinfusa (si percepiscono un inizio, una fine e poco più). Ma soprattutto l'incomprensibilità diventa una dimensione totale e pregnante. C'è incomprensibilità nei dialoghi, nelle scene di rabbits, nel rapporto fra attori e ruoli, fra spettatore e film (la lingua polacca), fra uomo e realtà. Sconvolgente.
MEMORABILE: "È tutto ok, stai solo morendo" "Mi stai sentendo?" "No"!
Un Lynch all'ennesima potenza mescola realtà e finzione in un gioco di specchi che va avanti come succede nei sogni, per associazioni di idee. Un cinema estremo, fatto di eccessi, accartocciato e collassato su se stesso, profondamente sperimentale (piu che nei contenuti - ormai consueti nella produzione del regista - nella forma, con quel digitale sgranato che da l'aspetto di una negazione di film). Decisamente affascinante, ma per quanto mi riguarda preferisco il genio lynchiano mediato dalle esigenze di produzione (Mulholland drive).
MEMORABILE: I primi piani che trasfigurano i volti
Giudicare i film dotati di buona dose di astrattismo è estremamente complicato, farlo con chi ne raggiunge la massima espressione ancora di più. Lynch non poteva esimersi dall'essere parte del problema: prende le irregolarità di Mullholland Drive e le eleva all'ennesima potenza: il risultato è un film basato esclusivamente sull'estetica, la capacità interpretativa della Dern e la rappresentazione figurativa. Solita la questione sulla fruibilità, per gli intenti del regista sarebbe da 5 secchi però.
Ha del cinema il solo fatto di essere luce, INLAND EMPIRE, e quindi porzione visibile, ondulatoria e impalpabile di uno spettro illimitato. Opera quantica e sinestetica, sfonda la bidimensionalità dell'immagine dissolvendo il racconto in un'ipertrofia di forme permeabili che mirano all'indifferenziato. Meta-cinema, sitcom zoomorfa, radiodramma, affondo coscienziale: scatole cinesi che collassano l'una nell'altra liberando la polifonia del reale. Difficile non accoglierlo come un testamento d'autore: l'ultimo "vero film" di Lynch rimane Mulholland Drive. Indispensabili visioni ulteriori.
Tre ore che non devono intimorire, perché hanno il mistico pregio di fluire senza pesantezza. Questo film-non-film a incastri marca, magistralmente, quel confine inafferrabile che separa ma fa coesistere la dimensione "reale" (secondo i parametri posticci del conscio, o dei filtri convenzionali della società) e quella interiore/individuale dove l'apparente illogicità regna sovrana. Immaginate Donnie Darko, immaginate il Truman show... Inland Empire vi porterà molto al di là (o molto al di qua?).
MEMORABILE: Le inquadrature ravvicinate degli occhi che piangono davanti alla sitcom dei conigli... allegoria e quintessenza simbolica degli "universi inscenati".
Film che fa paura. In tutti i sensi fa paura, ma la paura maggiore sembra sia quella di denigrarlo. Non solo perché è di David Lynch (innegabile artista), ma perché nessuno ci ha capito nulla, nemmeno chi lo ha girato. Come si fa a denigrare un'opera che non si è capita? Al massimo, come di fronte a un quadro astratto, si può dire mi piace, non capisco cosa rappresenti ma mi piace. Mi piacciono i suoi colori, come sono usati sulla tela, mi trasmette buone sensazioni. Oppure si può dire: cos'è questa cosa orrenda! Solo esempio di cinema.
Film arduo, da vedere e comprendere, ma che avvolge lo spettatore in uno stato sospeso di semi-coscienza che solo Lynch riesce a creare. Sicuramente il primo film nel quale il regista non ha accettato alcun compromesso, andando per la sua strada e creando una rete di reltà-sogno composta da storie che sono vasi comunicanti fragili e difficili da trattenere. Esperienza visiva da consumare più volte, per lynchiani convinti.
Attrice famosa interpreta un ruolo e la sua trasposizione nella vita; dall’altro capo del video una donna polacca ne subisce il racconto e la sua rielaborazione. Girato a più livelli temporali, viene arricchito da interpretazioni oniriche e metaforiche (i rabbit) anche per raccontare paranoie o crisi esistenziali. Lynch cattura con le musiche e le idee visive e la Dern è straordinaria. Impeccabili persino i titoli di coda.
MEMORABILE: Il balletto de “Locomotion”; La scena del film in cui la Dern muore sul marciapiede.
Un enorme monolite di tre ore a simboleggiare il punto zero di Lynch, la soglia impossibile da superare per limiti dello scibile umano. Probabilmente nemmeno Lynch sapeva dove sarebbe arrivato alla fine delle riprese, talmente è evidente il desiderio di sperimentare senza alcun punto di riferimento che influenzasse le scelte. Di certo non lo si può guardare come un film ordinario perché si resterebbe basiti e anche con tanta buona volontà non sempre si riesce a capire di cosa effettivamente tratti. Lynch è anche questo.
Il punto di non ritorno del cinema lynchiano (difficile, quasi impossibile immaginare un altro lungometraggio dopo di questo) e uno dei monumenti contemporanei più splendenti alla settima arte (e alla teoria delle superstringhe) che si possano immaginare. Un'esperienza a 360° unica nel suo genere. Oltre, il nulla, una macchia di pomodoro su una maglietta, la proiezione della propria vita su uno schermo. E se in quello stesso teatro fosse nata Laura Palmer?
MEMORABILE: "Forgetfulness, it happens to us all. And me?... Why, I'm the worst one!"; Laura Dern corre, di notte, in slow motion, verso la camera...
Lynch dovrebbe corredare i suoi film con un libretto come si faceva all'opera, dove i cantanti distorcono le parole tanto da renderle incomprensibili. Ebbene, senza qualcuno che si impegni nella decodifica del suo "codice" è dura. Qualsiasi spiegazione logica e convincente trovata su internet va bene. E consente di proseguire la visione senza sentirsi esclusi dalla festa. Il tam-tam fra persone confuse e (pseudo?) esperti è uno dei metodi pubblicitari più a buon mercato e più fragorosi e fa lievitare un film che vive di immagini oniriche, in digitale e molto pulp come usava nei 2000.
MEMORABILE: La vecchia vicina che preannuncia disgrazie; I conigli riciclati dalla web serie Rabbits; Vibrazioni kieslowskiane.
Al di là di ogni interpretazione possibile che gli si voglia dare, quest'opera di Lynch rappresenta un vero e proprio viaggio mentale e terribile della mente umana, e contiene in sé tutte le caratteristiche del suo modo di fare il cinema. Un film complesso ma messo in scena con mezzi molti semplici; spesso si utilizza la macchina a mano e preponderante è l'uso del fish-eye, che in molti casi mette davvero paura. Nel finale siamo di fronte a una delle scene più spaventose mai viste, che difficilmente usciranno dalla mente di chi guarda questa opera d'arte che fa del cinema poesia.
Una celebre attrice hollywoodiana viene scelta per interpretare un remake di un film polacco su cui grava una sorta di maledizione. Tre interminabili ore di confusione fra sogno e realtà. Lynch esaspera quanto già visto in Mulholland Drive a tal punto che è lecito chiedersi se non si tratti di una colossale presa in giro dei malcapitati spettatori. Un susseguirsi di eventi criptici girato in un bruttissimo digitale sgranato e poco definito a tal punto da sembrare una ripresa amatoriale. Attenti a non scambiare l'incomprensibile per originalità. Terribile.
Lo puoi guardare anche quaranta volte, non lo capirai mai. David Lynch gira il suo film più incomprensibile, spingendo i limiti del grottesco sino quasi all'orrore in un turbinio di immagini, suoni e personaggi che non hanno senso alcuno, come poco senso ha provare a dare una spiegazione a tutto questo. Conviene sedersi e guardare lasciandosi andare. Quasi tre ore però sono troppe anche per il fan più sfegatato del no-sense. Un taglio al film avrebbe giovato. Film che si ama o si odia, con grandi momenti accanto ad alcuni più pesanti. Solo per i fan del regista e del genere.
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Si capirà da questo e altri voti che non sono un Lynchiano e che questo film poteva o capovolgere del tutto la mia visione cinematografica o confermare la mia repellenza per questo autore.
Quello che mi ha divertito nel leggere alcune recensioni entusiastiche è che utilizzano concetti generici senza spiegare il senso che loro hanno dato alla pellicola.
Per esempio Brainiac cita in concreto degli esempi mentre Didda (prendo lui, tanto mi ha già promesso la tirata d'orecchi) emette un giudizio che si potrebbe applicare indistintamente a Inland come a Bambi.
Comunque la prima mezzora mi aveva ben disposto, con i primi piani e alcuni dialoghi surreali. Poi ho sentito due ore di noia e ripetitività.
Modesto il dvd BIM che presenta il film in bassa qualità e quel che è peggio in letter box. Unico pregio è la presenza degli hard sub italiani nelle sequenze in polacco (assenti in tutte le edizioni ufficiali). Mediocre il doppiaggio italiano, con diverse inesattezze nell'adattamento dei dialoghi.
HomevideoZender • 28/01/16 07:33 Capo scrivano - 48848 interventi
Rebis ebbe a dire: Cotola ebbe a dire: Classico film da un pallino ma anche da cinque.
Ogni giudizio ci può stare. Credo però che in
genere fa parte di quelle opere che o si amano o si "odiano".
... o annoiano profondamente, aggiungerei. Comunque sono d'accordo Cotola :)
sì, forse sono più opere che si amano e si odiano al contempo, o a fasi alterne. è il loro bello. per quanto, personalmente al traguardo dell'odio ancora non ci sono arrivato.
In meno di 8 ore, hanno raggiunto l'obbiettivo delle cinquecento copie.. Aumentano la tiratura. Tocca ordinarlo subito.Credo sia un record per le start up
HomevideoRocchiola • 11/04/24 11:08 Call center Davinotti - 1318 interventi
Il BD della Cecchi Gori è buono tenuto conto della qualità di un film girato completamente in digitale con scelte estetiche volutamente spinte ai confini di un video amatoriale di bassa definizione e dai colori spenti rimodellato in 35 mm dal girato originario. La qualità delle immagini di questo BD è probabilmente il massimo che è possibile ottenere da questo tipo di film tenendo conto della volontà estetica del regista. L'audio italiano di questo BD è molto basso. Recentemente è uscita la nuova versione Studio Canal restaurata in 4K sotto la supervisione di Lynch e distribuita in Italia dalla Eagle, che non ho visionato perchè uan visione di questo film mi è bastata !!! Comunque non credo che l'estetica delle immagini sia cambiata di molto, questo non è un film che punta su immagini nitide e colorite...