Brasile, 1970: durante gli anni di piombo il piccolo Mauro attende i Mondiali e il ritorno in patria dei genitori in esilio. Comprenderà l'importanza del portiere in una squadra di calcio. Film tumefacente, in odore di autobiografismo, necessario perché socialmente e politicamente impegnato, ma calligrafico e senza empatia, naviga mogio oltre il suo tempo massimo sulla calma piatta della seriosità - ma che c'entra poi la comunità ebraica? - distratto dalla gravosità della cosa si dimentica di raccontarci una storia, un personaggio, una crescita o una sospensione. Chiusura avvilente.
Piacevole e simpatico, nonostante l'austerità, ritratto infantile (pare uscito dal Giffoni Film Festival) che racconta di un'epoca e di una società precisa, quella brasiliana della dittatura militare, che provava ad ottundersi con calcio e femmine, denigrando chi provava l'impegno politico. Nulla di nuovo, né di particolarmente appassionante, ma delicato e riuscito nei toni, con una buona regia e un gruppo di affiatati attori.
Buon film di formazione, proveniente da una cinematografia emergente come quella brasiliana. Pur non particolarmente originale o innovativo, il film è certamente ben realizzato con notevole cura per la caratterizzazione psicologica dei personaggi e per il contesto ambientale (la storia si svolge nel 1970, durante i mondiali di calcio messicani vinti dal brasile); regia efficace e bel gruppo di attori, con una speciale menzione per il bravo piccolo protagonista.
Brasile 1970: la dittatura militare e i mondiali di calcio visti attraverso gli occhi di un ragazzino i cui genitori, attivisti politici, sono dovuti fuggire per evitare l'arresto. È anche il ritratto di un quartiere di San Paolo dove convivono pacificamente etnie diverse, intrecciato alla storia del rapporto del piccolo Mauro con un vecchio ebreo costretto ad occuparsi di lui. Film delicato, in cui, nonostante le premesse, non prevale la chiave drammatica (pur presente), ma piuttosto una ironia venata di tenerezza e nostalgia.
MEMORABILE: Dopo aver visto una partita italiani/ebrei, Mauro decide cosa vuole essere da grande: nero e portiere.
I genitori sono in fuga dalla dittatura e lui è accudito dalla comunità ebraica, durante la coppa del mondo. Bella e toccante la storia del nuovo Mosè abbandonato al destino e alla solidarietà, non a caso raccolto da una comunità a sua volta in perenne esilio (quasi ribaltando Monsieur Ibrahim). Uno scorcio di quel Brasile 1970, visivamente restituito dai cromatismi da pellicola anni 60/70, e reso attraverso gli occhi di un bambino appassionato di calcio, stordito da una politica che non capisce e desideroso solo di una famiglia. Finale scialbo.
Tecnicamente valido perché la fotografia è azzeccata, la mdp si muove con una certa personalità e il casting sembra adeguato alle sensazioni che vorrebbe trasmettere. Peccato che proprio le emozioni latitino perché caricare l'intera storia sulle spalle del bambino non porta molto lontano. Divertente a tratti (il terrazzino, lo spogliatoio) ma nel complesso porta allo sbadiglio, rileccato ma pur sempre sbadiglio. Prevedibili le solite storielle (es. la comunità ebraica, le repressioni politiche) che scorrono sullo sfondo del narrato.
In un clima di festa e di gioia, quello del grande Brasile dei mondiali del 1970, viene presentato un tema importante e impegnativo: l'esilio. Questa condizione viene mostrata principalmente attraverso gli occhi di un bambino, il quale viene abbandonato dai genitori. Il piccolo rende lo spettatore complice delle sue imprese, delle gioie e dei dolori.
Tra dramma e commedia, la storia di un ragazzino, durante il periodo della dittatura
in Brasile, i cui genitori sono scappati. Pellicola di formazione dagli intenti lodevoli ma in cui la Storia fa capolino troppo poco ed alla fine si ha l'impressione
di aver assistito alla solita pellicola carina e pulitina ma senza particolari guizzi
Deludente e per giunta poco appassionante ed empatizzante.
Gioiellino brasiliano-; il periodo della dittatura visto attraverso gli occhi di un bambino, sullo sfondo dei mondiali del '70 e della comunità ebraica. Fotografia ricercata, musica di sottofondo carezzevole, a tratti ironico, drammatico ma senza essere strappalacrime. Il bimbo è bravo, così come gli altri interpreti, tra cui la piccola Annina.
MEMORABILE: Il gioco da tavolo; La partitella nel campetto vicino la ferrovia; La festa ebraica; La folla ai bar per le partite.
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