Famiglia greca vive reclusa dal padre in una villa con giardino, recintata. I tre figli (due ragazze e un ragazzo) hanno solo una vaga idea – e distorta - di cosa esista all'esterno. La madre, complice del marito, regge il gioco e contribuisce a distruggere la percezione della realtà dei poveri figli, cresciuti con la convinzione che l'uscita da quel mondo potrà avvenire solo quando cadrà loro un canino. Un esperimento domestico di cui nulla è dato sapere se non gli effetti, riscontrabili nelle azioni dei tre figli. Esaurita la sorpresa nel vedere che anche in Grecia si può seguire la strada di Haneke, acquisita la coscienza che il padre padrone gestisce...Leggi tutto la famiglia come meglio vuole non si sa secondo quale criterio, non resta che assistere agli sviluppi possibili dati da una vita vissuta in condizioni simili. Il rapporto col sesso innanzitutto. Al figlio viene concessa una ragazza che lavora in fabbrica col padre: va lì, si accoppia del tutto freddamente, saluta e fine. Le figlie si adeguano limitandosi a leccare e farsi leccare dove più aggrada loro (e non necessariamente lì dove ci si aspetterebbe). D'accordo, la capacità di scioccare c'è (anche perché con un soggetto del genere...), ma non sembra che vi sia poi molto altro. Non si individuano scelte stilistiche particolari, al di là di inquadrature che di tanto in tanto taglian via le teste o si fermano alle gambe; la colonna sonora è grande assente (si sarebbe spezzato l'incanto? intaccato il verismo?), gli atteggiamenti dei genitori sono improntati a una prevedibile prosecuzione della loro folle educazione in cui a dominare è comunque spesso un mutismo che si alterna a frasi il cui senso si trova solo all'interno delle logiche di famiglia. La naturalezza espressa dal cast è un deciso valore aggiunto, non c'è dubbio, capace di calarci in una dimensione straniante e claustrofobica che tuttavia si ha come l'impressione di aver già visitato. Se quindi il valore di un'opera sta nella capacità di sedimentarsi nella memoria non v'è dubbio che quello di KINODONTAS non possa essere trascurato; se invece – come pare – va considerato anche in virtù di quanto l'opera stessa sa intrattenere, coinvolgere, incuriosire, è difficile pensare che il risultato possa dirsi memorabile. Lo è a tratti, nei momenti in cui più si avverte il distacco tra la realtà interna alla casa e il mondo che tutti conosciamo, ma le lunghe fasi di attesa, i minuti spesi a guardare un aereo che passa, a nuotare o a guardarsi in faccia in camera mentre chi osserva cerca di comprendere le dinamiche del perfido confino familiare lasciano perplessi.
A.A.A cercasi film che sia più Alienante-Anomalo-Allucinante. Cercasi famiglia (astenersi Manson) che competa coi despoti che sigillano la prole spaesata/frustrata sotto tale (tragica) canicola greca. Insegnado che zombie vuol dire "fiore". Che vagina sta per "lampadario". Che il sesso è l'esigenza da bruciare in (horribilis) loco. Che si uscirà quando sarà ricresciuto il canino sinistro. Che l'Lp di Sinatra è la voce del nonno. Metafora forte come una martellata sui denti. We're a happy family, sì, ma sfasciata come i Ramones. This is the happy house, magari, ma più dark di quella di Siouxie.
Crescere imparando a temere ciò che va oltre le 4 mura domestiche, convinti che l'unico mondo esistente sia la famiglia. Ecco il crudo teorema di Lanthimos, sul quale si sviluppa la sua scioccante opera tragicomica. Ben lontano dal piglio fiabesco di The village, più in linea con l'algido realismo malato di un Haneke, questo trattato di etologia applicata all'uomo ci mostra quanto l'imprinting naturale possa ugualmente generare mostri senza ricorrere alla costrizione. Esplosioni di violenza inaudite alternate a momenti di disturbante demenza.
MEMORABILE: Il capo-famiglia che picchia selvaggiamente la figlia maggiore sul capo, utilizzando una vhs incollata al palmo della sua mano...
La famiglia, il dolce focolare, casa dolce casa: possiamo lasciarli all' "estremo centro". Il buon Lanthimos sceglie la contestazione radicale e realizza un film alienato e straniante (Tony Manero sull'Egeo) con molte scene dal sapore forte, dalla sessualità malata e molto violente, molto di più di quel, già parecchio, che il film mostra con le immagini. Preso a picconate anche un sistema, quello greco (ma non ridiamo troppo, non stiamo meglio), che costringe la gioventù a lavori senza senso, ad una morale adattabile e mutevole ed alla costrizione.
Credo di non aver mai visto un film con una tale atmosfera, perversa ed autistica. I protagonisti vivono il un loro microcosmo, in un mondo bidimensionale voluto dai genitori. Ottime le idee del regista: per citarne una quella degli aeroplani. Lanthimos tiene in piedi stupendamente un'ora e trenta di film, tra piani-sequenza e riprese a camera ferma.
Opera singolare di Giorgos Lanthimos che ci mostra un nucleo familiare deviato, un piccolo limbo straniante in cui i figli (privati del contatto diretto col mondo) sperimentano e accumulano esperienza sfidandosi in continue competizioni. I pochi e programmati contatti con l'esterno portano a picchi inauditi di violenza. La rigorosa regia contribuisce alla giusta atmosfera. Un film coraggioso e critico, forse non per tutti, ma da vedere.
Senza esibire gratuite ed eccessive violenze, il regista rappresenta un microcosmo familiare marcio e disturbante, in cui la turpe psicosi condivisa dai genitori consiste nel deprivare i figli di ogni esperienza, tenendoli confinati in casa, alterando linguaggi e sentimenti, spingendosi ad indurre all'incesto per la soddisfazione di fisiologiche esigenze. E i due sono peggio, molto peggio di ogni coppia dei più violenti maniaci mai visti sullo schermo, nella loro abominevole, ordinaria anormalità quotidiana. Una visione che lascia provati.
Il rapporto educativo uomo/cane si esplicita sin dal titolo ed allora ecco il piccolo Eden degli orrori capeggiato dall'uno e trino psicopatico che riedita a proprio piacimento i 10 comandamenti. Lanthimos, da perfetta guida, si prodiga ad accompagnare il visitatore nello zoo senza dare troppe delucidazioni personali riguardo alla fauna presa in soggetto, limitandosi a mostrarci il loro habitat ed i loro comportamenti. Un fantascientifico documentario antropologico metafora del totalitarismo (junta?); ma la libertà di scegliere, è meglio?
Beffardamente apologante alla Buñuel, violentemente algido alla Haneke o alla Seidl. In una villa, sorta di caverna di Platone, i genitori hanno rinchiuso i figli per tenerli lontani dalla realtà infida. La famiglia diventa un “mondo perfetto” alienato e privo di emozioni, senza alternative, tanto pulito nell’apparenza (la stessa pellicola sembra lavata in candeggina) quanto orribile nella sostanza. Nella sua schematica assurdità, la storia riesce a scatenare un inatteso pathos (un’ansia) nello spettatore, fino a un finale che più aperto non si può.
Come ti confino i figli nella villa e incanalo le loro pulsioni in modo tremendamente innaturale e deterministico. Compresi il sex e rock'n roll, non inibiti ma permessi sotto un'aureola di tristezza. In equilibrio tra poesia modello ex-ddr e gelida sopraffazione, Lanthimos ha il merito di star lontano da violenza esplicita e dalla retorica e di mostrare una serie di aneddoti terribili nella loro semplicità (l'abbaiare, gli aerei, Sinatra, le frasi imparate dal film). Rimane la curiosità di sapere cosa ha generato quella coppia di genitori.
Idea non originalissima ma portata avanti con una semplicità e una radicalità inedite. Regia gelida e minimalista, azzeccata nelle sfumature grottesche ma colpevole di diluire eccessivamente le varie idee curiose (evitabili le scene "over the wall"), nonostante le genialità di alcune di esse (leggi sotto) riesca a riscattare il tutto. Durante una delle visioni domestiche del genitori ci scappa qualche secondo di hard, ma anche le scene erotiche "intradiegetiche" non sono male. Buon cast, finale telefonato. Interessante.
MEMORABILE: La meravigliosa sequenza, quasi benignesca, dall'ascolto di "Fly Me to the Moon", con rispettiva traduzione.
Un film che s'infila con la dovuta inquietudine di fondo in quel filone di film claustro-europei che tanto successo hanno ai festival del cinema. Il merito di Lantimos è sicuramente quello di dirigere con rigore un romanzo di immobile de-formazione. Da apprezzare il terrificante ma creativo modus educandi dei genitori, fatto di privazione e indotta ignoranza, una caverna di Platone a cui è stata staccata la luce. Riuscito ma ancora leggermente forzato e prevedibile, si passi al successivo Alpeis per più matura spietatezza.
Opprimente: inquadra una famiglia borghese che vive in un mondo a parte, in una villa estranea allo scorrere del tempo e agli avvenimenti esterni. Un ambiente asettico, pulito, quasi si fosse ipocondriaci, minuzioso e minimalista. Il comparto tecnico è splendidamente in linea con tale filosofia, dalla regia al montaggio e alla fotografia. Gli attori sono immersi in tale condizione e trasmettono un pathos allucinante e allucinogeno. Davvero bello.
Evoca Salò di Pasolini e The Village di Shyamalan, laddove la ritualità prima e la normatività poi occultano - più o meno esplicitamente - la privazione dei diritti naturali. Ma nel film di Lanthimos è l'istituzione primaria, la genitorialità a farsi negazione della realtà residua, soppressione del molteplice, emarginazione delle antinomie - a partire dalla rifondazione del lessico familiare. Nell'algore della messa in scena, nell'asettismo anaffettivo dei caratteri, il disagio si addensa come piombo, fino ad un epilogo dove l'ambiguità è solo l'esponenziale delle atrocità sottese.
Storia di una "dolce" dittatura famigliare raccontata come l'avrebbe fatto Haneke, con la tipica spietatezza e le stilettate alla borghesia cattivona. Tutto è al suo posto; molte buone idee e poche pecche; però, come nella finta perfezione in famiglia, anche durante la visione ho sentito il bisogno di "evadere" da questo compitino ben fatto e decisamente prevedibile. Anche l'allegoria a dittatura-censura-ecc. colpisce poco nel segno perché troppo telefonata e didascalica.
Disturbante e scioccante viaggio all'interno di una famiglia ellenica. Mette a disagio ed angoscia non solo per ciò che si vede sullo schermo ma anche per un clima che raramente è stato così gelido al cinema. Colpiscono a fondo alcune idee che almeno in apparenza sono le meno violente eppure le più devastanti: il particolare lessico familiare; la realtà, in bilico tra protezione e terrore che mamma e papà creano per difendere i propri "cuccioli". Ma per incrinarla basta una piccola crepa. Un film "apertissimo" che si presta a tantissime letture, così come il più che aperto finale .
Kynodontas ovvero la famiglia secondo Lanthimos; e c'è davvero da stare poco allegri. Tutto ciò che non dovrebbe essere il nucleo famigliare qui viene esibito in un'atmosfera assurda e soffocante. Tutto viene storpiato, pervertito: dal linguaggio alle emozioni, dal senso di libertà alla sessualità. Si assiste alla distruzione di ogni ordine morale e sociale in modo inerme. La crescita è legata a miti assurdi e a pratiche aberranti. Impossibile che un film del genere non lasci il segno.
Aggiornamento dell'entomologia bunueliana (senza però la trascendenza ironica di Don Luis), corretta (ma non troppo, fortunatamente) dalla soverchiante crudezza hanekiana. Lanthimos ha una precisa idea di cinema e la sua mìse en scene possiede una geometrica, spigolosa visionarietà. Se la creazione dell'universo chiuso filmico (paradossalmente omologo al sistema cortocircuitale della famiglia protagnista) è di innegabile, stimolante impatto, il rischio è un certo algido controllo, propedeutico sì al progetto ma che non fa scattare ordinarie follie ferreriane.
MEMORABILE: Il baratto per il sesso orale; Il balletto di Flashdance replicato dalla figlia.
L’istinto protettivo nei confronti dei figli viene portato all’estremo e si manifesta in Kynodontas come un microcosmo estraniante e surrogato del mondo esterno le mura di casa. Una villa splendente, completamente asettica, in cui si consuma una quotidiana aberrazione dell’essere giustificata da una cortina luminosa fatta di buoni propositi. Un film che incarna la drammaticità alla perfezione, ben interpretato al punto da provare poca empatia per i protagonisti, tale è la loro involontaria vacuità esistenziale.
MEMORABILE: L’aeroplano che “precipita” in giardino.
Lanthimos estetizzante confeziona un film algido nella composizione; bellissime inquadrature e quasi a zero i movimenti di macchina (fino alla prima tentata fuga, quando qualcosa inizia ad animarsi). Il film affascina soprattutto nel primo tempo, quando i meccanismi autistici sono ancora da svelare e lo spettatore è una sorta di quarto figlio all’interno della villa. Le derive alla Haneke non hanno per chi scrive che da togliere al film, migliore quando si confronta coi lessici dell’assurdo, nei quali Lanthimos sembra veramente ben destreggiarsi.
Ritratto di una famiglia in cui i babbo/padrone tiene i figli sottovetro, prigionieri inconsapevoli a cui è negata ogni conoscenza del mondo e ogni consapevolezza di sé (non hanno un nome proprio, ma si definiscono solo con il rispettivo ruolo). Nonostante la violenza fisica mostrata sia minima, Lanthimos, già grande regista come le opere a venire avrebbero confermato, si fa conoscere al mondo con un film sadicamente assurdo che riesce ad essere disturbante come pochi altri: mette a disagio dall'inizio fino all'ultima scena, nella quale ci viene negato persino un timido spiraglio.
MEMORABILE: Le parole con il significato alterato; La madre in attesa di "due bambini ed un cane"; La canzone di nonno Sinatra tradotta in diretta
Preservare a tutti i costi (fisici, linguistici, comportamentali) la purezza di mente e l'integrità di corpo, ricreare una caverna platonica in cui incatenare i propri schiavi per il loro bene esclusivo: solo l'anatomicamente, fiabescamente impossibile caduta di un dente li potrà ricongiungere con la realtà negata. Trenodia di una disturbante alienazione sotto l'abbacinante gelo del sole attico: fino a oggi, il migliore e il più creativo film di Lanthimos, autore di chiara ascendenza hanekiana, ma di idee altrettanto solide.
MEMORABILE: La festa di compleanno con le coreografie di Flashdance accompagnate dall'Op. 60, N° 7 di Carcassi arpeggiata in un loop frastornante.
La storia di una singolare famiglia greca il cui capofamiglia è una specie di Dio assoluto, creatore di un Eden isolato dal resto del mondo in cui vivono i suoi tre figli adulti e una moglie. Questo Dio è un Dio padrone che manipola la realtà a suo piacimento, riducendo i suoi sottoposti a veri e propri cani a lui fedeli e obbedienti. Lanthimos gira un film grottesco, inquietante e disturbate sulla manipolazione della mente umana in cui tutto è bianco, asettico, gelido e privo di sentimenti. A dir poco malato.
Cosa ci fanno due ragazze e un ragazzo in cattività, mantenuti in vitro dal padre, a casa, senza contatti con altri esseri umani? Non chiedetelo a Lanthimos, lui descrive e basta, con la riconosciuta scaltrezza di rendere burocratico, pragmatico - quindi vero nella forma - anche un incubo. Non è distopia ma para-topia: il mondo protetto ma infetto appare iperbolico quanto attuale; somma in sé tanti piccoli grandi disturbi della società "normale" contemporanea. Attori bravi a spolparsi e a lasciarci un vuoto nello stomaco. Consigliatissimo ma non a tutti.
MEMORABILE: Il maschio di famiglia sceglie, tastando, con chi delle due sorelle giacere per sfogare l'istinto sessuale
Perché? È evidentemente una domanda da non porsi, nel cinema di Lanthimos. Così la clausura di questi figli, circoscritti dalle mura familiari a una realtà distorta, suona più come un folle esperimento sociale, un'indagine personale del regista. Tutto suona straniante, a partire dalle singole parole snocciolate assieme al relativo significato, in apertura. E tutto è freddo, le emozioni a loro volta confinate, il pericolo deformato (i gatti!), il sesso un'esigenza fisica; sennonché qualche sbavatura emerge, qualche spiraglio di emozione porta a... porta a... Memorabilmente spietato.
MEMORABILE: Il gatto in giardino; La scelta della sorella; Le parole e il loro significato; I giochi; Il ballo sfiancante.
Un geniale esperimento registico. Il sospetto è che Lanthimos non avesse una grande visione di fondo da trasmettere, un messaggio con abbastanza forza da sfondare nel finale del film, ma piuttosto partisse dalla sua visione claustrofobica della famiglia piena di reclusi inconsapevoli (echi di The village) e ci abbia costruito tutto attorno. Per questo il voto fatica a salire, anche per via del finale aperto in cui chiaramente le idee per una conclusione erano finite. Eppure grande stile, eccezionale direzione attoriale e una cura dei dettagli che rivela immenso talento.
MEMORABILE: Il confine immaginario e reale del cancello.
Quest'opera di Lanthimos oscilla tra l'abusata critica alla famiglia borghese e un'allegoria estesa a una condizione politica ben identificabile, attraverso l'invenzione di una villa isolata e recintata in cui vigono regole autoritarie e distorsioni intellettive e affettive fino al morboso. Questo artificio narrativo travolge l'autenticità e la condivisibilità sia dell'ideologia sottesa che dei singoli fatti e delle vicende che danno corpo (si fa per dire) alla struttura provocatoria (sulla carta) ma lontana da quel minimo di realismo per il quale la metafora stessa acquisisce senso.
Genitori segregano i figli per proteggerli dal mondo esterno. Manca il nesso causale patologico degli adulti, all'inizio, ma poi si sprofonda nel primitivo. Quelli che sembrano giochi banali di sopravvivenza dei figli man mano innescano inevitabili curiosità e derive. La violenza è repentina al punto da essere scioccante e la successione del plagio è al limite del disturbante. Peccato che l'eventuale bomba finale resti in canna. Confezione fredda non originale ma insieme grottesco che non lascia indifferenti; qualche momento poteva essere tagliato (il fratello oltre siepe, il cane).
MEMORABILE: La canzone di Frank Sinatra; Il gatto sforbiciato; Il balletto in stile “Flashdance”; "Ti lecco la tastiera"; Il parto del cane.
Lo stile oltremodo derivativo appiattisce ancor di più una sceneggiatura che ha l'incapacità di coinvolgere lo spettatore a livello emotivo, relegandolo a sorbirsi un caleidoscopio di assurdità assortite fra inculcamenti senza senso (lo stravolgimento del significato delle parole) e una sessualità gelida e malsana. Lanthimos gioca la carta dell'autorialità senza possedere una forza espressiva travolgente e originale. Sorge spontaneo un interrogativo: perché sorbirsi una copia sbiadita e irritante quando si può godere della magniloquenza dell'opera omnia di sua maesta Haneke?
MEMORABILE: La "traduzione" della canzone di Sinatra; Il cerchietto; Gli schiaffi con la VHS.
Una pellicola altamente straniante con venature grottesche in cui una famiglia vive isolata, eccezion fatta per il padre, in una bella villa con giardino. Situazioni assurde, significato delle parole alterato e scene di sesso asessuato. Un risultato poco potabile ma indubbiamente interessante che offre l'alienazione e la pazzia di un genitore davanti al mondo esterno. Appropriati gli interpreti e memorabile la traduzione della canzone di Sinatra.
Opera surreale e disturbante, scritta e diretta da Lanthimos, che decide con un stile quasi amatoriale di scavare nei segreti di una famiglia che vive ai limiti dell'assurdo, in una villetta isolata che ben rappresenta l'angoscia e l'ansia che il film trasmette. Gli attori sono tutti bravissimi, specialmente i ragazzi, che riescono a mantenere alto il livello di tensione che si vive nell'unico luogo nel quale è ambientato quasi interamente il tutto. Tecnicamente ottimo, buona la fotografia e l'attenzione ai dettagli sia visivi che sonori. Un'opera autentica che va vista più volte.
Due genitori decidono di educare i loro figli confinandoli nel perimetro di casa. Visionario, assurdo, claustrofobico e conturbante. Si rasenta la genialità per come si mette in risalto il contesto familiare sottoforma di regime e le conseguenti illusioni e paure. Non mancano i momenti violenti. Finale più che esaustivo. Candidato all'Oscar come film straniero.
Pura e semplice distopia microcosmica a dimensione familiare, il film che ha fatto conoscere Lanthimos nel mondo è una commedia dallo humour nero come la pece, un Bad boy Bubby in abiti borghesi la cui straniante ed esplicita crudezza sa disturbare quanto divertire. Difficile non distogliere lo sguardo durante l'apoteosi di autolesionismo nel finale, impossibile non ridere di fronte alle surreali punizioni fisiche del pater familias o al peculiarissimo lessico tramandato dalla madre che spaccia uno "zombi" per un "fiorellino giallo". Pulizia formale e marciume del narrato: una bomba!
MEMORABILE: L'uccisione del gatto e la messinscena della morte del fratello; Gli aerei in giardino; La traduzione della canzone di Sinatra; La festa con la danza.
Lanthimos si destreggia in un iper-realismo anti-borghese capace di cristallizzare caustici legami familiari in un'oasi di disturbante misantropia. Il simbolismo abbraccia i movimenti infantili dei figli, mentre la tossica figura paterna dirige questo freddo teatrino dai numerosi spunti di riflessione. Rimane intrappolato nel finale, ostaggio degli stessi automatismi che brillano nella criptica parte iniziale.
Un Lanthimos ancora in rodaggio dirige un'opera che lascia spiazzati: se, come suo solito, lo script è originale, la rappresentazione quasi da teatro minimalista, prettamente in interni, con gesti e dialoghi secchi e limitati, può far immedesimare qualcuno nella "folie a cinq" familiare, ma può più facilmente generare scarso coinvolgimento. Non aiuta neppure il ritmo lento, tipico del regista, che rende statico il soggetto, né l'eccessivo voyeurismo; ambigui il messaggio di fondo (dittatura come gabbia dorata?) e il finale, a cui si arriva senza un pathos che si attende invano.
Una commedia nera dalla cornice glaciale: Lanthimos racconta la coercizione patriarcale-maschilista a dimensione domestica; un limbo surreale che non ha nel grido la sua liberazione quanto nell'autolesionismo fisico (ammesso che la fuga sia possibile). Alcuni didascalismi di scrittura sono intervallati a intuizioni potenti, capaci di giocare d'anticipo sulle certezze dello spettatore. La messinscena è asettica quanto i sentimenti risultano distorti - con flebili momenti d'affetto tra i figli. Lanthimos resta un figlio diretto di Haneke e sarà d'ispirazione per altri registi.
MEMORABILE: Il linguaggio rivisitato; La "morte" del fratello al di là della siepe; Gli aerei che cadono in giardino; Nonno Sinatra "tradotto"; I canini.
C'è ben poco di originale nella storia di un padre che isola la sua famiglia dal resto del mondo per applicare ai suoi figli un'educazione proto illuminista. Meno ancora per giustificare la sua livida trasposizione in un film che per tutta la sua durata diventa una parata di volgarità, molte gratuite che non offrono niente più di quanto sapeva evocare, con stile più contenuto, Marco Ferreri (per non parlare di Buñuel). Si arriva alla fine film giusto per capire che non essendoci alcun motivo per farlo, chi ne ha sopportato lentezza e vacuità dovrà poi per forza celebrarlo.
Già dai primi secondi di film si viene immediatamente catapultati in una realtà distorta, con uno stravolgimento del linguaggio che assegna significati incongruenti a termini di uso comune. Col passare del tempo si acquisisce consapevolezza che a gestire questo mondo distopico è il capo famiglia, unico a potersi avventurare oltre il perimetro casalingo. Tutto è disturbante, soffocante, perfino i momenti più "sereni"; merito di una regia glaciale, composta da inquadrature fisse, sovente neanche centrate (Miss Violence gli è debitore). Un'opera degna di nota.
Fino a che punto la difesa militarmente spregiudicata del nucleo familiare è capace di giungere, abbattendo qualunque possibilità di collaborazionismo tra esterno e interno? Lanthimos decodifica e trascrive le regole da gioco di una partitura borghese viva nella sua buñueliana routine e nel (mancato) surrealismo, in quanto più che mai coincidente con una realtà estremizzata e solo per l'estraneo inaccettabile, ove l'unico ristoro dall'incorruttibilità è offerto dall'estasi di sanguecinefila e dall'algido amplesso retribuito. Indisturbato alberga il delirio, ma solo nell'osservatore.
MEMORABILE: Parole in codice; Gioco del lavandino; Fratello oltre la siepe; Collutorio; L'aereo; Addestramento canino; Gravidanza; Gatto; Pestaggi; Danza; Finale.
La famiglia come anti-realtà, nucleo psicotico, clan perverso, è un tema su cui Lanthimos mediterà molto, sia in chiave salvifico-grottesca, sia con crudeltà maniacale. Nel teatro psicotico di una segregazione autolesionista osserviamo in vitro una devianza asfissiante. Il voyerismo edipico dei genitali, l’animalizzazione, la recita infantile, il rito del dente di cane, sono la punta dell’iceberg di un inconscio degenerato, sotto un sole straniante che illumina tutto a giorno. Ironia: la realtà esterna filtra e frantuma la fortezza tramite due videocassette, Lo squalo e Flashdance.
MEMORABILE: Il ballo di Jennifer Beals trasformato in sabba infantile; "Ti lecco la tastiera", "la lampada", "gli zombie" e tutto il censorio idioletto familiare.
Terribile, grottesca dimostrazione di quanto la violazione dei diritti alla libertà, personale e di pensiero, all'identità personale, all'autodeterminazione, in nome di un iperprotettivismo patologico, possa portare a una cellula tumorale (a)sociale. Lo spettatore è costretto a empatizzare con la figlia ribelle, condividendone turbamenti e timori. Padre padrone e madre complice segregano orchestrando stratagemmi, sotterfugi linguistici, diversivi che sfiorano il ridicolo ma sempre stampando un sorriso amaro sul volto.
MEMORABILE: La videocassetta; L'amore a domicilio.
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Rebis ebbe a dire: Buiomega71 ebbe a dire: Rebis ebbe a dire: ... Pigro questo film mi è rimasto impresso a fuoco nel cervello, davvero devastante. Non riesco a togliermelo dalla testa e non faccio che consigliarlo agli amici :)
Buio, penso tu lo debba vedere a tutti i costi: ha molto del Salò di Pasolini, pur essendo qualcosa di completamente diverso.
Mi dispiace solo di averci messo mano dopo tanto tempo, ma come si dice "meglio tardi...". Nel mentre ho recuperato anche Alps, sono davvero molto curioso.
Grazie della preziosa dritta, Rebis
Confermi quello che ho sempre pensato di questo film (da quando ne lessi su Nocturno)
Ma ahimè, in dvd italico manco l'ombra...
C'è in edizione tedesca e inglese, volevo acquistarlo, ma ho paura che i dialoghi siano il punto nevralgico...
Che dici, Rebis...Aspetto (che son sicuro sarà un altro "Godot") ho lo posso acquistare anche import senza idioma italico?
Buio, non saprei cosa consigliarti perché la comprensione dei dialoghi in questo caso è fondamentale (c'è proprio una rifondazione del lessico familiare...). Io ne ho una copia digitale con i sub italiani, me la passò Pigro diverso tempo fa, ma so che tu sei indissolubilmente legato alle edizione ufficiali e ai supporti fisici. In alcuni casi purtroppo non c'è scelta...
Ma non lo aveva passato Fuori orario qualche settimana fa?
Come non detto :(
Mi toccherà aspettare (purtroppo) che una label coraggiosa lo faccia uscire in dvd anche da noi...A volte le uscite home video sanno essere sorprendenti. Sperem!
Su "Fuori Orario" è passato Alps, non questo.
Grazie comunque, Rebis...Resterò in attesa di qualche buona notizia.
Rebis ebbe a dire: ... Pigro questo film mi è rimasto impresso a fuoco nel cervello, davvero devastante. Non riesco a togliermelo dalla testa e non faccio che consigliarlo agli amici :)
Ah che bello, sono molto contento! È un film implacabile, anche per come ti rimane impresso...
DiscussioneZender • 30/03/14 17:33 Capo scrivano - 48963 interventi
Sì, si eviti di parlare di rip e di sub in rete, in questo forum, grazie.