Replicare vicende e situazioni di vita vissuta e di gente morta per non sentirsi morti; riproporle fino alla violenza, all’imprevisto; utilizzare l’occhio della “kinetta” per catapultarsi dentro un altro mondo, vividamente macabro. Riassemblare è il compito di chi assiste a una struttura ostica in quanto i segmenti del singolo evento sono frastagliati come il tragitto esistenziale dei protagonisti, di un’umanità che si fatica a definire tale, arresa ai corpi, alla meccanicità di gesti silenziosi, inanimati e insignificanti. È vita?
Tre persone e la loro vita, scarna, depressa, sempre uguale. La macchina da presa diventa l'evasione della mente che genera un doppio di ognuno, che risulta essere altrettanto autistico nell'incapacità di relazionarsi con l'altro. Un film scomodo come un sassolino nella scarpa, che scava nel nulla esistenziale attraverso silenzi interminabili e istruzioni dettate in maniera meccanica. La totale assenza di empatia ghiaccia il sangue.
Cercano un contatto con il reale attraverso la sua riproduzione, i protagonisti di Kinetta, insensibili al dolore, incapaci di empatia: ed è dalla distanza del non riconosciuto che osserviamo questa tentata fuga dalla caverna delle ombre. C'è tutta la possanza filosofica delle opere a venire, nell'esordio di Lanthimos, in meno la capacità di condurci all'interno della distopia concettuale: un mosaico narrativo che congela l'essenziale e il superfluo in un autismo dogmatico; deraglia in un moto centrifugo che distrae, annoia, impone la condizione insostenibile dei suoi stessi personaggi.
Per chi non conosce il regista, il film è ancora più straniante ed ostico di quel che comunque è. Rispetto alle prove future però mancano appigli per capire appieno dove il regista voglia arrivare. Diciamo che il discorso è solo
abbozzato e verrà ripreso ed ampliato nelle pellicole successive, così come certi elementi (la finzione-sostituazione per sentirsi vivi, il linguaggio qui però solo accennato) qui presenti in maniera più o meno cospicua. Quel che è
già in puro stile Lanthimos è invece lo stile assolutamente gelido e privo di empatia verso i suoi personaggi.
Si tratta, senza dubbio alcuno, del film più lento e impegnativo di Lanthimos, nonché - per una tendenza esasperante all'ellissi, all'accostamento apparentemente grottesco di situazioni differente, per la trattazione alienante e alienata del quotidiano - il suo più ferreriano, un Dillinger è morto frammentato tra ricostruzioni di efferati delitti, desolati vuoti invernali e dialoghi atomizzati. Ha il suo fascino, ma rischierà inevitabilmente di irritare. Forma e contenuto troveranno il loro zenith già nel successivo - e insuperato - Kynodontas.
In un hotel fuori stagione un poliziotto fa inscenare delitti a una coppia. Esordio per Lanthimos che dimostra già una certa freddezza nel proporre persone alienate e che ostentano vagamente pietà o affetto. Tempi prolungati e asciutti che lasciano intendere ben poco; una volta si sarebbe parlato di noia esistenziale, qui lo spunto è al limite del patologico. In qualche frangente è addirittura ostico e la camera a mano eccede nell’essere insicura.
MEMORABILE: La sfilata nella sala; Svenuta in bagno.
Debutto alla regia di Lanthimos, quest'opera che sembra assurda e a dir poco strana fa riflettere sui tratti più nascosti e perversi degli esseri umani, in questo caso un gruppo di filmaker amatoriali che ripropone gli omicidi del killer di un paesino turistico della Grecia. Poche parole, scene molte volte ripetute per dare quel senso di angoscia e di sofferenza che provano i protagonisti e un'ambientazione dai toni freddi che lascia spiazzati. La regia è un po' acerba, ma come opera prima ci può stare e la mano buona si vede già in alcune riprese piene di tensione. Non male
Yorgos Lanthimos HA DIRETTO ANCHE...
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ostico :) è un discorso molto personale e un po' (troppo) scombussolato sulla "finzione" come diversivo per sentirsi parte del mondo. frammentato ma non brutto, certo è che il tema di partenza è abbozzato, è un Lanthimos alle prime armi e si vede, almeno per come ho inteso io il film.
Dogtooth, ma sopratutto Alps (che ho adorato alla follia e nel quale riprende il tema cardine di questo Kinetta) sono di tutt'altra pasta.