Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Serie tv che ripercorre più o meno fedelmente i noti fatti di cronaca statunitensi. Cast piuttosto buono con la sola "star" Pompeo. Si apprezza la performance di Imogen Faith Reid, in particolare, ferme restando le buone prove attoriali. La sceneggiatura a tratti subisce qualche battuta a vuoto, di pari passo si tende a perdere ritmo e così, dopo i primissimi episodi, si ha la sensazione di procedere fin troppo lentamente, con un appeal che scema. Il finale di stagione va ad allinearsi abbastanza fedelmente alla realtà e sicuramente suscita la voglia di approfondire la vicenda.
Senza dubbio l’accoppiata Brando/Magnani funziona: due “animali” che non sembrano adeguati alla società; lui con un erotismo debordante, lei donna più volte sconfitta. Ma qui il dramma sembra costruito troppo a comando e la cupezza regna sovrana, senza apparente via di scampo. Un polpettone teatrale che si rifà alla tragedia classica, sebbene di qualità eccellente.
L'anime prende qualche spunto dalle Avventure di Tom Sawyer di Mark Twain ma soprattutto dalle Avventure di Huckleberry Finn, di cui ricalca abbastanza fedelmente le vicende. Purtroppo la storia subisce alcune imperdonabili edulcorazioni. Jim viene raffigurato in maniera insopportabile e anche Tom Sawyer non convince completamente. Convince invece la figura del protagonista. Nel complesso è un buon anime, ricco di avventura e che in gran parte riesce a rendere lo spirito libero del romanzo. Animazione non indimenticabile ma tutto sommato efficace. Piacevole pur non incantando mai.
Sorrentino spinge ancora di più sul pedale dell'eresia (da non confondere con la blasfemia) e introduce temi enormi, complessi, come la figura femminile nella chiesa o il fanatismo religioso che non è affatto esclusiva dell'Islam. Musiche sorprendenti, sigle iniziali e di chiusura che sono veri e propri videoclip. Malkovich è una figura di grande fascino: come Law si porta dietro tragiche fragilità familiari ma ha un carisma travolgente. Voiello (Orlando) ancora centrale, location incantevoli. Inno all'amore verso i bambini con un finale indimenticabile: "Pio, hai rott'u cazz".
Altro buon capitolo di una saga che sarebbe calata sensibilmente di livello dal numero 5, nonché uno dei lavori più indovinati (se non proprio il migliore) di Harlin. La trama si regge ancora in piedi e il cast si comporta tutto sommato onestamente, cose da non trascurare in uno slasher, ma la parte del leone spetta al piacevole connubio di lugubri atmosfere e validi effetti speciali (la mutazione kafkiana spicca tutt'oggi per tasso di raccapriccio). Freddy, ormai definitivamente indirizzato sui binari della ferocia comica, dispensa morte e umorismo nero a bizzeffe. Interessante.
Attempata ballerina di night dedita a pratiche stregonesche tiene tutti in pugno grazie ai poteri ipnotici di un amuleto magico forgiato durante un sanguinoso rito vodoo. Quando la figlia nevrotica e insoddisfatta glielo soffia saranno guai. Una delle prime regie di Sarno, ufficialmente solo autore dello script, che allestisce una storia assurda ma non priva di un suo torbido fascino per via dell'atmosfera cupa e malsana in cui immerge la vicenda, fra prostitute, teppisti e giocatori d'azzardo che si muovono in squallide location efficacemente fotografate in un livido bianco e nero.
Si può anche essere indulgenti, considerato che il film è del 1966 e che si presenta con una magnifica, splendente fotografia d'epoca, ma come giallo dalle atmosfere vagamente gotiche (la gigantesca villa di famiglia a sostituire il castello, col fuoco che divampa in apertura uccidendo una bella signora) proprio non convince, parto di un meccanismo involuto quanto destituito di ogni credibilità.
A morire nel prologo è Jessica Shelley (Gabor), moglie di Edward (Ameche) e madre di Susan (Gordon), avvolta nelle fiamme in camera sua. Quest'ultima, ricoverata...Leggi tutto in una clinica in seguito al forte shock, viene tre anni dopo riportata a vivere nella lussuosa residenza dal padre, nel frattempo risposatosi con la governante di allora, Francene (Hyer). Dopo aver dilapidato la sua parte di eredità in viaggi e bagordi, l'uomo si ritrova senza un soldo e costretto a sperare nella clemenza di Susan, che eredita la villa e il denaro e alla quale chiede di poter vendere il lussuoso arredamento, unica cosa a lui rimasta (anche se in comproprietà con lei). Ma Susan nemmeno capisce: è ancora stravolta al pensiero di quanto accaduto a sua madre. Non comprende come suo padre possa già essersi risposato ed è perseguitata dagli incubi (e dire che in clinica la suora aveva tanto raccomandato al padre di non riportarla a vivere nel luogo del fattaccio).
Unico altro altro ospite, in villa, è il cugino Anthony (Reed), rimasto sfregiato in seguito all'incendio, si dice per aver invano tentato di salvare Jessica; ma su quella morte resistono ancora molte ombre, che dovranno essere dissipate lungo l'arco di un film che cerca di far montare la suspense con i tormenti della piccola Susan (la quale peraltro sembra molto più grande della sua età e si veste come se avesse trent'anni in più), gli intrallazzi di Francene e un padrone di casa in apparenza avulso dal contesto, pacato in qualsiasi condizione, persino quando vede la sua nuova moglie mezza nuda sul balcone col cugino. Colpa anche sua se il film resta ancorato al proprio tempo, compassato e rigido come tutti i personaggi (tranne Zsa Zsa Gabor che, almeno nei pochi flashback in cui la si rivede, un po' di vivacità la mette), inamidato persino in quelle che dovrebbero essere le impennate drammatiche (si registra la più improbabile delle uccisioni tramite rampino a quattri ganci, con la vittima arpionata e uccisa senza accennare una minima reazione, nonostante l'arnese la sfiori o poco più).
Tutto dovrebbe ruotare intorno al grande mistero legato alla morte di Jessica, del quale Susan - una volta recuperata la memoria - potrebbe conoscere particolari necessari a ricostruirne la dinamica. Considerato che i personaggi in scena sono quattro, non è difficile arrivare a capire cosa sia accaduto, ma anche in questo caso la soluzione arriva debolmente, senza che il regista Bert I. Gordon riesca a far montare a dovere la tensione. E così il film si spegne senza essersi a dire il vero mai acceso, appigliato alla scintillante confezione e alla recitazione discreta del cast, con un Don Ameche che mostra lo stesso aplomb di un Vincent Price senza poter tuttavia contare sul medesimo carisma. Scialba anche Susan Gordon, mentre - considerato il ruolo - un po' di più fa Martha Hyer, che rappresenta poi la figura più ambigua del lotto e forse l'unica interessante. Si può dimenticare senza rimpianti.
Quando si cerca di preconfezionare un cult ad ogni costo, il rischio di sbattere la testa contro il muro è altissimo. I riferimenti di TERMINAL sono il cinema pulp, Tarantino, quel modo di intendere la violenza che te la serve stemperata da dialoghi ricercati e personaggi bislacchi (in questo caso senza esagerare se non nel finale, quando finisce col sembrare fuori luogo).
Protagonista è Margot Robbie, già magnetica presenza che in film come SUICIDE SQUAD aveva mostrato il proprio lato più irridente e...Leggi tutto beffardo sotto la maschera di Harley Quinn: una maschera recuperata idealmente attraverso il trucco di occhi e labbra e quello sguardo killer che si stampa su di un viso senza imperfezioni, di bellezza statuaria eppure fortemente espressiva. Bastano un ammiccamento, un movimento d'occhi per sedurre e lasciarti a osservarla ammirato. Si presenta in confessionale ma di fronte a lei non c'è un prete, piuttosto qualcuno che lei mira a conquistare facendosi ingaggiare per nuovi "contratti". E' un killer? Forse no, perché quelli già ci sono (Fletcher e Irons) e se ne stanno chiusi in un appartamento al buio, in attesa di capire quale sarà la loro missione. Anche chi guarda se lo chiede, dal momento che non si può dire siano illuminanti, i loro scambi, parole che si perdono nel vuoto come un po' tutto quello che nel film accade.
In una stazione ferroviaria, ad esempio, un professore (Pegg) è in attesa di un treno senza che nulla gli importi della direzione in cui proseguirà la sua corsa. E' notte e lì incontra un inserviente (Myers, seppellito dal trucco) che lo consiglia di raggiungere un diner aperto h 24, dove verrà servito - guarda un po' - proprio da una splendida cameriera con le fattezze della Robbie. Con lei si confiderà, mentre i due sicari continueranno a pontificare sul nulla fino a quando non se ne andranno al night dove ammireranno danzare una coniglietta sensuale e provocante (sempre la Robbie!), che consegnerà loro una valigia. Si continuerà tra detto e non detto, con Pegg a lanciarsi in dotte dissertazioni e la Robbie a rintuzzarlo con malizia mostrandosi più matura di lui.
Tutto giocato su contrasti di luci artificiali di indubbio fascino (per quanto fin troppo artificiose) che lo immergono in un'atmosfera quasi cyberpunk, dominato in lungo e in largo da una protagonista plastificata da pose eccessive che la rendono a tratti fastidiosamente caricaturale, il film di Vaughn Stein è una coproduzione sterminata (partecipanti dall'Ungheria a Hong Kong, passando per l'intero universo anglosassone) che impiega troppo tempo a trovare una sua dimensione; soprattutto nelle scene con i due sicari azzecca di tanto in tanto qualche timida battuta, sciorinando però poi minuti interi di vuoto pneumatico; solo nell'ultima parte - con un Myers che torna sorprendentemente sugli scudi - prenderà finalmente coscienza della direzione in cui vuol virare, facendoci scoprire come tutto quello che sembrava costruito senza fondamento esclusivamente per stupire ha invece una sua traccia ben precisa da seguire, che si chiuderà nel kitsch e in uno sdoppiamento pretestuoso ma illuminandoci sui molti interrogativi che pareva non dovessero trovare risposta. Quasi mai divertente come si proponeva, un film con qualche guizzo ma che perlopiù annaspa, faticando a galleggiare. Piuttosto insignificante...
Variante “british” dei "Sette uomini d'oro", mantiene inalterato il numero dei protagonisti della saga di riferimento, anche se il settimo diventa l'elemento in più e non è sempre lo stesso: quello ufficialmente legato alla banda sarebbe Bernard (Ferro), costretto a rimanere in carcere a coprire la fuga, ma all'esterno, durante il colpo, il settimo diventa un cialtrone aggregatosi ai nostri per caso, Sam (Stander). Quindi il numero corretto dice 6 + 2: Bernard partecipa attivamente alla riuscita del piano, Sam è invece l'elemento disturbatore...Leggi tutto coinvolto loro malgrado perché, in quanto malato cronico, è presenza costante nell'infermeria da cui tutto parte.
Siamo a Londra, e il direttore del carcere cui dà il volto Adolfo Celi fronteggia da par suo – quindi con sublime sadismo – la rivolta messa in atto dopo il suo divieto a mostrare ai detenuti l'attesissima partita di Coppa d'Inghilterra tra Sheffield Wednesday ed Everton, per seguire la quale pare che l'Inghilterra intera si fermi. Dopo qualche giorno di faticosa resistenza da parte di sempre meno detenuti, arriva il momento di organizzare un colpo di cui nulla sappiamo. I sei del titolo (Moschin, Vianello, Mitchell, Gozlino, Zamperla e Corrà), coadiuvati da Bernard – che rimane in carcere per verificare che pure lì tutto proceda come stabilito e a trasmettere a beneficio delle telecamere di sorveglianza un filmato preregistrato che mostri come in infermeria nulla di strano stia accadendo – mettono in atto il loro piano: approfittare del calo generale di attenzione dovuto alla partita per fuggire e... rientrare! Avranno a disposizione esattamente un'ora e quarantacinque minuti (la durata del match) per realizzare una rocambolesca evasione e stampare nella zecca di Stato (dopo essersi procurati la filigrana) migliaia di sterline autentiche, da nascondere e recuperare in un secondo tempo, a scarcerazione avvenuta.
Agli ordini di Benjamin (Moschin), di fatto la mente (lo chiamano “Brain”, infatti), gli altri sfrutteranno le loro abilità per portare al termine la rischiosa impresa. Il film è la cronaca quasi in tempo reale di quanto accadrà durante la temporanea e segreta evasione, utile a procurarsi l'alibi più di ferro che si possa immaginare. L'idea, piuttosto originale, segue quella degli heist movie classici senza che però nulla ci venga anticipato, di modo che chi nulla sa potrebbe avere qualche difficoltà a capire cosa accade in scena.
Scelto come mezzo per spostarsi un autobus a due piani (cosa c'è di più inglese?) e dovendo subire l'esuberanza perniciosa di un insopportabile elemento disturbatore come lo sciatto, rumoroso e irritante Sam (ruoli simili purtroppo Stander li ha spesso ricoperti con esiti non felici anche in altri film), i sei cominciano a spostarsi da una parte all'altra della città portandoci a scoprire begli scorci di Londra. Si muovono sui tetti (notati dalla coppia Erika Blank/Ray Lovelock, veloci camei di utilità nulla), si travestono da pompieri, fanno un po' di tutto fronteggiando ovvi imprevisti, accompagnati da qualche bello stacco musicale jazzato di Trovajoli e dalla brillante “Seven Time Seven” cantata dai The Casuals.
La regia di Michele Lupo è piuttosto spigliata e la sceneggiatura è congegnata discretamente, anche se certi inserti di umorismo inglese “artefatto” (si veda lo sketch con il solito Terry-Thomas) e personaggi scarsamente sopportabili - come la vecchina petulante interpretata da Gladys Dawson e soprattutto il debordante Stander - non aiutano ad apprezzare il risultato. Vianello in chiave semiseria è depauperato, Moschin come architetto geniale anticipa un po' l'Ugo Piazza di MILANO CALIBRO 9. Si lascia vedere più di altri film in tema grazie all'originalità dell'ingegnoso piano, da scoprire un po' alla volta...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA