Pur non essendo tra i migliori film di Hitchcock, è un'interessante (per l'epoca) film sperimentale in cui al thriller di stampo classico basato sullo scambio di persona si aggiunge la componente psicoanalitica con delle divagazioni oniriche "disegnate" per l'occasione da Salvador Dalí. La parte più interessante del film (e della sceneggiatura) è il complesso rapporto che si stabilisce tra i due protagonisti interpretati con bravura dalla Bergman e da Peck.
Gregory Peck e, soprattutto, Ingrid Bergman sono i protagonisti di un buon giallo psicologico diretto con mano sicura dal sempre ottimo Alfred Hitchcock. Per le scene oniriche, come noto, il regista contattò nientemeno che Salvador Dalí! Buona tensione psicologica e interpretazioni. Non si può dire sia un capolavoro ma sicuramente un film notevole sì.
Un giovane psichiatra arriva in una clinica, ma ben presto si scopre che non è chi dice di essere e ha strani comportamenti. Un perfetto meccanismo di mistero, che Hitchcock imbeve in un denso humus psicoanalitico (ancorché elementare) che impreziosisce la storia regalandole un'atmosfera di inquietante malattia. Celebri le sequenze oniriche realizzate con Salvador Dalí, bellissima occasione di collaborazione concreta fra cinema e pittura: anche in questo il grande Hitch aveva l'intuito giusto. Affascinante.
Insomma... Indiscutibile il talento del Maestro, brillanti i dialoghi di Ben Hecht (ogni frase di Fleurot è un capolavoro), grandi i tre interpreti principali (doppiati da Cigoli, la Simoneschi [ça va sans dire] e Lauro Gazzolo: quando parla Brulov si pensa a Mago Merlino...). Ma non funzionano le spiegazioni psicoanalitiche, la rapidissima guarigione, le deduzioni dall'onirico, l'assurda gaffe-"deus ex machina" finale. Grande il Maestro nel flashback infantile, il brano migliore del film. Ahimé, solo discreto.
Ottimo thriller a base psicanalitica firmato da Hitchcok e servito da una storia bella e avvincente e da attori di rango superiore alla media. Confezione pregevole con menzione obbligatoria per le scenografie oniriche create da Dalí e per l’efficace colonna sonora di Rozsa premiata con l’oscar. Naturalmente la regia è di grande qualità e diverse scene colgono nel segno. Cinema d’altri tempi.
Se si chiude un occhio sul settore psicoanalisi e sull'interpretazione del sogno (qui sbrigativa anche per esigenze di copione, del resto sono passati 65 anni), il film non è male. La tensione non è altissima ma c'è, il flashback e il sogno, con le forme gocciolanti di Dalí, sono notevoli. Molto bella la sequenza a casa del vecchio psichiatra. Poteva essere diluita meglio l'amnesia di Peck, troppo forte per troppo tempo, per poi aprirsi improvvisamente, ma forse funziona così. C'è anche una giovane Rhonda Fleming, falsa mangiatrice di uomini.
MEMORABILE: Buona colonna sonora, uno dei primi usi, nel cinema, del theremin.
Dato l'assunto (sostanzialmente "teorico") m'ero preparato ad una grossa e fumante polpetta. Trascorsi i primi minuti crollano tutti i pregiudizi più biechi. Il rischio di risultare esageratamente "freddi", con un tematica del genere, era alto. Ma il consueto, impeccabile, découpage selznickiano (all'epoca idolatrato, oggi discusso), che in accoppiata con Hitchcock c'ha già regalato Rebecca, sopperisce all'ingombrante fardello. Non di rado squisitamente ironico: la firma di Hitch non passa inosservata, contribuendo a smorzare la seriosità. ****
Forse non il miglior film di Hitchcock, ma senz'altro uno dei più affascinanti: due splendidi protagonisti, Gregory Peck e Ingrid Bergman, molto ben assortiti. Freud (traumi infantili, sogni surreali, sensi di colpa), con il contributo artistico di Salvador Dalí (la scena del sogno), per un film in cui tutto sa di psicanalisi. Un film che deluse Truffaut e che Hitch stesso definì "la solita caccia all'uomo camuffata da film pseudo-psicologico". Per me, comunque, degno di considerazione.
MEMORABILE: L'ultima sequenza, nella quale l'assassino si rivela tradendosi.
A detta di alcuni uno dei film meno riusciti di Hitchcock, ma comunque notevole. Un thriller psicologico influenzato dalla psicanalisi. Lo scioglimento narrativo avviene appunto attraverso lo studio di un sogno fatto da Gregory Peck, che soffre di amnesie. Diversi colpi di scena, che compensano l'assenza di suspense. Bellissima la Bergman, bellissimo anche Peck. Indimenticabile la rappresentazione del sogno scenografato da Dalí in persona. Ottima prova di Hitchcock e del suo talento (la visuale in prima persona).
Non il film migliore di Hitchcock ma tuttora godibile. Una Ingrid Bergman mai così sana e salvifica, un Gregory Peck giovane e non troppo convincente come paziente amnesiaco e vulnerabile, un delizioso Michael Chekhov che porta con sè l'eredità artistica non solo dello zio Anton ma anche del Teatro di Mosca e del metodo Stanislavski. E soprattutto Salvador Dalí, ideatore di sequenze oniriche oggi abbastanza imbarazzanti ma a quei tempi visivamente coraggiose. Il film si guarda volentieri, ma come paleo-thriller psicanalitico c'è di meglio.
Insistere sulle abilità registiche di Hitchcock è del tutto pleonastico, quindi meglio soffermarsi su quegli aspetti che hanno contribuito a scrivere la storia del genere thriller: la detective improvvisata, il trauma infantile rivelato da singoli indizi culminanti nel flashback chiarificatore e la sequenza onirico-surrealista (Dalí) di cui si ricorderà in futuro anche il Fulci psicanalitico. Peck è giustamente rigido e turbato, la ligia Bergman fa vincere il cuore sul raziocinio dopo qualche battaglia melodrammatica di troppo e il paterno Chekhov sparge l’immancabile humour hitchcockiano.
MEMORABILE: La sequenza di Dalí, vero e proprio cortometraggio surrealista.
Concordo con Truffaut quando afferma che il film manca un po' della tipica fantasia di Hitchcock, ma non capisco perché critichi la logicità e razionalità della pellicola; è bello anche il poter seguire passo passo, razionalmente le vicende e svelare il mistero senza la magia propria di altri suoi film. Riguardo al resto c'è da lodare la maestria del regista in certe sue inquadrature e tecniche oltre che un'apprezzabile performance di Ingrid Bergman, affiancata però da un Peck un po' sottotono (catalogato da Truffaut negli attori "non hitchcockiani").
MEMORABILE: La rappresentazione surrealista dei sogni, La scena sulla pista; L'inaspettatissimo colpo di scena finale; L'interpretazione finale dei sogni.
Forse il primo film che affronta apertamente il tema della psicanalisi. Diamo atto a Hitchcock di essere stato un antesignano anche in questo ambito ma, all'epoca, l’argomento originale e sconosciuto del film impose l’onere di dover dare continuamente spiegazioni attraverso dialoghi lunghi e prolissi. Il film risulta molto macchinoso e didascalico, privo di quella suspense e di quella folle fantasia che ci si aspettava dal soggetto e dal regista. La scena del sogno così abbacinante e "metafisica" e dai contorni così netti è un vero colpo di genio. Gregory Peck scialbo.
MEMORABILE: Le sette porte che si aprono di seguito dopo il primo bacio dei protagonisti; Il suicidio sparando... al pubblico.
Il tempo non è stato clemente, soprattutto per la mutata ottica nel campo della psicanalisi, con quest'opera che ai tempi dovette certo essere uno dei film più all'avanguardia (e dei gialli più insoliti) mai realizzati fino ad allora: dalla sequenza dell'incubo (ripresa da Fulci) al flashback sul trauma infantile (ripreso da Martino e da Lenzi), l'influenza del genio visivo di Hitchcock sull'immaginario collettivo è ampiamente testimoniata. Peck legnoso e vulnerabile come nel Caso Paradine, Bergman plastica e coraggiosa come in Notorious.
MEMORABILE: La soggettiva sulla mano che punta la pistola in camera, aspramente criticata negli scritti di Ejzenštejn come sintomo dell'individualismo americano.
"Le donne possono essere dei bravi psichiatri ma una donna innamorata diventa una malata" dice il dr Brulov, riassumendo sommariamente il film. La donna innamorata è una favolosa Bergman, travolta dalla passione per un uomo misterioso, forse un assassino, con cui fugge decisa a curarlo e a dimostrarne l'innocenza; la brava psichiatra è sempre lei, che svela il mistero interpretando il sogno dell'amato, un Peck scialbo e sottotono (la vera star maschile del film è Chekhov). Non sarà il capolavoro di Hitch ma lascia il segno.
Il maestro Hitchcock genera un thriller con venature melodrammatiche corredato da dialoghi di alto livello e uno sviluppo narrativo probabilmente scontato ma affascinante. I due interpreti sono appropriatissimi e si nota la grazia della Bergman associata al turbamento di un intenso Peck. Il maestro Alfred ha realizzato sicuramente lavori migliori, ma questo si apprezza comunque.
Un buon thriller che ruota attorno alla psicanalisi ma che non perde mai di vista il succo della storia. Peck è assolutamente calato nella parte lasciando trasparire tutto lo smarrimento e la fragilità di un uomo stravolto da un trauma. Inoltre non capita a tutti di poter sfruttare il genio visionario di Dalí e le scene del sogno rappresentano una vera perla che ben si addice alle venature oniriche della storia. Non eccelso, ma sicuramente godibile.
Gran film diretto da Hitchcock, il quale decide di approfondire la componente psicanalitica inserendola nel contesto a lui più caro, quello del thriller. Il film rappresenta un memorabile quanto coraggioso tentativo di dare forma visiva ad alcune componenti d'inconscio umano e la sequenza del sogno, la cui scenografia è stata curata da Salvador Dalí, ne è un perfetto esempio. Qualche ingenuità per quanto riguarda la sceneggiatura, ma il film è memorabile.
Una love-story sapientemente mascherata da thriller e arricchita da psicanalisi classica (freudiana) e/ma divulgativa. Non è uno dei prodotti migliori del Maestro ma conserva (nonostante certi passaggi che oggi appaiono datati) il suo fascino. Pregevoli sono le sequenze oniriche, dove la solida partecipazione di Dalí aggiunge valore di irripetibilità all'insieme.
Thriller costruito sulla psicoanalisi, in cui l'assassino viene scoperto analizzando l'inconscio di un uomo con turbe psichiche colpito da amnesia. Non mancano forzature ma il meccanismo è divertente e alcune scene sono notevoli (su tutte quella del famoso sogno realizzato da Dalí: ciò che esso nasconde sarà fondamentale per i risvolti della trama). Più consueto è l'altro elemento portante del film: la storia d'amore tra la fredda dottoressa Ingrid Bergman e l'ammalato Gregory Peck.
Definito "pseudo-psicoanalitico" dallo stesso regista (per l'eccesso di semplificazioni teoriche), il film è un geniale esempio di contaminazione fra vari livelli culturali: cinema, principi freudiani e il magico surrealismo di Dalí. Il sogno anche qui diventa la scatola nera dell'inconscio, per penetrare nei segreti più reconditi e svelare la parte rimossa del sé. Al solito un Hitchcock che avrebbe voluto osare maggiormente e a cui s'impongono abbondanti "edulcorazioni", ma questo è un altro film...
MEMORABILE: Gregory Peck perfetto nel ruolo di uomo fragile, vulnerabile e da "salvare".
La recitazione, talvolta esageratamente enfatica e alcune eccessive semplificazioni in materia di psicanalisi, conferiscono a questa pellicola un'aria un po' datata rispetto ad altre opere del Maestro. L'idea di partenza è molto buona e viene sviluppata in un interessante crescendo di tensione, fino al doppio colpo di scena conclusivo. La regia è - manco a dirlo - impeccabile, geniale la ripresa attraverso il bicchiere di latte (simboleggia la neve del finale?) e suggestivo il "sogno" messo in scena da Dalí, in ispecie i drappeggi.
MEMORABILE: Peck che chiede due biglietti del treno per Roma e la Bergman che per giustificarlo specifica "Roma, in Georgia".
Forse Hitchcock avrebbe fatto meglio ad ascoltare la dottoressa del produttore Selznick, dato che (si dice) sembrano esserci incongruenze psichiatriche. Ad ogni modo la vicenda intriga, perché coniuga la passione sentimentale, qui nemmeno troppo sdolcinata, con una trama di ossessioni mentali che costituiscono un ottimo mistero da risolvere, cioè cosa turba il bel protagonista maschile? Lo si scopre alla fine, quando la storia diventa un giallo, dato che è stato commesso un delitto e, come da copione, l'innocente deve riuscire a scagionarsi.
MEMORABILE: Il sogno firmato Salvador Dalí; Il ricordo infantile del protagonista sul trauma che lo attanaglia.
L'incantesimo (spellbound) del titolo è l'onirismo sospeso e inquieto dispiegato anche dalle scenografie di Dalí che da sole elevano il livello dell'opera. Essa anticipa precocemente il rapporto psiche-delitto-inconscio regresso del thriller moderno inventando un cinema nuovo seppur inserito in una cornice classica. Geniale il suicidio che si "rivolge" allo spettatore e all'occhio del regista, "spegnendo" l'inquadratura e lasciando lo schermo nero: l'incantesimo è rotto e il cinema si autoannulla.
La dottoressa Costance si innamora di un uomo affetto da amnesia e ne protegge l'identità. Hitchcock, da regista psicologico, parte a suo agio con un soggetto basato sulla psicoanalisi, ma poi conclude in modo semplificato. Qui accosta il binomio "Psiche & eros" a una vicenda sentimentale incentrata sul mistero e i momenti concitati. Adatte le musiche soavemente struggenti e bravissima Ingrid Bergman.
Uno dei più celebri titoli del maestro inglese ma non uno dei più riusciti. L'incontro di Hitchcock con la psicanalisi, benedetto da Salvador Dalí, che con le sue splendide scenografie nobilita il film, paga il dazio del tempo che passa e molte soluzioni narrative appaiono oggi piuttosto datate e leggermente forzate. Resta comunque un esercizio di cinema alto, anche grazie a un grande cast (la Bergman su tutti) e a una sceneggiatura scritta in punta di penna. Belle musiche e montaggio da manuale. Merita una visione attenta.
Un grande Alfred Hitchcock affronta il tema della psicanalisi avvalendosi di un cast di alto livello, costruendo un film che mescola il mistero con la componente sentimentale. I protagonisti Gregory Peck e Ingrid Bergman se la cavano molto bene, sorretti da una sceneggiatura semplice ma solida. Sapiente la regia, grazie all'abilitá del maestro nel far crescere la tensione nei momenti chiave. Grande cinema.
Il film si basa sul romanzo "House of Edwards". Bel thriller, tensione, suspense, romanticismo, eccitazione e colpi di scena. Dialoghi brillanti con tocchi distintivi di Hitchcock. C'è anche una sequenza onirica emozionante e famosa di Salvador Dalì. Superbe interpretazioni dei personaggi principali, bellissima la Bergman. Elegante e brillante Gregory Peck in un ruolo ben interpretato. Musica drammatica e d'atmosfera di Miklos Rozsa, che ha vinto un Oscar per l'eccellente colonna sonora.
Se Ingrid Bergman è davvero splendida, della pellicola nel suo complesso non può dirsi altrettanto. Inizio con dialoghi da soap opera e il solito innamoramento inspiegabilmente repentino, poi comincia il mistero che una certa tensione la offre (la lettera sul pavimento, il confronto finale), ma le ingenuità (i risvolti psicanalitici, il modo in cui il colpevole si tradisce, l'imbarazzante sequenza sugli sci) sono davvero troppe per un film che aspira allo status di classico. Un turbato Peck se la cava, ma il migliore del cast maschile è Chekhov. Un Hitchcock minore, tutto sommato.
All'epoca il doppio colpo di scena sarà stato di sicuro effetto, ma i cinefili odierni (ben più smaliziati e con maggiore esperienza in materia) impiegano poco a capire se John è davvero un omicida. Film verboso sul tema della follia (con una coppia protagonista di straordinaria bravura e bellezza) che tuttavia è intriso dell'ironia pungente di Hitchcook, giacché mette in mostra una gabbia di matti: il direttore della clinica che si ritira a causa di un esaurimento nervoso, il sedicente sostituto psicopatico, l'assassino diabolico, la dottoressa sull'orlo di una crisi di nervi...
MEMORABILE: Ballantyne medita di aggredire lo psichiatra.
Il giovane uomo che si presenta alla clinica psichiatrica come nuovo Direttore si comporta stranamente, soffre di amnesia e forse è l'assassino del medico di cui ha assunto l'identità... Pur zoppicante come thriller, semplicistico sul piano psicoanalitico come tutti i film hollywoodiani ed inferiore alle attese per quanto riguarda gli inserti onirici curati da Salvador Dalì, conserva tuttora il suo impatto per la regia sapiente di zio Alfred ed il glamour della coppia protagonista: Bergman determinata e vibratile, Peck molto attraente anche se ancora piuttosto impacciato come attore.
MEMORABILE: La reazione al segno lasciato dalla forchetta sulla tovaglia bianca.
Pur con qualche ingenuità e una visione della psicanalisi che oggi appare superata, il film di Hitchcock riesce tuttora a stupire per alcune idee tecniche tuttora influenti (soprattutto nell’uso della soggettiva) e per l’affascinante incursione nella pittura (con la collaborazione di Dalì) con cui il regista si addentra nel labirinto della psiche. Abbonda la brillantezza tipica dei dialoghi hitchcockiani (soprattutto per bocca di Chekhov, che mette un po’ in ombra un Peck in tono minore). La Bergman è austera ma non fredda, in bilico tra sentimento e ragione.
MEMORABILE: La weltanshauung di Brulov; Il bicchiere di latte; La sequenza del sogno; La mano che punta la pistola prima alla porta e poi verso lo spettatore.
Un film forse poco hitchcockiano (manca la suspense costante e la pellicola non non è un thriller a tutti gli effetti), ma molto riuscito e moderno sia nella tematica che nel modo in cui essa viene trattata. Grandiosa l'interpretazione di Gregory Peck, coadiuvato da una ottima Bergman. La parte onirica impreziosita dai disegni di Dalì è senz'altro molto suggestiva.
Cinque pallini solo per la splendida incursione onirica di Dalì. Una sorta di installazione, un cadeaux onestamente da rimpiangere, irripetibile e - per fortuna- ancora esistono certe pellicole. Detto ciò, abbiamo una triade esplosiva: Hitchcock, Bergman e Peck. Ma. La sceneggiatura non è delle migliori, anzi. Pecca di eccessiva smielature tipiche anni 40/50 che, successivamente, il maestro ha saputo dosare magistralmente. Nel caso lo si guarda più per il talento interpretativo e per tante raffinatezze ovviamente aspettate. Che non deludono. Però si è fatto di meglio (sul meglio)!
Impreziosito dalla collaborazione col pittore Salvador Dalì, è un thriller avvincente a sfondo psichiatrico. Della materia se ne parla in maniera un po' troppo didascalica, ma il difetto non rovina la curiosità e l'interesse verso la vicenda, che si dipana pian piano sino al finale a sorpresa. Un po' lento in alcuni punti e un po' datato nella recitazione, è però un film cardine nella filmografia di Hitchcock, mostra le conoscenze psichiatriche del tempo e alcune caratteristiche che faranno parte del cinema di Sir Alfred negli anni successivi, compreso un tocco di humour. Buono.
Hitchcock si divertiva a indagare i misteri della mente umana, spesso servendosi di tocchi onirici che, con gusto surrealista, dessero forma all'inconscio dei suoi personaggi. Qui il maestro lo fa in maniera esplicita e sincera, addirittura con la collaborazione di Dalì. Il risultato è uno dei suoi film più sorprendenti, un dramma psicologico che negli ultimi minuti getta la maschera rivelandosi un giallo. Sebbene il romance appaia un po' forzato (la Bergman è troppo ciecamente fiduciosa dell'innocenza di Peck), la cura per i dettagli e la ricercatezza visiva lasciano a bocca aperta.
MEMORABILE: Le reazioni di Peck quando vede le righe parallele; Le tende con gli occhi; Il flashback risalente all'infanzia; La pistola che spara all'obiettivo.
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In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
Sir Alfred Hitchcock era deluso dai limiti delle espressioni facciali di Gregory Peck. A tal proposito, ha raccontato l'attore: "Non potevo riprodurre le espressioni facciali che il regista esigeva, non era una cose semplice, perché lui aveva già in mente come dovevano essere esattamente. Lavorava sull'aspetto esteriore mentre io (che ho studiato il metodo Stanislavskij) su quello interiore ".