L'ennesima storia legata all'Olocausto è ispirata da fatti reali e recenti che coinvolgono uno dei quadri più famosi al mondo. Filmata con una discreta mano, presenta qualche banalizzazione di troppo (i cattivi burocrati austriaci, l'idealismo della protagonista, la corte suprema) che posta sulla bilancia non è così dannosa. Da elogiare il grande lavoro svolto su fotografia e ricostruzioni d'epoca, le musiche (toh, c'è Zimmer) e le performance di un cast in cui ovviamente primeggia la Mirren e dove l'impiego di Bruhl appare "strategico".
Non si può dire che sia brutto o che sia fatto male e non si lasci seguire senza affanni (nonostante l'epilogo non sia certo una sorpresa). Ma siamo dinanzi al solito film americano piatto e senza guizzi tecnico-registici degni di nota
che nella prima parte presenta una sceneggiatura che, pur con i suoi manicheismi e le sue banalizzazioni, è capace di mantenersi sobria, evitando le scene ad effetto. Cosa che purtroppo non fa anche nella seconda in cui a volte eccede. Non male l'idea, ma non certo nuova, di intrecciare storia presente e passata. Bella la confezione ed ottima la Mirren.
Un tema interessante, quello della restituzione delle opere d'arte trafugate dal regime nazista, in un film che ha come punto di forza quello di combinare con efficacia l'evento passato alla storia moderna. Merito della buona ricostruzione ambientale e di un efficace montaggio. Il limite, specie nella parte contemporanea, è quello di una narrazione eccessivamente distaccata e impersonale. Tra gli attori, giganteggia la Mirren, grande signora della recitazione mentre la prova di Reynolds è alquanto incolore. Discreto.
Adele Bloch-Bauer era un'affascinante protagonista della belle epoque viennese. I suoi due ritratti sono tra i capolavori di Klimt. Uno è il protagonista di questo bel film, che parte da una storia di famiglia (la razzia dei beni della famiglia da parte dei nazisti) per affrontare temi più universali: la perdita, il rancore, il bisogno di oblio e l'importanza della memoria. Dominato da una splendida Helen Mirren, il film svaria abilmente tra registri diversi, con un tono di fondo sommesso e malinconico, aiutato dalla bella colonna sonora.
MEMORABILE: Il momento in cui Anna rivede dopo 50 anni il ritratto della zia Adele, conservato al Belvedere di Vienna.
Non ho capito se il focus fosse sulla pervicacia giuridica dell’erede che rivuole dal museo il quadro di Klimt appartenuto alla famiglia, oppure sulla necessità della memoria degli orrori nazisti e del loro risarcimento. Il film oscilla tra i due poli, puntando alla fine decisamente sulla simpatia dell’ostinata protagonista (ottima Mirren) e sulla politically correctness, facendo sorvolare sulle ambiguità e comunque puntando sul fatto che sia una storia vera. Lavoro molto professionale e ben curato, incapace però di coinvolgere e appassionare.
Sulla scia di Monuments men un film sulla Shoa e sul furto delle opere d'arte da parte del III Reich. Il taglio puramente di parte, mai imparziale, raffigura l'Austria e la sua burocrazia come una sorta di cattiva continuazione del nazismo. E francamente non mi sembra un gran bel vedere. Da un punto di vista tecnico la pellicola è senza infamia e senza lode. Girata come un compitino seppure con buone prove della Mirren e di Bruhl. Forse è arrivato il momento di voltare pagina.
Maria Altmann e la sofferta battaglia legale per recuperare un preziosissimo capolavoro che venne sottratto dai nazisti alla sua famiglia. Un Klimt che lei vendette poi a una celebre galleria per devolvere il ricavato in beneficienza. I ricordi, le ferite, i rimpianti e la nostalgia permeano l'atmosfera di questo film, dalla trama talmente sorprendente che si fatica a credere sia tratto da una storia vera. La Mirren sa essere struggente e ironica, buffa e determinata al contempo, tenace nel voler ottenere ciò che poi sa anche lasciar andare.
Storia molto interessante (il tentativo, da parte della protagonista, di recuperare un quadro d'immenso valore, rubato dai nazisti alla sua famiglia) tratta da un fatto realmente accaduto. Curtis dirige con buona mano e viene aiutato da un bel cast attoriale, in cui (ovviamente) la Mirren svetta su tutti. Il film è coinvolgente, e anche se si può immaginare facilmente quale sarà l'epilogo della vicenda, tiene ben desta l'attenzione degli spettatori. Sapiente l'alternare i fatti odierni con quelli del passato, che costringono la protagonista a scontrarsi con i suoi" fantasmi" personali.
Inutile sottolineare che il film merita di essere visionato soprattutto per l'interpretazione della Mirren, che disegna un personaggio cocciuto, pane al pane, ma anche fragile, perseguitato dal rimorso (il passato). Oltre a questo, la pellicola ha dalla sua il mostrare come gli austriaci abbiano fatto carte false (in tutti i sensi) per non perdere le opere d'arte rubate dai nazisti. Purtroppo le parti nel passato sembrano un po' troppo incollate; e la regia non va oltre il mestiere, senza guizzi. Nel complesso, comunque, non è male; e andrebbe visto soprattutto per saperne di più.
MEMORABILE: "Le persone dimenticano, soprattutto i giovani"; "Che donna complicata"; I ruoli si invertono (lei cede, lui no).
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Adele Bloch-Bauer è l'unica persona che Gustav Klimt abbia ritratto due volte, data la loro grande amicizia (qualcuno ritiene che i due fossero anche stati amanti).
Entrambi i dipinti sono ora negli Usa, uno (come si vede nel film) è stato acquistato da Ronald Lauder (erede della dinastia dei cosmetici) per il suo museo newyorkese dedicato alla Secessione Viennese e all'Espressionismo, la Neue Galerie.
L'altro appartiene a una collezione privata ed è esposto al MOMA grazie a un prestito.
DiscussionePiero68 • 13/01/17 11:04 Contratto a progetto - 245 interventi
Durante la visione del film non ho potuto fare a meno di fare un serio parallelismo.
Se una mattina, un qualsiasi discendente della Monna Lisa Gherardini, intentasse causa al Louvre per ottenere la resituzione della Gioconda, cosa succederebbe??
E non vale dire che le opere di Klimt furono rubate dai nazisti, perchè ancora oggi nessuno sa per certo come La Gioconda sia finita in Francia nel XVI Sec. Si dice che c'è l'abbia portata Leonardo stesso. Ma di fatto non esiste nessun documento storico che provi la sua vendita o la sua donazione alla famiglia reale di Francia.
La risposta è molto semplice, la discendente di Monna Lisa dovrebbe provare (come fece la nipote di Adele Bloch-Bauer) di avere un titolo giuridicamente valido per chiedere la restituzione, cosa sostanzialmente impossibile.
Peraltro, l'attribuzione di un'identità alla donna ritratta da Leonardo non è mai stata confermata e quella che citi tu è una delle tante ipotesi.
Invece a me è venuta un'altra riflessione.
La zia desiderava che il quadro andasse al museo di Vienna. Al di là del suo desiderio e del fatto che tecnicamente non era lei la proprietaria, i nazisti presero il quadro e lo misero in quel museo. L'erede del vero proprietario, proprio per amore della zia, fa valere le sue ragioni. E così ne rientra in possesso, dopodiché lo vende a una cifra elevatissima e il quadro finisce a New York... praticamente facendo quello che la zia non voleva!
Insomma, credo non sia mai stata approfondita l'ambiguità del comportamento dell'erede. Che è legittimo sì (visto che è l'erede), per certi versi doveroso (visto che si trattava di stabilire un principio rispetto ai furti nazisti), ma sicuramente contrario al desiderio della zia che dichiarava di amare così tanto (e che avrebbe potuto rispettare davvero rientrando in possesso del quadro, ma dandolo poi in comodato al museo perché rimanesse lì non più in base a una ruberia, ma per desiderio della donna ritratta e della sua erede).
Ma visto quello che è successo storicamente forse la zia sarebbe stata contenta di far togliere il dipinto da dove lo hanno collocato i nazisti, anche se era lo stesso luogo da lei indicato.
Von Leppe ebbe a dire: Ma visto quello che è successo storicamente forse la zia sarebbe stata contenta di far togliere il dipinto da dove lo hanno collocato i nazisti, anche se era lo stesso luogo da lei indicato.
Il punto è proprio questo forse sì o forse no. Ci sono quelli che dopo quel che è successo hanno deciso che l'Austria sarebbe stato sempre un paese orribile, da cui stare lontani, facendo cadere sui figli le colpe dei padri (come, appunto, l'erede), e ci sono altri che invece hanno pensato che il nazismo sia stato un momento nella storia di quel paese e che magari - tra le altre cose - proprio la memoria di certe cose tra cui la grande stagione artistica dello Jugendstil dovesse rimanere per mostrare agli austriaci stessi un'Austria migliore. Quindi, che ne sappiamo cosa avrebbe pensato la zia? Tutto quel che sappiamo è che lei avrebbe desiderato di vedere il suo ritratto dentro quel museo...
Per quel che spiega il film (che è accurato sotto questo punto di vista), giuridicamente la discussione è oziosa, perchè il testamento non era valido, dato che il proprietario del quadro era il marito, che lo lasciò con tutte le sue proprietà ai nipoti, una dei quali era Maria Altmann.
Sulla questione dell'ambiguità del comportamento di Maria Altmann, onestamente trasecolo.
Forse non è chiaro cosa abbia rappresentato l'Anschluss nella storia dell'ebraismo austriaco e della vita sociale austricaca in generale.
Non un episodio ma l'episodio.
Se Adele Bloch-Bauer avesse visto quello che era successo al suo paese, dubito fortemente che avrebbe voluto il suo ritratto al Belvedere.
Tarabas ebbe a dire: Sulla questione dell'ambiguità del comportamento di Maria Altmann, onestamente trasecolo.
Forse non è chiaro cosa abbia rappresentato l'Anschluss nella storia dell'ebraismo austriaco e della vita sociale austricaca in generale.
Non un episodio ma l'episodio.
Se Adele Bloch-Bauer avesse visto quello che era successo al suo paese, dubito fortemente che avrebbe voluto il suo ritratto al Belvedere.
Certo che è chiaro. Questo non toglie che, a distanza di ben 53 anni dalla fine della guerra (perché il film, che riprende la storia vera, inizia 53 anni dopo), si può anche pensare all'Austria come a un paese complesso e civile anziché come a un covo di nazisti da cui strappare un'opera d'arte trafugata. Ripeto: non critico la legittimità (che è ovvia) e neanche l'iniziale spinta di Maria Altmann (che è comprensibile e storicamente doverosa, come ho scritto in un mio commento precedente, proprio rispetto alla questione del nazismo), ma il pensiero che sta dietro all'ostinazione sull'operazione che, dopo 53 anni, significa solo punizione delle nuove generazioni (peraltro in perfetto stile biblico: le colpe dei padri ricadano sui figli) e non di punizione dei veri criminali.
E comunque si torna al solito punto "Se Adele... dubito che...": siamo alle ipotesi. Magari Adele avrebbe pensato che invece il quadro voleva lasciarlo proprio lì, a memoria di un periodo straordinario e a monito per gli austriaci di oggi, anziché farlo portare in America dalla nipote per essere venduto all'astronomica cifra di 135 milioni di dollari... Che ne sappiamo? Ogni ipotesi è valida, e a maggior ragione la nipote poteva accampare tutte le ragioni tranne il rispetto della (non) volontà della zia.