Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Grandioso cinema spettacolare, dalla messa in scena credibile nonostante le esagerazioni. Kevin Costner all'apice della fama è perfetto come eroe giusto, supportato da un cast di contorno da urlo, su tutti l'istrionico sceriffo di Rickman. La battaglia coi celti è un capolavoro per resa e regia, mentre i due attori principali si superano nel duello finale alla spada, coreografato alla perfezione. Dopo tanta azione, emoziona e commuove con sentimenti semplici come fratellanza, amicizia e amore. Durata extra, ma vola via che è un piacere. Evitare la versione estesa e ridoppiata.
Lo sguardo attento di Promio questa volta si posa sull'esercitazione dell'artiglieria che, dopo aver trascinato il cannone, lo mette in funzione con destrezza e precisione. Il regista riesce a immortalare alla perfezione un momento particolare in cui si può apprezzare l'abilità dei militari sia nel preparare il cannone sia nel metterlo in funzione. Pur sapendo quello che sarà il finale del corto, si rimane comunque con il fiato sospeso nell'attesa di vedere come sarà rappresentato lo sparo. Peccato che venga tagliata la bocca del cannone ma la cosa non incide più di tanto sulla resa.
Per salvare dai debiti una clinica, viene assunto per sbaglio un veterinario. Il punto forte dei fratelli Marx è l’umorismo surreale avanti decenni per l’epoca e qualche gioco di parole funziona ancora. La trama vive però di momenti isolati e anche i fratelli si dividono la scena equamente. Groucho regge il film e Harpo è limitato dal suo essere muto. I numeri musicali sono solo dei riempitivi e denotano uno sforzo produttivo. Finale all’ippodromo in stile comica e gran ritmo.
A giudicare dai film, quello del killer è uno dei mestieri più comuni che si possano intraprendere, anche se difficilmente si arriva alla pensione. Il regista ci ne mostra un gruppetto intento a fare terapia di gruppo: uno spunto bizzarro che si prestava a essere declinato in chiave comica, mentre qui si prova a fare sul serio imbastendo un meccanismo a scatole cinesi con un risultato imbarazzante: personaggi consistenti quanto la carta velina, dialoghi vuoti, tanto fumo e nessun arrosto. La presenza di Olman, invece di nobilitare il tutto, indispettisce per lo spreco di talento.
All'inizio sembra un film di formazione, su giovani che crescono (male) nei territori semi rurali della provincia americana. In famiglie sfasciate con i figli che cercano di percorrere la strada criminale dei padri, per entrare nelle loro grazie o solo perché quei luoghi non offrono molto di meglio. Poi arriva la seconda parte, che volge al dramma con toni cupi come raramente visti nei noir del periodo e anche in seguito. Foley firma una regia lucida e cattiva, con Walken campione di crudeltà e Sean Penn convincente nel ruolo del bello e dannato, anche se un po' tendente al melò.
Ormai assurto a cultone del genere "action senza troppi pensieri", l'esordio di West trova la sua ragione d'essere in una storia cosi esagerata che non si può non guardarla come si guarda un bambino che combina qualche marachella. Tutto è talmente oltre, già a partire dall'aereo cargo pieno di tutto il peggio dell'umanità, che alla fine ci si diverte pure. Cage vola in mezzo al fuoco, Malkovich è The Virus, Buscemi canta un gospel in ambiente post nucleare, la Strip diventa pista d'atterraggio e una spruzzata di guascona ironia guarnisce il tutto. Riguardabile all'infinito.
Acquisita ultimamente dagli americani di Liberty multimedia, la Formula 1 ha beneficiato nel nuovo continente di un rilancio d'immagine mai avuto in precedenza: fino a qualche tempo fa, infatti, era sempre stata considerata dagli statunitensi una specialità europea troppo diversa dalla loro concezione spettacolare delle corse. Introducendo un po' alla volta nuove regole per cercare di limare gli eccessivi dislivelli tra le vetture e studiando nuove vie per il marketing, i nuovi proprietari del brand sono riusciti a imporre definitivamente in tutto il mondo la F1 come la specialità...Leggi tutto regina delle corse, quella che esprime i migliori piloti guadagnandosi la ribalta che per molti meritava.
Il film di Joseph Kosinski innesta quindi una semplice storia di rivincita tipicamente americana all'interno di un mondo codificato da regole precise e dominato da piloti e manager ormai noti a chi si interessa di sport, che qui vediamo muoversi sullo sfondo di un mondo al quale, a dire il vero, un personaggio come il Sonny Haynes di Brad Pitt non si sposa troppo bene. Pilota ultracinquantenne (quando in realtà già superare i quaranta al volante è cosa da miracolati, da fenomeni vero come Alonso e pochissimi altri), un passato nella massima serie ai tempi di Senna e Schumacher, Hayes ritorna - a trent'anni dall'incidente che lo fece uscire bruscamente di scena - senza un briciolo di training, dimostrandosi subito in grado di competere con l'altro pilota della squadra disgraziatissima nella quale entra a far parte, la ApexGp gestita da Ruben Cervantes (Bardem). Il compagno di squadra, Joshua Pearce (Idris), è un rookie promettentissimo, ma non ha la personalità del vecchio Sonny, guascone dalla battuta pronta e con le idee ben chiare su cosa può e non può fare in gara. Il rapporto tra i due si rivela ad alta tensione fin da subito, ma già si capisce che alla fine dovranno fare comunella per il bene del team...
La sceneggiatura, che pure conta qualche bello scambio non privo di ironia che Pitt sa gestire al meglio, è però non solo troppo elementare e povera di spunti che sappiano evolvere dalle basi del più qualunquista dei film sportivi, ma anche poco credibile nella rappresentazione di un circo mediatico - quello della F1 - ritratto come semplice sfondo, privo di figure di spicco e con i protagonisti veri della specialità che sbucano qua e là come specchietto per le allodole, mute figurine che riempiono le scene di massa. L'ambiente autentico non si percepisce e anche i meccanismi con i quali la ApexGp scala posizioni in gara (a proposito, qualcuno ha detto agli autori che la F1 contempla anche le qualifiche?) è lontano dall'apparire credibile.
Certo, tutto si può sacrificare in nome dello spettacolo, ma anche sotto questo punto di vista non sempre le cose vanno per il meglio: le scene in pista, dall'interno dell'abitacolo o dall'alto, non hanno, per dire, lo stesso impatto straordinario che avevano in RUSH, film a questo nettamente superiore per coinvolgimento, studio dei veri meccanismi alla base delle gare, resa visiva... Colonna sonora di Hans Zimmer di grande efficacia invece, con l'apertura alla corsa di Daytona sulle note di "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin che mostrava sequenze di tutt'altra forza e prometteva davvero tanto. Invece spesso il film si sgonfia, le dinamiche tra i protagonisti sono povere, la figura dell'ingegnere e team manager interpretata dall'espressiva Kerry Condon viene dirottata in camera da letto a soddisfare il bel Brad, Bardem non ha proprio modo di brillare dando vita a un personaggio banale e scarico.
E' vero: la strategia delle gomme, dei pit stop, le safety car... tutto ciò che fa F1 è presente, ma sembra inserito a forza come semplice riassunto delle norme che regolano la massima serie automobilistica, utile quanto il fumo negli occhi. E poi come si può far credere che un pilota venga accusato dalla stampa per aver suggerito al proprio compagno di squadra una strategia corretta? Come si può credere che un pilota appena arrivato decida per tutti la pianificazione di ogni gara come se il suo box fosse popolato esclusivamente da incapaci? Troppe cose falsano la resa di corse che ricordano più quelle americane che non la F1; e quel che ne esce sembra rappresentare solo la visione semplicistica che può avere l'America della F1, ben incarnata da un Pitt che l'aria e l'atteggiamento da pilota autentico proprio non ce l'ha...
Poi d'accordo: l'adrenalina scorre, qualche scontro in pista e un sonoro roboante ti calano nell'abitacolo e il divertimento non manca, Pitt azzecca un personaggio indubbiamente simpatico e le scene extra GP non sono così invadenti, però i sorpassi sono deboli, le riprese in pista prive di vera tensione. Curioso, per gli appassionati italiani, ritrovare come commentatori delle gare Carlo Vanzini e Marc Gene, ovvero gli stessi che da anni sono le voci ufficiali della F1 su Sky. Peccato che, non potendo andare a braccio come in diretta, le loro telecronache suonino artefatte, poco autentiche (così come quando li vediamo inquadrati in postazione con le facce, ovviamente, di altri attori).
Diamo pur atto a Boyle di aver cercato di innovare la formula spostando l'azione più avanti delle solite insignificanti porzioni di tempo precedenti legate al numero 28. Rinchiude i suoi infetti (leggasi zombi, che tanto cambia poco o niente e a un certo punto c'è chi finisce con il chiamarli così pure nel film) sul suolo britannico e la colonia di non contaminati su di un'isola raggiungibile solo con la bassa marea attraverso un percorso rettilineo che, quando il livello dell'acqua sale, scompare.
Uomini di vedetta all'unico portone di accesso, cicliche...Leggi tutto spedizioni sulla Terraferma - popolata di infetti – alla caccia di cibo e altro. Il giovanissimo Spike (Williams) segue il padre in una di queste: sanno che se succede loro qualcosa nessuno verrà mai a recuperarli, ma è una sorta di iniziazione per chi già da minorenne deve cominciare a capire in che mondo vive. Un'avventura tra boschi e campi dove qua e là spuntano gli orrendi esseri. Alcuni avanzano lentamente e li centri facile in testa o sul collo con le frecce (unica arma rimasta a disposizione di un popolo che sta lentamente regredendo verso la barbarie), altri corrono e strepitano e c'è poco da scherzare. Per non parlare degli Alpha, i più evoluti (un discreto grado di intelligenza), ovviamente i più pericolosi.
In casa la madre Isla (Comer) sta male, ma non esistendo alcun medico sull'isola nessuno sa di cosa soffra e suo marito Jamie (Taylor-Johnson), alla festa del paese, se la spassa con un'altra mentre Spike lo spia di lontano. Al piccolo è sufficiente questo per capire che deve prendere sua madre e partire con lei di soppiatto verso la Terraferma alla ricerca del dr. Kelson (Fiennes), uno strano tizio che si dice viva non troppo distante e che, da ex medico di base, potrebbe forse guarire la donna. E qui l'avventura si fa più complessa: mamma non è certo brillante come papà e le insidie si moltiplicano.
Immerso nella natura, nel verde delle coste scozzesi, il sequel firmato Boyle (che torna dopo il numero uno, e sempre con Alex Garland allo script) lavora molto sul make-up degli infetti (nudi, disgustosi, irritanti in quella specie di grugnito urlato, rossi come fuoco nelle riprese notturne) e sull'impatto splatter delle frecce sui loro corpi (con fermo immagine piuttosto inutile), ma poi si dedica al racconto della crescita psicologica del vero protagonista, Spike. Inizialmente timido, confuso, acquisisce pratica e confidenza con gli orrori che lo circondano. Il viaggio iniziatico in un mondo divorato dall'erba che si mangia i pochi resti di civiltà (treni avvolti dalle foglie, case ridotte a ruderi) riporta alla mente LA FUGA DI LOGAN (e non solo), ma qui la presenza degli infetti è un'insidia costante, per quanto lodevolmente Boyle eviti di lasciarsi andare a prevedibili jumpscares.
Gli orrori non mancano, la tecnica resta buona, ma i protagonisti – pur ben interpretati – sono poco interessanti (compreso Fiennes, protagonista della fase più debole e stanca, nonostante la bella idea di un rifugio “non convenzionalmente” allestito) e non elevano a dovere il film, già penalizzato da una parte centrale in cui non succede quasi nulla: il soldatino svedese con tanto di mitragliatore e telefonino si presenta da subito come figura anonima tratteggiata svogliatamente, seguendo cliché abusati. Si assiste pure a un lungo parto di un'infetta per far capire quanto nei sopravvissuti non possano mancare l'umanità né la scintilla amorevole perché... “memento amoris” (“Ricordati di amare”), come dice Kelson dopo aver fatto a Spike una testa così citando il più celebre "memento mori" (“Ricordati che devi morire”). Lezioni di vita che lasciano il tempo che trovano, così come tutta l'ultima parte, che precede una toreada finale piazzata lì come atto dovuto nei confronti di chi qualche bella lotta selvaggia in più se l'aspettava...
Pause che in una durata che sfiora due ore si sentono, incipit con Teletubbies già troppo lungo. Poi certo, qualche scena che lascia il segno non manca (l'attacco dei Lentopasso), l'ambientazione è relativamente insolita, l'Alpha che osserva di lontano in campo lungo acquista tratti quasi poetici... Ma in mezzo troppe fasi di nulla, e quanto a inventiva splatter non ci si è certo sprecati.
Ancora qualcosa che turba l'ambiente familiare e che parte dal tradimento di lui. Di Kent (Wells), per la precisione, agente immobiliare il quale, durante una serata fuori per lavoro, si lascia troppo andare finendo a letto con una collega, a sua volta sposata e senza alcuna intenzione di dire nulla al marito. Tutti d'accordo, quindi: entrambi amano i rispettivi partner e non hanno alcun interesse a far sapere della scappatella. Ci pensa qualcun altro, però, che spedisce alla donna un sms proprio mentre quella sta faticosamente cercando di giustificare al marito Brad (Gibson) il...Leggi tutto fatto di non aver risposto alle sue chiamate la sera prima. Irritato, lui le prende di mano il telefonino e, leggendo di qualcuno che le fa i complimenti per la bella nottata insieme (???), la fissa negli occhi. Lei, sentendosi perduta, arretra di quel poco che le basta per precipitare rovinosamente giù dalle scale dell'appartamento, lasciandoci le penne.
Dall'altra parte Kent, che riceve un sms analogo, non ha difficoltà a proteggere la propria privacy: finge sia un messaggio di lavoro. Sua moglie Sarah (Cleveland), tuttavia, è scocciata: "Devi smetterla di trascurare la famiglia per il lavoro!". Lo ripete pure la loro figlia, Lucy (Blott), stanca di vedere i genitori litigare. La morte della collega è però intanto, per Kent, una mazzata; tanto più quando scopre che qualcuno sta diffondendo una foto con lui e la defunta in tenero atteggiamento, passandola pure alla moglie tradita. Lo squallido elemento è Miguel (Cardozo), rivale di Kent nella stessa azienda, che punta a soffiargli il posto e lo fa senza lesinare colpi bassi.
Intanto si rifà vivo Brad, che scoperto chi fosse l'uomo con cui la moglie lo tradiva, va a trovarne la consorte, Sarah, con l'idea evidente di realizzare in qualche modo una sorta di vendetta. O lo fa solo per provarci con la donna, nel frattempo separatasi da Kent? Incanalato nella risoluzione di questi dubbi prosegue il film, che può quindi spaziare in più ambiti per costruire una storia sufficientemente intrigante, che offre ai protagonisti ruoli piuttosto sfaccettati. La migliore sul campo è decisamente Sarah Cleveland nel ruolo di moglie e madre, indecisa se perdonare Kent o se aprire una nuova relazione con Brad (che ovviamente non sa essere il marito della defunta e occasionale amante di Kent).
Nel mezzo Lucy, che punterebbe solo a una riconciliazione tra mamma e papà e non fa che esternare la propria delusione nei loro confronti a ogni piè sospinto. Ma la recitazione, né sua né quella dei due uomini, è granché, per quanto entrambi questi ultimi sappiano apparire discretamente convincenti nella parte. Un appuntamento qui, una ricerca su internet lì (quella non manca mai, in casi simili) e in aggiunta la comparsa del detective della polizia (Catherwood), che pare un Bruce Willis in vacanza, con camicia stretta sul ventre non proprio piatto eppure brillante. Insomma, al di là di una regia non vivacissima, il film è scritto con professionalità e il suo dovere lo fa, garantendo quel minimo di intrattenimento che un film televisivo di questo genere richiede. Tensione scarsa, intreccio telefonato, ma non c'era certo l'ambizione di farne un giallo. Si può vedere.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA