Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Un amico immaginario. Un pupazzo posseduto? Mai sentito niente del genere in un horror... A parte il plagio, è proprio il ritmo a mancare, in questa pellicola sfilacciata, confusa, in cui tutto è come sembra e come ci si aspetta anche senza essere degli estimatori dei film "de paura". Parlare di recitazione, regia, musiche, fotografia è del tutto inutile: mai un brivido, mai una palpebra sollevata dalla sorpresa. Niente da salvare, qui. Da guardare se non si riesce a prendere sonno: dopo poche scene si sviene dalla noia.
Il primo episodio è una delle pagine più limpide di tutto il cinema morettiano, un sentito omaggio a Roma e al vuoto sistemico generato dalla morte di Pasolini. Negli episodi successivi, il tono si fa scopertamente caustico, la metafora tautologica e il narcisismo esonda togliendo incisività (e attualità) al rilievo di una generazione in preda al dissesto morale. Alcune stoccate vanno a segno (i bambini che monopolizzano i genitori) altre cadono impietosamente nel vuoto (la tirata su Beautiful sulle pendici di Stromboli). Condivisibile l’invito a ritrovare un’assennata sobrietà.
Il film segue la vita sentimentale di una coppia alle prese con la malattia di lei... Quel che di solito "frega" lo spettatore è il fatto che purtroppo storie simili esistono davvero, quindi è impossibile non essere colpiti dalle sofferenze di due persone che si amano così. Il finale è scontato (in questo caso non possiamo parlare di un vero e proprio colpo di scena), ma la pellicola merita almeno una visione non foss'altro per la bravura degli interpreti principali. Il ritmo scorre velocemente e ci pervade un senso di amarezza (pur immaginando dove si voglia andare a parare) resta.
Il giovane borghese Antoine conosce per caso la graziosa Aline: per lei entrerà in una comune hippie. Commedia inconsistente che si trascina garbatamente quanto noiosamente senza andare da nessuna parte. La cronaca della vita del gruppo, in cui si celano ipocrisie e opportunismi, si compone di scenette senza sugo e alquanto scollate le une dalle altre. I caratteri, poi, non vengono mai approfonditi, ma solo sfruttati per qualche debole calembour. A parte un paio di pellacce come Bohringer e Preboist il cast è fiacco e scolorito.
Dalle pagine di Cristina Cassar Scalia una vicenda concentrata tra Catania e Palermo, tra un presente di "ammazzatine" e un passato nerissimo legato alle malefatte di Cosa Nostra. Giusy Buscemi è bellissima e al suo ruolo conferisce brio ed empatia, sempre in linea con il suo carattere esplosivo. Le riprese della città dell'Elefante sono suggestive e in alcuni frangenti si respirano forti afflati di lirismo. Spesso, però, il côté rosa prevarica su quello investigativo e il ritmo ne patisce le conseguenze. Bravo Castrogiovanni nella parte di vice leale di Vanina, sensuale la Roncione.
Di film su ambiti artistici e influenze diaboliche son piene le fosse, partendo da padri nobili fino al recentissimo The Piper, di cui questo sembra uno stretto parente con risvolti narrativi simili, burbero istruttore compreso. Tutto già visto, con qualche ridicolaggine (il grimorio satanico disegnato su un quadernetto a righe), ma anche qualche buon risvolto visionario (l'occhio di fuoco). La Sweeney in versione dimessa da nerd repressa mantiene un suo carisma e una certa carica erotica. Tutto sommato vedibile e confezionato correttamente ma senza particolari motivi di interesse.
Piacevole racconto di vita che usa il calcio come pretesto per inquadrare il personaggio di una madre che sogna per il figlio un futuro da calciatore vedendo in lui le potenzialità (il mancino naturale fa riferimento al tiro del ragazzino) per portarlo a giocare ad alti livelli. Ma è solo l'amore cieco di una madre che dopo aver perso il marito si ritrova a riporre tutte le sue speranze nel figlio o davvero il piccolo Paolo (Perinelli) ha le qualità che la donna nota in lui? Isabella (Gerini) segue il piccolo con foga dietro la rete che delimita il campo, si lancia in commenti...Leggi tutto accesi irritando gli altri genitori seduti sulla tribuna e, non appena Paolo segna, esulta senza freni. Lavora come rappresentante dolciaria, un lavoro che non ama e che la troppa attenzione dedicata al figlio non le permette di svolgere con la dovuta attenzione.
D'altra parte Marcello Dapporto (Ranieri), una specie di procuratore con l'aria del losco traffichino, le ha promesso di far partecipare Paolo al provino per una squadra di serie A, se recupererà tremila euro. Ma la cifra non è indifferente, per Isabella, e intanto Paolo a scuola va male, è diventato un asociale, pensa solo agli allenamenti e la vita pare andare un po' storta per entrambi. Fino a quando, come vicino di casa, arriva Fabrizio (Colella), sceneggiatore televisivo senza grandi prospettive che prova a relazionarsi in qualche modo con la bizzosa Isabella, cresciuta pensando solo al denaro e al suo Paolo. Una situazione che pare stagnante ma che invece la ricerca dei tremila euro stravolge, facendoci conoscere ancor meglio la protagonista, la quale, per rintracciare il denaro necessario per il provino, non si ferma di fronte a nulla. Per questo ricontatta i suoceri di Vicenza (Bressanello e Ricciarelli), con cui non corre buon sangue. Ma se il padre del marito è uomo di buon cuore, che non pensa mai troppo al passato, di altra pasta è la madre, che con tutta evidenza non l'aveva mai considerata la moglie giusta per suo figlio.
Claudia Gerini si prende tutto lo spazio per sé e mostra la faccia della donna decisa, risoluta, tormentata ma con le idee ben chiare, senza fortunatamente mai scadere nella macchietta. E questo è merito soprattutto di una sceneggiatura calibrata che la regia di Salvatore Allocca mantiene nei ranghi del ritratto simil neorealista moderno, cedendo ogni tanto nel mostrare la sfacciataggine di Isabella ma trovando nella Gerini l'interprete ideale a rappresentare la madre (di Latina) che deborda com'era giusto fare per donare veracità al personaggio.
Meno riuscite le parentesi dedicate al bambino e alla sua amichetta di classe, l'insistere troppo sul mutismo del piccolo che invece già meglio funziona quando interagisce con il vicino di casa, ben interpretato da un Colella sufficientemente disilluso nei confronti del suo lavoro eppure ancora in grado di idealizzare l'amore. Il rapporto tra lui e Isabella riserva forse le cose migliori di un film non certo perfetto ma in fondo piacevole, dai tratti commoventi (nel finale) e non privo di qualche spunto ironico che non guasta. Riuscita anche la pur scontata figura del procuratore, che Ranieri dipinge con anima napoletana da “chiagni e fotti”.
Se nei suoi noir Kitano mescolava con sapienza la ferocia a quella comicità che gli è sempre appartenuta, qui scinde nettamente le sue due anime, mostrando come lo stesso tipo di storia possa risultare completamente diversa a seconda dell'approccio scelto. Il primo approccio è quello più tradizionale, nel quale seguiamo le avventure di uno cupo tizio detto "il Topo" (Kitano), un sicario come tanti. Si fa consegnare al bar le buste (rigorosamente firmate "M.") con le istruzioni per la missione da svolgere, va a casa, apprende le due o tre cose...Leggi tutto da sapere sull'obiettivo da eliminare e parte in missione. La sua prima vittima è un giovane delinquente, avvicinato in discoteca mentre è seduto con i suoi amici. Una strage, dalla quale l'uomo poi si allontana senza alcun problema scomparendo nel nulla, pronto a ripetere la stessa cosa poco dopo: puntata al bar, busta, istruzioni e via dicendo. Un tran tran interrotto solo dalla polizia, che finisce col beccarlo e lo convince ad arruolarsi come agente sotto copertura per sgominare una banda di narcotrafficanti.
Un plot tradizionalissimo, composto da elementari stereotipi, l'ideale per essere parodiato nella seconda parte del film, quella che in fondo è la più “vera”, quella che cioè gli dà un senso giustificando l'ovvietà della microstoria narrata fin lì. "Spin off", quindi (come dichiara una didascalia), e si stravolge tutto: il nostro sicario (sempre interpretato da "Beat" Takeshi, naturalmente) fa le stesse cose della sua controparte seriosa ma ottenendo risultati opposti. Entra nel bar e crolla sulla sedia rotta, sbatte dappertutto, dà per errore fuoco alla casa in un crescendo di episodi fantozziani che fanno sorridere ma senza che mai si riesca ad apprezzare la gag geniale in grado di dare, alla rilettura in chiave comica degli stessi eventi, la dignità che meriterebbe. Perché a volte certe battute sono raggelanti (magari anche perché poco alla portata di noi occidentali), perlopiù incomprensibili, e viste con gli occhi di chi è abituato a ben altro potrebbero portare a domandarsi se Kitano ci fa o ci è.
Come spiegare il fatto che il protagonista ogni tanto s'infili una maschera da lottatore, ad esempio, senza motivo alcuno? E certi scatti verso il demenziale puro (l'apparizione di una maschera da topo quando qualcuno lo chiama il Topo) possono lasciare interdetto più d'uno, così come la scena dell'ottico che fa leggere la tabella con le lettere al suo paziente prima d'impazzire completamente. Senza contare che alcune gag, come quella (vetusta) del ragazzino nello zaino che legge la lettera consegnata al protagonista, se solo avesse avuto il coraggio di farla qualcuno con meno "titoli" di Kitano sarebbe stato dileggiato...
Insomma, sembra quasi che il nostro si sia lasciato andare liberando tutta la sua vis comica senza arretrare di fronte a qualche passo falso di troppo, azzeccando comunque molti passaggi e riuscendo a non tradire uno stile consolidatosi negli anni, che lo porta a gestire in modo intelligente le pause e i silenzi. Che siamo di fronte a poco più che uno scherzo lo confermano comunque i messaggi stile telefonino che passano su schermo nero d'improvviso, qua e là, commentando quanto appena visto... E la durata di poco superiore all'ora lo conferma. Da non prendere sul serio, insomma.
Il cliché più comune, nelle trame di questi gialli televisivi di scarse ambizioni, è quello della donna che si fa rivedere dopo anni per subentrare alla nuova moglie dell'uomo che ha sempre segretamente amato: Claire Mathers (Cannon), reduce da un prologo in cui l'abbiamo vista sfuggire incinta a un uomo nel bosco, fa esattamente quanto detto: dopo aver letto su internet che la sua vecchia fiamma del liceo, Bill O'Donnell (Boyd), ha sposato Rachel (Yennie), una loro compagna di classe con la quale al tempo lui nemmeno filava, e che i due daranno una festa per i...Leggi tutto 15 anni passati da quei gloriosi tempi, decide di unirsi al gruppo. La coppia sta disperatamente cercando di avere un figlio senza riuscirci mentre lei è incinta agli ultimi mesi, e quando si rivedono al party è un attimo stabilire un bel rapporto di complicità.
Claire appare gentile, comprensiva, dice a Rachel che alla fine riusciranno nel loro intento ma poi capiamo chiaramente quali siano i suoi piani: non avendo alcun uomo che possa aiutarla a far crescer il figlio e rivedendo in Bill il sogno della sua vita, ha deciso che il modo per prendersi tutto esiste. Dovrà solo fare in modo di seminare zizzania tra Bill e Rachel cercando di spingere lui verso di sé. Come? Sfruttando il bambino che dovrà nascere: loro non possono averne, lei ce l'ha ma le manca chi faccia da padre al bimbo...
Prima mossa: farsi riaccompagnare a casa dopo la festa e, una volta nel motel dove alloggia, fingere di aver preso un colpo in testa da qualcuno e farsi ricoverare. Detto fatto: Bill e Rachel, preoccupati da quanto accadutole, le dicono che è meglio non tornare al motel e che può intanto sistemarsi provvisoriamente da loro. A quel punto si aprono i giochi: ogni circostanza sarà buona per mettere in cattiva luce Rachel e consolare nel frattempo Bill.
Intorno al piano diabolico di Claire ruota un film che non ha nulla di "giallo", nulla da indovinare se non i sistemi che dovrà escogitare l'intrusa per arrivare progressivamente a mettere in pratica il proprio losco disegno. La faccia di Ella Cannon si rivela ideale, per il ruolo: dai lineamenti dolci, all'apparenza fragile e indifesa, muta di frequente atteggiamento per trasformarsi quasi in un mister Hyde in gonnella, pronta a sfruttare ogni tipo di attrito nella coppia (apparentemente solidissima). Il divertimento, o quanto meno ciò che dà il sale al film, sta nell'ambiguo approccio di Claire, difficile da inquadrare nella giusta ottica, per chi non la conosce bene.
Qualche personaggio secondario che bene si innesta nella vicenda, come quello della madre (Robin) di Bill o dell'amica del cuore (Butler) di Rachel, aiuta a movimentare un po' una costruzione altrimenti troppo elementare. Le due donne però recitano con la necessaria convinzione e la regia di Jeff Hare sa essere svelta senza cadere nella trappola delle divagazioni o dei rallentamenti. Di conseguenza, se anche dire che il film non ha nessun tipo di idea nuova significa semplicemente constatare un dato di fatto, sarebbe scorretto non aggiungere che lo si guarda piuttosto volentieri e che nella sua semplicità fornisce quello che un blando thriller da divano dovrebbe sempre offrire. Tensione scarsa, naturalmente, ma una situazione familiare che va progressivamente peggiorando e un delitto compiuto con uno scopo ben preciso. La sceneggiatura è sufficientemente professionale da garantire la godibilità relativa del tutto.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA