È il primo vero gradino dell’irresistibile ascesa di Roberto Benigni a Imperatore d’incassi. Dopo il timido TU MI TURBI e lo strepitoso ma relativamente sottovalutato NON CI RESTA CHE PIANGERE, è con IL PICCOLO DIAVOLO che il pubblico s'innamora definitivamente di questo folletto squinternato; il film si trasforma in fenomeno di costume, col nome Giuditta a riecheggiare un po' ovunque e la sfilata in chiesa citata innumerevoli volte. Troppa grazia! Anche perché il film vale poco: la regia di Benigni è tremenda, le pause si sprecano e in mezzo a qualche discreta idea c'è...Leggi tutto tanta fuffa, con tre o quattro sketch eccellenti (al ristorante e subito fuori, in treno e al casinò) a confermare l'incapacità di dare omogeneità all’insieme. Il cinema di Benigni (fino a LA VITA E’ BELLA) sarà sempre così: flash geniali ed esilaranti mal assemblati in un contesto mediocre, destinato fortunatamente negli anni ad affinarsi poco a poco. Qui ad esempio Walter Matthau, attore le cui doti comiche sono indiscutibili, scompare in un personaggio (Padre Maurizio) che funge da sbiadita spalla all’incontenibile esuberanza del Benigni mattatore. Pare un guitto in pensione, demotivato o comunque avvilito da una sceneggiatura (firmata da Benigni e Vincenzo Cerami) incapace di regalargli spunti brillanti. Funziona quando fa le sue espressioni classiche, impassibilmente attonite, ma per il resto si confonde nella modestia generale. Tanto che quando, nella seconda parte, viene in pratica sostituito dall'immancabile Nicoletta Braschi, non lo si rimpiange troppo (ed è tutto dire!). In ogni caso onore al simpatico toscano, che regredendo di fatto (la sua “identità diabolica” è pretestuosa) alla fase infantile a lui congeniale, confeziona un film privo di volgarità e davvero “per tutti”.
Uno di quei film da vedere, pur con tutti i limiti della regia, per godersi il Benigni attore in azione. Funziona sulle gag: i campanelli (bellissimo quando ripete il tormentone con tono triste, davanti all'unico suonato per sbaglio), la sfilata, il treno. Gli altri personaggi restano sotto la sua ombra e in un momento, in una singola battuta durante un dialogo con lei, mi ha ricordato Troisi.
Mah! Personaggi che non si capisce bene dove vadano (Mattahu e la Sandrelli) fanno quasi pensare che la versione statunitense sia diversa. Alcune scene esilaranti fanno dimenticare momenti di imbarazzante piattume, ma si finisce il film chiedendosi, al di là dei momenti comicamenti perfetti, cosa diavolo c'era nel film. Scatenato Benigni, incredibilmente impalpabile Matthau, misurato-composto-gran (mon)signore il venerabile Franco Fabrizi.
Film il cui peso è tutto sulle spalle di Benigni, qui veramente scatenato ed irresistibile. Fu proprio grazie a questo film che l'attore cominciò a sfornare periodicamente pellicole campioni d'incassi della stagione. La storia è piuttosto scialba e la presenza di Matthau poco incisiva. Da vedere solo per le scene esilaranti di Benigni.
È inferiore a Johnny Stecchino, ma è più film rispetto a Il Mostro, anche se meno divertente. Le situazioni esilaranti, tra cui la cena e la sfilata modello Giuditta, non sono infatti molte e la forza della pellicola ne risente. Matthau sembra un nome di lusso infilato nel cast quasi per caso (anzi, per cassetta) e si limita a qualche espressione delle sue.
Un bel giorno bisognerà trascinare in Tribunale chi ha consentito che il primo bischero si mettesse dietro la macchina da presa. O è solo la presunzione e la sottovalutazione italica delle competenze tecniche (una specie di raffaelemorellismo cinematografico, per cui non importa se non sai cos'è una lente, basta averlo dentro)?
Sta di fatto che Benigni è un guitto a tratti coinvolgente quando recita, ma il film è slabbrato e slegatissimo. Almeno però, qualche volta, qui si ride. A Matthau, ovvio, basta un'espressione, senza tutto quell'agitarsi.
Un Benigni scatenato, come attore (molto meno come regista), affiancato da uno spento Walter Matthau, non basta a dare il giusto ritmo alla pellicola. Ci sono momenti divertenti sparsi qua e là, ma il giudizio complessivo non può essere di pieno gradimento. Comunque si intravvede che il comico toscano incomincia a farsi le ossa dietro la macchina da presa. Non malissimo.
Film che rende popolarità all'intelligente Benigni. Non a caso è firmato in sceneggiatura da Giuseppe Bertolucci ed è avvalorato dalla presenza d'un attore del calibro di Walter Matthau, suo malgrado passato -in virtù dello script- dal ruolo di spalla a quello di primo interprete. Il chiosatore toscano è esilarante (a volte ripetitivo, come dimostra il tormentone -divenuto di pubblico dominio- "Scusi, per la stazione? "), ma non è dotato del carisma necessario al ruolo: ne consegue che porta al cinema un'icona nata in TV. Scomposto.
Benigni (diavoletto) e Matthau (prete) duettano bene, soprattutto nella prima metà, quando il piccolo diavolo, espulso tramite un esorcismo, si scatena, curioso di scoprire il mondo e quello che contiene. Poi però, le gag iniziano a perdere di mordente e la presenza della Braschi non aiuta di certo (riesce quasi sempre a tirare fuori il peggio di Benigni attore, che finisce per trasformarsi in stucchevole macchietta). Nel complesso, comunque, non è male (e poi, c'è pur sempre Matthau, mica il primo attorucolo che passava di lì).
Film dallo straordinario successo commerciale, che vive sopratutto dei duetti tra i due ottimi protagonisti, lo stesso regista Benigni e il grande Walter Matthau, perfettamente a suo agio nei panni del prete esorcista. È proprio la recitazione dei due la parte migliore del film, la cui sceneggiatura si dimostra un po' debole e a tratti irrisolta, così come la regia, che sembra poco sicura.
Prima parte con le marachelle di Benigni trascinante, ma la seconda fa sbadigliare... Matthau e la Sandrelli quasi non si notano, a maggior ragione quando arriva la Braschi e si pappa la scena fastidiosamente. Da vedere al massimo due volte per ricordare i tormentoni (la sfilata, il citofono, la pipì) e poi basta, altrimenti ci si stufa.
Esorcista caccia da un corpo un diavolaccio, ma questi decide di rimanersene sulla terra. Storia arguta che dà spago a infinite gag del diavolo-Benigni, naif e pasticcione, con il prete-Matthau. Come sempre in Benigni (straordinario comico e mediocre regista), la qualità filmica (fotografica, narrativa, direttiva, ecc) è scarsa e si salvano solo i singoli sketch. Anche in questo caso noia e risate si alternano. La sfilata in chiesa (“il modello Giuditta”) è una delle scene più follemente deliranti.
Un Benigni in gran forma tiene alte le sorti di questa altrimenti dimenticabile pellicola. Si apprezzano più i vari tormentoni che la storia in sé e per sé. Spiace vedere un Matthau, bolso e noioso, che galleggia nella pellicola al fianco di una Sandrelli di cui non si nota, quasi, la presenza. Si nota, eccome, la Braschi che non risulta antipatica, ma nemmeno si può dire si muova a suo agio. Godibile rivedibile, comunque.
Male, male! E qui Benigni diventa l'insopportabile buonista che oggi tutti celebrano (tranne chi lo conosceva bene prima). Cinematograficamente è mal sceneggiato e ripreso pedestremente; Benigni è di un'invadenza fastidiosa e credo sia l'unico film dove il mio amato Matthau non convince: sembra perennemente ubriaco. A quando una ridimensionata al pluriomaggiato e venerato comico toscano?
Diavoletto innocuo e curioso del mondo di qua fa "amicizia" con un prete in crisi. Strana coppia, verrebbe da dire, considerato che il prete è Matthau. Canovaccio appena abbozzato, che serve solo a far scatenare Benigni che, dirigendosi, va allo sbaraglio sia davanti che dietro la macchina da presa. La Sandrelli fa una comparsata, Matthau si aggira per le scene perplesso, la Braschi mi risulta insopportabile. Se ne possono tirare fuori 20 minuti esilaranti, il resto è un pasticcio.
Ad un Benigni in stato di grazia si affianca una spalla di lusso come Walter Matthau, ed il risultato è quasi scontato. Il semplice soggetto del piccolo Diavolo è quasi un pretesto, un semplice canovaccio con cui Benigni da il là alla sua straripante, sguaiata performance. La regia come al solito non c'è, ci si accontenta di filmare l'incontenibile comico toscano nelle sue gag e questo è un peccato. Non ci sono regia, trama, intreccio ecc... c'è solo Benigni, ma qui può anche bastare.
Visivamente sciatto, perché il Benigni regista non è mai stato all'altezza del compito: un buon mestierante avrebbe calibrato meglio inquadrature e ritmo. Assolutamente esilarante, perché malgrado la sceneggiatura un po' carente il Benigni comico qui è forse al suo zenith: il film è un fuoco di fila continuo di sketch, di battute, di facce (comprese quelle impagabili del sacrificato Matthau). Non c'è molto, a parte l'energia del mattatore: ma è talmente straripante che basta quella.
Film sgangherato, apprezzabile a piccoli pezzi, in quanto inanella sul filo di una sceneggiatura debole alcuni numeri divertenti nella prima parte (quasi tutti fondati sugli equivoci verbali), per poi spegnersi nella seconda. Benigni mattatore assoluto, Matthau ci mette poco (anche se quel poco è la sua impagabile faccia di gomma), la Sandrelli è di passaggio, John Lurie fa una comparsata amichevole, la Braschi ha il solito effetto rimbecillente sul consorte facendolo diventare, da diavoletto curioso e monello, un povero diavolo innamorato.
Film di Benigni dagli esiti piuttosto discontinui: a tratti si ride, ma alcune parti non sono divertenti nonostante ad affiancare il comico toscano ci sia una “spalla” di prima grandezza come Mathau. La colpa è probabilmente di una sceneggiatura poco scoppiettante che non riesce a tenere alto il ritmo della pellicola. La Braschi, al solito, è insopportabile per la sua incapacità di recitare.
Davvero mediocre. Conferma che Benigni ha bisogno di una grande spalla per funzionare anche se questa poi finisce per rubargli la scena (Non ci resta che piangere). Se all'inizio qualche duetto tra il comico toscano e il grande Matthau funziona, alla lunga si ha una sensazione di ripetitività che nuoce ai tempi comici. Disastrosa Nicoletta Braschi. Pasticciato, sciatto, senza capo né coda e carico di un buonismo finto come il suo protagonista. Bocciato.
Ma possibile che un diavolo che approda tra gli uomini non sappia combinarne di più e di meglio di un bambino birichino? Perché questo è il maggior limite del film, l'aver depurato il personaggio del diavoletto di ogni cattiveria che non sia involontaria, lasciandogli solo un'infantile, inconsapevole irriverenza... Comunque, nella prima parte, si ride, perché il meccanismo comico dello "spaesamento del diverso" funziona sempre. Poi, quando appare la Braschi e satanicchio si innamora, si va al peggio. Versione parrocchiale de "Il Maestro e Margherita", e purtroppo Margherita è la Braschi...
Il pregio più grande di Benigni come comico è quello di inventare sempre una storia originale su cui imbastire gag a profusione. Anche questo piccolo diavolo è un gioiello: la coppia formata da lui e Matthau è divertente perché bizzarra e ben assortita. Benigni esagitato, il grande attore americano si esprime benissimo spesso solo con l'aiuto delle espressioni. Buona la colonna sonora, la partecipazione della Sandrelli e tutta la prima parte, nella seconda cala leggermente. Comunque imperdibile.
Un Benigni rodato ma ancora non in stato di grazia (successiva), realizza questa ironica pellicola che vede coprotagonista il grande Matthau nel ruolo di un carente prete esorcista. Trama risibile, ma le svampite uscite del toscanaccio lasciano, comunque, il segno, tendendo ad un'ironia cinica ma efficace.
Un Benigni scatenato come attore ma un po' meno come regista, in questa divertente e irriverente commedia. Le trovate non mancano e alcune gag restano memorabili, come il famoso "Modello Giuditta" entrato nel linguaggio comune. Bene Matthau, un po' sottotono la Sandrelli, spiritosa la Braschi.
MEMORABILE: La pipì di Benigni e il Modello Giuditta.
Spensierato divertissement comico dallo spunto straordinario (letteralmente il diavolo e l’acqua santa in chiave spiritosa e goliardica!), ottimamente sviluppato nella prima parte briosa e straniante allo stesso tempo; merito anche di una regia ispirata in grado di esaltare le doti recitative – speculari - di due mattatori assoluti come Benigni e Walter “faccia di pongo” Matthau; meno nella seconda, nel quale il soggetto mostra la corda incanalando un racconto fin là spassosissimo in una superflua storiella d’amore. Poteva essere di più. Buono.
MEMORABILE: “Maurizioooo!”; “Per la stazioneee!”; Al ristorante.
Un film discreto ma sicuramente non tra i migliori di Benigni. Il nostro si dimostra subito scatenato e i suoi duetti con il pacatissimo Matthau reggono bene. Poi, nella seconda metà, il film parte per la tangente e con l'entrata in scena della Braschi il film sembra diventare una commedietta pseudo-erotica con molte (troppe) gag sessiste. A parte questo, nella prima parte del film si ride abbastanza e sia la regia che la storia sono discrete. Non male.
MEMORABILE: La sfilata nella chiesa; La gag sul treno.
Dopo una parentesi di quattro anni tra America e un lungo tour negli stadi, Benigni torna al cinema convenzionale scegliendo una sceneggiatura a suo modo dissacrante e affiancandosi a un consumato comico d'oltreoceano. Eppure, nonostante un prodotto campione di incassi che riscuoterà grossi consensi e nonostante la presenza di Matthau, è abbastanza evidente che la ciambella non riesce col buco. Matthau infatti, per quanto bravo, ha un tipo di comicità troppo algida e che poco si sposa con certi cliché benignani. E alla lunga farà pagare scotto.
MEMORABILE: "Per la stazione!"; "Modello Giuditta"; Benigni si presenta alla cena dei prelati e viene introdotto come rag. Giuditta.
Tipico film di Benigni, con i suoi pregi e limiti; la sua forza sta nello spunto originale e nelle gag dell’attore-regista, con Matthau in un ruolo “a contrasto”; al di fuori delle scene comiche, il resto appare quasi superfluo (la Sandrelli è sprecata e la Braschi stucchevole). Godibile, ma da guardare una volta e basta, come gran parte della filmografia del sopravvalutato guitto toscano.
Non tra i migliori prodotti di Benigni, questo film si segnala sopratutto per la bravura dell'artista toscano nel confezionare il personaggio del diavoletto matto, dinamico, estroverso, che confeziona, specie nella prima parte, tutta una serie di gag a tratti devastanti. Buona l'intesa con Walter Matthau (qui prete), pur lontano dai suoi anni migliori. A far calare di livello la pellicola ci pensa nella seconda parte Nicoletta Braschi, attrice che stimo ma che qui non mi ha convinto. Non male, nel complesso.
Un'idea adeguata a una commediola spicciola, che non intratterrebbe più di dieci minuti. Ma Benigni è bravo nel suo ruolo e quindi allunga il brodo, sebbene il trucco sia palese ai commensali. La Braschi, venuta in aiuto come femme fatale, non riesce davvero a convincere, mentre il film si arrotola su sé stesso in un epilogo che rappresenta l'ultimo barlume di un fuocherello. Qualche scenetta fa ridere e si può ricordare, ma la pellicola in generale non è un gran lavoro. Inutile il personaggio della Sandrelli (serviva il nome?).
Benigni porta al cinema una storiella facile facile e non originalissima e si arriva alla fatidica ora e mezza grazie a gag appiccicate alla buona. Restano le interpretazioni di attori di livello come Matthau, la Sandrelli, Fabrizi e John Lurie, che tentano di stare dietro a un irrefrenabile Benigni che fornisce un'ennesima grande prova attoriale. Il Benigni regista dovrà aspettare tempi migliori e sceneggiature più consistenti. Appena guardabile la Braschi. Si ride molto, nonostante alcuni momenti lenti. Vale la pena, ma non è un capolavoro.
Film imperfetto, dal ritmo altalenante, ma certo se si pensa al Benigni che ora elogia in Tv i Dieci Comandamenti e va ospite in Vaticano, anche questo (come Il mostro) assume oggi una maggiore dignità. Walter Matthau è una spalla formidabile, peccato non si possa dire la stessa cosa delle Braschi. La regia è un po' sciatta ma in compenso ci sono ottime location, su tutte la splendida certosa di Calci. Per chi ama Benigni è una tappa obbligata, per tutti gli altri un passatempo divertente.
Leggero filmetto a tratti divertente e a tratti no con un Benigni in palla come la sua spalla Walter Matthau. La prima parte è sicuramente la migliore, mentre la seconda purtroppo non ne è all'altezza a causa di un'eccessiva ripetitività delle battute e alla comparsa del personaggio della Braschi (sempre uguale), che va praticamente a sostituire quello di Matthau; ne va di mezzo anche il demonietto di Benigni, che passa dall'essere dispettoso all'essere innamorato perdendo così tutta la sua carica comica. Comunque non male.
Benigni è un diavolo ingenuo che scopre molte delle piccole gioie banali della vita che tutti diamo per scontate. Tutto ciò osservato con curiosità a braccetto di un Matthau che inavvertitamente ha portato questo sciocco diavolo nel nostro mondo. Pazzo, divertente e grottesco. Non solo pura commedia ma anche un assalto satirico alla religione e al comportamento sociale delle cariche sacre. In definitiva un film spensierato, in cui non c'è nulla di prevedibile.
Prete e diavolo fanno amicizia. La sceneggiatura è come se fosse spaccata in due: prima parte con Matthau, seconda con la Braschi. All'inizio Benigni si diverte a proporre la sua comicità irruenta che vive a sketch. Nella seconda metà entra in gioco la confusione terrena dell’immondo protagonista che s'innamora al solito della consorte (nella vita). Poco curati i vari ruoli di passaggio (Sandrelli, Lurie e Matthau stesso verso la fine) che denotano una scarsa costruzione in sceneggiatura. Simpatico il finale.
MEMORABILE: La cena al ristorante; Il modello Giuditta; La vincita al casinò per i continui nove.
Una piccola delusione questo film di Roberto Benigni, che possiede alcune parti con buone battute e situazioni divertenti alternate ad altre in cui il ritmo cala in maniera insensata e non si capisce dove si voglia andare a parare. La presenza di un mostro sacro come Walter Matthau sarebbe stata da sfruttare molto meglio, invece il suo personaggio convince poco ed è oscurato da un Benigni quanto mai istrionico ma che sembra imitare se stesso. Anche Nicoletta Braschi non alza il livello. Si può sicuramente vedere ma la sensazione è di occasione persa e di un certo amaro in bocca.
Capolavoro a metà. La prima parte costruisce un modo quasi a sé di fare commedia, con un Benigni scatenato che, partendo da un tema inedito per questo tipo di film quale la possessione, trova ogni spiraglio utile per mettere a segno ottime gag, coadiuvato molto bene da un Matthau in parte ed espressivo il minimo per fare da contraltare al protagonista. La seconda parte fa crollare il castello: sostituire il coprotagonista con la Braschi banalizza il tutto e rende meno "credibile" la prosecuzione della vicenda, con l'umanizzazione poco convincente di Giuditta. Superflua la Sandrelli.
MEMORABILE: La scena al ristorante con Matthau che continua a mangiare in modo inespressivo mentre Benigni combina disastri; La gag del citofono.
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HomevideoXtron • 19/04/12 15:40 Servizio caffè - 2147 interventi
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (lunedì 8 ottobre 1990) di Il piccolo diavolo:
Alla sceneggiatura del film partecipò anche il celebre fumettista Andrea Pazienza. Benigni decise di non accreditarlo ma quando la pellicola uscì, forse pentito, la dedicò interamente all'artista abruzzese, nel frattempo scomparso.