Ascesa e caduta di un piccolo fuorilegge che, partito con il contrabbando di sigarette, cerca di farsi strada a spallate nel mondo della malavita organizzata. Il racconto di Rosi segue sia i moduli del milieu popolano neorealista che quelli del noir statunitense, con palesi rimandi a Scarface: una pista, questa, che verrà seguita poi da certo cinema popolare italiano (i camorristici di Brescia con Mario Merola, per esempio). La ventenne Schiaffino, in déshabillé, si fa carico di più di un momento erotico.
Bell’esordio di Rosi, con un noir d’ambientazione campana velocissimo, secco, sentito, che già fa vedere la capacità veristica del regista. Forse un po’ forzata l’esposizione di alcuni personaggi nel finale, ma la cosa non intacca il buon livello del film. Sarà una mia impressione, ma in un quadro di ottima resa attoriale generale, Suarez e la Schiaffino non mi sono certo parsi i migliori. Sul mio personalissimo cartellino la palma è per Nino Vingelli.
Notevole esordio cinematografico di Rosi che mostra sin da subito ottime doti tra cui
la capacità, che sarà propria di gran parte del suo cinema, di fondere mirabilmente piglio documentario (è ispirato ad un fatto vero), impegno, denuncia (il controllo del mercato ortofrutticolo da parte della camorra) e spettacolo. Splendida la fotografia di Gianni Di Venanzo e molto serrato il ritmo che coinvolge appieno lo spettatore grazie al grande lavoro di montaggio di Mario Serandrei. Merita la riscoperta dopo tanto oblio.
Eccezionale esordio alla regia per Rosi che realizza un film di puro stampo neorealista, regalandoci uno squarcio di vita della Napoli degli anni '50. La prima parte è bellissima: ci immergiamo nei vicoli di una Napoli che sentiamo respirare attraverso i rumori del suo vivere quotidiano e l'umanità dei personaggi. In questo contesto si muove la camorra postbellica che impernia i suoi affari sul contrabbando e sul controllo del mercato ortofrutticolo. Da segnalare una Schiaffino da incanto per la sua straordinaria freschezza e bellezza.
Grandissimo esordio di un maestro in cui convergono sia le lezioni neorealiste dei padri De Sica e Rossellini, sia il racconto emotivo e incalzante dei maestri noir d’oltreoceano. Mirabile è l’amalgama tra il film di denuncia con lente d’ingrandimento sul popolo riguardante le losche dinamiche della camorra e il tragico ritratto umano del piccolo delinquente che vuole pericolosamente salire al potere al fianco dei grandi. Un film urgente (come Rosi afferma), di grande pregnanza contenutistica e diretto con mano solida. Granitico.
La tragica storia passa quasi in secondo piano di fronte alla minuziosa ricostruzione di uno spaccato della vita in un quartiere popolare di Napoli, ma anche dei suoi dintorni e della campagna. I personaggi sono reali, si muovono e "urlano" con naturalezza, i rapporti familiari, la convivenza con il vicinato, tutto ripreso come se la MDP fosse nascosta. Parallela scorre la vicenda che dà il titolo al film, con le improvvisazioni tipiche di persone abituate a vivere alla giornata e la veloce realizzazione di furbe intuizioni. Notevole.
MEMORABILE: Il finale, con scene come quadri di una tragica sceneggiata.
Un noir tutto sommato appassionante, notevole nelle ambientazioni e abbastanza ben girato e fotografato. Suàrez discreto ma senza spiccare particolarmente, Rosanna Schiaffino dallo sguardo folgorante, nonostante il suo personaggio risulti abbastanza trascurato, molto azzeccati gli altri caratteristi. Finale un po' tronfio, che banalizza quanto visto in precedenza. Quasi un precursore dei nostri noir anni settanta, solo con meno omicidi e senza stupri.
Il maestro Rosi esordisce con questo lucido dramma in cui vengono evidenziate le primordiali lotte camorristiche collegate con le derrate alimentari. Narrazione lucida e passionale in cui esplode la sensualità di una giovane Schiaffino, conturbante come non mai. L'aria neorealista aleggia con pathos e furore; il finale sembra già scritto però...
Prime traversie quando la camorra si arricchiva solo coi pomodori e contava fino a due prima di fare fuoco. La violenza è più urlata che coi fatti e non produce scosse emotive. Bene le ambientazioni napoletane che spaziano tra i vicoli, i begli appartamenti e le case affollate. La Schiaffino si adatta egregiamente al ruolo di scugnizza; la mimica salva Suarez ma forse era più adatto un volto nostrano. Resa dei conti telefonata a chiudere un epilogo dal sapore etereo come un triste marchio di fabbrica.
Esordio più che buono per Francesco Rosi. Come disse lui stesso in un'intervista, la sua intera (quasi) cinematografia è un itinerario nei meccanismi del potere; qui il potere è all'interno della camorra e Rosi riesce a mescolare abilmente spettacolo e documentario e la storia di questo contrabbandiere che tenta di ribellarsi allo strapotere camorristico funziona.
Finita la palestra viscontiana, Rosi torna nella sua Napoli per esordire con una storia di mafia criminale. Ispirandosi agli stilemi del gangster movie (non è l'unico, nel 58) ritrae una verissima Campania, in cui la cupidigia può uccidere. Rosi mostra di essersi impadronito perfettamente dello stile neorealista: la cinepresa segue il racconto evento dopo evento; senza immedesimarsi; senza giudicare. Il cast dà un’ottima prova e i personaggi sono ben caratterizzati. Nonostante qualche difetto di sceneggiatura (l’incontro con Aiello; il finale) è quello che si dice un buon film.
MEMORABILE: Il microcosmo formato dal condominio napoletano.
Rosi, all'esordio, prende il realismo e lo carica a pallettoni; "affronta" la camorra dei mercati ortofrutticoli. Istruito nella tecnica da molte vice-regie, gira nel b/n soleggiato di Di Venanzo, incastrando spleen dei personaggi e ambiente, rurale e cittadino, non duali ma cause efficienti l'uno dell'altro. Contesto in cui la Schiaffino pare un obbligo di produzione. Si scopre presto che non è così, tutto è funzionale. Suarez in tiro, tonico, detta il ritmo; Vignelli prezioso jolly. Cennamo guappo per eccellenza (già ne L'oro di Napoli).
Passato dal contrabbando delle sigarette al commercio delle verdure, un guappo riesce a guadagnare in breve tempo una fortuna ma entra in rotta di collisione con un boss che controlla il mercato all'ingrosso... Ambientato in una Napoli ancora segnata dalla guerra, la prima opera diretta interamente da Rosi è anche tra le sue migliori per la riuscita commistione tra le belle parti a carattere documentario e quelle drammatiche di finzione girate con un piglio che ricorda i grandi noir made in USA. Splendido il b/n di Di Venanzo, bel cast con grandi caratteristi, film da recuperare.
MEMORABILE: La processione in paese, con il gesto plateale dell'offerta; Il corteggiamento sui tetti; L'epilogo al mercato.
Un guappo dedito al contrabbando di sigarette liscia un carico di bionde, ma per non tornare con il furgone vuoto si dà al commercio di zucchine andandosi a scontrare con i mammasantissima di campagna. Ordinaria guapparia tra malavitosi ortofrutticoli magistralmente fotografata da Gianni Di Venanzo, con una Schiaffino davvero pazzesca e un Josè Suarez dalla rigida gesticolatoria macistica davvero poco partenopea (mancano gli attori da quelle parti?). Tutta la recitazione appare comunque ammaestrata, di una napoletanità manierata da sceneggiata napoletana (senza napoletani).
MEMORABILE: Lo sguardo da lupa di Assunta che punta a distanza Vito, non per predarlo, ma per essere predata; La fotografia.
Guappo cerca l’ascesa inserendosi tra i camorristi che speculano all’ingrosso sulle forniture al mercato ortofrutticolo. Esordio di Rosi su temi veristi e sociali che gli saranno felicemente consueti e fin d’ora si evidenzia una mano autoriale nella narrazione secca e tagliente. Fulgido bianco e nero che ben si attaglia al dramma, suggestiva composizione delle inquadrature, i meriti del film sono più realizzazione che non nella storia in sé, che funge più da cornice per il quadro di robusta ma non pesante denuncia.
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