Reduce dalla guerra di secessione dovrebbe essere Jack Sommersby, ma nessuno ne è sicuro. Lui peraltro sembra un bravuomo, ma... Terribile sotto-Mattia Pascal di ambientazione americana, patinato ma coinvolgente come la relazione annuale del procuratore della Corte dei conti. Gere imbarazzante come suo solito, la Foster con la faccia di chi si chiede perché ha firmato quel contratto, le probabilità che un nero potesse presiedere un processo a un bianco (nel Sud! In quegli anni!) francamente scarsine. Mattonata.
Un film che spreca le potenzialità di una storia basata sul rapporto tra verità e finzione e sulle possibilità di redenzione e cambiamento dell'essere umano. Il regista Amiel, complice una piatta sceneggiatura e un'impostazione eccessivamente patinata ed hollywoodiana, trasforma tutto ciò in una banale love story, perdendo totalmente le possibili implicazioni morali nel tentativo di confezionare un prodotto appetibile a pubblico medio. Richard Gere è chiaramente fuori parte e anche la Foster appare piuttosto spaesata.
Una storia sulla carta interessante capitata disgraziatamente nelle mani sbagliate. Jon Amiel non era certo il regista più adatto per questo progetto e questo è un fatto. Ma di sicuro non lo era anche Richard Gere nei panni del protagonista. Mai credibile nel ruolo dell'uomo senza memoria, spesso ridicolo. Al suo fianco una spaesata Jodie Foster. I soli a tentare di salvare la baracca sono Bill Pullman e James Earl Jones, ma inutilmente. Il film è da dimenticare.
Senza ombra di dubbio una bella occasione sprecata perché l'idea di fondo era tutt'altro che malvagia. Cosa ne ha limitato le potenzialità? Indubbiamente un'eccessiva patinatura, una ricerca ossessiva della miglior ripresa per esaltare il bel Richard ed una sceneggiatura che non brilla ed anzi a tratti arranca. La Foster a sua volta non regge il ruolo. Tuttavia si può vederlo se si cerca una piacevole serata in poltrona senza la necessità di un film d'essay!
Proprietario terriero del Sud, reduce dalla guerra di secessione, torna a casa e sembra un altro. Una prima parte che sembra riprendere il filone delle grandi saghe epiche americane alla Via col vento lascia il posto a una seconda parte che invece riprende il filone dei film in tribunale, con suggestive venature pirandelliane. Ma alla fine tutto rimane in superficie, affogando nel melenso le insinuanti domande sull’identità. Non male per chi si accontenta di un filmone senza pretese; male per chi vede buttar via un’idea potenzialmente forte.
Sciapo film dallo stile alla “mulino bianco” che però ci risparmia almeno il lieto fine (meno male!). Probabilmente si tratta di un’occasione mancata visto che è il rifacimento di una pellicola che non era niente male. Qui invece tutto è abbastanza scontato e banale ed il solo scopo del regista e degli sceneggiatori è quello di fare presa facile sul pubblico per incassare il più possibile. Tranquillamente evitabile.
Ad Hollywood hanno visto Letto a tre piazze con Totò e ci hanno fatto un film con la solita ricetta: melodramma da sceneggiato e attori da botteghino. Un uomo ritorna dalla moglie alla fine della guerra civile e aiuta la piccola comunità a risollevarsi, ma sarà lui? Film irritante, in cui il protagonista agisce in nome di un romanticismo eroico quanto assolutamente insensato, appunto da telenovela. In nome del riscatto di una vita da furfante il bel manzo Gere, piuttosto che vivere da vero truffatore preferirà... Il senso? Mah.
Soggetto fallimentare in partenza. Mi domando come sia possibile che una donna non sappia riconoscere il proprio marito seppure dopo anni di lontananza. Eppure il film gira tutto su questo e sugli immancabili aspetti secondari. La realtà è che nemmeno il cast crede molto nel progetto e se la Foster ci mette almeno la professionalità, Gere lesina anche su questo. Noioso oltremisura e forse scontato in troppi aspetti. D'altra parte non è che Amiel ne abbia imbroccate molte. Anzi... forse quasi nessuna.
Chi è veramente Jack Sommersby e cosa lo spinge a riscattare la sua vita precedente, anche a costo della morte? Il tema è intrigante e meritava una rappresentazione più degna e profonda. Qui invece il livello si mantiene in superficie, con meccanismi narrativi piuttosto elementari. Lo stesso Gere risulta poco credibile in un ruolo complesso che richiedeva maggiori sfumature. La Foster sempre intensa, ma non basta.
Trama con un certo potenziale, annacquato però da una confezione troppo patinata e da un ritmo molto blando che si sofferma più del dovuto su una storia d'amore hollywoodiana fino all'eccesso. La seconda parte è migliore infatti, con la lunga diatriba in tribunale e un certo alone di mistero che almeno suscita curiosità nello spettatore. Location e costumi sono curati, ma manca il vero coinvolgimento. Gere e la Foster non sono una bella coppia, lui però almeno sembra impegnarsi nel ruolo.
Alla fine della guerra civile, un reduce si presenta in una tenuta del Sud sostenendo di essere il proprietario che ne era allontanato anni prima senza più dare notizie... Remake di un film francese ispirato a un caso di cronaca giudiziaria cinquecentesca, il film ne presenta una versione riveduta e corretta in senso hollywoodiano, banalizzando in chiave sentimentale quello che era un intrigante enigma sull'essere e l'apparire. Nel confronto con Depardieu e Baye, Gere non fa una gran figura mentre Foster se la cava grazie al mestiere. Più che brutto, superfluo, poco interessante.
Ben curata sotto il profilo tecnico, a un occhio smaliziato la pellicola si rivela subito quello che è: un dramma sentimentale con sviluppi poco plausibili, a cominciare dal legittimo dubbio del personaggio della moglie che però si innamora seduta stante (beh, si tratta di Richard Gere, mica cotica), per non parlare dell'assurdo faccia a faccia tra i due durante il processo; la coppia Foster-Gere è professionale, per carità, ma a non funzionare è proprio la sceneggiatura, peraltro prevedibilissima nell'evoluzione, gravidanza e finale inclusi.
MEMORABILE: Il piede ristretto.
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