Probabilmente è un mio problema, ma questa nuova onda di pseudohorror scandinavi proprio non riesce a convincermi, con quella patina spocchiosa e semi autoriale di voler fare gli Haneke a tutti i costi, dove la fredezza narrativa congela parte delle emozioni.
Già
Thelma mischiava malamente temi alla
Vita di Adele con
Carrie, quì il suo sceneggiatore torna ad occuparsi dei poteri paranormali incrontrollabili in una sorta di
Villaggio dei dannati intimista e astratto, dove il realismo quotidiano (squallidi casermoni e parchi giochi, boschetti e disadorni appartamenti con all'interno disagi familiari-perlopiù di genitori immigrati-) vorrebbe aumentarne le problematiche sociali della gente che vive nelle periferie e con i ragazzini lasciati allo sbando a seviziare animali.
Interessante quando sonda il lato oscuro dell'infanzia dei cosidetti "giochi del mostro" (Ida che tira scherzi crudeli alla sorella disabile Anna, pizzicandola di continuo o infilandole cocci di vetro nelle scarpe, sputando dalla finestra o calpestando lombrichi) o si abbandona a attimi di sconcertante spietatezza (il gatto fatto cadere dalla tromba delle scale per poi gustarne la sofferenza, l'agonia della madre e la pentola con l'acqua bollente, la gamba spezzata, con fuoriuscita dell'osso, del ragazzino che gioca a calcio con gli amichetti, gettato dal cavalcavia), ma poi si perde in un algida introspezione "pedagogica" che ne limita parecchio lo stato emotivo, andando in calando con un pre finale "silente catastrofico" parecchio bruttarello, dove si gioca a fare i piccoli scanners nel parchetto sotto casa.
Il ragazzino cattivo (pakistano o bangladese) alla
Brightburn oltre che odioso e pure inguardabile, scampoli da horror convenzionale con poca fantasia (la madre di Aisha, armata di coltello da cucina, che vede la figlia come un piccolo mostro sembra uscita da
Demoni 2, Ida proiettata in una pacchiana dimensione incubotica con figure minacciose e dagli arti amputati come nell' altrove di
Insidious o preso in prestito dal peggior j-horror) e una fastidiosa patina gelido/hanekiana (o peggio dardenniana) che ne mina l'emotività.
Buoni alcuni momenti (la scheggia di legno conficcata sotto pelle, Ida investita dalla macchina) ma che non bastano a risollevare il film dalla mediocrità (se Vogt si fosse concentrato di più sulla naturalezza della crudeltà dei bambini "serradoriani", oppure sul recupero di Anna chiusa nel suo autismo e avesse lasciato perdere la solita telecinesi, magari, forse...) e da un senso di incompiutezza (a questo proposito pessima la chiusa) e frigida impassibilità.
La madre di Ida e Anna assomiglia incredibilmente a Dee Wallace e davvero notevole Alva Brynsmo Ramstad nei panni dell'autistica Anna.
Già leggo in giro sperticate lodi a un film che, per quanto mi concerne, non ne merita.
Terribilmente sopravvalutato (come quasi tutte le pellicole che arrivano dalla scandinavia) è l'aggettivo minore, che scivola addosso nel mare magnum dei film visti e in fretta dimenticati.
E di bambini cattivi fino in fondo, nel panorama del cinema di genere odierno, la punta di diamante resta ancora
The children.