Franco, Ciccio & Lucio Fulci: l'analisi

7 Giugno 2012

Questo splendido pezzo di Paolo Albiero apparteneva in origine allo speciale Franco e Ciccio firmato dal nostro caro Geppo, ma la quantità di informazioni contenute e la completezza dello stesso mi hanno fatto optare per un secondo speciale, che Albiero merita tutto. Da grande appassionato della cinematografia dei due siciliani e di Fulci non ho potuto che leggere con estremo interesse il pezzo e compiacermi per l'accuratezza con la quale è stato scritto (ma d'altronde della bravura di Albiero siamo tutti a conoscenza). Partendo dai film con Fulci, Albiero ha saputo analizzare con estrema competenza una serie di aspetti relativi ai primi anni di successi del duo rendendo l'approfondimento godibile e indubitabilmente prezioso, per i fan della coppia e di Fulci (ma non solo). (Zender)

Credo di aver imparato molto dal mio amico Paolo Albiero (critico cinematografico e autore del libro "Lucio Fulci, il terrorista dei generi" scritto in collaborazione con Giacomo Cacciatore): mi ha dato le basi per cominciare a scrivere e a occuparmi di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Grazie Paolo per aver accettato la mia richiesta di partecipazione al mio approfondimento per il Davinotti "Questa volta parliamo di... Franco e Ciccio". (Geppo)

 
DUE PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
L’avventurosa storia del cinema di Franco, Ciccio & Fulci
di Paolo Albiero 

La comicità di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, pur rimanendo fedele a ben precisi stilemi, si è progressivamente modificata nel corso della loro longeva carriera. Almeno tre ordini di fattori possono essere proposti per spiegare l’evoluzione di un percorso artistico, quale esso sia: i cambiamenti riconducibili a più generali mutamenti dello zeitgeist e dello scenario culturale, dei gusti e delle mode del milieu di riferimento; un processo intrinseco di maturazione che accompagna l’esistenza di qualsiasi artista e che lo porta più o meno consapevolmente a ricercare nuove modalità espressive; l’incontro con figure altre che esercitano un’influenza pervasiva sulla propria esperienza professionale ed espressione artistica. È chiaro che solo da un punto di vista didattico questi tre ordini di fattori possono essere considerati separatamente, poiché nella realtà costituiscono vasi comunicanti, in cui le interconnessioni e le reciproche influenze sono numerose e si esprimono a molteplici livelli.
Tali considerazioni valgono anche per il duo sicano che, da qualsiasi prospettiva lo si voglia considerare, rappresenta comunque un singolare e affascinante sodalizio artistico. A dispetto di un crescente numero di pubblicazioni, su ciascuno dei tre punti summenzionati ad oggi è stato scritto poco o nulla. Piuttosto, le chiavi di lettura finora proposte hanno focalizzato la loro attenzione sulle vicende biografiche del duo, sul registro parodistico e sul complesso di elementi tecnici caratterizzanti la loro arte comica.
In questo breve scritto mi propongo di presentare alcune considerazioni relative al terzo punto, quello che da un punto di vista esegetico trovo essere il più intrigante e il meno esplorato: l’influenza che “altre figure professionali”, nella fattispecie registi diversi, hanno esercitato sulla comicità del duo.
È indubbio, infatti, che le pellicole di Franchi e Ingrassia – belle o brutte che le si voglia considerare -  possono apparire tutte uguali solo a un occhio distratto e superficiale. In realtà, esse presentano caratteristiche diverse, talora molto pronunciate, anche (e talvolta soprattutto) in funzione regia. Non solo. In una certa misura, è perfino possibile individuare alcuni aspetti caratteristici che, pur inseriti in un contesto di serialità esasperata e talvolta cialtronesca, permettono di differenziare diverse prospettive autoriali. Nel bene o nel male, lo spettatore accorto è in grado di distinguere e anche riconoscere una pellicola firmata Mariano Laurenti, Osvaldo Civirani, Giorgio Simonelli e Lucio Fulci.
Proprio Lucio Fulci, a giudizio di chi scrive, è stato il regista più importante per la carriera della coppia di comici siciliani. Per molteplici ragioni, che esposi dettagliatamente in un articolo alcuni anni fa, in cui veniva ricostruito il lungo sodalizio professionale e umano che legò questi tre grandi animatori della commedia italiana, e che in questa sede rivisito in maniera sintetica.

GLI INIZI E I DUE DELLA LEGIONE

Agli albori dei ’60 Fulci era solo un giovane e insofferente neo-regista. Costretto ad esordire alla regia in tempi e modi diversi da quelli che aveva prospettato, dopo un inizio più che dignitoso con I ladri (264.811.000 milioni di lire), e dopo il buon successo dei primi due musicarelli (I ragazzi del juke box: £. 425.918.000; Urlatori alla sbarra: £. 269.816.000) aveva incamerato una preoccupante serie di abbandoni e liti sui set, oltre che insuccessi (Colpo gobbo all’italiana: £. 130.539.000). La sua carriera, come quella di tanti altri colleghi di quegli anni, sembrava condannata alla mediocrità o, ancor peggio, a un precoce oblio.
Franchi e Ingrassia, al contrario, sbarcati in continente con un bastimento di speranze ed entusiasmo, avevano ottenuto degli ottimi successi fin dal loro debutto in celluloide, sia in ruoli di contorno (Appuntamento ad Ischia: £. 671.725.000; Cinque marines per 100 ragazze: £. 650.184.000; Gerarchi si muore £. 318.361.00), sia come protagonisti (L’onorata società: £. 350.373.000).
L’incontro con Fulci, come noto, avvenne al “Festival dell’avanspettacolo” di Roma: per tutti i dettagli del caso si rimanda alla seconda edizione del saggio “Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci”, scritto a quattro mani con Giacomo Cacciatore e di prossima pubblicazione nel 2012. In questa sede ricordiamo solo che tra i tre fu amore a prima vista. I due furono arruolati non senza difficoltà come protagonisti per I due delle legione, un copione in cerca di interpreti, originariamente scritto per Vianello e Tognazzi, di cui Fulci aveva comprato i diritti. Il resto è storia. Fulci, infatti, diede la struttura fisionomica e personologica definitiva ai ruoli che Franchi e Ingrassia porteranno avanti per il resto della carriera: Franco “il tonto” (il “mamo”) e Ciccio “il tonto che crede di essere intelligente”. A fronte di un costo di circa 60 milioni di lire, di cui 4 per i due comici, l’incasso finale arrivò a oltre 400 milioni: il fenomeno Franchi-Ingrassia era esploso, con tutta le sue devastanti potenzialità e in tutto il suo scomodo ingombro.
Il rapporto tra il duo e Fulci fu eccellente fin da principio, all’insegna della collaborazione e divertimento, tanto che alcuni membri delle troupe di quegli anni ancor oggi ricordano come sul set si iniziasse a ridere la mattina presto e si finisse solo a notte fonda. Franchi e Ingrassia, con l’entusiasmo dei neofiti, improvvisavano spesso siparietti fuori programma durante le pause. I due delle legione ha per i fan dei due comici siciliani anche il “merito storico” di avere introdotto nei titoli del duo il famoso prefisso “I due...”, che successivamente diventerà un marchio di fabbrica della loro produzione (l’ultimo sarà, dieci anni dopo, I due figli dei trinità).

I FILM A EPISODI: MASSAGGIATRICI, IMBROGLIONI E MANIACI

Subito dopo Fulci firmò Le massaggiatrici, una pochade giallo-erotica con espliciti intenti di critica politica e sociale, che annovera tra i protagonisti un semisconosciuto Philippe Noiret, qui al suo esordio italiano, espressamente voluto da Fulci. Nonostante un divieto ai minori di anni 18, un incasso inferiore ai precedenti (£. 221.118.000) e un ruolo di contorno, le quotazioni di Franchi e Ingrassia continuavano a crescere. I produttori registravano le loro apparizioni come i momenti di climax umoristico maggiormente graditi al pubblico e le potenzialità che lo sfruttamento dei due offriva erano già ben comprese. Si moltiplicarono le offerte e si allargò il giro di produttori e registi interessati a queste due novelle e inattese galline dalle uova d’oro. Era dunque inevitabile che i crescenti impegni avrebbero più volte portato il duo e Lucio Fulci ad allontanarsi. Mentre Franchi e Ingrassia rinfrancano il sodalizio col veterano Giorgio Simonelli, Fulci tornò alla corte di un Celentano, oramai divo in pectore, per firmare il suo terzo e ultimo “musicarello”, Uno strano tipo
È solo nella primavera dell’anno successivo che i destini di Franco, Ciccio e Fulci si incrociarono nuovamente per Gli imbroglioni, (1963) una delle prime pellicole italiane a episodi, un topos della commedia di quegli anni. Il tema conduttore è un’aula di pretura, ambientazione particolarmente cara al regista, nella quale si alternano una serie di strampalati personaggi, chiamati a rendere conto dei loro buffi raggiri. Franco e Ciccio, neanche a dirlo, sono due siciliani, e fanno da leit-motiv del film (e ne costituiscono l’aspetto più interessante: tolti loro, i vari sketch sono decisamente trascurabili) poiché si ripresentano più volte in aula all’urlo di: “Innocenti siamo! Equivoco giudiziario ci fu!”. I due, accompagnati da una musica che ripropone con qualche piccola variazione il “motivetto ufficiale” di Stanlio e Ollio, sono di volta in volta imputati per reati diversi e forniscono generalità diverse. Il più riuscito è probabilmente l’ultimo episodio del film, Siciliani, in cui Franco e Ciccio sono intenti a rifilare “patacche” ad una coppia di turisti tedeschi con ambizioni da archeologi "fai-da-te": alla più genuina comicità del duo Fulci affianca strali profetici e ironici su un tema ancor oggi molto attuale, quello della realtà “ri-costruita” appositamente dai media a proprio uso e consumo.

Sebbene, nel complesso, Gli imbroglioni non brilli né per originalità né per umorismo, ottenne un buon successo di pubblico (£. 523.455.000). Era quindi prevedibile che la stessa formula venisse riproposta nel film successivo, I maniaci (1964). Interpretato da un cast di attori e caratteristi di tutto rispetto, I maniaci è una gustosa carrellata su ossessioni, vizi e vizietti dell’Italia di quegli anni. In realtà, solo un pretesto per mettere in scena numerose macchiette, a onor del vero ben tratteggiate e girate con gusto. Il film, di palese filiazione dalla galleria di mostri cinicamente affrescata da Risi, è piuttosto divertente, forse perché giocato sull’ironia, sul sarcasmo, sul cinismo e sull’umorismo nero, tratti caratteristici del personalità di Fulci. I Nostri fanno capolino solo nell’ultimo episodio, La comica finale ovvero Il week-end, che vede i due dar vita per la prima volta alla macchietta dei ladruncoli imbranati che interpreteranno anche nei successivi film di Fulci, 00-2 Agenti segretissimi e 00-2 Operazione Luna. Forse per il divieto ai minori di 18 anni, forse perché il genere iniziava a mostrare poche idee e il fiato lungo, I maniaci non bissò il successo della precedente (solo £. 284.227.000) e la formula ad episodi fu abbandonata da Fulci, per tornare ai più classici canoni della commedia.

I DUE EVASI DI SING SING E 00-2 AGENTI SEGRETISSIMI

L’opera successiva, I due evasi di Sing Sing, è basata su un copione a firma di Marcello Ciorciolini, uno degli autori che negli anni a venire raccoglieranno l’eredità di Fulci direzione del duo. Il film ottiene un successo strepitoso (£. 1.043.842.000). Girato con mano solida e buon ritmo, I due evasi di Sing Sing vede il duo in gran spolvero, e presenta nelle scene di boxe e in quelle d’azione la parte registicamente più degna di nota.
Cambiano i registi, cambiano le ambientazioni e le epoche storiche, ma qualcosa nelle pellicole di Franchi e Ingrassia resta immutabile. Inizia infatti a fare capolino un nutrito numero di caratteristi che, in pianta stabile, affolleranno tutti i loro film. Amici e accoliti, prevalentemente siciliani, che il duo era solito imporre a registi e produttori: Alfredo Adami, Lino Banfi, Enzo Andronico, Nino Terzo, Ignazio Leone, Luca Sportelli e altri ancora…  La loro presenza era imposta dal duo. E loro contraccambiavano l’affetto di Franchi e Ingrassia – mecenati solidali e protettivi – con sincera venerazione e riconoscenza. Fulci, in virtù di tutte queste dinamiche di possesso e appartenenza, liquidò il tutto con uno dei suoi più memorabili soprannomi, tacciando quei caratteristi come “Gli elettrodomestici di Franchi e Ingrassia”.
Lo stesso anno Franco, Ciccio e Fulci misero in cantiere il loro massimo successo: 00-2 Agenti segretissimi (£1.076.788.000) La pellicola, che annovera numerose trovate e gag divertenti, innesta per la prima volta nella filmografia della coppia siciliana il tema della spy-story, che caratterizzerà anche alcune delle pellicole dirette da altri registi (Due mafiosi contro Goldginger, Le spie vengono dal semifreddo).

Il duo Franchi e Ingrassia è diventato, nel frattempo, una “macchina da guerra”: sforna film con una velocità da catena di montaggio. Il costo medio oscilla tra i 200 e i 300 milioni di lire, gli incassi sono quasi sempre ottimi. I tempi di lavorazione sono incasellati come le tessere di un mosaico e per poterli avere a disposizione è necessario prenotarli con largo anticipo. I film vengono realizzati in quattro settimane, di cui le prime tre con la loro presenza: il tempo necessario ai due per liquidare la pellicola e catapultarsi su un altro set. I copioni erano spesso modificati sulla base delle battute concepite al momento e Fulci stesso, umorista per natura, ideava spesso e volentieri delle gag sul momento. Pur cullando legittimamente altre ambizioni, l'intellettuale Fulci metteva volentieri e con grande impegno la sua inesauribile creatività e il suo provato mestiere al servizio del duo. Dalle idee di sceneggiatura alla trovate sul set, dalla tecnica registica ai testi delle canzoni (spesso non accreditato) che il duo intona nelle pellicole, il contributo di Fulci è consistente e multiforme, e sempre consapevolmente volto a valorizzare l’arte comica del duo, in cui il regista – è d’uopo ricordarlo - ha sempre creduto e sostenuto fino alla fine dei suoi giorni. Il rapporto tra il regista e i due comici era all’insegna di una totale collaborazione e complicità. Il duo apprezzava la capacità, l’impegno e l’umorismo di Fulci. Il regista apprezzava la professionalità e la disciplina dei due attori. Qualche piccolo battibecco, alle volte, era inevitabile, soprattutto per la fortissima personalità di Franchi. Ma il rispetto era reciproco, ed era la chiave giusta del loro rapporto. Con gli altri registi, invece, Franchi e Ingrassia finivano spesso per litigare e discutere. I due timidi e sprovveduti picciotti erano diventati due pezzi grossi e dettavano legge.

I DUE PERICOLI PUBBLICI

Subito dopo è la volta de I due pericoli pubblici, pellicola che ha dalla sua un gran ritmo ma si differenzia dalle altre avventure di Franco e Ciccio per una trama più labile: è in realtà, una lunga serie di sketch inanellati su un tenue filo conduttore, in parte derivati dalle precedenti esperienze della coppia di attori e soprattutto dai travestimenti dell’avanspettacolo. Musica e trovate richiamano le vecchie comiche del muto: il duo ha così modo di sbizzarrirsi con le classiche gag visive del proprio repertorio, che la tecnica di regia, con lunghe inquadrature, si limita a riprendere con piglio quasi “documentaristico”. Anche questo film ottenne un notevole successo (£. 707.178.000).
Grazie agli incassi dei film girati con il duo, Fulci è ormai divenuto un regista sulla cresta dell’onda e il 1964 è l’anno della sua consacrazione al botteghino: è l’unico, assieme a Giorgio Simonelli, che riesce a piazzare tre pellicole tra le prime venti nella classifica dei film italiani più visti, due delle quali nei primi dieci posti. I quattro film che gira con Franco e Ciccio nel 1964 incassano complessivamente oltre tre miliardi di lire.
Si assiste, al contempo, a un progressivo processo di "deregionalizzazione" del duo, sempre più fenomeno di portata nazionale: se i successi delle prime pellicole erano dovuti soprattutto agli incassi nelle sale di seconda e terza visione al sud, a partire da I due evasi di Sing Sing e 00-2 Agenti segretissimi la tendenza si inverte: gli incassi maggiori si rilevano al centro e al nord (il primo 18 milioni a Roma, 15 a Torino e “solo” 13 a Palermo; il secondo raggiunge addirittura quota 25 milioni a Milano).

COME INGUAIAMMO L'ESERCITO

Sono passati due anni da quando Franchi e Ingrassia hanno iniziato a lavorare con Fulci e il loro rapporto col regista è più che mai solido. Quello tra i due comici, invece, comincia a mostrare allarmanti crepe. Chi era su quei set ricorda come alle volte i due, pur lavorando fianco a fianco, non si rivolgessero la parola. Ma appena scattava il ciak la professionalità prendeva il sopravvento sui loro dissapori, e la premiata ditta riaccendeva la macchina della sua straordinaria comicità. Perché di ditta si trattava, e i soci sapevano bene che non  potevano permettersi separazioni. Fuori dal set si frequentavano poco, e nemmeno conducevano vita mondana. Erano molto affezionati alla Sicilia, con cui mantenevano un rapporto viscerale, anche se sempre più rare erano le occasioni per tornarci. Franchi, a Palermo, aveva fatto il pasticciere, e spesso sul set ricordava con nostalgia quegli anni. Mentre Ciccio era più “filosofo”, Franco sovente viveva attimi di malinconia e tristezza, talvolta soffocati da slanci di generosità. Quando si girava a Roma, era consuetudine che la sera, poco prima della fine della lavorazione, mandasse il suo factotum Gregorio a prendere un furgone di cannoli e di cassate dalla pasticceria Dagnino, per offrirli a tutta la troupe.
Sebbene in quel periodo si fossero moltiplicate le pellicole che Franchi e Ingrassia giravano anche con altri registi, Fulci, assieme a Giorgio Simonelli, restava il loro preferito. Tant’è che proprio Ciccio, reduce da alcuni incassi “minori”, avrebbe imposto il nome di Fulci per Come inguaiammo l’esercito, che porta tra gli altri la firma di Roberto Gianviti, collaboratore fondamentale per Fulci e penna tra le più prolifiche al soldo del duo.
Il film è una piacevole commedia dai toni garbati. Sebbene, per la prima volta in un film di Fulci, quella di Franchi e Ingrassia sia solo una “partecipazione straordinaria”, il duo è comunque il perno della storia: le loro scene sono dilatate oltre i tempi narrativi necessari, mentre gli eventi principali che riguardano la coppia di sposi protagonista fungono da semplici raccordi. L’ambientazione del film, una caserma popolata da allegri e maldestri marmittoni, è probabilmente la prima di una lunga serie che negli anni seguenti contraddistinguerà tante pellicole, fra distretti militari, soldati, soldatesse e grandi manovre. Solo apparentemente un musicarello (l’insipido divetto Germani canta tre pezzi di canzoni in tutto), Come inguaiammo l’esercito è un film in cui la musica è costantemente al centro della scena, per almeno tre motivi: per Franchi, che qui più che altrove sfoga spesso e volentieri la passione per il canto; per il piacevole accompagnamento jazzato di Enzo Leoni che fa da sottofondo a buona parte del film; per l’espediente narrativo costituito del coretto tipo “voci bianche” che, come accadeva per i cori della tragedia greca, introduce i personaggi, ne racconta le caratteristiche e descrive il dipanarsi degli eventi. Come curiosità, segnaliamo la scelta del titolo, che inaugura la serie dei “Come…”. Il finale con le grandi manovre è ritenuto da Fulci la scena più divertente che abbia mai girato  l’incasso è ancora una volta degno di nota (£. 648.559).

00-2 OPERAZIONE LUNA

Con  la pellicola seguente, 00-2 Operazione Luna, il duo torna nuovamente allo spy-plot. Il film, infatti, riprende il titolo e l’idea di base del precedente successo 00-2 Agenti segretissimi: la commedia degli equivoci giocata sullo scambio di persona. Anche qui Franco e Ciccio sono due ladri imbranati, ma mentre nel primo 00-2 venivano arruolati dai servizi segreti americani grazie ai complicati calcoli di un cervellone elettronico, in questa pellicola è la somiglianza fisica a dare origine ai qui pro quo. E le due “maschere” siciliane, stavolta, vengono spedite nientemeno che nello spazio. Il risultato finale è meno riuscito rispetto a 00-2 Agenti segretissimi, ma è comunque una gustosa variazione sul tema del doppio e dello scambio di identità. Senza raggiungere gli incassi strepitosi dell’episodio precedente, la pellicola ottenne un discreto successo (£. 449.896.021). Memorabili – e quanto mai tenere e naïf nel loro casereccio allestimento – le scene in cui i due sodali si ritrovano, loro malgrado, catapultati nello spazio, dando vita ad una serie di gags surreali: la cena a base di pillole; l’incontro con lo scheletro della cagnetta Laika (“L’ho riconosciuta dalla kodak!”); l’arrivo sulla superficie lunare (“Ciccio!!! Stiamo atterrando sull’autostrada del sole”. “Sei sicuro?”. “Sì, non vedi che è tutta buchi!”).
E’ proprio verso la metà degli anni ’60 che la comicità di Franchi e Ingrassia, basata ancora prevalentemente su gag visive, inizia sotto l’egida di Fulci, un percorso di cambiamento simile a quello già compiuto da Totò: dalle prime pellicole intrise di siparietti, frizzi e lazzi da avanspettacolo, si passa sempre più a una comicità affidata ad elementi verbali e contestuali. La mimica facciale e corporea del duo, da elemento caratterizzate, prorompente e catalizzante, perde progressivamente consistenza, fino ad essere rilegata a sempre più limitati e circoscritti attimi. Al contrario, come ribadiremo, gli snodi narrativi e metalinguistici acquisiscono una crescente importanza. Da questo punto di vista è esemplare la scena che si svolge durante e subito dopo i titoli di testa di 00-2 Operazione Luna, una lunghissima e deliziosa gag muta (ben 8 minuti), in cui Franco e Ciccio, tentando di rubare merce in un negozio di elettrodomestici, hanno – probabilmente per l’ultima volta nella loro carriera cinematografica - la possibilità di sfoderare la loro più autentica e genuina verve da “comica del muto”, che tuttavia era già fuori tempo massimo per i gusti dell’epoca.

I DUE PARA' E COME SVALIGIAMMO LA BANCA D'ITALIA

Con I due parà (£. 455.526.318), girato quasi in contemporanea a 00-2 Operazione Luna, Fulci apre nuove porte alla comicità di Franchi e Ingrassia, assegnando un ruolo rilevante a temi di rilevanza politica e sociale, che il regista non manca di “fotografare” con la sua disincantata ironia e il suo spirito critico. Non è una novità per Fulci: già ne I ragazzi del juke box, Urlatori alla sbarra e Le massaggiatrici gli intenti di critica erano espliciti e coraggiosi, tanto da incappare nelle maglie della censura. Ma I due parà resta, senza dubbio, un film anomalo nel panorama del duo: dietro al consueto copione – che prevede i comici nelle vesti di tonti alle prese con equivoci e "qui pro quo" – il regista, indomito e spietato osservatore del suo tempo, tesse sottovoce, con il linguaggio di una satira semplice ma graffiante, un apologo sui rapporti perversi tra ideologia, politica e potere. Nella scena di apertura Franco e Ciccio, artisti girovaghi costretti ad emigrare in cerca del successo, interpretano prima di tutto la loro storia, rispolverando parte del repertorio della “posteggia” palermitana. Ma poi il copione “vira” bruscamente: Fulci, per lunghi tratti, si disinteressa alle vicende del duo e focalizza l’attenzione sui temi che più gli stanno a cuore. Basti osservare che nei primi venti minuti della pellicola, i due comici appaiono soltanto per cinque minuti. Il film, come giustamente sottolinearono Castellano e Nucci, è anche un ironico e grottesco j’accuse nei confronti dell’imperialismo americano (siamo negli anni della guerra del Vietnam) ed è tuttora di sconcertante attualità.
 
Se le commedie fino ad allora girate dal duo con Fulci erano gustose, realizzate con ritmo incalzante e mano sicura, scritte da sceneggiatori allora trattati alla stregua di mentecatti e oggi entrati nell’Olimpo dei miti della commedia italiana (in primis Sollazzo, Metz, Marchesi, Gianviti) restavano però tecnicamente piuttosto anonime e difficilmente distinguibili da quelle firmate da molti altri registi al soldo di Franchi e Ingrassia. Fin qui. Perché Lucio Fulci, un mostro di tecnica fin da quando era un piccolo aiuto di Steno, decise che era ora di cambiare registro. Dalle inquadrature statiche e dai lunghi piani sequenza dei primi film, peraltro tipici della commedia all’italiana dell’epoca, si esplicita un repentino cambiamento e affinamento espressivo. Il regista inventa uno stile personalissimo e nasce il “Foulci-touch”, dal regista stesso definito “baroccheggiante”. I suoi elementi salienti sono un gusto per la costruzione di inquadrature complesse, che prevedono l’uso di PP laterali, di mezzelenti e fish eyes, l’uso plastico dello zoom, “tagli” sghembi e panoramiche “a schiaffo”, movimenti di macchina con carrello e dolly combinati assieme. Tutti ingredienti funzionali e mai gratuiti. Tutti dosati con equilibrio e oculatezza, sapientemente miscelati in uno stile avvincente e inimitabile. Se si confrontano alcuni tra i primi film, come I due delle legione o 00-2 Agenti segretissimi con gli ultimi, quali Il lungo, il corto, il gatto, Come rubammo la bomba atomica o, ancor di più, con Come svaligiammo la banca d'Italia, l’evoluzione della “grammatica” del regista risulta particolarmente evidente. E anche la comicità della coppia se ne avvantaggia, abbandonando tempi e movenze da avanspettacolo per assumere un registro e una grammatica sempre più cinematografica (dal punto di vista di chi scrive, questo processo di cambiamento, in particolare l’adattamento ai ritmi comici cinematografici, sarà successivamente portato avanti da un regista capace come Mariano Laurenti). Fulci spinge a sorpresa il piede sull’acceleratore, giocando da vero virtuoso, sbizzarrendosi in inquadrature del tutto inedite e impensabili in altre commedie di quegli anni e, più in generale, in tutta la commedia all’italiana. In Come svaligiammo la Banca d'Italia si arriva, addirittura, all’uso dello split screen per mostrare, in contemporanea, come l’apertura di una valvola che immette l’acqua nei cunicoli sotterranei della banca provochi lo svuotamento di una fontana in superficie. Da questo punto di vista gli ultimi tre film che Franchi e Ingrassia gireranno con Fulci sono tra i migliori – se non i migliori – della loro sterminata filmografia. Affermazione che per alcuni suonerà oppugnabile, ma che si basa su alcuni incontrovertibili dati di fatto: sforzi produttivi di tutto rispetto (tempi più lunghi di lavorazione, due o anche tre macchine da presa, set e allestimenti più curati, riprese effettuate addirittura in Egitto), sceneggiature più articolate, solide, garbate e calibrate (che, tra l’altro, portano sempre la firma di Gianviti e Sollazzo, affiancati da Fulci e Continenza), una cura e un’attenzione alla tecnica senza precedenti, come ricordano molti testimoni di quei set: dalla musica alle scenografie e ai costumi, dalla fotografia all’edizione.

Il miglior compendio delle capacità tecniche di Fulci è forse Come svaligiammo la Banca d'Italia, datato 1966, prodotto da Giorgio “Geo” Agliani, ex comandante partigiano e coraggioso produttore degli ultimi tre film di Franco-Ciccio-Fulci (£. 529.239.585). Il plot di Come svaligiammo la Banca d'Italia è una sorta di incrocio fra la trama de I sette uomini d’oro di Marco Vicario, allora campione di incassi della stagione, e quella di Operazione San Gennaro di Dino Risi, anch’esso del 1966, ma che uscirà nelle sale un mese dopo la pellicola fulciana. Dal primo, il nostro mutua l’idea di una mega-rapina ipertecnologica ai danni di una banca, del secondo anticipa la gang di strampalati personaggi reclutati per compiere un colpo che va oltre le loro scarse possibilità. Girato in techniscope, il film vide un Fulci in stato di grazia, nel pieno possesso di una perizia tecnica strepitosa. È, ovviamente, un’operazione consapevole e intenzionale, tant’è che Fulci non solo lo cita come uno dei suoi film migliori del periodo, ma lo definisce anche come una pellicola realizzata con tono “porcellanato”, girata con “stile da film americano”. E’ una “scrittura” visiva sempre funzionale e mai retorica, perché la prima preoccupazione del regista è (e sarà) sempre l’organizzazione del materiale nel modo più efficace possibile, la costruzione di una sintassi registica che risponda prima di tutto ad una logica “dell’effetto”. In questo scenario ben curato, Franco e Ciccio si muovono con garbo, misura e appropriatezza, mettendo in scena una delle loro interpretazioni più gradevoli e convincenti.
Lucio Fulci, con questo film, aveva dimostrato di possedere un corredo tecnico tale da poter dirigere pellicole di qualsiasi genere. Dopo quattro anni di servizio al duo, fedele, intenso e soprattutto a tempo pieno, il regista si sentiva sempre più limitato e costretto all’interno di questo tipo di prodotto. Il western all’italiana, che in quegli anni aveva conquistato i cinema di tutta la penisola, era una ghiotta occasione. In pochi mesi Fulci imbastì e girò Le colt cantarono la morte e fu…Tempo di massacro. E fu…un grande successo.

COME RUBAMMO LA BOMBA ATOMICA

Cinque mesi dopo la fine delle riprese, e dopo alcuni progetti non andati in porto, Fulci decise di tornare a girare con Franchi e Ingrassia, stavolta per un film più ambizioso dei precedenti: è il turno di Come rubammo la bomba atomica. La sceneggiatura prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto in quegli anni in Spagna e, come gli 00-2, è una parodia dei cosiddetti film “spionistici”: ma se nei precedenti film di impianto “bondiano” la coppia si confrontava con anonime spie riconducibili alle maggiori potenze mondiali, in questo caso Franco e Ciccio hanno a che fare per tutta la durata della pellicola con i più gettonati e celebri agenti segreti, in un duello che, ovviamente, li vedrà vincitori. Gli elementi che costituiscono il fascinoso e misterioso mondo dello spionaggio vengono piegati a parodia: la famigerata organizzazione Spectre diventa la Spectrales, James Bond viene storpiato in James Bomb (interpretato da uno pseudo-sosia di Sean Connery, l’attore Adel Adham), l’agente Derek Flint diventa Flick (il ruolo che fu James Coburn e che vede qui una scatenata interpretazione del compianto fumettista Franco Bonvicini). Non può mancare Modesty Blase, per l’occasione ribattezzata Modesty Bluff e interpretata dalla bionda Eugenia Litrel, che scimmiotta le movenze di Monica Vitti. Il film si chiude con un dettaglio del dito di Ciccio che sfiora minaccioso i pulsanti di attivazione della bomba. Ancora una volta, Fulci fa di una commedia strumento di denuncia, continuando il discorso iniziato con I due parà. Se quest’ultimo film era imperniato sui pericoli del “contagio” del potere e sulle politiche colonialiste, qui è centrale il riferimento al pericolo atomico, alla corsa agli armamenti, da parte delle grandi potenze (siamo in pieno periodo di guerra fredda), ma soprattutto dei paesi emergenti in via di sviluppo, questione che sarebbe diventata, nei decenni successivi, di scottante attualità.

Il film fu girato prima a Roma e poi in Egitto. Il soggiorno in Egitto fu caratterizzato da aneddoti molto divertenti: Franchi e Ingrassia, in precedenza, non erano mai andati all’estero e avevano terrore degli aerei. Arrivarono, dunque, ad Alessandria d’Egitto via mare e da lì raggiunsero il Cairo. Impauriti dalla fauna indigena, dagli usi locali e dalle malattie, si erano portati dall’Italia casse di pasta, carne in scatola e acqua minerale. A ettolitri, poiché la impiegavano anche per scopi igienici, nonostante alloggiassero all’Hilton. Fulci, invece, aveva preferito prendere in affitto un mega attico sul Nilo. La troupe era divertita dalle paranoie del duo e il regista – manco a dirlo – calcò subdolamente la mano, facendo credere a Franchi che in Egitto la gente del posto avesse l’abitudine di sodomizzare i turisti. E mentre la troupe si godeva una splendida vacanza africana, tra locali notturni, danze del ventre e flirt amorosi, i due comici rimasero asserragliati nella loro camera d’albergo a mangiare scatolette. Finché, prima Ingrassia, che prese casa in città, e poi anche Franchi, vinte le ultime resistenze si unirono al gruppo.
La pellicola, nonostante un esito al botteghino ancor meno soddisfacente del precedente (£. 464.169.000), è davvero godibile: oltre all’ottimo ritmo, è dotata di un sottile fascino esotico – come sempre ben sottolineato dalle musiche di Lallo Gori – e di buffi impianti scenografici di stampo fumettistico. Sul versante comico, la fisicità e la vis mimica del duo sono sempre più circoscritte, a vantaggio degli aspetti verbali e dei giochi di parole. Un esempio ne è l’esilarante gioco di parole che Franco e Ciccio mettono in scena verso la metà del film, concordando un piano per “vendere” la falsa bomba.

IL LUNGO, IL CORTO, IL GATTO

Il lungo, il corto, il gatto, girato subito dopo, sancisce lo scioglimento della premiata ditta “Franco, Ciccio e Fulci”. Ispirato al recente successo di FBI operazione gatto (1965), vede come protagonista della pellicola, assieme ai due comici siciliani, il felino Arcimbaldo, un bel siamese che sul set fece vedere i sorci verdi a tutti. Il film, come i due precedenti, si segnala per una indubbia eleganza formale. Il regista, ancora una volta, svela fin dalle primissime scene l’intenzione di realizzare una pellicola molto curata, in cui Franco e Ciccio sono più controllati, seppure con un gran rispetto della loro comicità. Tutto il film, infatti, è costruito con un’attenzione quasi maniacale alla tecnica. Da esperto direttore d’orchestra Fulci sa fondere gli elementi (fotografia, musica, scenografia) con gusto, contribuendo alla gradevole atmosfera che pervade la pellicola. La scena più memorabile e divertente del film è probabilmente la cena nella villa nobiliare, in cui il regista, oltre a deridere il conformismo e le convenzioni di certi ceti sociali, realizza un irresistibile contrasto tra il formalismo ipocrita degli aristocratici e la dabbenaggine del duo. Uscito nelle sale a cavallo della primavera del ’67, il film incassò quanto il precedente, 456.318.000.

Dopo tredici film, dunque, il lungo sodalizio tra il regista e i due comici si interruppe. In merito, Fulci ha più volte spiegato le ragioni. Da una parte, le pressioni di amici, colleghi, intellettuali e critici, affinché Fulci cambiasse registro perché, nell’immaginario collettivo, stava diventando il "regista di Franco e Ciccio" e nulla più. A cui va aggiunta la sua crescente ambizione di poter finalmente mostrare le proprie capacità tecniche e il proprio spessore culturale attraverso nuovi sbocchi espressivi. Dall’altra parte, il fatto che il duo si stava logorando a causa di attriti interni alla coppia, e questo rendeva la lavorazione sempre più faticosa. A partire da 00-2 Agenti segretissimi, inoltre, gli incassi dei film con gli attori palermitani mostravano un graduale ma inesorabile calo, il che ha certamente influito sulla risoluzione del rapporto. Di quella stagione resta, comunque, una lunga serie di esilaranti commedie, spaccato e testimonianza di un cinema e di un’Italia oggi scomparsi, raccontati attraverso le maschere di due grandissimi comici.

Proviamo, in conclusione, a tirare le fila di questa lunga disamina, tornando alla questione da cui eravamo partiti: l’influenza esercitata da Lucio Fulci sulla carriera e sulla comicità del duo. Una prima considerazione - con buona pace dei palati fini – è che il trinomio Franco-Ciccio-Fulci, ha costituito una prolifica e proficua collaborazione e ha consegnato ai posteri una lunga sequenza di piccoli gioielli oramai entrati di diritto nella storia della commedia all’italiana. Proprio come lo stesso Fulci aveva preconizzato oltre trent’anni fa: “Sono convinto però che, tra i miei film, quelli che prima o poi gli storici riscopriranno sono i Franchi e Ingrassia… per anni mi sono portato il marchio di Franchi e Ingrassia, ma io rispondo sempre di vantarmi di avere fatto questi film. Tra vent’anni, molti di questi film saranno vivi, quando metà della commedia all’italiana sarà morta perché troppo datata”. Su questo punto, ora che tutti e tre i diretti interessati sono passati a miglior vita, per quegli strani meccanismi di beatificazione post mortem che hanno sempre condizionato il giudizio sui nostri simili, oggi convengono in molti. Lucio Fulci, sebbene non fosse stato il primo in ordine di tempo a scoprire Franchi e Ingrassia e a scommettere sulla loro bravura, può essere a ragione ritenuto l’artefice del loro lancio e del conseguente successo cinematografico secondo i canoni classici della comicità della coppia. Tuttavia la loro incontenibile ed esplosiva verve avrebbe trovato probabilmente altri registi, altri sbocchi in grado di farla adeguatamente emergere. Piuttosto, sono proprio i tardi film fulciani che ci hanno lasciato un immagine più garbata e controllata – ma non snaturata – del duo. Come sottolineano Castellano e Nucci nel loro pionieristico e insuperato saggio sui Franchi e Ingrassia, caratteristica di questo tipo di cinema era la necessità di una tecnica essenziale, scarna, asservita alla valorizzazione delle gag imperniate sulla capacità d’improvvisare. Questo poteva essere garantito solo da registi artigiani che, consapevoli di non dovere (e potere) avanzare intrusive rivendicazioni “autoriali”, erano disposti a mettere al servizio del comico di turno il proprio mestiere. La perizia del regista, dunque, consisteva nell’intuire la bravura del comico e nel creare l’affiatamento necessario a consentirgli di esprimersi al meglio. Tuttavia, questo discorso, seppure valido in termini generali, ha proprio in Lucio Fulci un’eccezione. Il merito di Fulci fu quello di avere introdotto una rara attenzione e cura della tecnica in questo genere di pellicole - un “tocco d’autore” mai visto in precedenza - realizzando opere tecnicamente innovative, senza per questo “castrare” la naturale e spontanea vis comica di Franchi e Ingrassia. Al contrario, grazie anche ad alcune sceneggiature più articolate rispetto allo standard delle produzioni sul duo, Fulci seppe, probabilmente meglio di ogni altro, diluire con equilibrio il loro scatenato repertorio comico. E proprio questi aspetti consentono di distinguere i film diretti da Fulci nel calderone di prodotti della coppia di attori siciliani.
Ma i matrimoni, specie quelli duraturi, sono riusciti solo quando costi e benefici sono all’insegna della reciprocità. E Fulci, grazie ai due comici, riuscì a farsi la nomea di regista di cassetta, che gli consentirà di abbandonare i lidi della commedia e dirigere la rotta verso altri generi. Proprio grazie ai film con Franco e Ciccio, egli ebbe modo di farsi le ossa affinando il proprio linguaggio e le proprie capacità di metteur en scène. Un percorso propedeutico dunque, che consegna ai film successivi un regista nel pieno della maturità artistica ed espressiva. Pertanto, se Franchi e Ingrassia si sono giovati della collaborazione di Fulci – regista per loro sufficiente ma non necessario – in termini qualitativi, Fulci, asservendosi ai due comici – per lui necessari ma non sufficienti – ne ha guadagnato prevalentemente in termini quantitativi.

ULTIMO RIAVVICINAMENTO, IN TV

In realtà negli anni successivi, come spesso accade quando i grandi amori finiscono, vi furono dei ritorni di fiamma. Proprio come quando due amanti dei tempi che furono, amareggiati dalle altre esperienze della vita, si cercano, sapendo di potere sempre contare sull’altro. Nel ‘78 Fulci non navigava in buone acque. A seguito dei non eccelsi incassi dei film da lui diretti tra il ’75 e il ’77, il regista viveva – dopo 15 anni di assiduo lavoro e costante successo – un periodo di appannamento. Anche Franchi e Ingrassia, oramai dimenticati dal loro pubblico cinematografico, stentavano e i loro rapporti, al di là dei proclami sui quotidiani, erano profondamente logorati. Vi era stata tuttavia l’ennesima riunificazione per il piccolo schermo che nella stagione 1976-77 aveva prodotto risultati soddisfacenti (Due ragazzi incorreggibili, La granduchessa e i camerieri). Il riavvicinamento con Fulci avviene nel tentativo – fuori tempo massimo – di riproporre un’improbabile rentree sul grande schermo della coppia Franchi e Ingrassia con “I due figli di King Kong”, che secondo i tradizionali canoni della parodia cercava di sfruttare il recente successo del film scimmiesco di John Guillermin. Sebbene non se ne fece nulla, l’operazione servì a gettare le base per realizzare, uno dietro l’altro, due programmi televisivi che videro come protagonista il solo Franco. Il primo è Buonasera con… Franco Franchi; l’altro è il celebre Un uomo da ridere. La formula di Buonasera con… è ben collaudata: rivolto prevalentemente ad un pubblico di bambini, prevede che un celebre comico faccia da “contorno” alla proiezione di un cartone animato. Buonasera con… Franco Franchi fu girato a Milano a febbraio e marzo del ’78 e andò in onda nel maggio successivo su RAI 2 alle 18,45. Il comico siciliano la fa da padrone nel piccolo contenitore pre-serale: interpreta alcuni sketch, canta delle canzoni e divide la scena con i più celebri “Tom & Jerry”. Terminato questo lavoro “alimentare” con la consueta professionalità, Fulci, visto il buon esito della trasmissione, pensò bene di ideare uno sceneggiato che gli permettesse, da una parte, di cavalcare l’onda della rentrée di Franchi, e dall’altra di parlare di un mondo in cui era cresciuto e del quale conosceva molto bene leggi e segreti: quello dell’avanspettacolo e del cinema comico “popolare”. La collaborazione tra l’attore siciliano e il suo “vecchio” regista continuò dunque in un nuovo progetto – il titolo originario era Risate a crepapelle – a cui si unì lo sceneggiatore Mariuzzo, e che vide in prima istanza coinvolto, ma non accreditato, anche Marchesi – per quello che con tutta probabilità è il suo ultimo lavoro – che di lì a poco si ritirò dal progetto.

Un uomo da ridere, in sei puntate, prodotto nuovamente dalla RAI, è basato su un tema “classico”: raccontare la storia di un piccolo comico da avanspettacolo, il suo arco di vita oscillante tra alti e bassi, infine riscoperto dalla televisione. Ripercorre dunque, più o meno fedelmente, le tappe più salienti della carriera dello stesso Franchi: dagli esordi fino all’approdo a Cinecittà, in cerca di fortuna; poi, il periodo del successo ed infine quello del declino, in cui il comico rivive la propria vicenda umana e professionale e spiega sullo schermo le proprie “scelte di vita”. Franchi, come abbiamo detto, era da tempo lontano dal cinema: gli ultimi film del comico Paolo il freddo, Piedino il questurino, Farfallon nel ‘74, Il sogno di Zorro e Il sergente Rompiglioni diventa… caporale nel ‘75, erano sprofondati nelle zone più basse delle classifiche, lontani anni luce dagli incassi cui l’attore era abituato. L’avvento della pochade sexy aveva portato altri temi e nuovi protagonisti nella commedia all’italiana. Franchi, fedele alla fama di “comico per famiglie”, aveva rifiutato di interpretare parti che lo vedessero coinvolto in situazioni “non adatte ad un pubblico di minori”. La sua precedente interpretazione di Ultimo tango a Zagarol – si rammaricava – ne aveva in parte compromesso l’immagine, e l’errore non andava ripetuto.
Lo sceneggiato Un uomo da ridere non è scevro da difetti (in primis un'eccessiva dilatazione dei tempi narrativi e una mélange tra rivista e sceneggiato non sempre ben calibrato), ma presenta innumerevoli motivi di interesse. In questa sede è soprattutto da elogiare l’interpretazione di Franchi, qui davvero all’apice della sua maturità artistica, misurato e convincente, capace di far ridere e di commuovere, probabilmente ispirato dalla matrice autobiografica del racconto. Le vicende del protagonista sono commentate dall’alto del cielo. Lassù, tra le nuvole, zampetta nientemeno che Totò, in veste di nume ispiratore e santo protettore di Bianchi (alter ego tv di Franchi), interpretato dal sosia-controfigura di Totò Dino Valdi e doppiato – come in vita – da Carlo Croccolo. Il cast, molto ricco, annoverava pure Gloria Paul, Mario Merola e lo stesso Croccolo, nei panni del cialtronissimo regista Tony Boccea, con un chiaro riferimento al “leggendario” bad-director Tanio Boccia.
C’è giusto il tempo per un ultimo episodio a strascico polemico: Fulci dichiarò che il programma “Avanspettacolo”, dal duo messo in scena nel 1992 per RAI 3, ricalcava una sua idea di qualche anno prima per un programma mai realizzato: “Luci del varietà. Proposta di conferenza-spettacolo cultural-divertente sui varietà e/o sull’avanspettacolo”. Fulci intendeva coinvolgere proprio Franchi e Ingrassia nell’operazione e, di conseguenza, gliene aveva descritta la sinossi. Sentitosi tradito dal duo, minacciava di rivalersi nelle opportune sedi, ma i drammatici eventi occorsi durante la registrazione di “Avanspettacolo”, che portarono alla prematura scomparsa di Franchi, fecero passare in secondo piano tutti i rancori e i risentimenti. Proprio come quando due amanti dei tempi che furono, protagonisti di un lungo e straordinario viaggio fianco a fianco, riescono ancora a capirsi e perdonarsi.


(Per questo lavoro sono utilizzati i dati dell'Archivio informatico del cinema italiano dell'ANICA, gli stessi della SIAE, come risultano alla scadenza dei cinque anni di sfruttamento.
  Si noti, ad esempio, come nei due film interpretati in precedenza dal duo, Appuntamento ad Ischia e soprattutto ne L’onorata società, all’interno della coppia era Franchi ad essere il più furbo e Ingrassia il più tonto. Inoltre, è a partire da I due della legione che Franco e Ciccio fanno sistematicamente coincidere i loro nomi con quelli dei personaggi interpretati, secondo un’usanza che li accompagnerà per tutta la loro carriera.
  Una curiosità poco nota: in questo film la controfigura di Franchi è nientemeno che il direttore che il direttore della fotografia Bitto Albertini.
  Fonte per gli incassi delle città capozona: pubblicazioni ufficiali dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo.
   Come Veneri in collegio e Io uccido, tu uccidi.
  Gli attori Remo Germani e Alicia Brandet.
  Si fa qui riferimento ad aspetti di denuncia sociale “altri” rispetto a tutti quelli che possono essere ricondotti a tematiche caratterizzate da “sicilianità”, come antichi codici d’onore e fenomeni mafiosi, temi tra l’altro presenti fin dai tempi de L’onorata società, pellicola che subito dopo i titoli di testa recitava: “Questo film è un documento e un’accusa”.
  Per i dettagli si rimanda il lettore interessato a “Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci”, edizioni un Mondo a parte. Roma.
  “Vita e spettacolo di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia”, Liguori Editore, Napoli, 1982.
  Ad eccezione del film Due mafiosi contro Goldginger, del ’65, regia di Giorgio Simonelli, in cui le allusioni agli 007 movies erano più marcate e direttamente intuibili già a partire dal titolo della pellicola.
  Ciccio: “Sarai tu a fare funzionare il mio piano (…) io so dove è la bomba (…) perché prima non lo sapevo, ma ora me l’hai detto tu (…) Tu me l’hai detto perché adesso te lo dirò io, ma tu non devi dire che te l’ho detto io, quello che adesso ti dirò”. Franco: “Senta, a me della bomba atomica non me ne importa niente e poi se lo sa lei, lo sanno tutti quanti”. Ciccio: “Ma come faccio a saperlo se non lo sai tu? Io lo so in quanto lo sai tu, che lo saprai in quanto lo so io che lo so. Ma non si deve sapere che lo so, se non dopo che tu me lo avrai fatto sapere. È chiaro?” Franco: “Sì, ho capito. Lei non me l’ha detto perché io non glielo ho detto. Ma siccome lei lo ha detto, allora io lo so. Allora se io non lo sapessi, lei perché non lo sa? Lei non lo sa perché io non gliel’ho detto, perché se io gliel’avessi detto, lei lo avrebbe saputo. Ma siccome nessuno dei due lo sa, mi vuole dire che cosa io debbo sapere???”. Ciccio: “Bravo, finalmente hai capito!”
  Op. cit.)



APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO PAOLO ALBIERO
come seconda parte dell'approfondimento QUESTA VOLTA PARLIAMO DI... FRANCO E CICCIO  a cura di GEPPO

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commenti (2)

RISULTATI: DI 2
    Powerglide

    11 Giugno 2012 09:49

    Seconda parte eccellente come la prima.
    Grazie Paolo Albiero.
    Didda23

    24 Giugno 2012 02:47

    Veramente un articolo interessantissimo. Complimenti a Paolo