Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Ripescare il "franchising" di Final destination non è stata una brutta idea perché il film, nonostante una durata non brevissima, riesce a intrattenere, seppur le cause scatenanti siano forse ancora più improbabili di quelle viste in quasi tutti i predecessori. Però ci si diverte, le musiche sono azzeccate, gli effetti delle morti "spremuti" al massimo e anche il finale è simpatico.
Spy story di verace ambientazione veneziana, ben fotografata e musicata con gusto dal grande Lalo Schifrin. Le atmosfere misteriose in laguna sono il vero sale della pellicola, perché in realtà l'intreccio, come in tutti gli spy tratti da romanzi, ha qualche snodo fumoso e non ben chiarificato, oltre che qualche personaggio di troppo non ben presentato. La piacevolezza d'insieme fa comunque arrivare alla fine con piena soddisfazione. Vaughn è adatto alla parte, la fattura è corretta e la patina vintage non manca. Ritmo blando, azione misurata e ben condotta. *** d'incoraggiamento.
Un tempo erano dieci episodi, poi diventarono sette nella versione francese e infine sei in quella italiana, nella quale i comandamenti originari si sono ormai tramutati in generiche tentazioni. Una gradevolissima produzione che, nonostante i diversi registri, rimane comunque abbastanza omogenea grazie alle poche mani in pasta. Storie brevi, ma strutturate, tranne quella drammatica con Aznavour e Ventura, più diretta e convenzionale. Molto bene Fernandel che ci mostra il potere della suggestione e audace Delon, che rischia di essere “onorato” un po' troppo dalla madre naturale.
Durante la guerra una famiglia aristocratica dà ospitalità ad alcuni sfollati. Presa di coscienza e di come la paura provochi decisioni pavide nonché lucida analisi anche sul popolo (che crede ancora a qualcosa) e soccombe senza gloria. Nella prima parte i rampolli manifestano un nichilismo vanitoso che Maselli ribalta togliendo qualunque enfasi. Solo la storia d'amore ha un che di romanzato. La Bosé a tratti si imbruttisce e mantiene il ruolo di carica emotiva, anche se perdente. Conclusione altamente drammatica.
Dopo una discreta partenza, il film rallenta, s'incaglia e gira su sé stesso senza progredire. Nonostante la durata contenuta, non riesce a ritmare i passaggi di un intreccio che, seppur non memorabile, poteva essere dignitosamente interessante. Preferisce infatti sfociare in un freak-show ai limiti della parodia. Peccato, perché Rathbone ha la faccia giusta, così come Tamiroff eccelle nella sua mimica ironica di zingaro con tanto di orecchino e tirabaci. Purtroppo Chaney jr. e Lugosi sono relegati a macchiette. Il secondo, a pochi mesi dalla morte, fa particolarmente tenerezza.
A dispetto del fatto di essere uno dei road movie più celebri, si tratta di un film dalla scrittura men che mediocre, piena di incongruenze e soprattutto inverosimile nel tratteggio dei personaggi. Con il ragazzo che sopravvive a pallottole che gli arrivano da ogni dove, la ragazza del fast food che gli crede sulla parola contro tutte le apparenze; i Marshall totalmente inetti nel guidare e nello sparare e il cattivo che spunta da ogni dove e centra sempre il bersaglio. Di buono ci sono il ritmo e il fascino di Hauer, che però recita come un redivivo Roy Batty. Potabile, niente più.
Si parla di critica teatrale, nella Londra del 1934. E il più fulgido, inflessibile, orgoglioso rappresentante della categoria è Jimmy Eskine (McKellen, doppiato da Carlo Valli), che dalle colonne del Daily Chronicle da quasi mezzo secolo bacchetta attori e addetti ai lavori senza pietà arricchendo i suoi articoli di frasi tranchant. Nina Land (Arterton), attrice altrove ammirata, sa già che la sua ultima performance verrà presa di mira da un uomo che non le ha mai perdonato nulla. Sogna un giorno di poterlo convincere, ma intanto, quando quello prende posto in...Leggi tutto platea, lo guardano tutti con timore reverenziale, in attesa di sapere se... “intingerà la penna nell'arsenico”, come si chiede una spettatrice a rappresentazione conclusa.
La critica è feroce, come sempre, e al Chronicle qualcuno inizia a essere stanco di certi giudizi sprezzanti e in fin dei conti offensivi. Nina cerca di parlargli, lui l'affronta, insieme parlano: forse potrebbero avere l'uno bisogno dell'altro. Il perché ce lo spiega una trama che interseca tra loro le vicende di diversi personaggi che un po' artatamente costituiscono l'ossatura di un soggetto tutto sommato valido, ricavato da un romanzo ("Curtain Call" di Anthony Quinn, solo omonimo del grande attore) e si vede.
Le notazioni curiose, le relazioni che si stabiliscono tra figure che lentamente si scopre quanto siano interconnesse sembrano poter sortire ottimi risultati, ma la regia di Anand Tucker indugia troppo su un Ian McKellen che gigioneggia nel delineare il carattere oltremodo cinico del protagonista. Bravo, indubbiamente, calato bene nel personaggio eppure compassato quanto il film. Tra un disegno di maniera degli ambienti luccicanti e una fotografia patinata, il film si perde in riprese spesso didascaliche, che vorrebbero evocare grandi scenari ma non si distinguono dalla media corrente, non scadenti ma mai incisive, al punto che spesso il film rallenta eccessivamente e si sgonfia del tutto, senza mai tentare di far montare un briciolo di tensione per quanto potrebbe accadere, rifugiandosi in una messa in scena che sa da romanzo d'appendice, pur se nobilitata dalla qualità di un film che il suo budget ce l'ha.
THE CRITIC è melodrammatico in alcuni punti, piuttosto deludente nella resa della figura che si vorrebbe come partner d'eccezione: Gemma Arterton non sembra azzeccare granché la performance limitandosi al compitino, schiacciata dalla tracotanza di McKellen, che svela il tallone d'Achille del suo Jimmy Eskine quando al parco va a rimorchiare ragazzetti per soddisfare le proprie tendenze omosessuali sapendo di esporre in tal modo il fianco a possibili ricatti. Ma non è in quella direzione che il film si muove, concentrandosi invece sulle macchinazioni ordite dall'uomo per rientrare nei ranghi dopo un inatteso accantonamento dovuto ai suoi più volte segnalati, spregevoli eccessi nell'esercizio critico. Finale che scivola via senza sorprese per un film che si spegne lentamente, pur restando parzialmente godibile e curioso per il cinismo riprovevole di chi si sente comunque parte di un mondo che si comporta allo stesso modo da sempre.
Ennesima riproposizione dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie in chiave di gioco di ruolo che si trasforma (ma va!) in tragica realtà, con aggiunta di ampi spunti da SIGNORI, IL DELITTO E' SERVITO (vale a dire la resa cinematografica di "Cluedo", il celebre gioco da tavolo regolarmente citato nei dialoghi e pure nei nomi, visto che c'è un signor Green).
Davvero niente di più abusato, nel giallo su piccolo e grande schermo, e pure la soluzione è già vista e...Leggi tutto stravista. Ormai la tendenza è quella di trasformare il classico della Christie in variante sempre più incline allo scherzo o al gioco di società. Ecco allora che Mystery Island (niente più che l'isola immaginata nel romanzo della Christie) diventa la sede ideale per invitare chi paga (in gran parte sono persone interessate a investire o che hanno già investito in quel business) a vivere un intreccio giallo costruito appositamente per sfidare i partecipanti a indovinare l'assassino.
La baronessa Jane Alcott (Burrows), presenza fissa in molte edizioni distintasi negli anni per non aver mai azzeccato la soluzione corretta, è finalmente riuscita a invitare sull'isola, per una vacanza all'insegna del mistero, la sua amica Emilia Priestley (Henstridge), brillante psichiatra che lavora per la polizia e che lei è certa possa superare tutti risolvendo l'enigma ideato dagli autori. Ben presto siamo sul posto, dove le due donne sono accolte da un maggiordomo con l'occhio bendato che mostra loro la splendida villa annunciando che ci sarà a breve un omicidio. Il cadavere, però, scopriremo a sorpresa essere quello di John Murtaugh (Getman), il misteriosissimo proprietario della tenuta che nessuno immaginava potesse essere lì; e non c'è niente da scherzare perché non si tratta affatto della consueta messa in scena: l'uomo è morto davvero! Inutile dire che non sarà l'unica vittima e che spetterà soprattutto a Emilia, insieme al detective (Weber) giunto lì per capire cosa sia successo, indagare sullo strano caso.
Lentamente verranno alla luce ricatti, sotterfugi e tutto ciò che ci si aspetta in film simili, nei quali la fantasia è l'ultimo dei requisiti richiesti e ci si limita a elaborare una storiella che componga un giallo facile facile in grado di garantire in coda il suo piccolo colpo di scena. E anche se i sospettati sono meno di dieci, l'influenza della Christie è da subito pesantissima e palese. Purtroppo un cast debole, soprattutto nei due protagonisti (la psichiatra e il detective), toglie presto senso all'operazione: si tira avanti tra una rivelazione e l'altra in attesa che si sciolgano tutti i nodi e si arrivi velocemente alla classica riunione di gruppo in cui ai sopravvissuti verrà svelata la verità.
Un film televisivo che non fa nulla per nascondere la propria natura e che col cinema non ha quasi nulla a che spartire. Al di là della recitazione fiacca generale, è anche la regia a non saper rendere interessante alcun passaggio: sembra la pallida replica di una delle tante (piccole) variazioni sul tema, scritta anche con discreta competenza, misura e buon garbo, ma dalla resa inconsistente e anonima, priva di figure in grado di donarle personalità (difetto peraltro riscontrabile in quasi tutti questi stinti epigoni del classico christieiano). Gli si perdona qualcosa giusto perché di film televisivo si tratta, ma come sempre quando si affronta un gioco che muta in tragedia l'artificialità del tutto emerge scopertamente...
Qualità e difetti dei film di Dupieux sono quasi sempre gli stessi: all'attivo idee folgoranti, assolutamente geniali, gag improvvise che possono risultare esilaranti; in negativo non può invece non notarsi una pesantezza di fondo che si traduce in lunghe fasi di attesa solo di rado brillantemente affrontate e non si può pensare che la breve durata (anche questa volta non si raggiunge l'ora e venti) risolva il problema.
Qui siamo di fronte all'esasperazione (ma forse nemmeno troppo) dell'effetto metacinematografico: Dupieux sceglie come pretesto l'incontro...Leggi tutto tra un lui (con un amico) e una lei (col padre) rendendo consci loro (ma anche noi) del fatto che stanno recitando e che quindi nei dialoghi s'introducono suggerimenti su come pronunciare le battute, quali parole evitare per non incorrere nel politicamente scorretto e così via. Il film nel film, infatti, sarà nientemeno che il primo diretto da un'Intelligenza Artificiale, col regista ridotto a un avatar che comunica su sfondo bianco dallo schermo del pc. Già questo potrebbe essere un bel colpo di genio, ma il gioco che fa passare i protagonisti da una falsa realtà alla finzione vera e propria all'interno di uno stesso dialogo crea momenti effettivamente piuttosto stranianti.
David (Garrel) è il bel ragazzo che deve incontrare Florence (Seydoux) nonostante non la sopporti. Lei è innamoratissima, lui non la può vedere e per togliersela dalle scatole ha pensato di piazzarla a Willy (Quenard), amico un po' tonto che si fa chiamare Willy convinto che fosse il nome del simpatico ragazzino di IL MIO AMICO ARNOLD (mentre tutti sappiamo che quello è Arnold! Willis è il fratello). Florence, invece, arriverà all'incontro insieme a suo padre (Lindon), borioso attore orgogliosissimo di essere stato appena chiamato per recitare nel nuovo film di Paul Thomas Anderson. L'unico altro personaggio che si aggiunge ai quattro (ma non è una presenza indifferente, visto che è titolare del miglior tormentone del film) è Stéphane (Guillot), comparsa chiamata esclusivamente per servire il vino al ristorante dove siedono i quattro. Lo stress gli impedisce di versare senza spandere (la mano trema incessantemente) e la trovata è gestita nel migliore dei modi a testimonianza del grande spirito comico di Dupieux, che non sbaglia i tempi e sa azzeccare momenti a loro modo memorabili.
Quenard, già protagonista assoluto nel precedente YANNICK, è di nuovo simpaticamente fuori di testa e ha ottimi duetti soprattutto con Lindon, che mal sopporta il suo fare ingenuamente offensivo. Meno esplosiva la coppia "principale" composta da Garrel (poco più di una spalla per Quenard) e dalla Seydoux, cui invece spetterebbe il ruolo più autentico e vario, meno macchiettistico e ponderato. La riflessione sul metacinema non è certo nuova (meno che meno per Dupieux, che ci ha costruito sopra molti dei suoi film) ed è condotta senza trovate particolarmente rivoluzionarie. E' però spesso gustosa, aiutata da una recitazione impeccabile e in alcune parti spassosa. Peccato non aver saputo rendere sapidi anche certi scambi che diventano troppo interlocutori...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA