Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Le ultime settimane del professor Daniele Dominici, Orfeo dalle ali di cera risucchiato nell'imbuto di una Rimini brumosa e ostile, infida come molta della sua umanità. Fa eccezione, per quanto può, Vanina, della quale s'innamora. Film reso memorabile dalla spiralica e avvolgente fotografia di Di Palma e dalla musica di Nascimbene: la tromba di Ferguson, come il film, alterna strazio e malinconica dolcezza. Ottimi interpreti. Vistoso calo nella seconda parte che si involve nel melodramma convenzionale. Non uno dei migliori film di Zurlini ma apprezzabile. Non arriva a ***!.
Intrigo mediorientale sullo sfondo di contrasti petroliferi che fonde poliziesco e spionistico, dalla trama assurda come e più del solito e talmente esile che gli sceneggiatori hanno dovuto infarcirla di insulsi intermezzi umoristici e di scontatissimi siparietti sentimentali per raggiungere un metraggio al minimo sindacale. Diretto da un regista all'opera fin dagli anni '50 e interpretato da alcune presenze fisse del b-movie italico come Browne, Dori, Vargas e Ressel, ha al suo attivo unicamente una discreta fotografia e il fascino sensuale della bella Anita Sanders.
Shyamalan maneggia una sceneggiatura non proprio inconsueta, incentrata su un serial killer ricercatissimo dalla giustizia (ma sia ben chiaro che il tutto non viene trattato alla maniera dell'horror ma del thriller). Particolare la gestione della trama, che inizia quando un thriller anni '90 sarebbe alle scene finali e insolito che la trappola delle forze dell'ordine sia un concerto pop frivolissimo a cui il criminale accompagna sua figlia; in effetti la parte più interessante è questa, mentre la parte finale della resa dei conti ricorda tanti vecchi crime-thriller. Passabile.
Una buona fiction italiana, originale nella sceneggiatura e soprattutto nell'ambientazione a Bolzano che odora di thriller nordico. La coppia protagonista se la cava bene e l'indagine sul "Mostro" che miete vittime di origine tedesca risulta essere molto interessante. Martari è il migliore del cast e bene se la cava in parti come queste; non male la Radonicich. Gli episodi sono tutti interessanti e il finale mantiene alto il livello. Davvero buono, nel complesso.
Il film ha tutte le caratteristiche dell'action movie americano (compreso un gran numero di insopportabili battutine sistemate in momenti quando nella realtà un personaggio dovrebbe essere in piena ansia), ma in realtà sotto c'è di più. È uno splendido gioco psicologico, pieno di sorprese e con un ritmo irrefrenabile, girato magistralmente da Spike Lee, come spesso capita al regista afro-americano. Denzel Washington è di continuo coinvolto in ruoli simili, ma è perfetto per questi. Ottimo in generale il cast. L'aria dell'americanata c'è tutta, ma Spike Lee sa come farcelo dimenticare.
Cronenberg è questo, prendere o lasciare. Avrà anche raggiunto vette più elevate, dal punto di vista cerebro-immaginifico e visivo. Ma una cosa è certa, i suoi lavori hanno un chiara impronta non replicabile. Qui la sua immaginazione viene messa al servizio di una sorta di evoluzione adattiva (ad esempio, se c'è tanta plastica...), considerata, o nociva, o arte interiore, sensualità organica. Nel complesso funziona, grazie soprattutto ai due protagonisti, anche se alla fine sembra un po' perdersi, con una chiusa meno incisiva di quello che ci si poteva aspettare.
Paul Giamatti trova nel professore di storia antica di una scuola per ricchi rampolli uno dei ruoli migliori in carriera: irritante, inflessibile, cinico e lontano da ogni barlume di vera umanità, il suo Paul Hunham sembra inizialmente un personaggio caricaturale, una sorta di Scrooge che proprio per le vacanze di Natale ha l'incarico di sorvegliare i pochi ragazzi lasciati lì da genitori che per motivi diversi non se ne possono occupare. Tra di loro uno in particolare, Angus Tilly (Sessa), sembra stabilire con lui un legame particolare, destinato a evolvere in ciò che...Leggi tutto in fondo tutti ci si aspetta. Come se Paul si trasformasse in un Robin Williams chiamato a spiegare l'importanza della storia per una miglior comprensione del presente. Un processo difficile, complesso, ma percorso sul filo dell'ironia, con un Giamatti bravissimo a cogliere le sfumature di una sceneggiatura calibrata e davvero ben scritta, candidata non a caso all'Oscar come il suo protagonista (ma la statuetta la vincerà solo Da'Vine Joy Randolph nel ruolo, molto ben intrepretato, della cuoca della scuola).
Una volta partiti anche i pochi che condividevano con i due il periodo di vacanza, il burbero professore e l’alunno ribelle restano da soli con Mary, la cuoca, che rappresenta la figura meglio tratteggiata insieme a quella del protagonista. Paul è soprannominato dai suoi alunni "occhio sbilenco" per il suo strabismo a tratti inquietante: odiato da tutti per i giudizi eccessivamente severi che fanno infuriare genitori molto influenti, sente semplicemente di fare bene il proprio dovere, senza dover venire a patti con nessuno e scavando un fossato intorno a sé, ergendosi a monumento di una solitudine che condivide con Mary e Angus e diventa il vero tema intorno al quale è costruito il film.
Se la regia di Alexander Payne è attenta a muoversi secondo i canoni della dramedy americana di qualità, assistita da una fotografia elegante, una ricostruzione storica che ci riporta al 1970 senza stupire troppo ma lasciando intravedere buon gusto scenografico (riflesso anche nella ricerca di location ben scelte), è evidente come il maggior pregio risieda in una scrittura brillante, ricca di uno humour sottile e ficcante che in bocca a un Giamatti impeccabile acquista ulteriore incisività. Si ravvisa un po' di stanchezza in alcune parti, in qualche scena non necessaria o che viene tirata in lungo più del necessario e che nell'insieme fa pensare come la durata di oltre due ore e dieci potesse essere facilmente accorciata.
Non sono tantissime le sequenze all'altezza di quelle migliori, ma nel complesso è premiante l'organicità grazie alla quale il film mantiene una compattezza in grado di non far pesare le parti in eccesso. Mary, che ha perso il figlio in Vietnam, mostra una capacità ammirevole nel variare registro all'occorrenza delineando una figura dalla profonda umanità, sincera, che diventerà fondamentale nello smussare alcune spigolosità del carattere tetragono di Paul. Non altrettanto azzeccato il lavoro sul personaggio di Angus (né quello sui suoi compagni di "reclusione"), che comunque si fa spalla necessaria senza demeritare. Una colonna sonora mai invadente chiude il cerchio di un film molto gradevole, in molti passaggi (segnatamente quelli in cui compare Giamatti, è ovvio) piacevolissimo e maturo.
Presenza fissa di molti remake all'italiana, Riccardo Scamarcio non poteva mancare in questo rifacimento del film argentino I SEGRETI DEL SETTIMO PIANO, che ondeggiava tra dramma e thriller fino a raggiungere un riuscito finale con sorpresa chiamato a dare un po' di senso al tutto. Il film ha il pregio di non perdersi in spiegazioni inutili: l'italiano Pietro (Scamarcio) e l'americana Elena...Leggi tutto (Wallis) sono sul punto di divorziare. Sulle prime si crede (anche in ragione del titolo) che il motivo sia dovuto alla scomparsa in mare dei figli durante una gita di famiglia in barca, ma poi quelli rispuntano: era solo uno scherzo in un incipit un po' caotico che mescola le scene sull'acqua con quelle di fronte all'avvocato.
Se Pietro ed Elena vogliono divorziare non è perché i figli sono morti, come spesso capita al cinema, ma per ragioni a noi oscure che in fondo nessuno ha (giustamente) interesse a spiegarci. Conta poco, soprattutto rispetto a quello che sta per succedere. Una notte, mentre i piccoli Giovanni (Ferrante) e Bianca (Coletti) sono a casa di papà, scompaiono davvero nel nulla e Pietro, che deve dei soldi a usurai pronti a comprargli la bella masseria (siamo a Bari e dintorni) è convinto che il riscatto di centocinquantamila euro richiesto dai sequestratori sia opera loro. I soldi in ogni caso non li ha ed è costretto a chiederli a un vecchio amico (Gallo) arricchitosi con la vita da gangster. E se li avesse rapiti proprio lui i ragazzini, visto che - per dare il denaro a Pietro - gli chiede un "lavoretto" da classico corriere della droga?
Insomma, i sospetti non mancano e Scamarcio è pronto a tuffarsi nell'avventura mostrandosi turbato, costantemente teso e protagonista di un dramma a tinte fosche in cui la regia di Renato De Maria punta soprattutto a mantenere alti i ritmi. Ce la fa, perché il film fila, annovera buoni momenti e imprevisti che fanno capire come la sceneggiatura argentina di base fosse ben studiata ed è in aggiunta impreziosito da un bel lavoro sulle location baresi. D'accordo, nulla di nuovo né di particolarmente ben congegnato, ma Massimiliano Gallo provvede ad alzare un po' i toni con il suo boss criminale semipsicopatico solo apparentemente comprensivo regalando una bella dimensione noir alle scene in cui compare e Scamarcio, protagonista assoluto attorno al quale l'intero film è costruito, conferma di essere attore solido capace di dare la necessaria credibilità al suo personaggio.
Abbastanza discutibile la scelta (chissà se riconducibile al successo di ANATOMIA DI UNA CADUTA) di far parlare lui e Annabelle Wallis un po' in italiano un po' in inglese: si passa dal primo nei momenti rilassati al secondo in quelli più concitati, generando spesso una confusione linguistica non necessaria. Si evita per fortuna la tentazione di ribaltare ad ogni costo il finale con colpi di scena in successione che hanno quasi sempre il compito di rendere artificioso il tutto; si racconta una storia semplice con garbo e discreta gestione del materiale a disposizione. Un film che si segue con facilità e che ci lascia consapevolmente con un grande interrogativo prima dei titoli di coda. Attualmente usa così...
Un sequel che col primo capitolo condivide solo i quattro protagonisti inserendoli all’interno di un’avventura completamente diversa, ambientata in un “futuro distopico” (se vogliamo chiamarlo così) nel quale la tecnologia è scomparsa e si è tornati tutti poco felicemente all’analogico. Telefonini e internet non esistono più, sabotati da un’organizzazione...Leggi tutto internazionale capeggiata dal malvagio Muller (Lambert), propugnatore di un ritorno all’antico e aiutato da un gruppo di rivoluzionari composto da hacker e guerrieri pronti a reimmettere virus su virus non appena qualcuno cerca di ristabilire lo status quo ante.
Natan (Morelli) e i suoi amici finiscono in mezzo a questa guerra – molto sotterranea va detto, nel senso che noi vediamo giusto quattro gatti rivoluzionari e della fazione governativa quasi nessuno – mentre tentano invano di capire come sia possibile che internet sia scomparso d’improvviso. Chi ci ha rimesso è per l’appunto soprattutto Natan, influencer di mestiere, ma anche Guglielmo (Priello), Arturo (Esposito) e Oreste (Balsamo) hanno i loro motivi per voler ripristinare la rete. Captando un flebile segnale arrivano al quartier generale degli anti-progresso e, per non finire male, sono costretti a fingersi gli uomini mandati a loro da Muller. Da qui il via all’azione, con i nostri presto intercettati dalla polizia (rappresentata da Gallo e la Schiros) e chiamati a fare il doppio gioco.
Rispetto al numero uno c’è la voglia di inventare una storia un po’ diversa e, per quanto non certo nuova, l’idea del ritorno al mondo analogico sembrava poter favorire un buon numero di gag. Niente da fare invece: la realtà alternativa resta un mero pretesto per poche battute di scarsa levatura mentre il tutto volge in direzione del noir e dell’action, ovviamente senza dimenticare che il film è prima di tutto una commedia in salsa napoletana. Rumorosa però, sguaiata specialmente nelle parti che riguardano un Esposito che cerca appena può di alzare i toni forse perché accortosi che la sceneggiatura altrimenti il volo non lo spicca proprio; purtroppo peggiora le cose, anche se pure le frazioni sentimentali con Morelli e la bella Desirée Popper (la guerriera Zoe) non predispongono certo al meglio.
Lambert, rigido come non mai, si vede un attimo all’inizio e nel finale, in cui mentre prepara un gioco al massacro sulle note di “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri si becca una scarsa freddura su HIGHLANDER ed è costretto a riecheggiare prima il suo SUBWAY con una sfida a spadoni e poi addirittura l’altrui SHINING brandendo una scure da Jack Torrance. Sì, il film fila abbastanza, ma l’umorismo latita e a volte c’è quasi aria di improvvisazione, come se ci si fosse limitati a studiare qualche situazione buffa senza saper bene come gestirla. Confezione dignitosa, ma il livello generale resta basso e nessuno nel cast pare in grado qui di risollevarlo.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA