Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Impensabile film di Kanew, visto il prosieguo di carriera, in cui pare aspirare a realizzare una sorta di mattinata da Bergman all'americana. Di quelle tipo Sinfonia in autunno per intendersi, anche se come storia e protagonista (Holbrook in un ruolo per lui congeniale), dall'irreversibile esaurimento nervoso, e prostitute-pet of the month, siamo più dalle parti di Un mondo di marionette. Ma appunto, Kanew non è Bergman, e tra dialoghi pretenziosi, sentenziosità assortite, pessimismi familiari gratuiti ed esagerati, il film significa ben poco. Resta la patina di fascino vintage '70.
Una veloce rimestolata a tutti i topoi (ma proprio tutti) della serie, con il sapore indelebile della noia che continua a sopraffare il palato e il vano tentativo di tramortirci con ripetuti jumpscares che chiaramente non funziona perché non ce n’è uno che si elevi dalla routine più commerciale. Gli attori provano a stagliarsi sopra la mediocrità, ci riescono solo in confronto ad altre interpretazioni della serie. Siamo alle solite e il sottotitolo ce l’aveva detto, raffigurando perfettamente l’impalpabilità del girato. Loffio.
In vacanza premio dagli orrori della cultura tanto antica e sin troppo moderna, McLean si focalizza sulla natura in sé quale orrore supremo per l'ospite indesiderato, smarrendovisi a sua volta. La sua riedizione del libro della giungla tipografizza il disegno dal vero, il che dovrebbe vincolare al calappio dell'angoscia. Dovrebbe: ancillarmente cartolinesco, con uno sfaticato apparecchiamento tavola che fa passar la fame ed esiziali stop che sovrastano i pur muscolari go, non dice niente che da Boorman a Climati via Deodato il survival non abbia già ripetuto all'esaurimento scorte.
Benigni racconta a modo suo l'olocausto, non rinunciando alla sua caratteristica comicità toscana: nella prima parte si assiste a una discreta performance del protagonista, pur con qualche momento noioso, penalizzato da un'aria trasognata fasulla. Quando si entra nel clou, la narrazione è più intensa (notevole la camminata nella nebbia), anche se si poteva calcare più la mano sulla crudeltà del contesto evitando di utilizzare un lager e degli aguzzini così all'acqua di rose. Braschi imbambolata e monocorde; invece il bambino spalanca la bocca come se si trovasse in una pubblicità.
Nelle giuste mani registiche, il principato carcerario stradaiolo e delinquenziale di Edward Bunker potrebbe diventare un'arma di distruzione di massa. Il guaio è che eccettuando Grosbard il suo vivaio-mortaio letterario è finito palleggiato dalle mani più sbagliate e anche quelle di Buscemi non sfuggono alla bacchettata sulle nocche per aver imbalsamato le parche e sedato le furie, idrovorando quasi tutto l'oceano di disperazione amarezza e brutalità che esonda dalla radica bioletteraria. Restano un Dafoe erogatore di carisma e un irriconoscibile Rourke nel suo ruolo più grottesco.
Bel documentario nel quale uno dei protagonisti del film di Lina Wertmüller va a caccia degli altri ragazzi che erano stati protagonisti di quell'opera. Non a tutti è andata bene, ma soprattutto il film racconta con efficacia come dall'adolescenza all'età adulta la gente possa cambiare, come i sogni possano svanire. Il tutto con delicatezza e con una bella idea di cinema.
Shark-movie cinese di infima fattura, facilmente verificabile osservando gli effetti speciali digitali ai confini del cartoon a causa dei quali riesce veramente difficile costringersi a credere che quelli che vediamo goffamente muoversi nell'acqua siano squali bianchi.
Dopo un lungo prologo in cui praticamente si urla e basta mentre gli occupanti di una barca vengono attaccati da un grosso pescecane chiazzato di rosso, ci si sposta all'interno di uno spazioso acquario dove una bionda professoressa (inutile cercare di memorizzare i nomi, per noi occidentali) è stata chiamata...Leggi tutto per sovrintendere al solito esperimento genetico attuato su uno squalo bianco. Ci si è accorti che la razza è in via di estinzione e si tenta di tutto per permetterle di riprodursi. Gli si inoculano sottopelle geni di ogni tipo (compresi quelli di uno dei tizi in scena!) col risultato che alla povera bestia la pressione sale, il sangue aumenta, si coagula o chissà cosa e diventa rossa da scoppiare, con una resa esilarante (pare più un pesce rosso sovradimensionato) che già fa capire dove si sia finiti; impazzisce, divora i suoi simili chiamati lì come vittime e comincia frantumare le vetrate dell'acquario.
Il gruppo eterogeneo di persone che da dentro stava osservando il tutto comincia a scappare (intrappolandosi in un ascensore) e finalmente, dopo metà film passato a cianciare del nulla tentando vanamente di dare una connotazione credibile ai personaggi, comincia l'azione. Purtroppo penalizzata da effetti speciali ridicoli e scene girate sott'acqua che si vede palesemente come siano state pure quelle girate al green screen. Il titolare dell'esperimento svela le sue mire da mad doctor, suo fratello non fa che gridare “Bro! Bro! Bro!” centinaia di volte, il tecnico in camice delira e pigia bottoni a caso, le donne provano a darsi un contegno mentre una di loro si rende protagonista di una terribile love story totalmente fuori luogo, tutti corrono all'impazzata per i corridoi azzurri dell'acquario che costituisce l'unico (fintissimo) set del film. Questo in attesa di partire in barca verso il largo per tentare l'operazione recupero del pescecane stipato di sangue e riproporre di fatto la stessa scena che avevamo visto nel prologo.
Ha un senso tutto questo? Nella testa del regista probabilmente sì, in chi prova a seguire l'opera molto meno, e dal momento che pure gli attacchi dello squalo bianco-rosso si risolvono in una cgi evanescente priva di ogni solidità e sagome umane biancastre addentate senza che si capisca come, pure il divertimento dell'appassionato si fa minimo... Anche perché la recitazione generale è desolante e la sceneggiatura, quando appena prova ad abbozzare una storia, si limita a rimescolare gli usuali quattro concetti scientifici da sempre gettati nella mischia da chi si aggancia alla variante dell'esperimento genetico. Poverissimo, avvilente, nemmeno salvato da quella fotografia di lusso che si incontra con bella frequenza nel cinema asiatico. Poco più che amatoriale la resa, si attende di meglio... Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Questa volta De Matteo sale nella scala sociale e prende di petto l'alta borghesia, occupandosi non più di emarginati, disgraziati oberati dai debiti, giovani senz'arte né parte ma di chi i soldi li ha e vive bene; in una villa della campagna romana, per la precisione, in vacanza dalle tensioni della Capitale. Susanna (Guerritore), mentre torna in auto dal paese con Paola (Forte), nota lungo la statale una giovane prostituta (Larchenko) malmenata dal suo pappone. Schifata, riaccompagna l'amica a casa e torna non vista sul posto; nei pressi di un fiume vede la stessa ragazza...Leggi tutto di prima che, distrutta, vomita. Si impietosisce, realizza che non può accettare uno spettacolo del genere e convince suo marito a prelevare Nadia (così si chiama la prostituta) dal “posto di lavoro” per ospitarla da loro.
Prevedibilmente quella si ribella convinta che vogliano rapirla, poi però capisce che le intenzioni di Susanna e Alfredo sono le migliori e ringrazia. Teneramente si introduce nella vita della coppia e anche in quella del loro figlio (Germano), che poco dopo giunge lì insieme alla fidanzata (Myriam Catania) esibendo una giovialità e uno sprezzo delle convenzioni che si traduce in frequenti scontri (pur bonari) con i genitori.
De Matteo, che lascia scrivere la sceneggiatura alla fidata Valentina Ferlan, indaga i sentimenti della high class e il loro atruismo (solo di facciata?) scoprendone le ipocrisie ma riuscendo come nel suo stile a non svelare subito le carte, senza permettere che troppo si indovini persino del messaggio che ha intenzione di comunicare. Dirigendo al solito molto bene il cast, riesce nell'intento di dare il giusto spessore al suo lavoro senza indulgere nella macchietta o cadere nella trappola della superficialità. Con una Guerritore perfetta e un Catania impeccabile, che fa valere la sua militanza nella commedia infondendo preziosa ironia al suo scafato padre di famiglia, sa rendere credibile anche il personaggio per forza di cose più stereotipato ovvero quello di Nadia, alla quale la splendida Victoria Larchenko (che qualcuno ricorderà nei panni dell'adolescente che De Matteo stesso seduceva interpretando un padre coatto in ULTIMO STADIO) conferisce fragilità e dolcezza ma anche la necessaria risolutezza.
Lo sviluppo della storia, che non è da subito chiaro quale direzione voglia intrapredere (anche se, naturalmente, il titolo del film aiuta in questo senso), coinvolge, permette di entrare nei personaggi, capire con precisione quali siano i sentimenti che prova Susanna, in assoluto la figura più centrale. Un'operazione una volta di più matura, piacevole, magari con qualche divagazione di troppo e poco ficcante in alcune fasi (e un po' caricaturale nelle caratterizzazioni di Iaia Forte e Giorgio Gobbi, i due amici della coppia protagonista) ma gradevole e feroce come solo certo cinema di De Matteo sa essere. Non il suo film più rappresentativo né il più indimenticabile, ma un'altra buona prova sorretta da un cast all'altezza con un Germano che sembra gigioneggiare eccessivamente e invece centra con bravura anche lui il personaggio assegnatogli. Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Per la serie piattaforme pertrolifere con sorpresa, il prolifico filone dei killer sharks ci nasconde nell'uovo nientemeno che un megalodon, pescecanone preistorico gigantesco che solitamente ci si perita di nascondere in qualche pertugio irraggiungibile mai scalfito dai tempi dei sauri sciaguratamente riaperto da terremoti o colpevoli esplosioni. Qui no, il mostro sta lì senza un perché, giustificato solo da elementari leggende azteche. Siamo infatti in Messico e un ispettore della Nixon Oil (Lucas) arriva sul posto con la sua famigliola (moglie e due figli) per raggiungere la...Leggi tutto piattaforma dell'azienda, naturalmente piuttosto al largo. Lasciati a terra la donna (Urrejola) e i ragazzini (Ariel e Solórzano), lui parte benché nessuno voglia accompagnarlo. Parlano tutti di maledizione, di “Demonio negro” che si aggirerebbe in zona e a Paul tocca d'arrangiarsi da solo con una barchetta a motore.
Ad attenderlo sulla piattaforma “El diamante” unicamente un paio di tecnici messicani che gli parlano del massacro da poco operato dal Demonio del titolo, un megalodonte con poteri di suggestione delle menti (tragicamente trash la scena del miraggio)! Il resto della famigliola frattanto, avvicinata minacciosamente al bar da tre brutti ceffi minacciosi, fugge e prega un tizio di accompagnare pure loro alla piattaforma. Quello nicchia, poi accetta e permette loro di ricongiungersi al padre. Il tempo di salutare il gruppo per tornarsene a casa che lui e la sua barca vengono sparati in cielo dalla megabestia sotto gli occhi di tutti: una scena con salto fuori dall'acqua mica male, che sembrerebbe anzi promettere un bell'action d'impatto abile nel citare (pure col ralenti) una delle più spassose sequenze del classico di Castellari utilizzando effetti speciali al passo coi tempi. Purtroppo è un fuoco di paglia...
Una volta stabilita la piattaforma come unico set dell'azione, il film lascia spazio allo sparuto gruppo di protagonisti che poco può fare di fronte a una sceneggiatura di rara pochezza. Il megalodonte si limita a nuotare lento tra le strutture inabissate mentre noi ne osserviamo di tanto in tanto la sagoma, la pinna, un primo piano sul muso (il cui colore nero è se non altro insolito)... Il poco sostanzioso budget viene infatti impiegato per dare una confezione decente al tutto senza sfregiare la messa in scena con effetti dozzinali, tenendosi qualcosa per il finale e limitandosi per il resto a mostrare il minimo indispensabile.
Così, mentre di sopra si ciancia di ispezioni truccate e di antichi miti, si beve Tequila, si proteggono i più piccoli giocando la carta della disperazione generalizzata con la madre disperata e il padre Cuor di Leone, in mare si piazza qualche ripresa subacquea con mostro nascosto pronto a fare timidamente capolino in attesa che succeda qualcosa. Ma non succede nulla che non sarebbe in grado di immaginare chiunque senza sforzo, e così il lavoro comunque superiore rispetto agli shark movies di infima categoria viene gettato alle ortiche in un film scialbo, piatto, senza un perché in grado di farcelo ricordare rispetto ad altri e privo pure di quegli attacchi sanguinari che sono il sale del genere. Nonostante il profluvio di idoletti, altarini e statuine messicane sparsi un po' ovunque, perdipiù, potrebbe essere ambientato in qualsiasi luogo che poco cambierebbe. Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA