Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
L’insonnia del fondamentalismo prolife genera incroci mal riusciti tra cosplayer halloweeniani e simbolismi coatti (il superedipico aborto mancato). Benvenuti in casa Gory, dove l’hating imperversa imperterrito anche nel pieno del massacro one by one, solo spunto interessante di un cine-cliché che per il resto non è niente di sostanzialmente diverso sotto l’albero. Insomma, il solito pacco: cast che pare più spaventato dalla sceneggiatura che dal villain, slashering che fa il baciamano all’ordinario senza nemmeno essere granché emofiliaco o creativo. Non è tutt’oro quel che ozploita.
Sono almeno tre gli indizi che fanno di questo film un caso cinematografico e una prova di autenticità: la storia vera che ne sta alla base, la giovane età dei protagonisti, il cast preso nelle scuole e sulla strada. Ciò che ne fa Edel può apparire pedagogico, più che moralizzante, a tratti morboso, perfino disgustoso nel suo squallido iperrealismo, ma il suo unicum, rispetto ad altri tentativi, risiede proprio nello sbatterci in faccia la realtà dell'eroina senza filtri e compiacimenti. Una nera fiaba metropolitana nei cui tunnel bui gli orchi siamo noi e le vittime i nostri figli.
Film a due voci che poteva esaurire tutti i concetti in meno di un'ora e invece si allunga come un chewingum per due. Montesano cincischia monocorde intorno al medesimo tema appoggiandosi alla sua indolente romanità, mentre accanto a lui Philippe Leroy è ridotto a poco più di una figurina e Carotenuto è altrettanto poco sfruttato. Nella seconda parte Celentano fa il verso a Don Camillo in una rivisitazione ecologista e discotecara, bisticciando con il simil-Peppone Montagnani, sindaco del paese. Stanche situazioni riciclate e prive di idee. Noioso e svogliato.
Breve è il passo tra quid e un Quaid ormai destinato a sempiterna collateralità con l’eroe che nessuno si aspetta, che sanguina ma non soffre, che cade ma ride, con la determinazione del gladiatore e la tenerezza del poeta; ed è grazie a una sottrazione (l’impedimento a sentir dolore) che si crea moltiplicazione (un defibrillatore a tutto ampere per l’action-comedy demenzial-splatter). Berk e Olsen trasformano i popcorn in pillole psicotrope e lo schermo in un‘helzapoppiniana sala operatoria dell’assurdo. Un sisma dritto nell’epicentro dei riarsi terreni dell‘intrattenimento moderno.
Un capolavoro che fonde l’orrore classico con una visionaria profondità psicologica. Attraverso un’estetica gelida e inquietante, Wan orchestra un gioco di ombre e silenzi in cui l'inquietudine non è solo visiva, ma permea ogni strato narrativo. La scelta delle marionette, simbolo di controllo e passività, diventa il veicolo di una metafora spietata sulla paura e sull'alienazione. Un’opera che oscilla fra il demoniaco e l'intellettualmente stimolante, un incubo da cui non ci si risveglia facilmente.
L’inconscio cariato. L‘identità multidirezionalmente divaricata dal confondersi di ciò che sembra vero da ciò che sembra finto, di autocoscienza e aspettativa altrui. Il fantasma del passato sgravida il fan stalker del presente. Un’audacia concettuale che viaggia in tandem con Lynch ma anche lo precede, che indulge più del necessario quasi a volersi assicurare che l’antifona è abbacinante anche laddove forse non c’è antifona. Siamo insomma al potenziale più che alla sua piena realizzazione. Merita uno sguardo (magari con terzo occhio) ma non necessariamente acclamazioni sull‘attenti.
Ambiziosa opera di David Robert Mitchell (anche autore unico della sceneggiatura) che tenta in ogni modo di trascinarci in una dimensione sospesa dalla quale sembra impossibile sfuggire mentre ci si immedesima nello stranito protagonista, il disoccupato Sam (Garfiled), centro di gravità che esplora, in una Los Angeles quasi "aliena" (Silver Lake ne è uno dei quartieri), un mondo ricco di segreti da disvelare. Dalla sua camera con vista sulla piscina "condominiale" Sam osserva col binocolo la vicina seminuda in terrazza e si fa ammaliare dalla giovane Sara (Keough),...Leggi tutto che in costume si accorge di essere spiata e invita Sam a seguirla in camera. Non ci sarebbe nulla di male senonché la ragazza in breve scompare, lasciando dietro di sé solo un enigmatico simbolo dipinto sulla parete di casa.
E' l'inizio di un'avventura non convenzionale, che conduce Sam a sfolgoranti party mentre segue alcune ragazze che nota uscire dalla casa di Sara e che lo metteranno indirettamente in contatto anche con la figlia (Hernandez) di un ricco magnate a sua volta scomparso nel nulla e con altri personaggi bizzarri; primo tra tutti un complottista che lo illumina sui codici che una strana setta tutta da identificare nasconde in oggetti di grande consumo o tra i solchi dei dischi e che meriterebbero di essere decrittati. Sam raccoglierà l'eredità dello strampalato conoscente riuscendo nell'apparentemente ardua impresa di comprendere e mettere tra loro in collegamento i messaggi nascosti.
Una caccia che tuttavia si mescola fluida all'interno di una trama in cui a essere importante è anche la galleria di misteriose figure che si incontrano per via (resta impressa quella del compositore, interpretato da un Jeremy Bobb seppellito sotto un pesantissimo trucco che lo invecchia, autore a quanto pare di quasi tutti i grandi successi musicali degli ultimi sessant'anni). Con loro Sam scambia dialoghi non sempre del tutto comprensibili, mentre c'è comunque da restare soddisfatti dalla qualità della messa in scena, tesa a identificare un film tecnicamente valido, con qualche momento efficace (il bagno di notte con proiettili) ma anche molti altri in cui si ha la sensazione che si allunghi il brodo senza un perché, tanto che la durata superiore alle due ore appare decisamente esagerata.
In particolar modo l'ultima mezz'ora pare non finire mai, occupata da un verboso incontro che risponde parzialmente ad alcune domande rimaste in sospeso ma si dilunga nella spiegazione di ciò che non sembra poter importare molti e chiude decisamente male in un clima new age stucchevole. Anche il rapporto con le tante (belle) ragazze presenti sulla scena è impostato senza trasporto alcuno, riuscendo solo a tratti ad azzeccare la ricercata atmosfera misteriosa dal sapore vagamente lynchiano di cui il film vorrebbe essere permeato. Diverte la caccia ai codici nascosti, ma occupa una parte minoritaria della trama e non raggiunge soluzioni particolarmente eccitanti.
Il sequel di JAWS OF LOS ANGELES, uno dei più catastrofici shark movie di sempre, riesce a peggiorare ulteriormente le cose abbandonando persino quella lontanissima (diciamo praticamente nulla) parvenza di cinema che poteva catalogare il numero uno alla voce “film”. In comune ci sono una fotografia aberrante, qui resa disgustosa da un filtro ocra disturbante, e il grado zero a livello di tecnica sfoggiato in entrambi.
Si è comunque operata una cristologica moltiplicazione dei pesci che aumenta a dismisura...Leggi tutto il numero di squali presenti sulla scena e che li vede sfrecciare in volo esattamente come nel PIRANHA PAURA di Cameron. Purtroppo, in questo caso, gli effetti non sono di Giannetto De Rossi e la sua équipe ma di un fresco acquirente di Pc dotato di programmino 3D, il quale s'è impegnato a disegnare tanti squaletti in fretta e furia applicando poi un furioso copia e incolla per piazzarli un po' dovunque sullo schermo nei rari momenti di attacco. I pescecani volano orizzontalmente a velocità supersonica e se sei sulla loro traiettoria ti centrano in faccia facendotela rossa come se ti fossi preso una fortissima insolazione. Se qualcuno di loro ha tempo si stoppa d'improvviso e si sofferma per mangiucchiarti.
La trama (se così vogliamo chiamarla e considerando che nulla ha in comune con quella – altrettanto inesistente – del numero uno) mette al centro una presunta squadra di beach volley femminile composta da giovani parecchio in carne che zompano sulla sabbia con scarsa leggiadria, non dando esattamente l'impressione delle campionesse. Quanto accade loro ce lo racconta una del gruppo parlando (in macchina) al proprio video diario, spiegandoci come tutto fosse fantastico, prima della disgrazia. Erano tutte lì per divertirsi, cercare maschi, giocare sulla spiaggia, quando decine di squali volanti sono arrivati a guastare loro la festa.
A fare una brutta fine è dapprima l'allenatore – ricoverato in fin di vita con il viso arrossatissimo e sbattuto in terra dal passaggio di una mandria di squali in volo – quindi le ragazze, vittime di una fine non dissimile. La trama sta tutta qui, perché è difficile ad esempio far rientrare nella stessa un presunto pugile (passa il tempo in casa ad allenarsi tirando pugni all'aria al tempo di “The Final Countdown” in versione tarocca) che combatte gli squali volanti in spiaggia prendendoli a calci e pugni mentre puntano verso di lui: è probabilmente la scena più delirante dell'intero film, conclusa con un pescecanone gigantesco che gli piomba dalle nuvole sulla testa senza lasciargli scampo.
A riempire metraggio, poi, benché il film si arresti prima dell'ora lasciando spazio a interminabili titoli di coda che presentano tutti i personaggi (e relativi attori) come se avessimo notato che esistevano, ci pensa la nostra squadra di volley sovrappeso: tutte insieme a ballare lungamente in casa a più riprese a tempo di rap come nei più inutili video di TikTok. Salvare qualcosa in un simile guazzabuglio diventa impresa impossibile anche per il più incallito dei trashofili, mentre in chi guarda resta in testa un solo, inquietante interrogativo: cos'è quel gigantesco muso di squalo che a metà film, d'improvviso e dal nulla, ascende in cielo come una visione mistica, ruggendo paurosamente e spaventando gli astanti? I più inspiegabili sette secondi del film...
Il rapporto genitore-figlio continua ad essere centrale e dominante, nel cinema di Ivano De Matteo. Sofia (Francesconi) è figlia di una famiglia apparentemente integerrima come lo era Mia nel film con Leo, e come lei vive in un mondo che è lontano da quello di suo padre Piero (Accorsi), senza nemmeno desiderare che si possa trovare un terreno comune sul quale confrontarsi. Soprattutto ha un rapporto conflittuale con Chiara (Thony), la compagna di Piero subentrata alla madre morta. Per quanto quella provi a coltivare una relazione pacifica,...Leggi tutto a suo modo matura, Sofia punta allo scontro aperto: semplicemente non la sopporta; a lei non permette nemmeno di nominarla, sua madre, e se appena Chiara si avvicina tentando il dialogo, Sofia ringhia.
Un giorno, con Piero fuori casa, Sofia invita lì il suo ragazzo credendo di poter passare la serata da sola insieme con lui, ma Chiara è rimasta: non sta bene e promette di chiudersi in camera senza disturbare. Non basta: Sofia è furiosa e, durante un aperto diverbio in cucina, con movimento si suppone solo parzialmente involontario colpisce Chiara con il coltello, uccidendola. Lo shock è fortissimo. Piero torna e trova disteso sul pavimento il cadavere della compagna, Sofia è in stato catatonico e vaga in trance per la strada, dove la polizia la trova e la accompagna in Centrale.
Comincia la lunga fase in cui l'adolescente non dice una parola, subendo le decisioni di chi l'ha in cura e senza che il padre, col quale ha comunque sempre mantenuto un buon rapporto, abbia modo (né poi desiderio) di vederla. Mariella (Cescon), l'amica avvocatessa di Piero, accetta di occuparsi del processo; ma non è il processo, che il regista vuol raccontare. Di Matteo punta invece la lente soprattutto sulla vita di Sofia all'interno dell'istituto di correzione dove è reclusa e dove fatica a integrarsi, ancora vittima di una incapacità di “metabolizzare” quanto avvenuto. Le compagne di camera la scuotono senza porsi troppi problemi, ma quello che accade all'interno di un luogo che ha la forma precisa del carcere non sembra risultare granché significativo; la constatazione di una condizione inevitabilmente penalizzante è osservata con fin troppa neutralità, con spirito neorealista che non trova nella Francesconi (non per colpe sue) la sponda ideale per caricare il personaggio della necessaria centralità.
Quanto ad Accorsi, che si strugge in separata sede, non si va molto oltre l'ordinario, con l'unica vera intuizione rappresentata dal giudizio severissimo nei confronti della figlia, dal momento che la vittima era pure incinta. Un doppio binario condotto senza fantasia (non che fosse necessariamente richiesta) e scene poco capaci di veicolare un messaggio diverso da quello elementare che si può trarre dall'analisi dello stato dei fatti. Rispetto alla forza dirompente dimostrata dal regista in altre occasioni precedenti (non solo in MIA ma anche nell'eccellente I NOSTRI RAGAZZI, ancora una volta giocato sulla distanza tra genitori e figli), qui si smarriscono lungo la via gli ottimi spunti che potevano nascondersi in un'azione tanto imprevista e definitiva come l'omicidio, per sviluppare reazioni tutto sommato ordinarie e mai intriganti come si poteva sperare; mantenendo inalterata la maturità nell'approccio al tema ma restando piuttosto in superficie...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA