Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Salvatores si occupa dei problemi del meridione con una storia di quattro disoccupati che tengono due " ospiti" in un seggio elettorale. Il cast non è affatto male, ma il film fatica davvero a carburare e si riscatta solo verso la fine. All'inizio, forse troppa surreale, non si capisce dove "Sud" voglia andare a parare. Efficace Carpentieri, di maniera Catania, la Neri appare spaesata come Alberti non sembra essere sfruttato bene. Non il miglior Salvatores ma qualcosina c'è. Sufficienza pallida.
Uno smemorato alla ricerca del proprio passato in una sorta di thriller psicologico, gravido di inquietudini e misteri, in cui il noir abbraccia atmosfere surreali e oniriche, pescando a piene mani nella psiche e nei suoi meandri. Film labirintico ed errabondo nella perdita e rifrazione – esistenziale e spiazzante – dell’identità, che si segue con smarrimento e sorpresa. Segnato da un bianco e nero di forti contrasti e cupezze. Per certi versi hitchcockiano, per altri omerico come un’Odissea per luoghi e personaggi di una mitica realtà.
Quante variazioni genderswap ci sono state sull'Attrazione fatale di Lyne, tra cinema e televisione? Tante, troppe. Il belga Coppens, qui alla sua prima e ultima esperienza nel lungometraggio, va ad aggiungere l'ennesimo anello alla lunga catena, in una collezione di banalità resa ancor meno sopportabile dalla generale disarmonia formale: riprese fisse prolungate ben oltre il necessario, piani sequenza messi un po' a casaccio, silenzi soporiferi, dissolvenze in nero da TV-thriller della domenica pomeriggio. Wes Bentley è come sempre ben inserito nel ruolo di psicotico, ma non basta.
Uno scienziato è convinto che l’animo umano abbia due opposte connotazioni. Il soggetto, che dovrebbe prevedere la distinzione tra bene e male, è più focalizzato sulle pulsioni emotive. Jekyll è represso e innamorato, Hyde è semplicemente libero. Eccellente la prima trasformazione e la curiosità della prostituta per i modi grevi (di interesse psicologico). Il crescendo evita toni prettamente orrorifici e si concentra sulla prostrazione di chi ha perso il controllo; March riesce a distinguere il doppio ruolo egregiamente.
Gli uomini, che mascalzoni! Mannequin d’altri tempi in cerca di un posto al sole fanno esperienza con chi promette loro mari e monti. Col sottofondo di una musichetta capricciosa, si aprono storie qualunquistiche in cui la morale è facile da immaginare. Dialoghi da poco si alternano a siparietti pseudo-comici col risultato di far sorridere per le ingenuità raccontate. Finale tristemente edulcorato…
Irlandese denuncia un collega attivista. Soggetto decisamente cupo - sia per il periodo di povertà che per gli sgraditi ospiti inglesi - in cui Ford caratterizza i personaggi in una sorte di Passione divina. Sceneggiatura con gran bevute e indizi abbastanza chiari, con McLaglen in un ruolo cucito su misura e dnel quale può esprimere il malessere e il doppio gioco. Chiusura consolatoria figlia dei tempi. Ottima fotografia che spazia dagli ambienti nebbiosi al buio della detenzione.
Avventura per ragazzi in una Venezia dai tratti che si vorrebbero magici ma che tali possono apparire al massimo in qualche allucinazione del piccolo Bo (Harris), la mascotte del gruppo. Il fantastico subentra insomma soprattutto nell'ultima parte, con l'attivazione della "giostra", perché prima si racconta più che altro la storia di un gruppo di ragazzini guidati dal "Re dei ladri" del titolo, uno di loro che indossa una maschera veneziana (di quelle col naso lungo) e si procura oggetti preziosi da vendere a una sorta di laido ricettatore, tale Barbarossa...Leggi tutto (Sayle).
Tutti orfani (o presunti tali), i ragazzi sono accampati al Cinema Stella (che sarebbe poi il Teatro Italia, a Venezia, un tempo realmente esistente), dove organizzano di giorno in giorno il da farsi. Gli ultimi arrivati sono i due dai quali la vicenda prende le mosse, una coppia di fratelli che hanno da poco perso la madre e si sono trovati in orfanotrofio – nel caso del maggiore, Prosper (Taylor-Johnson) - o a vivere con la zia e lo zio (insopportabili) nel caso del piccolo Boniface (Harris). Una notte Prosper passa a prelevare Bo e insieme i due partono per Venezia, la città che la madre aveva loro magnificato a lungo e descritto come luogo incantato, popolato di creature leggendarie. E infatti, una volta arrivatici dopo un viaggio da clandestini, Bo comincia subito a vedere statue di leoni che si muovono, sirene nei canali...
Poi l'incontro con i ragazzi di Scipio (Weeks), il sedicente “re dei ladri”, e l'inserimento nel gruppo, all'interno del quale si svilupperà una solidarietà tra ragazzi necessaria per creare complicità con lo spettatore, inevitabilmente di pari età considerato il tipo di confezione, studiata proprio in funzione di una partecipazione attiva da parte di chi deve sentirsi coinvolto nell'azione. Che non manca, infatti, con l'inserimento nella storia di un detective privato (Carter) ingaggiato dalla zia (Boyd) per ritrovare i due ragazzini a Venezia (dove pure lei si recherà col marito).
Le riprese per la città evitano (salvo qualche ovvia scena a Piazza San Marco) di mostrare troppi scorci inflazionati andando in aggiunta a costruire, ad Amburgo, un particolare - e inesistente - angolo di Venezia (con due ponti affiancati) che verrà lungamente utilizzato soprattutto per le sequenze notturne. L'effetto è buono, mentre lascia un po' a desiderare la sceneggiatura, che nella caccia all'ala in legno di un leone individua il suo spunto alla GOONIES (da sempre, per il cinema dei giovanissimi, il modello di riferimento). La recitazione non è il punto di forza ma lo si poteva immaginare, con tanti ragazzini in scena; qualche adulto sopra le righe (Sayle in primis) e una certa difficoltà nell'esporre con chiarezza l'intreccio. Piacevolmente enfatica la colonna sonora, con stacchi epici che accompagnano alla Spielberg alcuni passaggi, ben studiate alcune riprese notturne che danno la misura di un lavoro comunque mai sciatto. L'ambientazione veneziana si presta a conferire una patina originale al tutto e, nei suoi chiari limiti, il film potrà anche appassionare il pubblico di riferimento.
Insopportabile, tediosa e presuntuosa commedia noir finto sofisticata che per tutto il tempo non fa che vivere di moine, scambi d'occhiate, look ricercati e di un Tim Roth attaccato alla bottiglia dalla prima all'ultima scena. Non è facile trovare un film in cui ogni tentativo di risultare simpatico s'infrange contro una barriera di leziosa artificiosità che rende ogni sequenza un concentrato di inutilità e di smancerie fini a se stesse.
La storia vorrebbe raccontare di due gangster in fuga da Londra, Harriet (Thurman) e Peter (Roth), che si rifugiano a Los...Leggi tutto Angeles nel tentativo di non farsi trovare, pur sapendo che presto o tardi la perfida Irina (Maggie Q) scoprirà dove sono. Intanto si ricongiungono a un loro vecchio sodale, Sydney (Fry), felicissimo di ritrovarli, il quale subito propone loro un affare intrallazzando nel contempo con Irina che, guarda un po', è segretamente innamorata di Harriet. Nel frattempo Peter ritrova a Los Angeles la sua vecchia fidanzata, Jackie (Eve), che ora sta insieme a Gabriel (Glover), regista di successo con cui vive in una lussuosissima villa. Invita lì Peter, il quale scopre che Jackie è in possesso di un preziosissimo anello che potrebbe proprio far caso a lui e Harriet, decisamente in bolletta.
Gabriel tuttavia non se la spassa solo con Jackie ma anche con la moglie Gina (Posey) e l'esuberante Vivien (Vergara), la quale non fa che ripetere di volerselo portare a letto... Un ménage a trois che dovrebbe movimentare l'azione ma genera invece ulteriore confusione in una trama pasticciatissima in cui le truffe non trovano spazio se non sullo sfondo di un caos indescrivibile. I minuti passano tra futilissimi dialoghi, un Gabriel che deve passare da una donna all'altra e una Harriet che è sempre in tiro, elegante e seducente, scambiata però da Jackie per una "sussurratrice di cani" (avrebbe cioè il compito di capire cosa vuol esprimere il cagnolino della giovane). Harriet - che pretende di farsi chiamare "comunicatrice di animali" - capisce che può divertirsi e finge di parlare a lungo con la bestiola, ma anche questo fa parte di un quadro generale desolante, che cerca di infilare battute senza disporre della competenza necessaria e si accontenta di descrivere un ambiente chic e pretenzioso nel tentativo di agganciare un genere che nemmeno si capisce quale voglia essere, a metà tra il pulp meno sguaiato e una sorta di parodia del noir del tutto velleitaria.
Osservare un cast di così grandi nomi finire alla deriva minuto dopo minuto non è gradevole, e lo è ancor meno sorbirsi in sequenza scene che non dicono assolutamente nulla, nelle quali Roth compare (pure spesso) giusto per farfugliare qualche parola e riattaccarsi alla bottiglia. Dura 95 minuti ma sembrano il doppio, con un lungo elenco di forzature e interpretazioni sopra le righe che contribuiscono a donare un'aria terribilmente fasulla all'insieme, sublimata nel momento in cui l'anello lanciato da molto lontano cade dall'alto giusto nel bicchiere della Thurman.
Tra i tanti triangoli sentimentali proposti al cinema, uno dei più insoliti. Eppure per nulla improbabile, perché da sempre l'amore prende direzioni autonome, non direzionabili a proprio piacimento. Qui Marc (Fourastier) vive con Suzanne (Bonnaire), una coinquilina deliziosa, charmant, dal sorriso radioso, ma non è interessato a lei: è omosessuale, e quando in piscina un altro ragazzo, Lucien (Blaine), salva Suzanne che si è sentita male mentre nuotava, se ne innamora; nello stesso momento in cui lui invece si innamora di Suzanne, che per chiudere il cerchio...Leggi tutto ha sempre guardato con interesse Marc. E' tutto sbagliato, insomma, un corto circuito non sanabile che si trascina generando imbarazzi, equivoci, lunghi silenzi da gestirsi non si sa come e che il regista Michael Béna (cameo hitchcockiano fuori dalla cabina telefonica da cui chiama Suzanne) drammatizza escludendo le musiche dal film, alla Rohmer.
I dialoghi si fanno quindi ancora più gravi, vicini alla realtà in quelle frasi spezzate che si perdono in uno spazio sospeso, lo stesso che divide i protagonisti e che trovano in Marc la figura che meglio di tutti incarna quel non saper come rapportarsi a un mondo che non capisce e non lo capisce, che lo porta a piangere sotto la doccia confondendo le sue lacrime nell'acqua, che cerca conforto in Suzanne senza però stabilire troppo un legame che possa definirsi importante nemmeno con lei. Lucien pare meno contorto nei suoi ragionamenti, ma non riesce a far breccia in Suzanne, che pure non lo respinge mai se non quando le avance si fanno troppo insistenti arrivando troppo oltre.
C'è poi la voglia di cambiare posto, città, la fuga in direzione di qualcosa che possa cancellare radici fragili, infelici. C'è una complessità psicologica che non può non rispecchiare quella del suo autore, regista di qualità alla sua unica prova dietro la macchina da presa (morirà di Aids di lì a poco), già inevitabilmente alle prese con un dolore e una consapevolezza dati dalla propria condizione. Ne è uscito un film rarefatto, impalpabile, delicato, che però, da una situazione di stallo che non trova sbocchi, non riesce a progredire per raggiungere una concretezza che gli darebbe una forma decisa.
La presenza di personaggi esterni non ben inquadrati nel quadro generale (a cominciare da Clothilde, l'amica di Suzanne) lasciano aperte tutte le porte senza arrivare a chiuderne nessuna nel consueto finale aperto alla francese, che ti arriva lì d'improvviso, come un passaggio a livello che passato il treno non s'alza più, senza una ragione. Lasciandoti a ripensare a quei tre, alla forza di scene indubbiamente azzeccate lasciate a bagno in un liquido che muove tutto con scarsa decisione, magari proprio come l'acqua di quella piscina che diventa l'unica valvola di sfogo per tutti e tre, momento di riunione che per qualche minuto scaccia una solitudine opprimente, mista a una tristezza ineludibile. Però poi, quando manca una storia e tutto verte all'indefinito, non è facile proseguire fino alla fine, nemmeno se la durata si contiene sotto l'ora e mezza (titoli di testa e coda compresi)...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA