Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Comica abbastanza divertente nello svolgimento, grazie al solito canovaccio rodato della mitica coppia, qui ben spalleggiata dalla buffa risata di lord Venvel e dai suoi bigliettini da visita contro la storpiatura del suo cognome. Però alla lunga la vicenda en travesti (specie quella di Stanlio, che deve fungere sia da maggiordomo che da cameriera) risulta un po' ripetitiva, per non parlare del tristissimo finale, di una sciocchezza disarmante, che affossa definitivamente un corto decisamente sopravvalutato.
Rispetto al racconto breve, "The Adventure of the Western Star" aggiunge più dettagli e sottotrame, ma perde in ritmo. Se da un lato il testo originale era troppo rapido e poco sviluppato, qui la soluzione del caso diventa prevedibile troppo presto, togliendo suspense. A rendere l’episodio piacevole restano solo i momenti comici legati al capitano Hastings e alle eccentricità di Poirot, che regalano un po’ di leggerezza a una trama altrimenti debole.
Action thriller con demoni e angeli, a metà tra L'alieno e L'ultima profezia. L'elemento horror è assente ingiustificato, tanto più che il demone guida non trova di meglio che palesarsi sotto le carnascialesche sembianze della mietitrice nerovestita e incappucciata. Povero di budget e di sceneggiatura, si lascia seguire senza far nulla per mascherare i propri vizi/difetti. Irredento.
Uno dei primi mondo-movie della storia del cinema, in cui però il tasso documentaristico è ben più alto dei film di genere che verranno. Il tema qui è l'Africa e, sebbene un po' di cinismo non manchi, c'è un certo rigore (non c'è alcun compiacimento nella voce fuori campo) e la voglia di mostrare il continente nero nei suoi usi, costumi e contraddizioni. Ci si sofferma soprattutto sui pigmei, ma qua e là c'è spazio per aspetti più "banali" quali la fauna locale. Non mancano le parti shock che in futuro diventeranno la regola. Un filino lungo, ma non ci si annoia.
Andrea del Boca, nei panni di una giovane ragazza che si deve sottoporre a una delicata operazione chirurgica che può costarle la vita. Supportata dai genitori, dallo zio e dal ragazzo della sua sorellastra, che finisce per innamorarsi di lei, Andrea cresce, ma continua a farci piangere. Il fatto è che, però, qui i momenti di tristezza sono troppi. Andrea del Boca sarà anche un'ex-bambina prodigio, ma neanche la sua bravura, pure qui riconfermata, riesce a far apprezzare del tutto la pesantezza del tema trattato. Forse era meglio farne un film unico e diretto.
Ciò che era abbastanza nero ora è molto, molto più nero, nel secondo film dei "D'Innocenzo brothers". Solo che bisogna "sopravvivere" a un fastidioso romanesco sbiascicato e, soprattutto, al rumore di cicale ininterrotto, che quasi sembrano essere nel televisore, tanto è imponente e disturbante. A parte ciò, il finale è da urlo, il che in parte aggiusta il tiro per un corretto ed equilibrato giudizio, il quale non può non essere insufficiente, confermando il buon talento dei fratelli registi che, in ogni modo, danno una lettura trasversale al "nero" che ci circonda.
Una versione alternativa del "Canto di Natale" di Dickens (da sempre uno dei testi più utilizzati al cinema dagli americani) che David Zucker dirige imbarcandosi in un'operazione sulla carta curiosa ma all'atto pratico piuttosto insignificante. Portando subito in scena Leslie Nielsen nei panni del nonno che racconta la sua storia a un gruppo di bambini, il regista si riappropria di un attore feticcio che con la sua sola presenza indica il genere, quella commedia demenziale che, negli Ottanta e Novanta, Nielsen ha dominato senza rivali, spesso proprio grazie a Zucker. ...Leggi tutto Seduto al tavolino in un giardino dove si sta celebrando la festa del 4 luglio, il caro nonnino annuncia che racconterà la storia di Scrooge, ma non quella che tutti conoscono. Il suo Scrooge è un regista americano di documentari che non ci vuole molto a identificare in Michael Moore, qui impersonato da un piuttosto somigliante Kevin Farley. Un gruppo di terroristi afghani comandati dal perfido Aziz (Davi), alla ricerca di qualcuno che possa dirigere un vero film propagandistico per la jihad, capisce che c'è bisogno della professionalità degli statunitensi, per realizzare un prodotto davvero efficace. Per questo sbarcano in America e individuano nel regista controcorrente Michael Malone, sempre pronto a girare documentari antiamericani, la persona giusta. Lo contattano a un festival, dove è appena stato premiato, per offrirgli dieci milioni di dollari. Malone accetta, anche perché sta in quel momento cercando di boicottare proprio la festa dell'indipendenza americana (il 4 luglio).
Ben presto tuttavia – per fargli capire quanto stia sbagliando - compariranno sulla strada di Malone i tre fantasmi ben noti a chi conosce la favola di Scrooge; solo che questa volta, annunciati addirittura dal presidente John Kennedy (che esce davanti agli occhi del protagonista dal televisore durante un vecchio filmato in cui faceva un discorso alla nazione), hanno sembianze ben diverse dal consueto: il primo è il Generale Patton (Grammer), che mostrerà a Malone un'America ancora in preda alla schiavitù, il secondo nientemento che George Washington (Voight) e il terzo l'Angelo della Morte (Adkins), che lo traghetterà in un futuro dominato dagli islamici (buffa la pubblicità di Victoria's secret rifatta come Victoria's burka).
Il tutto per far "rinsavire" Malone/Moore e fargli comprendere come attaccare l'America significhi stare dalla parte sbagliata. Un messaggio - per come è messo in scena - piuttosto reazionario, si dirà, ma l'approccio resta goliardico, disincantato e comunque "scorretto", con un prologo iniziale in Afghanistan che rappresenta la parte più genuinamente legata al demenziale di casa Zucker e che prometteva molto meglio. La presa in giro dei “martiri” della jihad ha punte di black humour azzeccate, mentre quando ci si sposta in America il tutto assume l'apparenza di un attacco forte e facile a Moore e ai suoi documentari "di sinistra". Malone viene descritto come un qualunquista che punta solo a distruggere ogni valore americano e per contro a glorificare Cuba e il comunismo. Certo, lo si fa esagerando come sempre, ma l'idea che si voglia dare comunque una lezione di patriottismo si fa strada eccome.
Purtroppo il procedere caotico, sconclusionato del film, con scene di massa confuse e camei illustri (ci sono anche Dennis Hopper, un sempre simpatico James Woods come agente di Malone, Kevin Sorbo e Paris Hilton sul palco del festival e addirittura Gary Coleman/Arnold, presente giusto per una gag), difficilmente strappa il sorriso. Nonostante il film sia buffo, bizzarro e a tratti pure geniale, tende a riproporre sempre la medesima situazione, con la controfigura volgare di Moore chiamata a riflettere in modo puerile sull'ovvia superficialità delle sue invettive contro l'american way of life.
Si è sempre sostenuto che la qualità della democrazia, negli Stati Uniti, si vede anche da come permette ai giornalisti di attaccare il potere costituito senza guardare in faccia nessuno; le rivelazioni sul carcere di Abu Ghraib, per esempio, non a caso portate alla luce dalla stessa Mary Mapes qui protagonista, ne sono una delle tante dimostrazioni. Non si pensi, tuttavia, che condurre un'inchiesta sul presidente in carica - nello specifico George W. Bush jr. - possa risultare priva di ostacoli. Le insidie si nascondono in ogni passaggio di notizie, gli avvocati sul piede di...Leggi tutto guerra non aspettano altro che demolire ogni indizio... E Mary Mapes (Blanchett), la produttrice del programma giornalistico "60 Minutes", alla CBS, lo sa bene, quando decide che la nuova stagione aprirà con un'indagine che riguarda proprio Bush.
Siamo nel 2004, durante i mesi che precedono le elezioni poi rivinte da Bush, e alcune testimonianze certificherebbero che agli inizi dei Settanta il futuro presidente venne arruolato nella Guardia Nazionale - evitando così di partire per il Vietnam - grazie a influenti raccomandazioni. In aggiunta ci sarebbe poi da scoprire quali agganci abbia avuto addirittura con proprietà di Osama Bin Laden. Intrecci da chiarire e materiale scottante su cui Mary e il suo team (all'interno del quale si riconosce Dennis Quaid) affonderanno le mani riuscendo a trovare un documento (glielo fornirà un quasi irriconoscibile Stacy Keach) che si rivelerà piuttosto controverso, scritto a macchina, al tempo, da chi denunciò velatamente l'assenteismo di Bush jr. rispetto ai suoi obblighi nella Guardia Nazionale. E' sull'autenticità tutta da stabilire di questo fondamentale foglio di carta che si giocherà l'intera partita, con Mary in trincea costretta a rispondere alle accuse di chi sostiene sia un falso. Al suo fianco un monumento del giornalismo come Dan Rather (Redford), il quale ha preso a cuore il caso e si occuperà di intervistare chi di dovere per preparare le puntate alla base della nuova stagione di "60 Minutes".
In apparenza uno dei tanti film che Hollywood ciclicamente sforna per raccontare dall'interno il competitivo mondo dei media (televisione in primis), se ne differenzia soprattutto in virtù di un finale insolito, lontano dal trionfalismo imperante nel genere, portando a riflettere sulle zone d'ombra della giustizia. I toni utilizzati sono invece quelli consueti: grazie a una regia e un montaggio concitati - sorretti dall'interpretazione impeccabile della Blanchett, che vi si adegua nel migliore dei modi - la tensione si mantiene alta agganciando, all'elemento focale (il documento), altri filoni d'indagine che arricchiscono la storia.
Nessuno spazio o quasi viene riservato al privato dei protagonisti: l'attenzione è costantemente rivolta alle indagini, alle interviste, a tutto ciò che ruota intorno a un'inchiesta televisiva di grande rilevanza che implica il coinvolgimento di alte personalità, ufficiali e militari. La figura di Rather, che Redford restituisce con l'abituale, impareggiabile classe, è meno centrale di quanto si possa pensare e serve per conferire "di sponda" spessore umano a una protagonista totalmente dedita alla professione. Forse l'argomento e l'ambito in cui ci si muove possono risultare non troppo coinvolgenti, per chi non è americano e poco conosce la politica di quegli anni, ma resta lodevole l'impegno con il quale si mette in scena una vicenda esemplare, illuminante per come descrive le dinamiche più comuni legate alle sfide giudiziarie, non necessariamente concluse come al cinema tutti si aspettano. La convenzionalità dell'approccio non deve distogliere da un'impostazione tesa invece a nascondervi conclusioni e spunti tutt'altro che banali.
Dei tanti film a sketch che verso la fine dei Settanta si divertivano a prendere in giro icone cinematografiche, film, personaggi televisivi, programmi et similia, magari riuscendo a ingaggiare uno o più nomi riconoscibili (spesso qualcuno tra i volti noti del "Saturday Night Live"), LOOSE SHOES è tra i meno riusciti, poverissimo di gag e di idee. Naturalmente, sparando nel mucchio, qualcosa di discreto esce fuori, ma decisamente poco a fronte di troppi sketch insignificanti.
La base da parodiare in questo caso è il cinema, con una serie di falsi trailer (il...Leggi tutto film non a caso è anche conosciuto col titolo di COMING ATTRACTIONS) come nella miglior tradizione del genere, che ancora Tarantino e Rodriguez sapranno elevare a stile nel loro GRINDHOUSE. Qui molti vuoti si riempiono con le canzoni, anch'esse del tutto anonime. Il successo di RIDERE PER RIDERE dell'anno precedente aveva rilanciato questo tipo di film tipicamente americani, ma con ben altre trovate... Qui si parte con la “vera” storia di Howard Huge (discreto biopic di un personaggio a dir poco strampalato) e si continua con SKATEBOARDERS FROM HELL, parodia dei bikers movie simpatica nelle intenzioni ma fiacca nella resa finale, con uno spirito politicamente scorretto fine a se stesso. Troppo lunga, come al contrario è forse troppo breve THE INVASION OF THE PENIS SNATCHERS, in cui un uomo al bagno cerca per un po' il suo pene nei pantaloni del pigiama per accorgersi di un qualche orrore che verrà ripetuto. Gli ultracorpi tornano utili solo per il buffo titolo, ma poi...
La parodia del carcerario si esplicita in THREE CHAIRS FOR LEFTY, in cui Lefty è un giovanissimo Bill Murray nei panni di un condannato a morte in attesa di elettrocuzione. Un po' di show da parte di quella che diventerà in futuro una grande star, che qui tuttavia si limita a seguire il copione senza poter dire granché di divertente. La durata dello sketch (ben sette minuti) è delle più consistenti, ma le gag scarseggiano, così come nella successiva ripresa di un qualsiasi film di Woody Allen con un suo sosia protagonista. Il primo colpo di genio (relativo, s'intende) arriva con THE MAGIC AND MYSTERY OF THE GOBI, durante il quale si raccontano le bellezze del deserto asiatico mostrando famiglie accampate con l'ombrellone e il pallone come in una qualsiasi spiaggia, ma con a due passi carcasse di pellegrini arrostiti dal sole.
Da dimenticare il break pubblicitario sull'organizzazione STOP IT, al quale segue uno spassoso messaggio di un cinema che assicura di prendersi cura dei nostri figli per le vacanze chiudendoli tutto il giorno in sala e "assistendoli" a colpi di film e Coca Cola! La dimostrazione di come a volte non servano le immagini, per divertire! Lungo e tedioso lo spazio lasciato a un cagnolone live action della Disney (THE SHAGGY STUDIO THIEF) e un po' meglio A VISIT WITH MA AND PA (ma solo nel finale, il resto è terribile), con un contadino proprietario di un maiale parlante che si divertirà alle sue spalle. Poco centrata la parodia in bianco e nero e muta (con didascalie) di Charlot, suddivisa in molte scene con “monello” annesso e pure quella (SCUFFED SHOES) con le scarpine danzanti indossate dal presentatore del balletto causa morte della proprietaria delle stesse (un'idea che riprenderà Villaggio in più di un suo film).
Ancora interminabile e scadente la parentesi del corrispondente di guerra con qualche scena sul fronte, già meglio la parodia spaghetti western di A FISTFUL OF SOMETHING (“Per un pugno di qualcosa”, avremmo tradotto in Italia), con il solito uomo venuto dal nulla che arriva nel paese di Bad Pasta (notevole!) in Arizona trovandovi gruppi di indiani (ma di quelli col turbante, però!) e pure un collega cieco (il regista del film Ira Miller). Scarsa l'avventura di una strana coppia nel paese dove tutti ti trattano bene e al contrario spassosa quella dei Pon pon boys, bellocci da esibizione utilizzati come macchine del sesso.
La chiusura, prima di un'estesa esibizione musicale di nessuna utilità, è lasciata a BILLY JERK GOES TO OZ, divertita presa in giro del MAGO DI OZ, con lo spaventapasseri e... un nano. Sarebbe un discreto modo di chiudere, se non si fosse lasciata l'incombenza alla citata performance musicale, chiaro riempitivo che neanche l'Aida di ARRAPAHO... Insomma, qualcosa di buono si trova, ma mediamente si vola bassi anche per raggiungere i risultati di altri film simili, non rinomati quanto il classico di Landis. Sul tema, insomma, meglio rivolgersi a lavori precedenti come THE GROOVE TUBE, in cui si notava ben altro impegno in fase di scrittura. Qui il budget è ridottissimo e si vede...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA