Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Nessun Merlino al timone di questo "vasel", che di dantesca memoria ha solo procelle e sciagure d'ogni forgia. Infatti al meteo infausto si aggiungono la fame di soldi dei nazisti e quella di sangue degli "strigoi", creature simili ad atavici vampiri. Il clima è claustrofobico al punto giusto e la seconda parte è tanto tesa quanto imbrattata di rosso. I mostri parlano con aulici riferimenti soprannaturali, financo citando deità e il contagio si propaga lesto sino all'epilogo (prevedibile anzi che no). Buona esperienza cinefila per completisti e curiosi di genere.
Ex-carcerato nero dal passato violento passa le giornate a cercare lavoro e aiutare gli amici del suo malfamato quartiere, a volte usando le maniere forti. Valido redemption-movie metropolitano retto quasi totalmente sull'ottima performance di Fishburne, antieroico ritratto di fragilità e saggezza, durezza e umanità. La struttura novellistica dello script mostra certi limiti, tra episodi intensi e altri più banali, ma va lodata la costanza tonale di una narrazione che ripudia la facile retorica e conserva fino in fondo una ruvida genuinità, non comune per un'opera televisiva. Buono.
Come in altre occasioni, Cohl mischia materiale girato con attori ad altro realizzato con la tecnica del disegno animato; purtroppo il risultato finale non suscita grande interesse. La prima parte presenta due strambi suonatori che si cimentano con alcuni brani musicali; una volta finita la loro esibizione, il protagonista va a dormire e "sogna", iniziando la parte animata in cui persone si trasformano in vari strumenti. Questa parte mostra la fantasia dell'autore, che però nulla aggiunge rispetto a quanto visto in altri lavori.
L'idea dei lupi mannari bikers, seppur non nuova, poteva essere stuzzicante, ma questo piccolo film è fiacco. Gli stereotipi della vita su due ruote ci sono tutti: birra, risse, Harley Davidson, topless, tatuaggi, ma le chiacchiere in questo piccolo emulo del cinema rodrigueziano sono davvero troppe, mentre i licantropi si vedono pochissimo. I costumi, seppur evidenti, sono almeno decenti, ma le trasformazioni digitali da uomo/donna a lupo e viceversa sono sbrigativamente risolte col morphing. Salvabile solo la sottotrama di Lucella e del legame tra contagiatore e nuovo lupacchiotto.
Commedia abbastanza riuscita. Sicuramente non manca di brio e di verve. Intrattiene. Scorrevole. Divertente, anche se tutte le gag e i personaggi non risultano riusciti. La storia nel finale non appare più lineare. Jason Bateman perfetto per questo tipo di commedia. Meno Rachel McAdams. Mediocre la colonna sonora. Davvero brutto il titolo in italiano. Merita una visione.
Nobili in bolletta sono costretti a imparentarsi con dei plebei per ripianare i conti familiari. Un soggetto sfruttatissimo che s'incanala verso le solite contrapposizioni classiste caricaturate dai relativi cliché. Essendo una farsa, lo sconfinare nell'inverosimile sarebbe pure un peccato veniale, ma con qualche accortezza in più lo si poteva evitare. I problemi maggiori sono infatti da individuare nella prevedibilità e nella ripetitività, dovute al fatto che ci si tende ad appiattire sulla verve comica di Montesano. Un cast di livello ingaggiato per una storia a fondo piatto.
Reese (Vass) presenta sua moglie Mallory (Sursok) a un gruppo di amici invitati per l'occasione a casa: la poveretta è reduce dall'ennesimo ictus con conseguente amnesia e cerca di rimettersi in carreggiata; lavora come organizzatrice di eventi insieme all'amica (Kahlon) e ha bisogno che qualcuno la aiuti a trovare qualche cliente. E' dura, per Mallory, ricomporre una memoria frantumata. Sa solo di avere un marito che la ama e un figlio, Billy (Dacosta), per il quale prevedibilmente stravede. Tanto che quando un giorno l'accompagna nella palestra di arrampicata e lo nota...Leggi tutto parlare con Samantha, che il piccolo in famiglia aveva detto essere una che gli piaceva, si preoccupa: quella lì ha più di trent'anni, cosa vuole da suo figlio? Come prima cosa Mallory intima a Billy (ragazzino straordinariamente obbediente) di non frequentarla più, ma intanto cerca di capire chi possa essere.
Strane cose accadono intorno a Billy e, nella mente della protagonista, di tanto in tanto riaffiora qualche ricordo (reso virando i flashback per cercare di renderli quanto più possibile misteriosi): un messaggio di scuse lasciatole dal marito, ad esempio. Cosa le aveva fatto? Reese minimizza: chiedeva perdono perché pensava troppo al lavoro e non a lei. Ma qualcosa che non torna c'è, e cercare informazioni sull'enigmatica Samantha pare più difficile del previsto: non compare sui social media, nessuno la conosce...
Finalmente, si direbbe, qualcosa di nuovo sotto il sole di questi thriller televisivi di poco conto: un'adescatrice adulta che circuisce un bambino. Poi ci sono i “ricordi rubati di mamma” (ovvero il titolo originale, al quale i distributori italiani hanno espunto la parola mamma, evidentemente poco attrattiva) e c'è spazio anche per un altro spunto interessante, che si aprirà in un secondo momento. La storia, scritta da Adam Minneci, ha insomma qualche buona freccia al proprio arco, nonostante si sviluppi seguendo uno schema prestabilito che si aggancia alla formula tipica di produzioni simili; cerca di inserirvi qualche idea meno scontata del consueto, di proporre snodi inaspettati.
Poi però c'è da fare i conti con un cast debole, che proprio non convince e non riesce a dare grinta a un film cui anche la regista Panta Mosleh non offre un gran servizio: senza dover notare che la suspense è ridotta praticamente a zero, è l'intero film a risultare piatto, non in grado di offrire la necessaria vivacità a una storia che invece, magari articolata in modo meno banale, qualche soddisfazione avrebbe anche potuto darla. In fondo la soluzione non è del tutto prevedibile e c'è addirittura un prefinale per nulla consolatorio che non è proprio facile incrociare, in opere di questo genere. Certo, poi ci si aggiunge un epilogo che rimette un po' le cose a posto, ma la freddezza fin lì comunicata era stata quasi una sorpresa, e in positivo. Siamo invece alle solite con le figure maschili: diafane, lasciano abbondantemente la scena alle donne (fa in parte eccezione il piccolo BIlly, che però per una volta è fin troppo composto). Si conta un unico delitto, che chi conosce il genere sa già chi potrà riguardare... Eppure almeno uno sforzo nell'elaborare una storia congegnata decentemente si nota, ed è già qualcosa.
Potrebbe quasi sembrare un episodio lungo della PIETRA DI MARCO POLO, la serie che andava in onda sulla Rai fino all'anno prima e nella quale un gruppo di ragazzini molto amici si muoveva sullo sfondo di una Venezia ben ripresa al di fuori dei suoi angoli più turistici. Qui però siamo negli Anni Trenta, in pieno Ventennio (ce lo ricorda qualche filmato di repertorio in apertura), e la moneta di scambio dei più giovani, come spiegato da due signori in dialetto nell'incipit, sono i cosiddetti “cimbani”,...Leggi tutto vale a dire i tappi di bottiglia di birre e gazzose, spesso appiattiti col martello per acquisire maggior valore.
L'obiettivo della banda al centro della vicenda è comprare la “Maria”, una canoa custodita dal Cencio (Arrigo), che la mette in vendita al prezzo di dodicimila cimbani. I nostri la sognano, così come uno di loro, Sergio (Bianchi), sogna la bella Serena Paulon (De Cal), una loro coetanea che ogni tanto fa capolino con la sua acconciatura da vamp. Così, mentre si divertono alle spalle dei vicini di casa (i “Tabacco”, banda alternativa come il gruppo di “Castello”, con i quali spesso si scontrano), i nostri pensano a come raggranellare i cimbani necessari e a tale scopo organizzano un'asta per barattarli con le figurine del più piccolo di loro, Marco (Bocalon), non esattamente felicissimo della cosa.
Nel frattempo si staglia all'orizzonte, annunciata da una frase su un aeroplanino di carta “sequestrato” in aula dal loro maestro (Scaccia), la figura del "Morca", un misterioso individuo che scrive alla banda di voler incontrare separatamente due di loro disegnando sul foglio due ponti dove raggiungerlo. All'appuntamento, però, il Morca non si presenta e al ritorno i ragazzi scoprono che qualcuno è entrato loro in casa a rubare i preziosi cimbani! La stessa cosa accade pure ai “Tabacco”, che subito accusano i "nemici" del furto. I sospetti cadono dapprima su uno strano vicino di casa, un ragazzo della loro età (Moressa), ricco violinista solitario e ignorato, ma intanto il Morca seguita a lasciare enigmatici messaggi che fanno impazzire il gruppo. La ricerca del responsabile diventa presto una sorta di caccia che rappresenterà l'avventura intorno alla quale ruoterà la vicenda.
L'idea sulla quale si regge il film è quindi pretestuosa e non troppo stimolante, utilizzata soprattutto per mostrare begli scorci di una Venezia ritratta qui come una città popolare, lontana da ogni invasione turistica ancora prossima a venire. I ragazzini ne percorrono campi, calli e ponti divertendosi nei loro giochi anche se, va detto, la recitazione – com'è normale nei casi in cui protagonisti sono ragazzini evidentemente pressoché a digiuno di cinema – lascia piuttosto a desiderare. Fa eccezione il solo Scaccia, di fatto l'unico adulto presente con un ruolo di rilievo, che difatti quando è in scena alza la qualità della proposta.
Eppure, nonostante gli evidenti limiti, il film ha una sua dignità e piace come testimonianza di un'epoca scomparsa, ricreata con attenzione e affetto; e la caccia ai cimbani, che si protrasse ancora per molti anni, in città, ci riporta a un tempo in cui gli svaghi erano legati a una fisicità completamente diversa da quella attuale. IL MISTERO DEL MORCA è un film simpatico, inevitabilmente ingenuo, che racconta della complicità tipica di molti giovanissimi senza entrare nella drammaticità della Via Paal, alla quale si preferisce sostituire una buffa traccia gialla (potremmo quasi chiamarlo un whodunit) che può aumentare la curiosità anche di chi non si accontenta del semplice ritratto corale giovanile, chiuso infine con un pesante sberleffo al romanticismo.
Una coppia davvero molto affiatata, quella composta da Francesco Brandi e Ippolita Baldini: in scena quasi sempre insieme su di un palco in cui è presente solo una sedia con un orsacchiottone di peluche adagiato sopra, appartengono (nella finzione) il primo a questo mondo e la seconda a... quell'altro (quello dell'aldilà). Lui, Giacomo Strada, è un uomo apparentemente felice sul punto di festeggiare i quarant'anni, lei è... l'anima di Bobby, l'orsacchiotto d'infanzia di Giacomo, ereditato dalla madre. Morta in un incidente stradale, è stata...Leggi tutto assegnata a una nuova “vita” nel corpo dell'orsacchiotto - dov'era finora rimasta in silenzio – ancora da prima che Giacomo nascesse, al punto di aver assistito addirittura al momento del concepimento di quest'ultimo (dopo una festa in maschera, nell'auto della di lui nonna)...
Sulle prime Giacomo, trovandosi d'improvviso in casa una donna che dice di essere "l'anima" di Bobby, tende naturalmente a non crederci, ma basta che quella gli riferisca alcuni particolari della sua vita, noti solo a lui, per capire che non scherza. Comincia così un lungo confronto tra i due, con Giacomo che spiega perché si sente felice, a suo modo realizzato, e lei che ribatte di non crederci, spingendolo a liberarsi e a raccontare le cose come stanno. Un confronto che mette in luce una bella padronanza dei tempi comici, con battute spesso argute ma soprattutto ben interpretate, da un Brandi che fa valere uno spirito caustico e di cocciuta rivalsa nei confronti dell'ospite "ultraterrena" e da una Baldini che replica spesso col sorriso, anticipando - perché le immagina - le reazioni di lui.
L'orsetto, in poche parole, diventa solo un mezzo, uno stratagemma come un altro (e presto accantonato) per portare in scena un lungo botta e risposta tra un uomo e quello che potrebbe essere una sorta di suo angelo custode, anche se si capisce da subito come il ruolo della Baldini punti decisamente in un'altra direzione. Gli rinfaccia di non essere intimamente soddisfatto della propria vita ("Ma se sono il più giovane direttore delle poste!", ribatte lui con orgoglio), di non amare Valeria, la donna con cui sta, perché non ha mai dimenticato Irene, la sua ex. Di non avere il coraggio di esprimere liberamente i suoi sentimenti, perfino di non saper ballare! Inutile nasconderle la verità: basta una “telefonatina” in Paradiso (ciclicamente la Baldini indossa un paio di occhiali scuri e comunica con i "piani alti" in primo piano, mentre Brandi tace nell'ombra) e viene a sapere qualsiasi cosa, persino chi ha spedito l'sms appena ricevuto da Giacomo la cui origine lui le aveva nascosto.
Un emissario celeste simpatico e brillante insomma, al quale la brava attrice regala tutta la sua verve e il suo chiaro talento. I due non sbagliano un passaggio, recitano senza soste fino alla fine dello spettacolo e riescono entrambi a divertire con un approccio rispettivamente antitetico che tuttavia si completa mirabilmente, dando modo di capire quanto non sia necessario avere nomi clamorosi in cartellone, per confezionare un buono show teatrale. Senza salire inutilmente sopra le righe o urlare, Brandi parte subito bene quando racconta in apertura come è cominciata - in modo disastroso - la sua giornata, col presunto furto della sua auto ("Chi ruba una Peugeot del 2005?"). Poi la scoperta, in casa, di una donna alta (“una pertica”), invadente e petulante che, uscita dall'orsacchiotto, si mette in testa di psicanalizzarlo. Ma con leggerezza, sempre tenendo salda la barra della commedia disimpegnata, con implicazioni che aiutano facilmente a riconoscersi nella vita "anonima" del protagonista, favorendo riflessioni elementari ma sincere nonché una piacevole empatia. La scrittura è valida, ma soprattutto si nota come Brandi (che ne è l'autore) riesca a ricavarne freddure e gag - evidentemente patrimonio del suo repertorio - con estrema naturalezza.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA