I figliocci di Francesco Nuti aumentano ancora. Dopo il Pieraccioni del megasuccesso IL CICLONE ecco tornare alla carica Paolo Virzì, autore del pregevolissimo FERIE D’AGOSTO che decide di abbandonare il suo simpatico cinema “superficialmente impegnato” in favore del trend del momento, ovvero la commedia toscana dimessa, non strabordante come quella di Benigni né geniale e innovativa come quella del Nuti che fu. E proprio OVOSODO parte come se CARUSO PASCOSKI si fosse fermato alle...Leggi tutto rievocazioni della sua infanzia: i primi amori, le masturbazioni in bagno, i problemi in famiglia... Da Benigni Virzì prende invece in prestito un ruffiano sfruttamento dell’ovvia simpatia generata dai disabili (il fratello ritardato di Piero è chiaramente un clone dello scolaro trasportato da Benigni in JOHNNY STECCHINO). Purtroppo per Virzì, però, la mancanza di un cast adeguato penalizza oltremodo i suoi sforzi: recitano quasi tutti poco spontaneamente, i protagonisti di OVOSODO (tranne forse la Braschi, migliorata di molto rispetto ai film con Benigni). Nemmeno si può dire nuova la trovata di raccontare la storia in prima persona con voce narrante fuori campo (ancora Nuti) né l'evoluzione delle vicende amorose di Piero (e qui è invece proprio il Pieraccioni del CICLONE a saltar fuori con i suoi imbarazzi, i primi tentativi di approccio falliti e l'inevitabile amplesso finale). Insomma, che il Festival di Venezia abbia tributato grandi onori a un simile rimpasto di vecchie idee è francamente inspiegabile. Oltretutto, nonostante la quantità di situazioni diverse che si vengono a creare nell’ora e mezza di proiezione, OVOSODO stanca e porta agli sbadigli molto presto, fors’anche per colpa dell’insostenibile tono di voce del narratore, privo di inflessione. E cosa dire poi delle considerazioni finto poetiche sparse a piene mani quasi a ogni conclusione di scena? O del volerci presentare il protagonista come lo studente ribelle che rifiuta gli insegnamenti classici preferendo leggere Pennac, discutere di Mandela... Tutto ciò che poteva esser fatto per rendere universalmente simpatico il caro Piero è stato fatto, ma a noi perché dovrebbe piacere un personaggio tanto spudoratamente positivo? Anzi, verrebbe da odiarlo, per quanto è stato concepito in provetta per apparire tenero, timido, impacciato ma alla fine vincente. Certo, in Toscana sanno far ridere, è fuor di dubbio, e anche in una commedia tanto leccata qualche buona gag c'è sempre, ma è inutile: se si plaude a un film tanto vuoto e sciapo da riprendere per l'ennesima volta in mano la favola del ragazzo ricco che gioca a fare il comunista a oltranza (Tommaso, l'amico di Piero) rischiamo di trovarci presto in un mare di prodotti standardizzati senz’anima. Sceneggiatura prolissa, fotografia nella norma. Sta mica a vedere che adesso toccherà pure ripensare al CICLONE come a un capolavoro?
Virzì, esperto nel trattare il tema dell'adolescenza (il quale mi irrita spesso) ha saputo raccontare una storiella senza dover ricadere nelle solite gag commerciali e scontate in cui le sdolcinature la fanno da padrone, e la scelta di adoperare attori non professionisti (eccetto la Pandolfi e la Braschi) non si è rilevata del tutto sbagliata. Certo, forse molte volte la sceneggiatura tende a un sentimentalismo piuttosto patetico, ma buone musiche e battute carine tappano parecchie ricadute. Scorrevole, a volte un po' paranoico ma piacevole.
Una piacevole sorpresa. Film leggero, divertente e molto scorrevole. Discreti gli attori, simpatici e azzeccate le musiche. La storia è banale, l'uso della voce off pure (anche se riesce ad accelerare notevolmente il ritmo), ma il film è sicuramente godibile.
Amabile in maniera superiore all'effettivo suo valore. La simpatìa del protagonista (delizioso il suo ingresso nell'augusto istituto scolastico della Livorno-bene) ci porta a seguire la pellicola pure con una certa indulgenza. Ho trovato azzeccato il commento della voce fuori campo, sgradevole e ritrito il personaggio figlio-di-papà, uno degli elementi che impedisce, seppur di poco, all'opera di assurgere fino al rango di buon film. Discreto.
Commedia condotta da Virzì con mano capace e ambientata nei sobborghi livornesi. La crescita del protagonista Piero in mezzo alle vicissitudini familiari (tremendo i' su' babbo), l'influsso di amici poco amici e viziati, l'ingresso nel mondo adulto. Personaggi e musiche che anticipano Muccino e una voce narrante sul modello Pieraccioni. E una Braschi oltre la sua media recitativa. Non male.
Film italiano di camera e tinello, nel senso che per la prima volta da anni ci mostra un interno sotto sotto proletario ai limiti della povertà; educazione sentimentale del livornese Piero che finisce al liceo tra i figli di papà (è capitato pure a me...) ma che alla fine si accontenta e... gode; abbastanza azzeccate tutte le figurine, dove viene privilegiata la simpatia di chi ha pochi soldi (l'amico di Piero, la futura moglie, la professoressa), rispetto a chi i soldi li ha e perde in questioni inutili e contraddizioni (Tommaso e la cugina).
È vero, il film è politically uncorrect, ovvero gioca sui cliché (peraltro iper-veri, come il ricco che gioca a fare il comunista), ma alcune gag sono spassose. Uno di quei pochi film che vedo di continuo. Più che la trama, adoro i personaggi che la animano. Babbo Nedo che non ha rivali. L'amico in auto con gli svedesi. Wyoming. L'appunto che si può fare alla pellicola è di reggersi più sugli sketch che su altro, ma in virtù di certe perle io glielo concedo.
MEMORABILE: Babbo Nedo, che finito di mangiare pane inzuppato nel latte, ingroppa la Mara!
Divertente anti-epopea labronica, che si fa perdonare qualche fatale concessione al macchiettismo e alla ricerca della risata facilona grazie a una sincerità di fondo, alla spontanea simpatia del meteorico protagonista, e al mestiere di Virzì, ultimo ostinato portabandiera della gloriosa tradizione della miglior commedia all'italiana. Alcune funeste presenze ammazza-film (l'orrida Braschi, il Cocci) sono assorbite senza troppe ammaccature. Non male.
Buona commedia italiana, diretta da un ispirato Paolo Virzì che parla di un ambiente che mostra di conoscere bene, quello del proletariato toscano in una città di provincia (Livorno). Ovosodo è la tipica opera di formazione, quella del giovane protagonista che diventa uomo raccontata con il tono della commedia ma con un retrogusto amaro dato dalle alterne vicende della vita del personaggio. Il film presenta un'ottima resa ambientale e un cast di giovani e bravi attori.
Vado controcorrente: non l'ho mai apprezzato, questo film. Non mi è simpatico il protagonista (attore mediocre a mio avviso), né mi è piaciuta la storia, zeppa di luoghi comuni. Non mi ha mai catturato e infatti non penso che darò mai a questo film una seconda visione, ma chissà.
Adolescenza e giovinezza di un normale ragazzo livornese alle prese con la scuola, gli amici, il lavoro, l'amore, la vita. Una commedia fresca, dalla storia semplice ma dalle connotazioni argute, che sa dialogare con allegria ed efficacia con i temi sociali ed esistenziali, calandoli nella realtà livornese. Interpreti sinceri e comunicativi, Braschi meglio del solito, brava Pandolfi. Cocci è sopra le righe, sia come attore che come personaggio, evidenziando il lato debole (in quanto retorico) della trama.
Una divertente commedia, che Virzì porta avanti con gusto e ritmo impeccabile; a questo si aggiunge un'ottima compagnia di attori, tutti ben diretti e perfettamente in parte. Forse come racconto di formazione non emoziona in modo particolare, ma stiamo parlando di un film volutamente leggero, che anche ad una seconda visione non perde un colpo. Peraltro Virzì ha nel frattempo dimostrato che il suo non era un fuoco di paglia, fortunatamente. Splendida Claudia Pandolfi, ma questo va da sè.
L'educazione sentimentale di un adolescente della Livorno operaia, che affronta le prove iniziatiche della vita da adulto (amicizia, sesso, amore, morte), senza perdere il suo sguardo pulito e un po' trasognato. La filmografia di Virzì pullula di tali esseri mitologici, giovani proletari che resistono al canto delle Sirene della borghesia (intellettuale o meno), escono indenni dalla prova, anzi con una rafforzata "coscienza di classe". Storia edificante, ma ben poco autentica. E attori insopportabili...
Neo-realismo anni 90 in salsa livornese: un ritratto veritiero di una città spaccata a metà, una città legata indissolubilmente al suo porto e alle industrie di contorno. Amori e amicizie che vanno e vengono sono fotografati a cavallo degli anni '80 e '90, con poca attenzione ai particolari personali ma con una cura della sceneggiatura che non fallisce. Un film che per noi toscani è più di una semplice pellicola.
Commedia all'italiana anni '90 sul mondo del lavoro che riporta in auge la figura del proletario colto che infrange i suoi sogni contro l'ostacolo della nuova borghesia che avanza. Ma alla fine Virzì ci dice che si vive bene anche in fabbrica, con una bella moglie che ogni giorno ti dice che sei sempre più bello... buonismo assoluto. La storia scorre bene, è leggera ma i personaggi sempre interessanti. Quello che affonda un po' tutto è la pessima recitazione (la Orioli su tutti), ma il toscano copre i difetti più evidenti. Non male.
Gradevole pellicola ambientata nel mondo del proletariato livornese, con un bimbo che nonostante mille difficoltà familiari riesce a diventare adulto e trovarsi pure una bella moglie. Solo Virzì sa costruire alla perfezione questo genere di ambientazioni, fatte di personaggi simpatici e macchiettistici, peccato che per chi non conosce il vernacolo il film risulti spesso monotono e ripetitivo.
Commedia dal ritmo veloce e spigliato, come da tradizione nei film di Virzì, che presenta diverse situazioni divertenti, riuscendo a strappare non poche risate e sorrisi. A ciò si aggiunga la capacità del regista, che dimostrerà anche altrove, di riuscire a descrivere in modo credibile senza eccessive forzature o patetismi, la società italiana e le sue classi.
Credo che l'averlo visto solo ora condizioni il mio commento: mi sembra non stia "invecchiando" bene. Nella storia di questo ragazzo è stato messo dentro troppo, troppo di tutto. È come se si fosse voluto raccontare in un colpo solo la storia delle storie, zeppa di stereotipi e luoghi comuni (con anche una loro verità, ad essere onesti, però messi in fila troppo ordinatamente e con l'evidente intenzione di catturare e stupire, a partire dal titolo con il doppio significato). I personaggi sono tutti finti, costruiti ad arte. Manca un'anima.
Virzì racconta la storia di un ragazzo di un quartiere popolare di Livorno attraverso le fasi che dall’infanzia portano all’adolescenza e poco oltre. Di facile presa, ma non per questo da criticare perché una certa empatia con i personaggi si sviluppa con facilità. Alcuni profili appaiono stereotipati, forse perché rispecchiano una parte non trascurabile di ragazzi, ma la scelta di attori di un certo tipo permette di calarsi ancor più nel microcosmo, spesso difficile da interpretare, di adolescenti che crescono cercando la loro strada.
Romanzo popolare di formazione, popolato di figure affascinanti e raccontato con garbo. L'appunto che si può muovere al film è che tutto sia fin troppo facile: il film si presenta come estremamente realista, ma come fa la famiglia del protagonista a tirare avanti? Possibile che ogni volta che sparisca un personaggio ne compaia un altro con matematica precisione? Certo, è un film, ma tutta questa simpatica realtà poteva vivere di qualche colpo di scena meno ad orologeria. Godibili stereotipi.
Virzì firma una dei film italiani più riusciti (Gran premio della giuria a Venezia) sui problemi dell'adolescenza e sulla crescita, incorniciando il tutto nella sua amata Livorno. Intelligentemente riesce a non tralasciare niente dei temi prìncipi di qull'età: innamoramento, amicizia, scuola; ma anche politica, lotta di classe, disperazione, povertà e disoccupazione. Gli attori sono quasi tutti alla loro prima esperienza: Gabbriellini, Cocci, Ruffini la Orioli. Eppure grazie alla buona regia non sfigurano affatto. Bene anche la sceneggiatura
Ad ora il miglior lavoro di Virzì, una commedia sarcastica sul vivere e morire (ammorbati) a Livorno. Un piccolo spaccato generazionale tra chi si arrabatta: tra ricchi e poveri, bottegai e industriali; tutti uniti dal porto e dalle citazioni dotte di neorealisti di borgata. Il ritmo è buono, condito dalle musichette di banda di paese, che accompagnano come una fanfara solenne il tragicomico umorismo dei personaggi. Cocci si distingue e anche la Braschi si fa notare per il tocco umano. Qualche clichè sulla lotta di classe, ma veniale.
Uno spaccato del proletariato labronico visto con gli occhi del giovane protagonista. Tratteggio abbastanza efficace e delicato nonostante qualche scontatezza e mancanza di sorprese. Buono il cast con la Braschi in evidenza, Cocci lievemente stereotipato mentre la Orioli appare migliore della Pandolfi.
In un quartiere di Livorno si susseguono le avventure di Piero e della sua famiglia. Tra scuola, lavoro e amori seguirà la sua crescita personale. Un film simpatico e divertente che mostra in maniera semplice e lineare il divenire di un ragazzo in apparenza rimessivo, ma dotato di un grande carattere. Non tutto funziona alla meglio, ma le atmosfere color pastello e l'ingenuità sincera di alcuni personaggi (il fratello di Piero e la Pandolfi) aggiustano il tiro. Non un film memorabile ma dalla facile "degustazione".
Bel lavoro di Paolo Virzì che offre al pubblico uno spaccato veritiero e un omaggio affettuoso alla sua Livorno, ricco di ironia e con alcune virate nel sentimento. Tanti bravi attori giovani (Gabbriellini, Pandolfi, Cocci, Orioli) e la outsider (inteso come età) Nicoletta Braschi quanto mai bravissima ed efficace. Gradevole.
Forse il film più celebre di Virzì nonché uno dei più riusciti. Nonostante non manchino i luoghi comuni e alcune facilonerie, la storia del giovane Piero viene raccontata con la giusta dose di umorismo e non mancano spunti ottimi. Il ritmo è notevole e buone sono le location livornesi. Rivedibile qualche personaggio (su tutti l'amico Tommaso interpretato da Marco Cocci).
Francamente non capisco tutti gli elogi che ricevette ai suoi tempi, quando fu presentato a Venezia (addirittura il Gran premio della giuria). Certo, si tratta di una gradevole commedia, ben diretta da Virzì, che si lascia seguire volentieri, mostrando la vita di provincia di un ragazzo alle prese dapprima con l'infanzia e via via, fino alla maturità, che raggiungerà tardi. Ma tutto sommato il film dice veramente poco altro.
Un film divertente, con un buon ritmo e un'ottima regia. Virzì non si limita a fotografare la sua città ma la dipinge, concentrando le pennellate sui suoi eccessi ma anche sulla sua genuinità. Ne esce una Livorno ruvida ma anche assai poetica, che fa da sfondo alla formazione del protagonista (un Gabbriellini alla prima esperienza cinematografica ma già molto bravo). Debutto anche per Ruffini e la Orioli, che subito dopo sarà scelta da Verdone. Ma a brillare in questa pellicola è soprattutto la Braschi, caso più unico che raro. Da vedere.
Ovosodo è il nome di un quartiere popolare nella periferia di Livorno, ma anche la metafora del disagio del protagonista, che paragona il proprio malessere sentimentale alla sensazione di avere in gola un uovo sodo intero che non va né su né giù. Virzì alla sua terza regia propone un bel racconto di formazione, la storia di un ragazzo timido e sensibile, incapace di omologarsi alle logiche mondane di sopraffazione sociale. Un affresco fresco, spontaneo, autentico, divertente e amaro.
Storia di formazione che si distingue, nel suo genere, per l’ambientazione non scontata e per una certa attenzione alle tensioni di classe che però vengono stemperate da un’eccessiva leggerezza sicché il film, oltre a scadere nel buonismo, non lascia quasi traccia di sé - al di là della godibilità immediata della visione - anche per la scarsa consistenza dei personaggi. Sarebbe giovata un po’ di quella cattiveria che caratterizza opere ben più riuscite, come Ferie d’agosto e Tutta la vita davanti.
Dall’infanzia all’età adulta, dagli anni 70 alla metà dei 90, vent’anni della vita di Piero Mansani, figlio della Livorno proletaria, promettente studente letterario che finirà a fare l’operaio sposato con l’amica d’infanzia. Il miglior film di Virzì, che firma il suo personale Amarcord memore della tradizione della commedia all’italiana ma con un ritmo più moderno, agevolato dalla voce narrante fuori campo del protagonista vero motore trainante della vicenda. Una bella galleria di personaggi ed una comicità misurata ma efficace nel tratteggio sociale e psicologico di una generazione.
MEMORABILE: "Chissà, forse sono rimbecillito del tutto o forse sono solo felice, a parte quella specie di ovosodo dentro che non va né su né giù."
Film decisamente riuscito e dotato di una certa poesia, anche se incentrato su una forte propaganda ideologica (dopotutto il regista è noto per le sue posizioni). Recitazione tremenda, ma tutto sommato giustificabile per ottenere spontaneità. Protagonisti abbastanza simpatici e spontanei. La storia è ben presentata, nonostante la pochezza di mezzi, con alcuni squarci di razza. La storia si segue molto bene, soprattutto riuscendo a non soffermarsi sui contenuti ideologici spesso forzati.
MEMORABILE: L'operaio invitato alla festa del figlio del padrone; Gli artisti da strada; Le reazioni spesso stralunate di Gabriellini.
Riuscita commedia amorosa fresca, vivace, simpatica e toscana che si snoda nell'arco di circa un decennio. Gabbriellini funziona ma la vera sorpresa è la Pandolfi, dolce e bella. Da amare. Toto Barbato funziona nei panni dell'amico drogato/uomo di mondo. Divertente la figura del padre, mezzo criminale. Brava anche la Braschi nei panni dell'insegnante decisamente all'avanguardia, tenera e disponibile ma con un terribile problema che la affligge.
MEMORABILE: Nicoletta Braschi in psichiatria è strappalacrime.
Il Bildungsroman al cacciucco funziona. Piero Mansani, interpretato da tre bravi giovani, accompagna con la sua voce narrante verace le vicende di un'esistenza costellata di piccoli e grandi drammi, gioie e speranze, dai toni un po' amari ma anche disincantati. Nicoletta Braschi è perfetta nei panni della professoressa Giovanna, mentre è frizzante il Mirko di Barbato. Virzì dona nobiltà a una storia di carattere locale aiutato da una sceneggiatura dolceamara che sorregge il tutto. La vita del rione è ricostruita pressoché perfettamente, Leone d’argento meritato.
MEMORABILE: Il viaggio verso Roma con gli svedesi; "Ma ti levi di 'ulo, lo diceva il mi' zio di Lucca!"; I racconti delle trame dei romanzi in fabbrica.
Crescita di un ragazzo livornese che affronta le vicissitudini dell'adolescenza, comprese quelle amorose. Sopravvalutato. Deludente, non è altro che un assembramento di situazioni e personaggi (nessuno empatico fra l'altro) stereotipati. Certo non ci si annoia (almeno quello!), ma per essere indimenticabilo o degni di nota ci vuole ben altro. Mediocre la colonna sonora.
Finta iniziazione alla vita adulta di un ragazzo dei quartieri popolari livornesi per cui tutto - dal futuro sentimentale a quello lavorativo, dalla formazione politica a quella scolastica - è sacrificato in funzione di un'ipotesi ideologica di agognata stabilità personale. Lo si vorrebbe vivere come una sconfitta, ma si fa davvero fatica ad empatizzare col protagonista (Gabbriellini), perenne underdog la cui naiveté monodimensionale dopo poco viene a noia. Piuttosto stereotipato anche il resto del cast, peraltro non particolarmente dotato, con l'eccezione della spigliata Pandolfi.
MEMORABILE: L'ultimo incontro di Piero (Gabbriellini) con Lisa (Orioli); La fine della maestra Giovanna (Braschi).
Come il cacciucco fatto da pesci ''poveri'' si rivela piatto gustoso, così lo è anche "Ovosodo" che, pur saccheggiando da cliché vari, non è affatto disonesto o sgradevole. Questo romanzo di formazione labronica non ha nulla (fortunatamente) di molti film giovanilistici italiani coevi e, anzi, si rivela opera politica in tutto e per tutto mirando a bersagli come l'ipocrisia della classe padronale che si finge comunista ma che - a differenza del proletariato - ha sempre le spalle protette. Ottimo il cast: paradossalmente la miglior livornese è la romana Pandolfi.
Considerato il livello del cinema italiano degli ultimi trent'anni, il film di Paolo Virzì supera sicuramente la media. Non per recitazione, spesso scarsa come ormai da tanti anni a questa parte nel nostro cinema, ma per la piacevolezza, il buon ritmo, le buone atmosfere utilizzate per mostrare l'avanzare degli anni nella vicenda, la regia ordinata e la sceneggiatura discreta, seppur sia da notare che ogni tanto si arriva a qualche passaggio un po' affrettato o poco curato. Alcuni personaggi sono stereotipi viventi, ma non sembra che il film volesse essere un capolavoro. Godibile.
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DiscussioneGugly • 14/06/08 16:46 Archivista in seconda - 4713 interventi
grazie dei complimenti, amo il cinema e mi piace scriverne, cercherò di continuare sempre con la stessa passione :)
DiscussioneZender • 15/06/08 01:48 Capo scrivano - 48336 interventi
Brava Gugly, come dicevo hai colto un aspetto del cinema di Virzì al quale non avevo fatto caso. Ottimo... "lavoro"!
CuriositàColumbo • 4/05/11 11:16 Pulizia ai piani - 1097 interventi
La partita che si vede nel televisore della Pizzeria del piccolo paesino dove Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini) svolge il servizio militare è Sampdoria-Napoli del 9 gennaio 1994, 18° giornata di serie A della stagione 93/94, terminata 4-1. Nella immagini vediamo l'esultanza per il 100° gol di serie A di Roberto Mancini. Grazie a Fedemelis per il fotogramma.
Chi ha visto ieri sera la seconda puntata di Stracult con lo specialone di mezz'ora dedicato al film "Ovosodo! di Virzì?
Madonna rivedere Gabriellini che era un pischellino nel '97 ora rivederlo con barba folta in stile uomo di neanderthal!!
E Marco Cocci che abbandonati i capelli rasta del giovinotto che era e vederlo con un aria cosi seria che riparla di quel periodo fa una certa impressione:)) peccato che non hanno intervistato Regina Orioli che mi era molto piaciuta nel film.... sopratutto dal punto di vista fisico!
Proprio qualche settimana fa lo hanno mandato in onda su R4, e io a giorni comincerò a postare le location avendo il film che mi è sempre piaciuto tantissimo!
Come detto nel film, la partita che legherà la prima visione di pube femminile da parte del piccolo Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini) nei suoi ricordi è Italia-Germania dell'11 luglio 1982, finale del mondialie di Spagna 82, terminata 3-1.
I festeggiamenti della partita di calcio che il fratello di Piero guarda in televisione, mentre lui è in bagno, sono della finale di ritorno di Coppa Italia Serie C '86/'87, vinta dalla squadra livornese.
L'incontro è Livorno - Campania Puteolana terminato 3-0 del 20 giugno 1987.
HomevideoRocchiola • 13/08/20 20:16 Call center Davinotti - 1278 interventi
Per la visione in home-video bisogna accontentarsi del vecchio DVD della Cecchi Gori, che dopo anni di ristampe è pure finito fuori catalogo acquisendo un certo valore di mercato. Comunque si tratta di un prodotto discreto ma sicuramente migliorabile sopratutto sotto il profilo della definizione delle immagini.