Tratto da una pièce teatrale di Giovanni Fava, il film di Florestano Vancini si inserisce prepotentemente tra i migliori e più toccanti “giudiziari” italiani. Lo scontro epocale tra l’accusa (Enrico Maria Salerno) e la difesa (Gastone Moschin) è anche una grande prova di recitazione da parte di due dei meno riconosciuti telenti nazionali, troppo spesso costretti a militare tra le fila di casting minori (dando comunque sempre prova di ottime capacità). La storia è qui quella tipica di mafia: i capi di due sanguinarie bande rivali vengono trascinati in processo con i loro scagnozzi, accusati di una dozzina di omicidi. Vancini comincia partendo dal particolare (un delitto da nulla) per arrivare...Leggi tutto a scoperchiare loschi affari e a toccare personaggi (come il sindaco di Salemi, interpretato da uno strepitoso e intenso Aldo Giuffrè) apparentemente esterni alla vicenda creando forse un po' di confusione ma anche una visione d’insieme di sicuro effetto. Nella parte del povero Giacalone poi, sfasciacarrozze costretto dalle circostanze a confessare un delitto non suo, troviamo Ciccio Ingrassia (all'epoca straordinariamente senza l'alter-ego Franco Franchi), del quale possiamo finalmente apprezzare anche le qualità drammatiche, pure se a volte sembra quasi imbarazzato, in un contesto tanto serioso. D'altra parte, in una vicenda così immersa nella realtà siciliana, come poteva mancare qualche icona locale (qui assieme a Ciccio c'è anche Turi Ferro)? Complimenti a Vancini quindi, che sa calamitare l'attenzione dello spettatore con inquadrature e primi piani studiati molto bene e caricare il film di un realismo assai... preoccupante. Piccolo cameo anche per Mariangela Melato, bravissima e vigorosa come spesso le accade.
Buon dramma giudiziaro di Vancini, con un cast strepitoso, da far impallidire molte produzioni ben più ricche. Segnalerei in particolare la prova di Riccardo Cucciolla, memorabile. Il film è ben fatto e chi ama i film girati quasi esclusivamente nelle aule di tribunale non rimarrà deluso... Certo gli ultimi 10-15 minuti sono un po' "estranei" al resto del film. A mio avviso la conclusione vera è la lettura della sentenza da parte del giudice...
Probabilmente il miglior film di Vancini che, trasferendo sullo schermo un testo teatrale del giornalista Giuseppe Fava, si inserisce con originalità nel filone di denuncia del fenomeno mafioso e confeziona un dramma giudiziario a volte fin troppo sopra le righe ma avvincente, coraggioso e per certi versi ancora attuale. Ottima prova complessiva di un cast davvero notevole: all’epoca venne particolarmente apprezzata l’insolita performance drammatica di Ingrassia, ma Salerno e Leontini non sono certo da meno. Adeguate le musiche di Morricone.
MEMORABILE: "La violenza, quinto potere nello stato, che tutti gli altri riunisce e manovra e che tutti gli altri sottomette e corrompe."
Ottimo questo film di Vancini, cast magistrale da Salerno ad Adorf, anche Leontini e Moschin fanno la loro ottima parte. Si tratta di un film di denuncia e di mafia, girato perlopiù in aula, comunque bellissimo. Merita di emergere dall'oblio e trovare spazio nel DVD.
MEMORABILE: L'uomo sparato in bocca, Leontini con la bava.
Solida pellicola di Vancini che narra la corruzione che alberga nelle alte sfere politiche e giudiziarie e l'impossibilità di incarcerare i veri mandanti. Un cast di altissimo livello che annovera uno smargiasso Moschin, un drammatico Ingrassia e un sempre corretto Salerno. Finale lievemente sconclusionato. La sentenza avrebbe dovuto concludere la narrazione.
Sicuramente pungente nell'analisi del fenomeno mafioso e arricchito da un cast eterogeneo e ben scelto, il film paga qualcosa all'impostazione un po' teatrale dei personaggi nella vicenda processuale e si concede qualche pausa. Da ricordare le prove di Moschin, avvocato del clan criminale, Giuffrè e di un insolito Ingrassia. Pecca invece di credibilità la Melato.
Le prime scene - un'antologia di esecuzioni mafiose - fanno presagire un classico poliziottesco o un mafia-movie alla Damiani, poi il film assume le vesti del dramma politico-giudiziario tipico di quel filone di cinema "civile" attivo all'inizio degli anni '70. Ispirandosi a una piece di Giuseppe Fava, giornalista catanese a sua volta vittima della mafia, Vancini confeziona un'opera di denuncia dall'andamento altalenante e diseguale ma comunque sempre intensa e vigorosa. Grande prova d'attori e particina per una giovanissima Silvia Dionisio.
La denuncia dei fenomeni mafiosi e delle loro collusioni con il potere politico è vigorosa come in Damiani, ma per il suo maxiprocesso Vancini imposta una struttura narrativa propria, integrando la teatralità delle parti in tribunale - condotte con dialettica serrata e tocchi di humour e mélo davanti alla quinta di un’enorme vetrata, testimone dello scorrere delle ore e dei cambiamenti atmosferici - con le vicende esterne, aggredite da una ferocia da film action-noir. Degni di elogio tutti gli interpreti: menzione d’obbligo per Ingrassia, in un’insolita veste tragica. Trascinante.
MEMORABILE: L’attacco epilettico di Leontini; le disperate accuse della Melato; Ingrassia in carcere; la sentenza; la pioggia scrosciante sulla vetrata.
Il cinema di Vancini è stato tra i pochi nella ideologica Italia dei '70 a coniugar denuncia senza se né ma delle tare repubblicane, l'attenta analisi storico-politica delle loro radici e una sensibilità spettacolare che indora, senza però sciropparle, queste pillole spesso amare per il pubblico. La kermesse giudiziaria di violenza è guidata dalla consueta tensione filmico-morale che, nel racconto corale (imputati-testimoni), trova la sua forza, minata però dall'anodino contraddittorio (pur sorretto da attori del calibro di Moschin e Salerno) accusa-difesa.
MEMORABILE: Il prestanome Ciccio che saluta in carcere la figlia; Il sommesso Crupi di Georges Wilson; Gli occhioni che impetrano giustizia della vedova Melato.
Duro e ottimo affresco sulla mafia e la sua collusione con la politica da parte di Florestano Vancini. Il film, tratto da un libro di Fava, ha una capacità di descrizione sia dei processi che delle esecuzioni mafiose davvero superlativa: sembra sia stato ripreso un processo vero. La denuncia è sentita, così come sublimi sono le interpretazioni degli attori (in particolare quella di Cucciolla, anche se quelle di Moschin e soprattutto di un inedito Ingrassia drammatico non scherzano, così come Adorf e Salerno). Ottimo.
Storia di un processo di mafia, si svolge quasi interamente in un’aula di Tribunale, salvo brevi flashback esterni. Cast notevolissimo lasciato forse a briglia sciolta con vari monologhi (Cucciolla, Salerno, Moschin, Melato, Leontini) che sono una soddisfazione per l’interprete e sostanzialmente anche per lo spettatore, senza i quali il film risulterebbe magari più realistico, ma senz’altro meno coinvolgente.
MEMORABILE: La sentenza finale e l'espressione di Leontini.
Vancini utilizza un cast di altissimo livello per realizzare un duro film di denuncia sui poteri della mafia. Probabilmente fu un'operazione coraggiosa quando uscì, anche se oggi risulta un po' stereotipato e ricco di tristi luoghi comuni. Tra i tanti bravi interpreti giusto citare un siciliano, Ingrassia, in un inconsueto ma significativo ruolo tragico.
Duro, tagliente, irruento apologo contro la mafia e tutto ciò che provoca nei confronti della società. Grazie a un montaggio serrato, puntellato dalle convincenti musiche di Morricone, assistiamo a un lungo processo di stampo teatrale supportato dalla ricostruzione di ciò che gli imputati raccontano. Dialoghi convincenti e un finale che purtroppo rispecchia in molti casi la verità di come vanno le cose in Italia. Da applausi l'interpretazione di Ingrassia, al suo primo ruolo drammatico: che classe!
Grande film di denuncia di Vancini, che punta il dito contro gli scandalosi processi alla Mafia di Bari e Catanzaro (le analogie sono tante, dalla strage di Viale Lazio a un immenso Adorf che ricorda molto Riina). Attorno a un processo si compongono i pezzi del puzzle di una vicenda con imbarazzanti affinità ai rapporti fra Mafia e politica dei tempi. La regia è rigorosa e molto precisa, fra gli attori molti i nomi importanti, ma sono tutti grandi professionisti dei film di genere. Una menzione per Leontini, davvero bravissimo. Utile!
MEMORABILE: Le deposizioni di Leontini, Melato e Ingrassia; Il nitore e la chiarezza della sceneggiatura.
Giudiziario meno noto rispetto ad altri più pubblicizzati e forse meno meritevoli. E' vero che il ricco cast si porta dietro la responsabilità della buona riuscita, ma Vancini sa intrattenere nella giusta maniera il pubblico mantenendo un ritmo costante, pur essendo il film quasi tutto ambientato nell'aula di un tribunale. Piccolo gioiello da riscoprire.
Una di quelle pellicole che restano in memoria per la bravura dei suoi interpreti, prescindendo quasi dal tema (sempre attuale) trattato. Argomento che qui verte sui rapporti tra malavita organizzata e politica, con riferimenti anche alle più ampie sfere. La diegesi spazia tra aula processuale e analessi criminale, intervallata da arringhe difensive, spesso teatrali (l'avvocato Moschin in vena di spacconerie) e accuse circonstanziate (Salerno, via via sempre più rassegnato). Buona la tensione scenica; Leontini, Ingrassia e Cucciolla su tutti.
MEMORABILE: "Io sono malato... ho sempre la febbre la sera", grida un esausto Ciccio Ingrassia.
Discreto film di denuncia sulle mafie, ipotizza un maxiprocesso che vede coinvolti i membri di due grosse famiglie. Il ritmo è coinvolgente, perché i dialoghi sono serrati e ben alternati con flashback utili a ricostruire alcune situazioni. Certo la trama è prevedibile (soprattutto il finale) e la regia non brilla particolarmente. Ma il cast è superbo e ben scelto: Salerno e Moschin sono fantastici come avvocati e stupisce molto Ingrassia nei panni di uno degli imputati (e commuove verso la fine). Nell'insieme, buono.
Un possente dramma teatrale, con risvolti sociali e morali quasi da tragedia greca, prestato alla cinepresa e incarnato da un cast magistrale, imponente nei nomi e nelle interpretazioni. Il tono, massiccio e roboante, potrebbe forse indisporre chi è allergico alla forma, ma conduzione e contenuto sono impeccabili e la denuncia stentorea. Se spendersi in sperticati elogi per la tenzone dialettica fra Salerno e Moschin è forse scontato, menzione speciale va alle nevrosi socialmente indotte della Melato e, soprattutto, a un gigantesco Ingrassia.
Apologo giudiziario che punta il dito sugli intrecci fra mafia e politica. L'80% della pellicola è concentrata in tribunale (denunciando l'origine teatrale del copione), ma i flashback si intersecano e spezzano il clima verboso. Stile a tratti retorico ma necessario: Vancini è più vicino all'indignazione civile di Rosi che alla carica incendiaria del Boss di Di Leo. A garantire la riuscita è soprattutto il cast, con un Salerno risorgimentale, un Moschin bullo in toga, un Leontini reietto e un inedito Ingrassia tragico (vera rivelazione).
MEMORABILE: La crisi epilettica di Leontini; Ingrassia riceve il pacco in carcere.
La rappresentazione della mafia e dei suoi legami con le istituzioni risulta, oggi, datata: Damiani dimostra ben altra asciuttezza e finezza nell'indagine sulle dinamiche di potere. Anche alcune nobili interpretazioni convincono poco (l'esagitazione della Melato). A rifulgere, in un cast di strapotente forza attoriale, sono caratteristi apparentemente secondari: Leontini (eccellente il monologo sul padre), Ingrassia, commovente nella sua sconfitta, Cucciolla, Zamuto. Eccellente Morricone.
Gran bel film di Vancini che sa analizzare quasi sempre con lucidità il fenomeno mafioso ed i suoi elementi costituenti. Lo fa con ottimo piglio e con una grande capacità, che purtroppo mancherà spesso in altri film del regista, di mescolare impegno e spettacolo. A conferma si vedano gli alti ritmi di cui gode la pellicola, nonostante la sua derivazione teatrale. Ricchissimo il cast, con una numerosissima serie di comparsate: tutti ben diretti ed ottimamente in parte, tranne un po' una Melato un filino troppo sopra le righe.
Altro capolavoro di un Maestro "che i libri di cinema non hanno sufficientemente apprezzato" (per tacere del mercato homevideo). Costruzione narrativa del film e del processo perfetta. I primi 10-12 crediti del cast sono incredibili a leggersi insieme per chi ama il cinema nostrano anni '70 e tutti veramente in gran spolvero. Una menzione spetta però a Ingrassia (qui alla prima prova drammatica dopo il divorzio professionale e prima di Amarcord) e alla Melato, entrambe interpretazioni strappalacrime.
Film d'inchiesta di Florestano Vancini che tratta delle connivenze fra alti poteri e mafia. Cupo, triste come si addice a questo tipo di pellicole, con attori al massimo della forma: da un quasi irriconoscibile (fisicamente) Salerno a Moschin, da Adorf alla Melato, da Leontini a Zamuto, da Aldo Giuffrè a Ingrassia che offre la sua prima prova drammatica con eccellenti risultati, il film rispecchia la triste realtà della corruzione e della delinquenza che rimane impunita, con i pesci piccoli che pagano per tutti. Triste, ma vero.
MEMORABILE: La testimonianza della Melato che accusa la Magistratura di essere connivente con la mafia e con i poteri forti; I confronti fra Moschin e Salerno.
Il giudiziario-siciliano è un genere diventato il nostro vero western per decenni, da Salvatore Giuliano in poi. Stavolta il senso epocale del dramma mafioso porta la firma, significativa, di Giuseppe Fava. E allora si capisce l'intensità con cui tutti rendono al meglio, Vancini compreso (la quinta della vetrata del tribunale per l'ultima requisitoria del pm). Salerno in uno dei ruoli più ineffabili, così Ciccio Ingrassia (prova superiore a Todo modo) e in parte Adorf. La Melato sicula poco credibile resta sull'allucinato. Cinico e perfetto Moschin. Un memento mori.
MEMORABILE: Giacalone-Ingrassia riceve in carcere il pacco col tubo di "biscotti".
Denuncia rigorosa (sia pure con alcune ridondanze finali) del fenomeno mafioso, tanto negato a parole quanto di fatto blandito da certi gruppi di potere, e dello spaventoso contesto sociale in cui prospera. Accanto ad affidabili habitué del cinema d'impegno civile, si fanno notare gli outsider Salerno e Moschin, qui contrapposti per ruolo e carattere, Leontini, protagonista di uno dei momenti di maggior interesse del film, e Ingrassia, che si accosta al cinema d'autore con commovente umiltà. La Melato, unica presenza femminile di rilievo, apporta toni da tragedia greca.
MEMORABILE: Le deposizioni di Leontini e Ingrassia; Salerno definisce la violenza come "quinto potere"; La sentenza, a suo modo esemplare.
In contrasto in merito alla costruzione di una diga, due clan mafiosi sono sottoposti a processo per una serie di delitti. Il pubblico ministero cerca di far condannare i boss ma, tra prove scomparse e testimoni reticenti, si tratta di una impresa molto difficile... Opera meritevole sotto il profilo dell'impegno civile ma poco riuscita dal punto di vista strettamente cinematografico per l'impronta teatrale troppo evidente che si traduce in un processuale impacciato e didascalico. Comunque apprezzabili le prove degli attori coinvolti, fra cui spicca Ingrassia in un ruolo drammatico.
Tratto da una pièce, è un film che effettivamente ha il suo maggior svolgimento in interni, in un'aula di tribunale dove la situazione mafiosa in Sicilia viene presentata e raccontata in maniera asciutta e determinante, rivelandosi uno degli esempi migliori del genere. Eccellente la regia di Florestano Vancini, aiutato da un montaggio serrato che dà ancora più l'idea del dramma e da un cast ricco di nomi straordinari. La sfida tra Enrico Maria Salerno e Gastone Moschin è da Oscar. Una sorta d'inchiesta sotto forma di teatro, appassionante e terribile. Ottimo.
Il film praticamente si svolge nell’aula del tribunale dove un pentito “canta” nomi e luoghi di un suo omicidio su commissione. Grande prova attoriale per Salerno e Moschin, ma anche dei comprimari, in questo lungo j’accuse contro la mafia, i suoi soprusi, le sue coperture invischiate da una spessa e viscida coltre di corruzione. La solita Sicilia malata di violenza si staglia in un'Italia che sembra lontanissima dalle sue tristi realtà. Nel finale la Nemesi rimetterà le cose a posto, scompigliandole ancor di più.
MEMORABILE: Il monologo da Oscar di Mariangela Melato, sublime momento topico!
Il film è impostato superbamente, in quanto i binari paralleli del processo e dei crimini si lanciano molte propaggini tenendo lo spettatore incollato, con le magistrali le interpretazioni di Leontini e della Melato, come quella di un Salerno, polivalente nel suo ruolo (un ottimo PM umanista-antropologo), a differenza dell'avversario Moschin (bestia degna di difendere i peggiori criminali). Dal momento che il fenomeno mafioso con gli anni si è notevolmente amplificato in contesti addirittura globali, il film, visto oggi, ne esce depotenziato, pur nella sua estrema drammaticità.
MEMORABILE: "Cosa vale la vita di un uomo in questo paese?"; Il ridicolo sermone dopo l'assassinio del giudice; L' imboscata nelle palazzine in costruzione.
Un noir potente e drammatico in cui la parte preponderante è quella processuale. Ben realizzati i passaggi visivi dall’aula austera ai fatti urbani e di paese, con la “violenza” protagonista delle risoluzioni per il potere delle opposte fazioni. Poderoso Salerno, ma tutti i protagonisti esaltano la vicenda, compresso un “insospettabile” Ingrassia in panni tragici. Un film per certi versi esplosivo, ove si va verso l’alto nelle responsabilità, fino a sfiorare il cielo, quando si cerca di coinvolgere anche l’istituzione più vicina ad esso. Assolutamente da vedere.
MEMORABILE: Le arringhe del pubblico ministero e degli avvocati difensori; La sofferenza e lo sfogo di lei, in aula.
In un'aula di tribunale si dibatte del caso di sedici omicidi. Film giudiziario sul fenomeno mafioso, ancora legato solo a una logica territoriale siciliana. L’istruttoria sa anche essere scorrevole, ma pecca nelle consuete esagerazioni dei comportamenti in aula dei testi. Meglio le arringhe della difesa e dell'accusa, seppur con qualche luogo comune. Viene lasciato spazio alle interpretazioni (Ingrassia è il migliore) e perde mordente verso la conclusione.
MEMORABILE: Ingrassia che si autoaccusa; Il malore in aula.
Film di chiara impostazione teatrale che procede per accumulo e assoli, il primo con la trama che si chiarisce attraverso le deposizioni al processo (brevemente intervallate da flashback per lo più di atti di violenza come da titolo), il secondo in quanto ogni deposizione si trasforma in un monologo più o meno intenso (menzione per Ingrassia, inedito drammatico negli anni delle commedie), mentre risultano corrette se non di maniera le interpretazioni del resto del cast; con gli occhi di oggi il tema è scontato, mezzo secolo fa molto meno: la parola mafia era tabù.
MEMORABILE: La deposizioni inframmezzate dai vari omicidi.
Affilato come un rasoio, il film diretto da Vancini squarcia il velo del silenzio proponendo, in un'aula di tribunale, la rivalità fra clan mafiosi; un dedalo infinito di depistaggi, prove scomparse, testimoni fatti tacere. Grande cast, che trova il suo apice nella dialettica fra accusa (Salerno) e difesa (Moschin). Prove straordinarie di un sorprendente e drammatico Ciccio Ingrassia e Guido Leontini, volti di personaggi disperati e senza futuro, come pure di Cucciolla e di una fiammeggiante Mariangela Melato.
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CuriositàPanza • 10/06/13 12:48 Contratto a progetto - 5249 interventi
Ecco un articolo datato marzo 1972 inerente l'inizio della lavorazione del film La violenza... con tanto di titolo di lavorazione completamente diverso. L'articolo è contenuto nella breve rubrica Yellow inserita a sua volta nel romanzo La notte dei maiali di Paul Mcmillan. Notevole il fatto che ho ritrovato questo breve articolo in una raccolta di tre romanzi datata dicembre 1974!