Alla base sta un'unica idea, semplice e nemmeno originale (Gogol e il suo “Ispettore generale” sono il riferimento primario): a Ostuni, nella Puglia del periodo fascista, arriva un assicuratore bonario (Manfredi) che viene scambiato dai funzionari del luogo (Gino Cervi, Gastone Moschin i più in vista) per un ispettore incarognito. Chiaramente il gioco degli sceneggiatori (il regista Luigi Zampa con Maccari e Scola) sta nel mostrare i continui tentativi di “leccaggio” da parte dei funzionari per accattivarsi la benevolenza del presunto ispettore. Un'idea simpatica, che però ha il suo principale limite in una ripetitività priva di spunti interessanti,...Leggi tutto che il buon cast prova invano a vivacizzare con una recitazione corretta ma piuttosto piatta. Troppo spazio viene lasciato all'immancabile love-story tra Manfredi e la figlia del podestà, con concessioni al cinema “da souvenir” (i trulli di Alberobello...) e dialoghi poco ricercati. La critica al rigore solo di facciata della dirigenza fascista ha poco a che vedere con la ficcante ferocia della vera commedia all'italiana e punta piuttosto alla farsa semplice, che stride con la discreta ricostruzione storica. Manfredi dà dimostrazione del suo stile misurato e largamente apprezzato, si conferma attore di rango forse non molto a suo agio nei frangenti più comici. Di comicità comunque non se ne parla e se qualche risata viene strappata è più per un paio di trovate estemporanee riuscite. Nel complesso una commedia più datata di molte altre coeve, che idealmente funge da tramite per le due anime (scanzonata prima, impegnata poi) del nostro cinema di intrattenimento. Di sicuro si potevano sintetizzare molte situazioni e renderle in tal modo più efficaci. Così resta un film buono solo a tratti.
Caricaturistico e satirico, con una profonda amarezza di fondo. Una divertente commedia degli equivoci recitata da alcuni dei migliori attori d'epoca: protagonista un grandissimo Nino Manfredi, affiancato dagli impettiti Gino Cervi e Gastone Moschin, dall'oppositore Salvo Randone e dalla bella Michèle Mércier. Molte le scenenette memorabili.
MEMORABILE: Manfredi ubriaco che, alla festa di fidanzamento, svela truffe e nefandezze dei sostenitori del regime.
Riuscitissima, molto divertente, con un retrogusto amaro trattenuto sino alla fine e che viene fuori di botto, come lo sfogo di Manfredi. Prova di classe di un manipolo di grandi marpioni, tutti perfetti (Gino Cervi su tutti). Esilaranti diverse situazioni, in particolare i preparativi per l'arrivo e per la celebrazione della marcia su Roma. In fondo ognuno è nostalgico di qualcosa, per esempio di quando in Italia c'erano sceneggiatori bravissimi.
MEMORABILE: "Roma è tanto cambiata. C'è via dell'Impero, il foro Mussolini... " "Palazzo Venezia.. " "Quello c'era anche prima" "Sì, ma prima era sfitto"
Divertente e sàpido. Una delle prestazioni più composte e più compatte d Nino Manfredi. Ma il film si avvale di un cast regale, continuando con un grandissimo Gino Cervi (da sindaco comunista a podestà fascista), con un efficace Gastone Moschin e via dicendo. Vero è che il meccanismo dell'equivoco è tirato un po' troppo, ma è neo perdonabile.
Un film che vale per l'idea: non sarà un soggetto originale, ma chi diavolo leggeva Gogol nel '62 (e anche oggi), eccezion fatta per qualche liceale e un manipolo di intellettuali? Il meccanismo scenico è un po' ripetitivo, ma le trovate sono spassose: la distruzione della casa del podestà; l'aereo giocattolo con i tappi... Le mucche carrozzate sono poi divenute un classico. Una spanna su tutti Salvo Randone, in una partecipazione trasversale alla trama, sempre eccellente e che, nel momento della risata, è pura arte recitativa.
MEMORABILE: La risata di Randone quando scopre l'identità di Manfredi; il suo dialogo con il vecchio moribondo
Sceneggiato da Ettore Scola e diretta da Luigi Zampa, è una gustosa commedia satirica che prende di mira l'Italia del fascio, in particolare quella provinviale remota (siamo in Puglia), dove un giovane assicuratore viene scambiato per un importante gerarca. Ricca di situazioni divertente, ben girata e sceneggiata, l'opera mostra un valore aggiunto nella riuscita interpretazione di Manfredi, Cervi e Randone.
Il film punta al lato ridicolo del Fascismo, inquadrato in un manipolo di funzionari di provincia ignoranti, corrotti e fedifraghi, ipocriti quanto basta per sfoggiare ferrea fedeltà all'ideale in pubblico e tenace attaccamento ai propri inghippi in privato. La satira non è particolarmente corrosiva e momenti buffi e seri (la visita ai paesani poveri) non sono molto legati tra loro. Come sempre bravissimo Manfredi, che spicca su un cast di gran livello. Menzione per Gastone Moschin. Interessante.
MEMORABILE: La telefonata di Manfredi alla madre. L'arrivo del vero gerarca. La visita alle casupole degli abitanti più poveri del paese.
Il meccanismo dell'"Ispettore Generale" di Gogol funziona anche in questo caso da cartina di tornasole per vizi ed ipocrisie, qui della piccola oligarchia fascista di provincia. Si ride spesso, dato che non mancano le occasioni comiche, ma con una amarezza di fondo. Manfredi, molto in parte, è circondato da uno stuolo di attori perfetti nei rispettivi ruoli. Grande Randone nella parte del medico antifascista che apre gli occhi allo stordito assicuratore. Una ottima commedia, generalmente sottovalutata.
MEMORABILE: La sfilata, la risata collettiva dopo la rivelazione, lo sfogo di Manfredi ubriaco alla festa: ammazza che saccoccia!!!...
Piacevole commedia satirica di Luigi Zampa, ambientata negli "anni ruggenti" dell'Italia del regime fascista: un assicuratore romano viene scambiato per un gerarca in incognito mandato a indagare sui loschi traffici dei funzionari fascisti di un comune del Sud. Dietro l'ironia sulle pagliacciate di regime si nasconde l'amara verità che la retorica rivoluzionaria null'altro può che piegarsi alla tradizione millenaria dei capetti corrotti che si spartiscono la torta del potere, ancor più buffoni quando nascosti dietro una facciata ideologica.
MEMORABILE: La distruzione della casa del Podestà.
Un Manfredi d'annata, dei migliori, in un perfetto esempio di commedia all'italiana dove il messaggio (o la morale, che dir si voglia) non va a discapito del divertimento del film, che pure nel finale diventa amaro. Personalmente lo ritengo un cult e lo rivedo sempre molto volentieri. Strepitoso tutto il cast. Da riscoprire e rivalutare (come tanti altri film di Zampa).
Simpatica rivisitazione in tono di commedia amatriciana de "L'ispettore generale" di Gogòl (che era ben altra cosa); Manfredi e la sua svagatezza si aggirano nella meravigliosa Ostuni durante il Ventennio. Scambiato per un ispettore inviato dal Duce mette sul chivalà un podestà ingordo e borioso e la sua corte. L'indifferente Manfredi, grazie anche ad un professore (Randone), apre gli occhi... Zampa versa più sulla commedia che sul sociale, ma a tratti l'effetto è riuscito e il film godibile. Bravi Moschin, Cervi. Bellissima, come sempre, la Mercier.
MEMORABILE: "Ci salutiamo romanamente: se vedemo!"; "Chi beve birra campa cent'anni - L'ha detto lui? - Sì - Allora anche pensate alla salute bevete Ferrochina"
Discreto film di Zampa che si aggiunge ad una trilogia di pellicole satiriche sul fascismo (formando così una tetralogia) non riuscendo però ad eguagliare i risultati delle pellicole precedenti poiché questa è meno urticante. La sceneggiatura di Scola e Maccari si ispira (alla lontana) a "L'ispettore generale" di Gogol. Bella prova del cast (specie Manfredi e Randone). Alla fine il risultato è più che accettabile ma si poteva fare di più.
Come ovvio, anche un uomo di destra come me può apprezzare l'operato di alcuni artisti "leftist" e indubbiamente uno dei miei registi "di sinistra" preferiti era senza dubbio Luigi Zampa, che aveva capito che si può divertire senza vergognarsene o, peggio, rinnegare coerenza ed impegno. Ho sempre amato molto questa sottovalutata commedia con retrogusto amarognolo (è uno dei pochi Manfredi che mi piaccono, insieme a Straziami, ma di baci saziami). Bravissimi anche tutti - nessuno escluso - gli altri attori (Cervi, Moschin e Randone in testa).
Da uno spunto di nobile origine letteraria, già portato sullo schermo da Danny Kaye, una discreta commedia che Zampa/Maccari/Scola poco alla volta fanno planare sui territori a loro cari del sorriso amaro. La satira del regime non invecchia perché in fondo la cialtroneria, la boria e l'amoralità di alcuni governanti non conosce confini di tempo o di luogo. La parte più squisitamente comica è gradevole senza brillare, mentre il film acquista spessore nel finale, con la visita del protagonista alle caverne e la sua malinconica presa di coscienza.
MEMORABILE: L'affettuosa lettera indirizzata al Duce, consegnata al protagonista da uno dei poveretti delle caverne, la cui commovente lettura conclude il film.
La trasposizione della perfida commedia di Gogol sulle ipocrisie della politica di provincia scatenate dalla visita di un ispettore, basata su una classica trama degli equivoci, è azzeccata: qui siamo in piena "era fascista", ma a essere messa alla berlina è non solo il malaffare di piccolo cabotaggio di meschini caporioni locali, bensì il viscido affarismo provinciale all'italiana arrivato fino ad oggi. Manfredi, Cervi e Moschin dirigono un'orchestra di grottesca laidezza che offre molti spunti godibili. Satira non graffiante, ma divertente.
Una commedia molto acuta, che piuttosto che sul fascismo fa riflettere sulle ruberie di certi politici, in una trama che potrebbe essere (cambiandola di contesto) attuale anche oggi. Non esistono momenti drammatici, ma dietro le battute (alcune molto riuscite) c'è sempre l'amarezza, il che rende piuttosto reale la pellicola. Bravissimo Manfredi, ma forse ancora più calzanti le interpretazioni dei truffaldini Cervi e Moschin. Notevole.
Opportunismo, conformismo, equilibrismo, doppio gioco: l’eterna malattia morale della politica italiana viene declinata questa volta in salsa fascista. Solida sceneggiatura, racconto che fila come un treno, consueta regia gagliarda di Zampa, attori in gran spolvero, il sapore della satira, quello della farsa e un inaspettato retrogusto amaro si amalgamano in un piatto saporito ma il film, come quelli dello stesso periodo dedicati al fascismo, elude una domanda di fondo: se i fascisti erano così sciocchi come hanno potuto signoreggiare in Italia per 23 anni?
MEMORABILE: L'interpretazione misurata, impacciata, tutte sfumature del protagonista Manfredi nella parte del (falso) ispettore del fascismo è di altissimo livello.
Acuta satira, con risvolti amari, degli aspetti più tronfi e mistificatori del fascismo, la cui retorica non riesce a nascondere la meschinità, la disonestà e l’incapacità di politicanti dalla morale fatiscente. La forza del film sta nella grande carica umoristica di situazioni e dialoghi, nell’ambientazione rigorosa, nei personaggi vividi e soprattutto negli interpreti: Manfredi e Randone sono misurati e impeccabili, Cervi e Moschin efficaci e calati nei loro ruoli, la Mércier incantevole.
MEMORABILE: “Vi saluto romanamente: se vedemo”; Le visite alla scuola, alle Case Coloniche e alle grotte; La parata del 28 ottobre; La festa di fidanzamento.
Commedia agrodolce che sfrutta luoghi comuni del Ventennio per colpire vizi italici eterni. La scelta di attori come Cervi e Moschin rende poco credibile l'ambientazione pugliese, ma il neo è facilmente oscurato dalla qualità delle loro interpretazioni. Ottimo Manfredi, fascista moderato e ignaro dell'equivoco che lo vede protagonista, destinato a uscire di scena con la dignità che lo contraddistingue e senza le solite posticce "prese di coscienza".
È un altro film ambientato durante il fascismo, perciò diretto, prima di tutto, all'impegno antifascista di prammatica. Di qui in poi si dipana la storia comica dell'equivoco circa l'ispettore venuto da Roma. Le trovate non sono molte e il film è un poco prolisso, sebbene ben recitato e ben sceneggiato. Manfredi recita come Sordi e non si capisce se sia per effetto della direzione. La storia regge bene fino al finale, cosa non tanto comune per un film italiano.
Realistico spaccato del Ventennio in Puglia dove la satira affonda efficace e divertente. Ma il film di Zampa riesce a raggiungere l'universalità descrivendoci tante piccole figure di politucoli locali che trovano sempre e comunque il modo di fare i propri interessi indipendentemente da chi governa. Grande cast, si ride spesso e di gusto, Manfredi bravissimo nel giocare sornione sull'ambiguità del suo personaggio. La storia d'amore risulta invece un po' lenta e melensa. Resta comunque un gran bel film che merita senz'altro una visione.
MEMORABILE: "Ognuno ha le sue idee, perciò vi saluto romanamente... (agitando la mano a mo' di saluto) se vedemo"; I trulli di Alberobello.
Un malinteso ne produce molteplici generando una situazione buffa e paradossale. Il genio di Gogol' viene qui sfruttato nell'Italia fascista, dove l'apparenza contava molto più della sostanza. La commedia si segue senza difficoltà, non raggiungendo alti picchi ma nemmeno momenti di depressione. Manfredi è molto bravo, soprattutto nel monologo da ubraico (che rimane una scena memorabile); troppo fumettistici gli altri. A ogni modo Zampa è acuto nel coniugare commedia e messaggio. Da far vedere a certi nostalgici (de che poi?)!
MEMORABILE: Il finale commovente mentre Manfredi legge la lettera.
Godibile commediola sui forchettoni fascisti e sulle ipocrisie della provincia profonda. Tutto già visto e stravisto, facile e assai poco interessante (almeno oggi, visto il nostro occhio storico scettico e disincantato). A reggere le sorti del film sono, perciò, gli attori; a cominciare da Manfredi, svagato e pungente, per finire alla coppia forchettona Cervi-Moschin e a Randone, impagabile come sempre. Bonario e divertente.
Solida commedia ricca di spunti satirici che ha il punto di forza in un cast di protagonisti e comprimari di gran razza (si veda anche solo Randone, medico consapevole, disilluso e rassegnato). Forse la cosa più notevole è l'idea di adottare l'impianto da commedia all'italiana spostandolo indietro di trenta anni, come a sottolineare che tra il Ventennio e la Repubblica, tra un prima e un dopo molti vizi italici sono rimasti intatti, a dispetto delle tanto decantate virtù della democrazia.
Film diretto da Luigi Zampa che ha a disposizione un bel parterre di attori con gli ottimi Manfredi, Moschin e Cervi. Si ride moderatamente e con garbo di fronte agli equivoci che si vengono a creare. Qualche graffio di satira che mette alla berlina il fascismo, anche se a volte la pellicola tende ad avere qualche cedimento. Cast di contorno all’altezza.
Tanti film hanno messo in luce le miserie dei fascismo, ma pochi in maniera geniale come questo. Merito del tocco di Luigi Zampa e di un cast di grandi attori. Straordinari tutti, da Nino Manfredi a Gino Cervi, passando per tutti gli altri. Film amaro e di riflessione ma che non manca di diversi momenti di comicità generata dai diversi equivoci. Tratto liberamente da una commedia di Nikolaj Gogol'. Incomprensibile l'uso dell'accento napoletano in un contesto pugliese.
Assicuratore verrà scambiato per un gerarca fascista. Satira di regime in cui l’equivoco iniziale serve a svelare le ruberie di chi comanda. I toni sono da commedia, con piccola storia d’amore per alleggerire il discorso ma seri accenni alla vita misera di provincia. Manfredi è misurato e la coppia Cervi/Moschin diverte coi loro imbarazzi; Randone ha l’unico ruolo serio. Conclusione affrettata della vicenda con ultima scena di importanza sociale.
MEMORABILE: Le frasi fasciste da appendere ai muri; L’esibizione alle parallele; La sfilata delle massaie rurali; Il bambino nella cesta.
Notevole commedia amara, ricca di equivoci e ambientata nel mondo del fascismo di provincia, quello in cui appartenenza politica e intrallazzi vari si mischiavano in un'inestricabile matassa di miserrimi interessi e bassezze assortite, con qualche fulgida eccezione. Zampa dà vita così un quadro "arcitaliano", in fondo persistente e applicabile all'altro ieri, allo ieri, all'oggi e forse anche al domani. Un grande cast in ottima forma completa l'opera: da Manfredi a Cervi, passando per Moschin e Randone, ognuno fa bella mostra delle proprie, fantastiche, doti.
Il film di Luigi Zampa ci fa rivivere il tempo del fascismo (siamo nel 1937, come detto da Cervi) con una piccola storia ma significativa. Omero è un timido assicuratore che si reca in un paese per cercare di ottenere qualche contratto. I gerarchi però credono sia arrivato un ispettore a controllarli e fanno di tutto per ingraziarselo. La commedia è divertente ed è uno specchio di ciò che accadeva realmente ai tempi del Fascismo. Cervi è un ottimo istrione, così come il giovane Manfredi. Si ride e si riflette. Peccato per una parte forse troppo ridotta a Moschin. Valido.
Classica commedia basata su un equivoco, peraltro già palese dopo pochi minuti. Un innocuo assicuratore viene scambiato per ispettore del regime fascista e nel paesino di Gioiavallata si scatena il panico per dimostrare a tutti i costi la fedeltà al Duce. Prova maiuscola di Manfredi che, nonostante le situazioni paradossali, mantiene una credibilità impressionante. Divertenti e divertiti anche Moschin (che nella sua divisa ci sguazza) e ovviamente Cervi. Zampa si conferma regista di talento quando affronta la satira di costume. Meritevole.
Ritratto impietoso di certa Italia servile, opportunista, che adula viscidamente il potere, sempre pronta a ricompattarsi strisciante ad ogni cambio di egemonia e ideale. Un obiettivo che imprime su pellicola il fascismo, ma potrebbe continuare oltre fino ai giorni nostri, con gli stessi personaggi riciclati e ripuliti impegnati nelle stesse identiche furberie. Magistrale come sempre l'ironia sarcastica di Manfredi, che assiste amaramente a questo teatrino grottesco dominato dalle meschinità umane, dove le uniche vittime sono i poveri, schiacciati in mezzo come vasi di coccio.
MEMORABILE: “Vi saluto romanamente… se vedemo...”; La pubblica confessione alcolica di Omero; La lettera finale.
Italia. Anni trenta. Bonario assicuratore in viaggio nel sud viene scambiato dalle autorità locali per un ispettore mandato a indagare. Comincia una lunga serie di blandizie nei suoi confronti. Storia divertente ma un po' inverosimile (l'equivoco si trascina troppo per le lunghe), il film è comunque buono grazie all'ottima prova che era lecito attendersi da un così bel cast. Finale non del tutto scontato. Presenti citazioni di giornali e locandine d'epoca (e non solo).
MEMORABILE: Le parole di Manfredi alticcio (in vino veritas).
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DiscussioneZender • 21/10/20 15:13 Capo scrivano - 48554 interventi
Certo, bisogna però capire se quello che si legge sui titoli di testa è quello che appartiene alla prima edizione del film, perché poi le riedizioni i titoli se li inventano spesso e volentieri
Io parlavo comunque dei titoli di Imdb che non fanno testo rispetto alle locandine. Ad ogni modo anche Italiataglia lo segnala con l'articolo. E' curioso comunque che non esista una sola locandina d'epoca (e se ne trovan diverse) che riporti l'articolo...
In effetti anche facendo una ricerca sul sito dell'Archivio de La Stampa, si trova solo il flano senza l'articolo iniziale.Sotto, ad esempio, quello che venne pubblicato nell'edizione di Stampa Sera del 21 Aprile 1962
Certo, bisogna però capire se quello che si legge sui titoli di testa è quello che appartiene alla prima edizione del film, perché poi le riedizioni i titoli se li inventano spesso e volentieri
Io parlavo comunque dei titoli di Imdb che non fanno testo rispetto alle locandine. Ad ogni modo anche Italiataglia lo segnala con l'articolo. E' curioso comunque che non esista una sola locandina d'epoca (e se ne trovan diverse) che riporti l'articolo...
Bella questione. Avanzo mera ipotesi. E' nato come GLI ANNI RUGGENTI. Poi, a film montato del tutto, si sono resi conto che ANNI RUGGENTI era più bello (direi più asseverante, anche se con forte sfumatura ironica) e le locandine le hanno fatte senza GLI.
Certo, bisogna però capire se quello che si legge sui titoli di testa è quello che appartiene alla prima edizione del film, perché poi le riedizioni i titoli se li inventano spesso e volentieri
Io parlavo comunque dei titoli di Imdb che non fanno testo rispetto alle locandine. Ad ogni modo anche Italiataglia lo segnala con l'articolo. E' curioso comunque che non esista una sola locandina d'epoca (e se ne trovan diverse) che riporti l'articolo...
Bella questione. Avanzo mera ipotesi. E' nato come GLI ANNI RUGGENTI. Poi, a film montato del tutto, si sono resi conto che ANNI RUGGENTI era più bello (direi più asseverante, anche se con forte sfumatura ironica) e le locandine le hanno fatte senza GLI.
Si anch'io pensavo ad un cambio di titolo all'ultimo momento, con copie film già stampate.
DiscussioneDaniela • 21/10/20 19:27 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Bisognerebbe controllare come risulta dal visto di censura oppure come era titolato nelle recensioni al momento dell'uscita. Quello che credo di possa escludere sia un aggiunta dell'articolo in eventuali edizioni successive, mentre un ripensamento ci potrebbe stare.
Bisognerebbe controllare come risulta dal visto di censura oppure come era titolato nelle recensioni al momento dell'uscita. Quello che credo di possa escludere sia un aggiunta dell'articolo in eventuali edizioni successive, mentre un ripensamento ci potrebbe stare.
Temo non siano determinanti. Le recensioni specialmente. Se si parlava di ANNI RUGGENTI e GLI c'era solo nella copia visionata, lo avranno chiamato senza, sul giornale.
DiscussioneDaniela • 22/10/20 10:33 Gran Burattinaio - 5945 interventi
La faccenda è proprio complicata, anche le varie edizioni in VHS non forniscono chiarimenti, dato che sono presenti entrambi i titoli.
Per esempio, sto notando che accade il contrario per un film di Alberto Lattuada: Dolci inganni è scritto sui titoli di testa del film, anche se alcune fonti riportano "I dolci inganni". Comunque è meglio che la finiamo qui, altrimenti, come si suol dire, non ne usciamo vivi!
ANACRONISMI E NON Al minuto 6 viene inquadrato l'esterno di un cinema dove sono esposte due locandine. La prima è di Ginevra degli Almieri (1936) ed è coerente con il periodo d'ambientazione del film (il 1937). La seconda appartiene a La corriera della morte (1950) aka "Il passo degli Apaches" ed è invece anacronistica rispetto all'Italia fascista degli anni Trenta.