Osannata come una delle migliori opere italiane di denuncia di sempre, il primo film sulla vita del bandito palermitano Salvatore Giuliano (altri ne seguiranno, compreso il celebre IL SICILIANO firmato da Michael Cimino) si segnala subito per un ritmo lentissimo che rende la prima parte decisamente soporifera. Colpa delle lunghe carrellate sul paese, dell'indugiare della cinepresa, dell'eccesso nell'uso dello spesso incomprensibile dialetto siciliano (un difetto che affligge l'intero film limitando inevitabilmente la chiarezza di alcuni passaggi). La molteplicità delle riprese in campo lungo, delle panoramiche che donano indubitabilmente fascino,...Leggi tutto sono tuttavia penalizzate - in un paese caratterizzato fortemente dagli accesi accostamenti cromatici - dalla scelta del bianco e nero (che in quegli anni cominciava ad essere soppiantato dal colore). La vera Sicilia fatica ad uscire e non è difetto da poco. Molta attenzione è stata posta nella complicata struttura a flashback, che alterna il presente (successivo al ritrovamento del cadavere del bandito e comprendente il processo a Gaspare Pisciotta/Frank Wolff e ai suoi “amici”) alla rievocazione di alcuni momenti chiave relativi al periodo di maggior notorietà di Giuliano. Il quale, singolarmente, non si vede quasi mai. Protagonisti sono piuttosto gli effetti del suo potere sulla cittadina, le ricerche militari volte a ritrovare un personaggio che appare a tutti irrintracciabile. Francesco Rosi dimostra di conoscere bene il mestiere, sceglie inquadrature mai banali, dirige con maestria il cast mescolando uno stile quasi documentaristico alla fiction e ottenendo così uno stimabile avvicinamento alla realtà (e anticipando in un certo senso il Pontecorvo della BATTAGLIA DI ALGERI). Due ore però sono tante ed era necessario coinvolgere di più. Il film è datato e si riprende solo quando è troppo tardi.
Formidabile ed essenziale. La prima parte è semplicemente eccezionale e, a mio parere, tocca il sublime con la scena, girata a Montelepre, dell’arresto di massa e dell’arrivo delle donne del paese. Rosi, socraticamente, suggerisce allo spettatore, senza imporre una sua verità. Geniale la trovata di non inquadrare mai Giuliano in primo piano, onde renderne l’inafferrabilità.
Contariamente a quanto suggerirebbe il titolo, il film vede il celebre bandito come protagonista assoluto, ma cerca di ricostruire il complesso mondo siciliano del dopoguerra. Si parte dal ritovamento del cadavere di Giuliano e si pocede in flashback per capire come si è arrivati a quel momento e poi si prosegue fino all'assassinio in carcere di Gaspare Pisciotta (braccio destro di Giuliano), elemento pericoloso in quanto minacciava di rivelare cose "pericolose" per qualcuno. Rosi dirige con mano sicura e si propone di farci riflettere sui fatti.
Ricostruzione della confusa situazione politica in cui versava la Sicilia negli anni del dopoguerra, quando imperversava il banditismo. E in particolar modo della controversa figura di Salvatore Giuliano, per alcuni un bandito senza scrupoli, per altri un Robin Hood dei poveri. Rosi ricostruisce in maniera mirabile e si affida ad un cast privo di nomi altisonanti, fatta eccezione per il buon Frank Wolff nel ruolo di Gaspare Pisciotta, il cugino di Giuliano e di Salvo Randone. Splendido bianco e nero. Un Cult insuperato.
Grandioso film di Francesco Rosi, che cerca di squarciare il velo di tenebre, purtroppo ancora oggi molto spesso, calato su uno degli avvenimenti più misteriosi della nostra storia. A metà tra inchiesta giornalistica e finzione, inauguerà uno stile inconfondibile che in tanti cercheranno di imitare senza raggiungere i risultati del modello. Rosi ha già raggiunto la maturità registica e stilistica. La pellicola però è bellissima non solo grazie al maestro napoletano, ma anche grazie ad un cast tecnico ed attoriale in grande forma.
Con questo film, Le mani sulla città e l'infedele ma spettacolarmente eccezionale Il caso Mattei Rosi fa impallidire un Oliver Stone in un qualsiasi giorno della settimana. Il volto di Giuliano, figura dalle mille facce, non è mai inquadrato di faccia ma è ritratto da morto come un cristo, perché per la gente era un eroe. La cronaca si mescola perfettamente allo spettacolo, in un cinema che forse oggi ricomincia a vivere grazie a Garrone e Sorrentino. Bianco e nero eccezionale del grande Di Venanzio. Frank Wolff è un Pisciotta da ovazione.
MEMORABILE: La morte di Pisciotta; la strage di Portella delle ginestre.
Francesco Rosi è il primo a girare un film sulla vita di Salvatore Giuliano. Il risultato è un polpettone che dura per ben due ore, di cui la prima ora e mezza di noia. La pellicola si riprende nel finale, senza dubbio più concitato, ma purtroppo questo non basta. Nulla togliendo alla valenza storica e cinematografica dei contenuti e delle riprese (soprattutto i campi lunghi e le panoramiche delle montagne, habitat naturale di Giuliano), il film non decolla a causa della lunghezza dilatata e dell'uso del siciliano, di difficile comprensione.
MEMORABILE: La scena del processo con il cameo di Salvo Randone in qualità di magistrato.
È la storia delle vicende che hanno portato alla morte del separatista e "mafioso" Salvatore Giuliano. Senza mai inquadrarlo pienamente e senza mai mostrarlo in discussioni clamorose, Rosi riesce ad indentificarci la sua figura, con le situazioni e gli imbrogli che si sono succeduti. Molto attuale. Potrebbe essere una versione di fatti di oggi. Basta cambiare i personaggi. Frank Wolff e Salvo Randone sono molto soddisfacenti. Unica pecca è il siciliano, poco capibile in qualche punto.
Il film rispecchia la Sicilia, la Sicilia rispecchia Salvatore Giuliano stesso. Prendendo in relazione la vita "professionale" del bandito siciliano, il grandissimo Francesco Rosi rileva o quasi una seconda verità della Sicilia e degli incrociati rapporti fra mafia e Stato, usufruendo sempre del suo stile "documentaristico". Sconvolgente e coinvolgente e di una bellezza classica. È un vero e proprio esempio di cinema appassionato ed energico. Capolavoro.
MEMORABILE: "Vieni da Roma? E cosa devi sapere della Sicilia..."
I film sulla mafia non mi hanno mai appassionato, però questo Salvatore Giuliano è abbastanza interessante, pur se a tratti noioso. Le inquadrature ed i dialoghi (specie quelli del processo) sono intelligenti e da apprezzare. Anche se Giuliano non si vede, si "sente" la sua presenza. Bello.
Il film inizia con la realistica ricostruzione del momento in cui Salvatore Giuliano viene trovato morto in un cortile a Castelvetrano. La ricostruzione della scena del delitto, quella vera, la fanno i Carabinieri stessi, a dimostrazione che in questa vicenda storica, in terra di Sicilia, nessuno è perfettamente limpido e molte cose sono rimaste oscure. Rosi dirige un gran film in cui riesce a raccontare molto bene, con immagini superlative, personaggi veri e dialoghi asciutti ed essenziali, una terra e i suoi abitanti, anche quelli che non si vedono.
MEMORABILE: La commovente scena del riconoscimento del corpo di Giuliano "Turiddu" da parte della madre.
Qualcosa di maggior pregio e bellezza rispetto al solito film - inchiesta di cui, anzi, rappresenta il vertice assoluto. Per certi versi è l'ultimo capolavoro del neorealismo italiano. Alla sua prima e più felice prova nel genere, Rosi condensa in potenti immagini tutta la desolazione della terra siciliana e il suo oscillare fra Stato e Antistato. All'epoca venivano sollevati pesanti dubbi sugli intrecci fra Stato, mafia e banditismo separatista. Il volto di Giuliano non è mai visibile per sottolinearne l'enigma.
Una delle opere più convincenti del cinema italiano degli anni '60, nonchè tra i lavori migliori di Francesco Rosi. Già dall'incipit (il bandito che giace a terra morto) si avverte la grande forza dell'opera, che trae spunto dalla vicenda di Giuliano per raccontare un "pezzo" importante dell'italia contemporanea e dei discutibili e torbidi rapporti tra stato e mafia. A metà tra fiction ed inchiesta giornalistica, il film si avvale di una bella prova del cast e di una magnifica caratterizzazione ambientale.
Un affresco importante su una delle tante nebulose vicende della storia italiana. Rosi realizza una pellicola con taglio semi documentaristico in cui l'ambiente siciliano viene scandagliato con maestria. I ritmi e i momenti sono quelli giusti, nonostante qualche comprensibile situazione di stanca. L'analisi è ben realizzata.
Grande film che coniuga inchiesta giornalistica, ricostruzione storica e impegno civile, sostenendo tutto con una notevole sapienza cinematografica che (nella purezza di una fotografia che esalta la martoriata terra siciliana, i volti consumati e gli scorci abbacinanti) regala magnifiche sequenze. Il titolo è un trabocchetto perché, lungi dall’essere una biografia (Giuliano non si vede), il film puntualizza il delicato passaggio della Sicilia nel primo dopoguerra, quando il banditismo fu manovrato dalla mafia e dalla politica. Esemplare.
Leggendario, quindi ineffabile: Salvatore Giuliano. L'obbiettivo oggettivante della camera non riesce a cogliere il suo corpo vivo; solo le spoglie bruciate dai flash, bagnate dal pianto della madre. Prima, anima criminale dell'indipendentismo siciliano, poi corpo del reato, testimone scomodo della corruzione inalienabile di un governo fantoccio. Vertice del cinema d'inchiesta italiano, scosso da memorabili sequenze d'isteria collettiva (l'insurrezione delle donne, la strage a Pordella della Ginestra, il processo), implacabile nell'evidenza data ai corpi nella luce accecante dal Sole.
Più che un ritratto del bandito Giuliano, una grandiosa ricognizione storico-documentaristica corale dei tumulti che accompagnarono la Sicilia dall'immediato dopoguerra agli anni Sessanta. Nerissimo, iperreale, girato con gusto debordante (dai paesaggi alla composizione dell'immagine, dalla prova dei superbi Wolff e Randone alla partecipazione degli abitanti di Montelepre, protagonisti aggiunti), scava nel marcio cercando di ca(r)pire, ove possibile, o domandare, riflettere, far conoscere senza retorica ciò che è stato. Sensazionale.
La complessa opera di Rosi poggia su due elementi di gran valore: in primis la regia che offre inquadrature magistrali e mozzafiato, in secundis la straordinaria ambientazione rurale siciliana che dona quel tocco poetico che non guasta mai. L'elemento dolente è la sceneggiatura, davvero poco empatica e senza uno sviluppo narrativo intrigante. Non giovano alla fruizione le continue pause, gli improvvisi rallentamenti e la scelta di far recitare in siciliano stretto. Un'opera dalle anime contrastanti e nonostante si tratti di cinema d'inchiesta la forma surclassa la sostanza.
Si apprezzano le intenzioni (far luce su un segreto di stato in tempi di panni sporchi da lavarsi in casa) ma l'intreccio si dipana faticosamente, senza un vero punto focale, incapace di creare la giusta tensione al momento di tirare le somme e perdipiù ulteriormente incasinato dalla (per l'epoca innovativa ma per nulla funzionale ai fini del racconto) narrazione a salti temporali. L'estetica però è sorprendente, con una padronanza assoluta del mezzo e squarci visivi (e paesaggistici) di suggestione unica. Non più di **!, in ogni caso.
Il cinema di Rosi è di quelli che vanno dritti al cervello, ma raramente scaldano il cuore. Questo film ne rappresenta uno degli esempi più calzanti. A dispetto del titolo non è una biografia del bandito Giuliano (che appare davvero poco), ma la fotografia di un particolare momento storico della Sicilia e la denuncia, secca e documentaristica, di uno dei primi grandi misteri dell'italia repubblicana. Importante e coraggioso, ma in definitiva noiosetto.
Un’opera ambiziosa che potrebbe essere definita un cine-documentario, visto il registro utilizzato che sembra volerne fare una base per un’inchiesta. I visi scarni dei popolani, la povertà che trasuda dalle mura della città di Montelepre lo avvicinano a un realismo impressionante. Coraggiosa in tal senso la scelta di mantenere il dialetto siciliano come lingua, sebbene risulti spesso difficile da comprendere. Wolff perfetto nei panni di Pisciotta. Peccato che la durata eccessiva gli tolga qualcosa in termini di attenzione.
Cinema civile ma anche super macchina scenica, coprotagonisti un sole da lucertole e l'Ecce homo dei briganti alla sbarra. Il corpo immobile di Giuliano irradia misteri indicibili: Rosi scarta il montaggio lineare per il su e giù da thriller, con un assassino svelato e centro altri sospesi. Al terzo film, Rosi erige il suo primo monolite epico su un humus storiografico, con l'apporto di Provenzale, Solinas e Cecchi D'Amico. Troneggia Frank Wolff coi mustacci di Pisciotta; di nerbo paziente e prostrato Randone. Inevitabilmente lungo ma grande cult.
Splendida opera di denuncia (una delle prime) a metà tra film e documentario, che tenta di ricostruire una delle pagine più oscure del 900 partendo da una figura affascinante come quella di Salvatore Giuliano. Rosi tenta di scandagliare i rapporti tra stato e mafia (vedere il dialogo tra gli uomini di Giuliano e il maresciallo) e il dramma della Sicilia nel secondo dopoguerra, forte anche di un'accurata ricostruzione della regione in quel periodo (le case, le vie di Montelepre). Non arriva al massimo voto solo perché alcuni dialoghi sono ostici anche per un siciliano. Da vedere.
MEMORABILE: Il riconoscimento del corpo; "Avvocato, a Turiddu un nu pigghia nessuno" "Fino a quando farà comodo a qualcuno".
Il personaggio del bandito Giuliano viene sviscerato come in un'inchiesta di cronaca, ad ampi tratti documentaristica. Rosi però innova il racconto usando flashback a sottolineare precisi momenti storici e parlando chiaramente di mafia (soprattutto per i rapporti con le forze dell’ordine). Riprese di massa girate ottimamente (anche per il clima creato) e una cura per l'ambientazione che pone il film tra i migliori sull'argomento. In tribunale sconta un filo di lentezza, ma nell'epilogo riprende la giusta tensione.
MEMORABILE: Il riconoscimento della madre; La ricostruzione falsata dei carabinieri; La strage a Portella; Il cadavere sistemato a terra; La sentenza.
Film diviso nettamente in due parti. Nella prima Francesco Rosi introduce la vicenda in medias res, con Salvatore Giuliano già morto e si limita a descrivere l'atmosfera del paesino siciliano. Interessante, ma la noia straziante domina. La seconda parte, che racconta il processo, è più statica ma paradossalmente più interessante perché in grado di mostrare la psicologia dei personaggi e di dipanare la matassa dell'ennesima inchiesta del regista. Nel complesso è sicuramente un bel film, ma la mancanza di ritmo iniziale rischia di annoiare davvero lo spettatore. Da vedere comunque.
Film inchiesta dal ritmo sostenuto e caratterizzato da una visione all'avanguardia per l'epoca: la mafia come strumento di controllo sociale da parte della politica corrotta e dei proprietari terrieri. Salvatore Giuliano non si vede mai: il vero protagonista è il suo luogotenente Pisciotta, interpretato magistralmente da Wolff, mentre le lunghe sequenze del processo sono appassionanti e ricche di colpi di scena.
Film di denuncia dal taglio documentaristico che si avvale di pochi attori professionali e molte comparse, girato sui luoghi nei quali ha operato il bandito Turiddu (ma se c'è un protagonista è Gaspare Pisciotta) fino e oltre il processo per la strage di Portella della ginestra, vero focus della vicenda. Fotografia in bianco e nero stupenda, memoria di un'Italia scomparsa nelle immagini ma non nel malaffare, concentrato di inciuci tra mafia, economia e istituzioni, in sostanza tutti elementi che saranno poi sviluppati alla grande ne La piovra.
MEMORABILE: "Lei da dove viene?" "Da Roma". "E allora che ne può capire della Sicilia?"; Il limone prima viene spremuto e poi gettato; La carica delle donne.
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Didda23 ebbe a dire: Non preoccuparti, non ti immagini il procedimento malato che facevo per tenermi aggiornato sulle discussioni nel forum...Siamo in due..
cioè siete due malati ? se posso essere utile.....
HomevideoZender • 13/07/14 08:24 Capo scrivano - 48843 interventi
Leggo sul sito della Arrows che uscirà a settembre una grandiosa versione in 4k del film su Bluray, restaurato, quindi suppongo una cosa allo stato dell'arte! La lingua italiana penso sarà presente, anzi, penso proprio non possano esserci dubbi su questo.
Peccato che sarà un "salasso" per chi volesse comprarlo. Ma le cose belle costano.
DiscussioneMatalo! • 4/02/15 13:03 Call center Davinotti - 613 interventi
B. Legnani ebbe a dire: Galbo ebbe a dire: Grazie a questo topic mi sono accorto che non ho ancora commentato questo film magnifico, devo porvi rimedio.....
Incredibilmente bipallato dal Maestro...
proiettato ieri per una mia rassegna: incredibilmente bipallato, sì. Per le locations mi pare che al principio del film ci sia la didascalia sui luoghi
HomevideoXtron • 3/10/15 18:59 Servizio caffè - 2229 interventi
C'è anche il bluray CRISTALDI / CECCHI GORI
Audio italiano DTS-HD e DD
Sottotitoli in italiano
Formato video 1.85:1 anamorfico
Durata 2h04m02s
Extra: Trailer, speciale provini, recensioni, galleria fotografica, speciali
DiscussioneRaremirko • 7/12/18 22:49 Call center Davinotti - 3863 interventi
Notevolissimo film-inchiesta, come a volte ne ha girati Rosi, che pare uno sguardo sul reale, pare di esser davvero li, di viver in diretta gli avvenimenti.
Secondo me Rosi non raggiungerà più tali vette; due ore pesanti ed intense, di aperta denuncia, che ai tempi devon aver pestato i piedi a più di una persona.
E bravo Rosi, che qui ci mette pure la voce; Cicero sta in aiuto regia.