Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Tratto da un romanzo di William Goldman (qui anche sceneggiatore). Storia interessante e che non annoia ma che risulta troppo prevedibile e dalle dinamiche tutt'altro che originali. Da evidenziare le scene da combattimento a mani nude. Jason Statham abbastanza convincente nel ruolo di un uomo che cerca di risolvere i suoi problemi esistenziali. Pollice in su per la colonna sonora.
Sotto le spoglie di una favola onirica e misticheggiante si cela una denuncia della tradizione giapponese che imporrebbe il ruolo della donna come oggetto. La felice scelta di utilizzare un segno poco dettagliato permette di guadagnare in dinamicità e, insieme all’uso di tenui colori acquerellati e un’ombreggiatura quasi assente, produce immagini sfumate che ben si sposano con la trama, in un’alternanza tutta orientale di dramma e leggera comicità. Film delicato e talmente bello da vedere che gli si perdona anche la lunghezza.
Film di forte impatto spettacolare, ritmo e (buona) musica. Che conferma la capacità di Coogler di fornire al pubblico prodotti commercialmente validi e perciò destinati al successo. Altro discorso però per lo sviluppo della storia, ampiamente derivativo. Sembra di vedere un Dal tramonto all'alba in salsa blues, con il capo dei vampiri che giustifica la loro esistenza in una logica di annullamento delle differenze come nella invasione degli ultracorpi. Tema centrale diventa quindi la ricerca della libertà da associare a identità e inclinazioni proprie. Finale un po' troppo dilatato.
Film a incastri basato su equivoci e sulla dicotomia amore/età. Non c'è niente di più terrificante della realtà, del tempo che passa e dello svegliarsi, di colpo, vecchi e inariditi. Quasi una commedia teatrale, con tre coppie ognuna con problemi legati all'amore e al tempo che è passato o che passerà in un attimo. I luoghi comuni del caso (famiglie benestanti nella New York bene, case raffinate, giardini curati, fogliage e via borghesizzando) ci sono tutti, così come le musiche e la fotografia dorata. Da vedere per la buona interpretazione (e ci mancherebbe, vista l' "esperienza").
L'Argentina di Marco Bechis è sempre affascinante e capace di ospitare film di pregio come questo. Un film molto particolare, con pochi dialoghi ma efficaci, in cui il grande protagonista è il forte vento e il paesaggio desolato. Storia molto intrigante, con più di un momento morboso, forse un po' lenta ma che sa sempre come colpire lo spettatore. Il cast in teoria non è di quelli indimenticabili ma tutti fanno molto bene la loro parte e portano avanti i loro personaggi. Soprattutto la famiglia protagonista risulta la più interessante, con qualche momento bizzarro. Un ottimo lavoro.
Sorelle cannibali, anche se la più piccola, cresciuta a verdure, non sa di esserlo fino al primo assaggio di carne. Dopodiché cambia approccio alla vita, all'interno del convitto d'una facoltà in cui vige un nonnismo che neppure nelle caserme dei parà. Ducournau, all'esordio, impressiona per tecnica e ricercatezze visive, anche se l'intenzione è più quella di fornire disagio allo spettatore. Ne deriva un film che suggestiona senza convincere. In cui al maschio fallocratico la donna oppone la forza delle mandibole. E se lo mangia, come mantide neofem che non risparmia neanche i gay.
Il rapporto genitore figlio continua ad essere centrale e dominante, nel cinema di Ivano De Matteo. Sofia (Francesconi) è figlia di una famiglia apparentemente integerrima come lo era Mia nel film con Leo, e come lei vive in un mondo che è lontano da quello di suo padre Piero (Accorsi) senza nemmeno desiderare, che si possa trovare un terreno comune sul quale confrontarsi. Soprattutto ha un rapporto conflittuale con Chiara (Thony), la compagna di Piero subentrata alla madre morta. Per quanto quella provi a coltivare una relazione pacifica,...Leggi tutto a suo modo matura, Sofia punta allo scontro aperto: semplicemente non la sopporta; a lei non permette nemmeno di nominarla, sua madre, e se appena Chiara si avvicina tentando il dialogo, Sofia ringhia.
Un giorno, con Piero fuori casa, Sofia invita lì il suo ragazzo credendo di poter passare la serata da sola insieme con lui, ma Chiara è rimasta: non sta bene e promette di chiudersi in camera senza disturbare. Non basta: Sofia è furiosa e, durante un aperto diverbio in cucina, con movimento si suppone solo parzialmente involontario colpisce Chiara con il coltello, uccidendola. Lo shock è fortissimo. Piero torna e trova disteso sul pavimento il cadavere della compagna, Sofia è in stato catatonico e vaga in trance sulla strada, dove la polizia la trova e la accompagna in Centrale.
Comincia la lunga fase in cui l'adolescente non dice una parola, subendo le decisioni di chi l'ha in cura e senza che il padre, col quale ha comunque sempre mantenuto un buon rapporto, abbia modo (né poi desiderio) di vederla. Mariella (Cescon), l'amica avvocatessa di Piero, accetta di occuparsi del processo; ma non è il processo, che il regista vuol raccontare. Di Matteo punta invece la lente soprattutto sulla vita di Sofia all'interno dell'istituto di correzione dove è reclusa e dove fatica a integrarsi, ancora vittima di una incapacità di “metabolizzare” quanto avvenuto. Le compagne di camera la scuotono senza porsi troppi problemi, ma quello che accade all'interno di un luogo che ha la forma precisa del carcere non sembra risultare granché significativo; la constatazione di una condizione inevitabilmente penalizzante è osservata con fin troppa neutralità, con spirito neorealista che non trova nella Francesconi (non per colpe sue) la sponda ideale per caricare il personaggio della necessaria centralità.
Quanto ad Accorsi, che si strugge in separata sede, non si va molto oltre l'ordinario, con l'unica vera intuizione rappresentata dal giudizio severissimo nei confronti della figlia, dal momento che la vittima era pure incinta. Un doppio binario condotto senza fantasia (non che fosse necessariamente richiesta) e scene poco capaci di veicolare un messaggio diverso da quello elementare che si può trarre dall'analisi dello stato dei fatti. Rispetto alla forza dirompente dimostrata dal regista in altre occasioni precedenti (non solo in MIA ma anche nell'eccellente I NOSTRI RAGAZZI, ancora una volta giocato sulla distanza tra genitori e figli), qui si smarriscono lungo la via gli ottimi spunti che potevano nascondersi in un'azione tanto imprevista e definitiva come l'omicidio, per sviluppare reazioni tutto sommato ordinarie e mai intriganti come si poteva sperare; mantenendo inalterata la maturità nell'approccio al tema ma restando piuttosto in superficie...
Rapiscono la figlia del suo capo e lui parte in caccia per recuperarla. Potrebbe esaurirsi qui, il riassunto di un soggetto che non fa certo dell'originalità il suo punto di forza. D'altra parte parliamo di un genere - all'interno dell'action di marca prettamente hollywoodiana - che non ha bisogno di null'altro che di un protagonista carismatico e di un regista che sappia dirigere con sapienza ritmo e azione, per garantirsi un pubblico. Qui però in sceneggiatura (e pure alla produzione) troviamo Sylvester Stallone, la cui mano in qualche passaggio ironico si sente....Leggi tutto Trovato in Jason Statham un credibile alter ego al suo Rambo (o Cobra, se vogliamo rimanere in ambiti più simili), Sly gli cuce addosso parti di sé e questo, dal punto di vista della godibilità nel tratteggio del personaggio, fa guadagnare punti al grugno impassibile di colui che più di ogni altro, negli ultimi anni, ha saputo incarnare l'eroe invincibile capace di annientare da solo intere legioni di criminali.
Qui il nemico ha le tante facce della mafia russa, che sequestra la figlia (Rivas) del costruttore edile (Peña) per cui Levon Cade (Statham) lavora. Lo vediamo all'opera nell'incipit, il nostro "working man", a capo della sua squadra di onesti operai che se male ti comporti nelle sue vicinanze ti fa nero. Quando il padre della rapita lo supplica di aiutarlo a ritrovare la ragazza, lui risponde deciso che non fa più quel lavoro, ma poi passa dall'amico non vedente che conosce bene il suo passato nei Royale Marine inglesi e gli annuncia di aver deciso: riporterà indietro Jenny Garcia, costi quel che costi! Il che significa, lo sappiamo tutti, imbracciare il fucile per trasformarsi in una macchina da guerra inarrestabile, avviando indagini che sortiranno un'infinita scia di cadaveri. Non vuoi parlare? T'ammazzo. Parli? T'ammazzo lo stesso, che mi frega.
Dal pesce piccolo al pesce più grosso - come si autodefinisce Dimi (Osinski) - è solo questione di tempo, perché prima o poi tutti finiscono nella rete di Levon. Il quale, per entrare nel giro giusto, si finge spacciatore e comincia a salire i gradini verso il vertice. Incappando negli inconvenienti di sempre, naturalmente: gente manesca dal grilletto facile, poliziotti corrotti, brutti ceffi dal ghigno sadico e l'intero campionario del genere. E lui lì, a spiaccicare quattro parole, lanciarti un'occhiata di fuoco e poco dopo a spararti in faccia. E la rapita? Lei è un peperoncino: morsica i suoi rapitori, scalcia e si rende degna figlioccia del giustiziere amico di papà. Il quale avrebbe anche una figlia propria, a dire il vero, pure più piccola, ma questa è un'altra storia, una storia di quelle che van bene come riempitivo: baci e sorrisi, la madre morta, il suocero insopportabile.
Il film sta altrove, e David Ayer (che già aveva diretto Statham nel meno centrato BEEKEPER) replica con un po' di brillantezza in più e il film scorre che è una bellezza, senza pause fino all'immancabile epilogo (che ci potevano risparmiare, per quel che serve...). Azione ben diretta, le facce giuste e un bel po' di violenza gratuita che tale non può in verità essere definita, in un film che vive di quello e di una discreta dose d'ironia. Al mafioso che si vede puntare minacciosamente la sua arma addosso e gli domanda se è uno sbirro, il nostro risponde solo: “Ti piacerebbe, che lo fossi...”; mentre al superboss seduto sul trono e circondato dai suoi sgherri che gli fa la stessa domanda per capire se è uno affidabile replica: “Io no, e tu?”.
Quattro lunghi piani sequenza, uno per puntata, conferiscono originale forma a una miniserie inglese dalla doppia faccia: lascia meravigliati per la sublime qualità tecnica che compone una messa in scena straordinaria, lascia interdetti per l'approccio al caso completamente diverso nelle prime due puntate rispetto alle ultime due. L'inizio, in perfetto stile kafkiano, ci porta insieme a una squadra armatissima di poliziotti nella casa di Jamie Miller (Coooper), tredicenne al quale, raggiunto nella sua camera, vengono letti i suoi diritti; invitato a seguirli in Centrale, non gli...Leggi tutto si spiega nulla. Chi guarda è più stupito del piccolo, anche solo per il fatto di vedere un simile gruppo di agenti lanciato contro un ragazzino che pare del tutto inoffensivo.
Arrivati in Centrale, ancora nulla ci viene detto ed entra in scena l'avvocato d'ufficio, mentre i genitori di Jamie cercano di tranquillizzare il ragazzino, chiusi in una stanza in attesa che qualcuno dica loro cosa sta accadendo. Lentamente affiora l'accusa: omicidio. Una coetanea di Jamie è stata uccisa ed esistono filmati di telecamere posizionate sulla strada che mostrano anche il ragazzo, nella zona. Ma le sorprese non finiscono qui e sostanziano una prima puntata all'insegna di un'alta tensione drammatica accresciuta dalle perquisizioni di ogni tipo che l'adolescente deve subire sotto gli occhi del padre (Graham) impotente, dagli interrogatori e da una situazione a dir poco disagevole per l'intera famiglia.
La seconda puntata passa già al terzo giorno dopo il delitto, saltando il secondo e facendoci intuire che, per quanto inevitabilmente lineare (il piano sequenza non si può certo spezzare con flashback o altro tipo di stacchi), la storia verrà raccontata focalizzandosi solo su alcune fasi della vicenda e non necessariamente ravvicinate. Nella seconda puntata protagonista è l'ispettore (Walters) che conduce le indagini insieme alla sergente Frank (Marsay) e il tutto sembra tingersi profondamente di giallo. Si indaga nella scuola dove studiavano Jamie e la vittima, si interrogano alcuni compagni e pare emergere un quadro molto più complesso di quanto ci si attendesse. Poi però la terza puntata salta in avanti di sette mesi e la quarta addirittura di oltre un anno, abbandonando la pista mystery per addentrarsi in quella più psicologica, con Cooper che nella terza ha modo di dimostrare tutto il proprio valore nel lungo colloquio con la psicologa (Doherty), mentre Graham sfoggia una prova recitativa di grandissima intensità nella quarta.
Una miniserie quindi poco omogenea per scelta: varia registro di episodio in episodio senza sviluppare appieno i notevoli spunti iniziali, che promettevano complessi intrecci costruiti magari intorno alla figura degli "incel" (celibi involontari, secondo una definizione moderna in voga tra i giovani), ai messaggi su Instagram e a tutto il mondo sotteso al linguaggio in codice dei social. Philip Barantini, cui bisogna dare atto di aver impostato alcuni tra i piani sequenza più complicati di sempre con perizia sbalorditiva (comprensivi di droni, spostamenti in auto, inseguimenti...), carica le ultime puntate di una grande intensità che sempre più ingigantisce il dramma, infischiandosene di soddisfare chi forse immaginava di potersi tuffare in un enigma più stratificato e trovandosi a dover dare un senso anche alle tante fasi di raccordo tra una scena e l'altra (quelle che di norma vengono tagliate al montaggio). Non facile renderle tutte interessanti e difatti qualche sbandamento, soprattutto nelle ultime puntate, si avverte (si pensi alla lunga rievocazione in auto della gioventù di mamma e papà ai tempi degli A-ha, ad esempio).
Resta comunque un ottimo esempio di come proporre qualcosa di nuovo conciliando personaggi di grande spessore umano, artifici formali spettacolari e arguta indagine psicologica. Lascia qualche dubbio l'aver abbandonato per strada tanti elementi intriganti e aver parzialmente trascurato la chiave tradizionalmente gialla con un ultimo episodio meno “creativo” del previsto.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA