Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Il film che Sergio Leone considerava la summa del suo cinema è un capolavoro di nostalgia: per un cinema che non c'è più, per un modo di pensare il mondo, per la capacità di sfruttare al loro massimo tutti ma proprio tutti gli attori coinvolti. Epico, magniloquente, complesso, monumentale nella trama, nelle ricostruzioni e anche nella durata: forse il canto del cigno per il grande cinema spettacolare d'autore.
Destinato a diventare il revenge movie per eccellenza, la vendetta della Sposa, divisa in due parti per questioni di tempi, presenta anche diverse caratteristiche in ciascuna di esse. La prima è quanto di più pulp Tarantino abbia messo in scena nella sua carriera. Quasi a livello fumettistico, come nella lunga sequenza dello scontro con gli 88 folli e nel cartone animato sulla storia di O-Ren. Ovvio poi che il giudizio cambia se alla sua visione fa subito seguito quella del vol. 2, che oltre a completare la storia consente di sublimarla e giustificare alcuni eccessi di questo capitolo.
Spesso confuso con il cult di Jackson a causa dell'omonimia dei titoli originali, è in realtà un thriller psicologico con elementi horror che merita una rivalutazione; Simon si addentra nei meandri della psiche umana e affronta temi come schizofrenia, paranoia e esperienze pre-morte, in un dedalo di allucinazioni e ribaltamenti della realtà continui. Lo spettatore è portato a cercare di risolvere questo cubo di Rubik che alterna intrighi scientifici, operazioni a cervello scoperto, crisi d'identità e ribaltamenti improvvisi dei ruoli, in un lavoro intrigante e ben recitato da tutti.
Lester continua sul suo tono semi -buffonesco del predecessore e almeno rispetto a questo non sfigura. Al posto di Hackman c'è il comico Richard Pryor che appunto fa Richard Pryor, riuscendo decisamente simpatico. Reeve si conferma il miglior Superman/Clark Kent di sempre e addirittura si triplica visto che interpreta anche la versione malvagia di sé, beffardo il cattivo di Vaughn. Effetti speciali un po' migliorati e c'è pure l'dea geniale e anticipatoria del supercomputer, specie di AI ante litteram, che si ribella ai suoi creatori. Al netto di tante assurdità ci si diverte.
Il circo è sempre stato un luogo adatto per ambientare storie estreme e anche in questo caso non si viene delusi. Il budget del film è limitato (proprio come quello del circo che viene raccontato), ma la storia è tesa e piena di colpi di scena e di suspense, con i due bravissimi Peter Lorre e Vincent Prrice che come sempre sanno il fatto loro e i più famosi Victor Mature e Rhonda Fleming che risultano comunque credibili.
Ricca signora americana organizza spedizione in Oceania per ritrovare il marito scomparso, ma ben presto incappa in selvaggi cannibali ritrovandosi legata a un palo, e oggetto di una sacra cerimonia. Martino si cimenta nel cannibalico, che funziona a fasi alterna; ottimo Cassinelli nel ruolo dell'avventuriero, pessimi Marsina e Keach. Ursula Andress conferisce il tocco erotico che in genere manca in questo tipo di pellicole. Evitabili le scene di violenze su animali e umani, ma all'epoca erano considerate normalissime.
L'estrema mediaticità del delitto di Avetrana è subito testimoniata nell'incipit del primo episodio, in cui gruppi di turisti del macabro vengono accompagnati sui luoghi teatro della vicenda, primo fra tutti naturalmente la casa della famiglia Misseri. Quattro puntate di un'ora ciascuna, per ricostruire i fatti, possono sembrare tante, ma ciò a cui la serie punta è soprattutto dare un quadro psicologico del mondo in cui il delitto si è consumato, dedicando non a caso ognuno degli episodi a una delle quattro figure principali (nell'ordine Sarah,...Leggi tutto la cugina Sabrina, lo zio Michele e la zia Cosima), partendo dalle quali si riesce a completare una descrizione sufficientemente esaustiva dell'insieme. Può forse sembrare una forzatura e in parte lo è, una simile suddivisione, ma è una scelta che rivendica una visione autonoma e originale, rispetto a una narrazione più lineare e tradizionale.
Si parte da un episodio totalmente dedicato alla quindicenne Sarah Scazzi (Pala), in cui se ne delineano bene le inquietudini, certi sentimenti di inadeguatezza, un primo forte sentimento nei confronti di Ivano (Commare), il ventiduenne che Sabrina (Perulli) cerca in ogni modo di fare suo. Ci viene fatto capire chiaramente - anche attraverso i pensieri sul diario di Sarah - come il conflitto tra le due cugine possa accendersi da un momento all'altro, trattenuto e talora esplicitato. La messa in scena e la regia di Pippo Mezzacasa sono di qualità superiore, la direzione del cast straordinaria con risposte eccellenti da parte di tutti, a cominciare dalla giovane Federica Pala (quello sguardo perduto e insieme risoluto che riflette tutta l'innocenza di chi si affaccia alla vita faticando a goderne gli entusiasmi).
Quando nel secondo episodio, che ancora non svela quasi nulla riguardo al delitto, si passa a mettere sotto i riflettori le insoddisfazioni e la gelosia di Sabrina, l'immedesimazione nei personaggi si eleva ulteriormente, limando quelle che potevano apparire nell'ora precedente lungaggini superflue. Giulia Perulli comunica al meglio tutte le indecisioni e le fragilità di chi passa da compagna di avventure della cugina a primadonna di fronte alle telecamere. Si comincia a parlare di scomparsa e ad Avetrana confluiscono le troupe televisive con in testa la giornalista interpretata da Anna Ferzetti: merito dell'attrice se il personaggio tanto colpisce immediatamente per la maturità nell'approccio, per lo spessore umano infuso in chi sa di dover gestire una situazione difficilissima stando attenta a non far irritare Sabrina, subito inquadrata come la chiave di volta per far immergere gli spettatori da casa nella storia.
Si continua con il terzo episodio, in cui lo zio Michele (De Vita), fin lì rimasto ai margini e ben poco inquadrato, si conquista inaspettatamente grande spazio, permettendo al suo interprete di giganteggiare regalandoci un ritratto struggente, potente, interiormente combattuto ancor più degli altri. In chiusura l'episodio dedicato a zia Cosima (Scalera), di nuovo una performance impeccabile nel sottolineare i tratti insoliti e l'imperscrutabilità del personaggio (caratteristica da garantire per tutti i protagonisti coinvolti, dal momento che ancora qualche punto interrogativo rimane da chiarire, sul fatto); è impossibile non notare parimenti la glacialità rabbrividente di Imma Villa nel ruolo della madre di Sarah, testimone di Geova alla quale la figlia preferiva la molto più "normale" zia, di fatto per lei una vera seconda madre.
Eccellente la resa delle location, che restituiscono in pieno l'atmosfera corretta, contenuta la “romanzatura” degli eventi (con qualche eccezione) e un lavoro certosino in regia che esalta la professionalità del risultato. Come ciliegina sulla torta, una "Who Wants To Live Forever" (Queen, of course) che da sola è capace di esaltare una sorta di emozione trascendente donando a Sarah una dimensione quasi aliena. La serie può dirsi sicuramente riuscita: non cerca artificiosi colpi di scena nel finale degli episodi né al suo interno, preferendo un approccio cinematografico che sconta un ritmo a volte un po' sonnacchioso. Matteo Rovere in produzione è di nuovo garanzia di un prodotto superiore alla media.
Prosegue imperterrita la saga della Morte al lavoro, ripetendo ad libitum la stessa formula senza variazioni di rilievo. Anche l'idea del 3D deriva dal capitolo precedente, quindi non resta che concentrarsi ancora una volta sull'originalità degli incidenti occorsi agli scampati di turno. Grande impiego di effetti speciali per la prima catastrofe, come sempre, questa volta di scena su di un ponte sospeso durante lavori di manutenzione evidentemente già tardivi. Il tempo di individuare i protagonisti a bordo...Leggi tutto di un autobus aziendale sul quale qualcuno ha una tragica premonizione, che su quel ponte capita di tutto. In otto però (e grazie alla suddetta premonizione) si salvano, e saranno coloro che diventeranno le prede di una Morte particolarmente sadica, come d'occasione. Lo sappiamo bene: tutti loro dovranno lasciarci fortunosamente le penne nell'ordine con il quale avrebbero già dovuto farlo e come accadeva nel sogno ad occhi aperti.
Il meccanismo si mette in moto e quel che capiterà ha come sempre il compito di stimolare in chi guarda raccapriccio e un sorrisino, dato dagli eccessi grotteschi attraverso cui tutto si verifica. Perché è evidente che non si punta alla credibilità: siamo in un horror e l'importante è portare in scena il sangue nei modi più bizzarri possibili. E la prima vittima, che muore durante le prove di complicati esercizi ginnici, lascia subito il segno: la resa è insieme agghiacciante e quasi comica (non sarà facile dimenticarla), con effetti speciali che supportano a dovere il tutto, mentre è importante capire come funziona lo schema: molti elementi che contribuiscono a costruire minacce pronte ad esplodere (un chiodo che cade dall'alto dove non dovrebbe, viti che si allentano e altre amenità) attirano opportunamente l'attenzione, grazie a una regia che sa come muoverli, e il "gioco" ha inizio.
Una volta capito come funziona, però, il tutto si fa presto inevitabilmente ripetitivo, e dal momento che le altre morti accidentali sono meno fantasiose e spettacolari, si capirà come il meglio del film stia tutto nella prima parte, con Tony "Candyman" Todd che, nel ruolo di un ambiguo coroner, spiega quel poco che c'è da sapere sull'unico modo per scamparla: uccidere qualcuno per appropriarsi degli anni che quello dovrebbe ancora vivere. Ma sono piccolezze in una trama elementare che procede schematicamente senza offrire certo grandi prove recitative e che stanca presto, non aiutata dalla regia di Steven Quale, piuttosto anonima; efficace però nel citato disastro iniziale, con riprese d'impatto e il consueto delirio splatter digitale che mostra già la tipica predilezione della saga verso le teste spiaccicate o maciullate da oggetti contundenti. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, solo un'onesta prosecuzione della saga che segue le regole dettate dai capitoli precedenti, con personaggi stinti e intercambiabili che fanno movimento senza incidere nemmeno per sbaglio...
Liam Neeson, nordirlandese di Ballymena, ritorna alle origini spostandosi solo un po' più a ovest, tra le verdi scogliere del Donegal, per interpretare il sicario sul viale del tramonto Finbar Murphy, che vediamo all'opera mentre si ferma a parlare con quella che dovrà essere la sua ultima vittima nel campo dove ne ha già seppellite un po', piantandoci sopra un albero. La sua vita è fatta di poche persone: giusto chi lo paga (Menaey), la piccola Moya (Gleeson) e sua madre (Greene), un poliziotto che bazzica nella sua zona (Hinds), una vicina di casa (Cusack)......Leggi tutto Quasi nessuno sa quale sia realmente il suo lavoro e, con quelle espressioni da uomo di buon cuore dall'aria assopita, non lo diresti proprio un sicario. E infatti, come detto, ci viene concesso di assistere a uno solo dei suoi "contratti", con uccisione peraltro fuori campo e quasi giustificata, dal momento che la vittima non la smette di cantare...
Poi si comincia a focalizzare l'attenzione su un gruppo di terroristi dell'IRA (siamo nel 1974) che nell'incipit avevamo visto compiere un attentato durante il quale erano saltati in aria pure due bambini (giusto perché non ci si provi neanche per scherzo, a simpatizzare con i cattivi). A capeggiarli è la feroce Doireann McCann (Condon), giovane nevrotica che si è nascosta nel Donegal grazie all'aiuto del fratello Curtis (Eastwood), ancor meno equilibrato di lei e che infatti farà qualcosa che manderà su tutte le furie Finbar. E' la scintilla che fa scattare la vendetta, richiamata da un titolo italiano che stravolge l'originale in modo da poter legare Neeson alla parola con la quale più lo si associa nelle sue incarnazioni commerciali da (super)eroe action.
A dire il vero qui di azione ce n'è ben poca e anche sparatorie, inseguimenti e corpo a corpo sono limitati al finale, nemmeno così esplosivo come ci si aspetterebbe. Perché il film predilige i ritmi lenti, le aperture paesaggistiche sulle verdissime coste irlandesi che la fotografia e l'uso dei campi lunghi giustamente valorizzano. La sensazione di desolazione che solitamente si avverte nei film ambientati in quelle zone anche qui diventa aspetto fondamentale di una messa in scena di valore, in cui la buona recitazione non è garantita solo da Neeson ma anche - ad esempio - da una villain femminile di ottimo carisma come la Condon o da un personaggio centrato e cinicamente altezzoso come il Robert McQue di Colm Meaney, sempre seduto alla sua scrivania e incapace di scomporsi.
A funzionare poco è però una sceneggiatura che, oltre a non offrire granché dal punto di vista dei dialoghi, non trova nemmeno situazioni che possano favorire un timido approccio thrilling. Siamo piuttosto nell'ambito di un noir dalle tinte drammatiche, privo di grandi sorprese (neanche nell'ultimo scontro a fuoco) e che non ha in fondo molto da dire, già visto in tante altre produzioni simili e che, privato del fascino regalato da location di grande suggestione, si confonderebbe tra mille altri. Con un Neeson nemmeno troppo imbestialito né così ansioso di eliminare l'antagonista, che pure una bella fine atroce la meriterebbe senza dubbio. Succede poco, insomma, e un bel po' ci vuole, prima di dare una bella girata al motorino d'avviamento. Gradevole musica folk di sottofondo con qualche buon brano da classifica ("Get Down" di Gilbert O'Sullivan), ma nulla di veramente interessante da segnalare...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA