Film di rara eleganza e girato benissimo: colpiscono la bellezze delle immagini e molte inquadrature. C'è anche la capacità di creare atmosfere inquietanti ed avvolgenti. Peccato però che la sceneggiatura col passare dei minuti non mantenga ciò che promette: all'inizio la tensione monta, ma l'interesse non si mantiene costante. Forse è colpa delle due storie praticamente parallele, accomunate solo da un vestito molto particolare. I momenti riusciti però non mancano e ci sono anche delle stilettate satiriche ed umoristiche che vanno a segno. Ogni tanto si fa strada anche il grottesco. Buono.
Al Vestito che uccide ci aveva già pensato Hooper; Strickland usa l'espediente per creare un lavoro surreale e di difficile catalogazione, che da una prima parte perlopiù horror degenera poi in una seconda che pare un altro film; è anche quella più interessante, unendo suggestioni 70s (da quelle più arty di certo cinema "libero" fino a Suspiria) e situazioni alla Lynch in una sorta di delirio allucinogeno e grottesco. Sfugge francamente il senso dell'intera operazione; la durata è eccessiva ma ha un suo perché, anche grazie a una ost eccellente.
MEMORABILE: I discorsi del tecnico delle lavatrici.
In un negozio di abbigliamento è in vendita un vestito rosso dotato di vita propria in grado di rovinarla a chi lo indossa... Horror bizzarro, molto originale non tanto nel soggetto quanto nello stile che passa dallo psicodelico anni '70 (gli spot) a suggestioni argentiane (le commesse-streghe che praticano riti sui manichini nudi) con incursioni nell'assurdo (i colloqui con i datori di lavoro, la nenia ipnotica del riparatore di lavatrici), senza dimenticare il riferimento alle perturbanti atmosfere lynchiane. Lascia perplessi ma anche deliziati, soprattutto se si ama l'humor nero.
MEMORABILE: La spogliazione del manichino; La centrifuga esplosiva.
In un negozio di abbigliamento esclusivo, gestito da commesse retrò nel vestiario e nel linguaggio, è in vendita un abito rosso vistoso e attraente ma pericolosissimo per chi non sappia sottrarsi al suo fascino. Questo è il filo conduttore di un abile pastiche che comincia con toni da horror anni '70, ben individuato negli arredi e nelle tinte, per poi perdere il filo aggiungendo personaggi e situazioni più per confermare l'estetismo perseguito dal regista che per necessità narrative coerenti, pur mantenendosi sulla scia di un certo humor nero dal tocco british. Notevole la OST.
Se l'imperscrutabilità fosse un pregio, il thriller depalmargenlynchiano di Strickland stravincerebbe ai punti: merito di una vicenda gogol'jana tutto sommato esilina, ma sceneggiata con sontuoso senso estetico, ricorso sistematico all'indefinitezza e un sottile quanto pervasivo gusto del black humour. E se sotto il vestito non ci fosse niente? È un legittimo sospetto che serpeggia spontaneo quando finisce una vicenda e una pressoché uguale riparte da capo: astuta variazione hoffmaniana su tema o strobosfera per le allodole? Ancora indeciso, lo spettatore rimane muto come un pesce.
MEMORABILE: Il cestino della lavatrice di Sheila (Jean-Baptiste) salta in aria; Reg Speaks (Bill) cianotico a letto; Il finale sulfureo.
D'ispirazione decisamente argentiana ma con frequenti pennellate lynchiane che lo collocano più vicino al thriller onirico che all'horror in senso stretto. Più interessante la prima parte, con personaggi meglio delineati e maggiore tensione narrativa, ma in generale un film estremamente elegante sul piano visivo e soprattutto segnato da un commento musicale coinvolgente che non di rado rammenta le atmosfere simonettiane. Bravi gli interpreti e davvero memorabile la lavatrice impazzita: idea semplice ma di grande efficacia.
Una pellicola allucinata che è un viaggio nel tempo (siamo negli anni 90, contaminati da una miriade di particolari anni 70) tra colori pop, rimandi argentiani e atmosfere lynchiane. Ammirevole ricercatezza, dialoghi inclusi, colonna sonora volutamente stridente, sceneggiatura a metà tra l’horror e il grottesco. Il rischio, forse, è quello di ubriacarsi tanto il film è ridondante e pregno di particolari bizzarri. Certamente “in fabric” è ben lontano dal genere commerciale, azzarda con coraggio e non può lasciare indifferenti. La spavalderia cinematografica ben riuscita va premiata.
Tanto “stupore” per nulla potremmo parafrasare, perché il film, al di là di qualche trovata estetica e di una buona qualità fotografica, non dice niente di nuovo. Una donna acquista uno splendido vestito ai saldi di un negozio prestigioso, ma le porterà decisamente sfortuna. E non solo a lei. Inizia bene, raccontando la solitudine di una donna separata e incompresa, poi si trasforma in un’opera autocompiaciuta e irrisolta nella sua trama. Plauso speciale a Marianne Jeanne-Baptiste, comunque.
Che Strickland la sappia (fin troppo) lunga lo testimonia la capacità di condurre l'eccentrico gioco dell'aggiornamento dell'horror vintage per (quasi) tutto l'arco della sua durata, senza farsi prendere dalla fregola di scioglierlo in qualche specifica direzione che (esito in effetti non del tutto evitato), lo avrebbe banalizzato. Purtroppo, dove il regista inglese eccede in teorizzazione è nel raddoppiamento della vicenda, facendo passar di mano il vestito e abbandonando quella coerenza grottesca interna che un film di tale natura necessitava. Fenomenale la stregonesca Mohamed.
MEMORABILE: La lavatrice impazzita; La fidanzata del figlio della Baptiste; I 2 "executive" dell'ufficio in cui lavora la Baptiste; L'invasiva musica elettronica.
Operazione eccentrica, ideata da chi di gusto e talento parrebbe averne a iosa: Strickland si camuffa da horror neanche fosse un Hooper in bolletta per dar poi ampio sfogo al proprio svitato surrealismo, approdando a caso nella black comedy e nel magnetismo sperimentale e frastornardoci per ben due ore con la propria (in)capacità di giungere a dama. La bravura registica è innegabile, l’amore per il thriller italico pure, la concretezza proprio no. Protagonisti assoluti: i datori di lavoro, il rosso e le lavatrici. Svolazzante.
Il look e il sound appartengono di diritto al cinema iper-stylish anni '70 (Argento in primis), il tono è quello di una black comedy surreale dal taglio lynchiano, la scompigliata trama sembra uscita da qualche delirio anarcoide del B-horror anni '80: nel complesso un'opera perturbante e divertente in egual misura, onirica ed estetizzata fino all'esagerazione, a discapito della compattezza narrativa. L'immagine vale più della sostanza, ammesso che di sostanza ce ne sia davvero? Probabilmente sì, eppure non ci si riesce a lamentare. Un film con carattere... e che carattere! Notevole.
MEMORABILE: La masturbazione sanguigna del manichino con il guardone che si masturba (ed eiaculazione al ralenti!); Le lavatrici impazzite; Giù per l'ascensore.
Con un'idea di partenza del genere (il vestito killer) si può cadere nel trash con estrema facilità. Strickland invece è abile nel dare alla vicenda un contesto atemporale zeppo di riferimenti al cinema anni 70 (soprattutto italiano) e immergere il tutto in un atmosfera inquietante dai toni vagamente lynchiani. Ben diretto e ben interpretato, convince ma non avvince completamente a causa di uno script incompiuto e di un finale sospeso che funziona solo in parte.
MEMORABILE: I dialoghi surreali dei due executive della banca.
Negozio bizzarro popolato da personaggi bizzarri vende un abito bizzarro che rende la vita del possessore di turno un bizzarro incubo. Strickland conferma, anzi esacerba, pregi e difetti del suo precedente horror; estetica curatissima vagamente argentiana, ottimo lavoro su musiche e suoni, presenza di certi elementi o personaggi sottilmente disturbanti... ma anche trama criptica dilatata da dialoghi strambi e passaggi apparentemente fini a sé stessi (la durata è eccessiva, la doppia trama di opinabile utilità). Aria fritta? Forse, ma allo stesso tempo possiede capacità attrattiva.
MEMORABILE: Le fesserie dette dalla commessa per persuadere a comprare; Il mutismo feroce del capo della ditta di riparazioni; L'allarme con risata in loop.
Sotto il niente delle nostre vite, il vestito che le indossa-affossa cantando "la lavatroce vive di più con Calgore!". Postalmarket stampato dall’atipografia dove il weird sposta il duca di Burgundy nell’atelier della magia nera tra torbide vibes da horror ispanico. Il vintagismo 70’s porta il megafono alla bocca dal minuto 1, sussumendo l’estetica fossile dell’italothriller bis e dell‘anglosperimentalismo, pronta a lyncharci per devota mano d‘un Beckett ebbro di PCP. Per Strickland il cinema non è che un tramite per un esoterico sabba iniziatico. D’altronde, co-produce Wheatley.
MEMORABILE: Lavatrice; Manichino stradale; Rituale di magia sessuale con manichino; I brani di Nurse with wound; Finale.
Grottesca storia di ordinarie in-felicità. Chi ha paura delle commesse pelate? Quelle agalmatofile della boutiquesospirano sconnesse adulazioni ai clienti indecisi. La madre divorziata Sheyla che cerca l'amore e l'ex riparatore di lavatrici che manda tutti in brodo di pulegge si ritrovano a indossare un abito rosso davvero fuori dal comune. Restano impressi l'assurda sequenza col manichino peloso, l'imbarazzante blind date con Adonis e il sogno genitoriale del disoccupato.
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Classico film difficilmente ascrivibile ad un solo genere. Gli elementi horror ci sono di sicuro, così come anche quelli umoristici.
Io alla fine ho optato per horror, ma credo che chi si aspetta un film di puro genere rimarrà deluso.
In ogni caso una pellicola davvero particolare in cui si fa strada, purtroppo, anche una scena molto trash (che non svelo per non spoilerare) abbastanza inutile all'economia del film e che inficia la tensione che regista e sceneggiatura sanno, a tratti, ben creare.
DiscussioneZender • 4/12/18 07:52 Capo scrivano - 48885 interventi
Non preoccuparti, se horror c'è va bene, è chiaro che se è un cross-over di generi non si può metterli tutti.
DiscussioneZender • 30/04/22 09:45 Capo scrivano - 48885 interventi
Daniela, nel commento parlavi di atmosfere "lumciane". Io ho provvisoriamente corretto con "atmosfere lynchiane" ma probabilmente ho sbagliato e se me lo dici ricorreggo come preferisci. Chi è Lum?
DiscussioneDaniela • 30/04/22 11:08 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Zender ebbe a dire:
Daniela, nel commento parlavi di atmosfere "lumciane". Io ho provvisoriamente corretto con "atmosfere lynchiane" ma probabilmente ho sbagliato e se me lo dici ricorreggo come preferisci. Chi è Lum?
Ecco cosa succede a scrivere in notturna e soprattutto senza occhiali :o( Scusa Zender, hai corretto giusto, il rifermento era proprio al cinema di Lynch. Per quanto riguarda il misterioso Lum, ho appena scoperto che esiste davvero un Charles Lum regista oltre che attore e produttore ma ha diretto solo cortometraggi e non ho idea di quali siano le sue atmosfere
DiscussioneZender • 30/04/22 12:58 Capo scrivano - 48885 interventi
Chissà se ha uno stile così particolare, Lum :) magari un giorno si potrò davvero parlare di atmosfere lumiane...
Se non fosse per qualche scena splatter, più che un horror sarebbe quasi un misto tra un demenziale è un comico. Scene di un assurdità totale (divertenti non poco ) che si scontrano con dialoghi al limite del comico! Un pastrocchio, frullato con una moltitudine di situazioni totalmente all’estremo fra loro. E una durata esageratamente lunga, per una pellicola che si fa fatica a vedere tutta.