Coproduzione italofrancese per questa riduzione cinematografica della “Venere privata” di Giorgio Scerbanenco, correttamente ambientata a Milano (la Francia contribuisce soprattutto col cast e la regia, di Yves Boisset). A impersonare il protagonista Duca Lamberti, ex medico che si dedica a indagini private, è questa volta il “duro” Bruno Cremer, il quale, insieme al figlio (Verley) dell'ingegner Auseri, tenta di far luce sulla morte di una bella scommessa di un grande magazzino, Alberta Radelli (Raffaella Carrà, con capelli neri, a sorpresa si spoglia pure!). Evidente il desiderio di concentrarsi sulla caratterizzazione dei personaggi, tanto che la storia in...Leggi tutto alcune fasi sembra un po’ tirata via (vedi il finale con incidente). Cremer è un discreto Lamberti, anche se non troppo credibile come investigatore, mentre la regia di Boisset appare un po’ ingessata, incapace di coinvolgere come dovrebbe (e dire che il clima, grazie anche a una buona colonna sonora, era centrato). Una piccola storia di perversione, discretamente messa in scena da chi comunque il cinema dimostra di conoscerlo (ben girate anche le corse in auto del giovane scapestrato). Un film che si lascia vedere senza far gridare al miracolo (Di Leo coglierà meglio lo spirito di Scerbanenco), nessun intrigo particolare per una vicenda semplice e lineare.
Scerbanenco secondo i francesi. Bruno Cremer, ennesimo futuro Maigret, indaga su quello che pareva un suicidio. È un film non brutto, ma che non riesce ad acquisire una vera personalità. Da vedere, senza alcun dubbio, ma solo perché presenta Raffaella Carrà come mamma l'ha fatta. Non è ripresa da distanza ravvicinata, ma è immortalata in indiscutibili pose sado-maso...
L'inizio folgorante, con la Carrà seviziata giustamente in previsione dei futuri orrori a base di fagiolini nel barattolo, fa sperare in un filmone, poi la greve regia di Boisset ammazza il ritmo, spreca il pur magnifico Cremer (circondato però da comprimari bolsi) e sfrutta poco anche Adorf ossigenato e cattivo. Un po' di vita nel finale. Incipit a parte, se ne può fare a meno.
Pur essendo lontano anni luce dalle suggestioni del romanzo di Scerbanenco dal quale prende spunto, il film è comunque guardabile nella sua totalità... Se non altro per il curioso trio "Carrà mora, Adorf biondo, Cremer stonenghiano". Per il resto rimane, probabilmente, la trasposizione cinematografica meno riuscita tra le opere dello scrittore milanese interessate da tale manovra (e non sono poche). Sorprendenti le soluzioni ritmiche della colonna sonora.
Dal romanzo di Scerbanenco, un giallo milanese basato su un trio di detectives improvvisati a caccia di un maniaco sessuale, il biondo e sfuggente Adorf. I momenti migliori sono il prologo sado/maso con la Carrà, alcune sequenze notturne e l'inseguimento finale sul lago. Piccole parti per Agostina Belli e Vanna Brosio in discoteca. Discreto, nulla più.
Il rimorso di Davide (Renaud Verley) si manifesta quando viene rinvenuto il cadavere di Alberta (una splendida Raffaella Carrà): una giovane ragazza incontrata tempo prima, che sentendosi minacciata aveva - inutilmente - chiesto il suo aiuto. Scavando nel suo passato, grazie all'aiuto di un investigatore, si scopre che la vittima aveva posato nuda per compromettenti servizi fotografici. Interessante coproduzione italo-francese, ispirata ad un noir del grande Scerbanenco, che passa raramente (cut purtroppo) in TV. Lento, ma con finale risolto.
Di solito quando di un romanzo viene realizzata la versione cinematografica è sempre meglio non leggerne prima il libro perché poi, si sa, la delusione è quasi assicurata. Come prevedevo, la crudeltà, l'efferatezza, la mordacità del romanzo di Scerbanenco lasciano il posto ad una versione cinematografica incredibilmente ammorbidita, confezionata "ad hoc" in versione famiglia (se fossimo ai giorni nostri parleremmo di fiction e non certo di film). È come mettere Scerbanenco togliendo il nero della sua penna: che senso ha?
Discreto film, tratto da un bel romanzo di Scerbanenco, che ha il suo punto di forza nelle ambientazioni che vengono tratteggiate in maniera molto riuscita. Non male gli attori, con Adorf una spanna sopra gli altri e qua e là c'è anche qualche guizzo registico. Non un capolavoro, ma un solido e godibile prodotto di intrattenimento.
Ragazza di facili costumi si suicida e l’ultimo giovane con cui è stata cade in depressione: un medico vuole aiutarlo indagando sul suicidio. Alla trama del giallo, già di per sé non particolarmente avvincente, il regista ha tolto la ‘carne’ (i labirinti psicologici dei personaggi coinvolti e l’ambiente sociale) per lasciargli solo la ‘pelle’ (la struttura del ‘noir’), che però da sola non regge perché molto fragile. Il finale, poi, è semplicemente orrendo. Peccato perché qua e là si vedono sprazzi interessanti di uso della cinepresa.
Primo film derivato da un libro di Scerbanenco: si tratta di "Venere privata". Il film prende vita solo nella seconda parte, quando avviene l'incontro con la Ussaro e quando entra di scena il superlativo Mario Adorf (che anche in una parte di 5 minuti riesce a far cambiare giudizio sul film). A Raffaella Carrà fanno proprio una bella carrambata... povera Raffa.
Ordinaria riduzione del bel romanzo di Scerbanenco, ha dalla sua una certa cura formale ed un buon cast (anche se il ragazzino è inespressivo come pochi), ma l'atmosfera della pagina non filtra che in minima parte, purtroppo. Molte cose sono state ammorbidite (il personaggio di Livia, soprattutto) e là dove il film prende strade diverse dal libro (il finale, certo, ma non solo) toppa in modo clamoroso: perché quelle divagazioni leggere, come quando Livia viene arrestata dalla buoncostume? Dignitoso.
Bello. Si distingue per la validità degli attori (Cremer su tutti, bene anche gli altri). Una dolce e insolita Raffaella Carrà alle prese con un ancora più insolito Adorf con parruccone biondo. Finale un po' arruffato, con un errore tecnico madornale che solo i più accorti scopriranno.
Onesto adattamento di un classico di Scerbanenco, il film semplifica la storia riducendola a un giallo d'investigazione, dove tre improvvisati detective (tra cui spicca l'ex medico Duca Lamberti, interpretato dal bravo Cremer) cercano l'assassino di una ragazzotta. Dopo i titoli di testa cartolineschi, Boisset risale usando bene alcuni scorci milanesi di periferia, tra cui il "solito" Naviglio pavese (vedi Milano Calibro 9) con le case di ringhiera ai margini della città, del benessere, di tutto quanto. Ironia della sorte, oggi costano una fortuna...
MEMORABILE: Nel film appaiono le pubblicità di alcuni film francesi dell'epoca come "Tradimento" di Dassin.
Il giallo e il noir (spesso contrapposti) si fondono, tingendosi a tratti anche di rosa. La gran varietà di registri sconcerta molti spettatori, ma alcune atmosfere riuscite hanno fascino e la sceneggiatura si fa forza di riprendere alcuni ottimi dialoghi del romanzo di Scerbanenco. Anche se il finale è piuttoso edulcorato e "traditore" del libro, Cremer è un Duca Lamberti perfetto. Ambientazioni, costumi e colonna sonora (di Michel Magne) assai golose per i nostalgici dell'epoca.
MEMORABILE: L'insofferenza reciproca tra Duca Lamberti e il maggiordomo. "Io prendo il caffè" -"Ho ritenuto mio dovere avvertire l'ingegnere..." -"Con dei tost".
Un buon giallo, forte nella parte iniziale, ma che comunque si mantiene su livelli di piena suficienza, grazie soprattutto alle buone interpretazioni maschili. La Carrà adatta per la parte, interpretata con estrema naturalezza, esce di scena troppo presto; peccato perché il suo personaggio incuriosiva. Belle le location e la colonna sonora. Se solo la sceneggiatura avesse osato di più avremmo avuto un valido thriller.
Trasposizione cinematografica del bel romanzo di Scerbanenco, che, pur essendo abbastanza fedele all'originale letterario, non riesce a trasmetterne atmosfera e suspense. Colpa del regista più che degli interpreti chiamati a raccolta. Suscita curiosità la presenza di una giovanissima Raffaella Carrà e, in una particina, si fa notare anche la splendida Agostina Belli. Buona l'interpretazione di Bruno Cremer, che però non riesce a sollevare più di tanto le sorti di una pellicola. Da vedere sì, ma non certo memorabile.
Milano quaranta anni fa, con le macchine libere di inquinare Piazza Duomo, con le ragazze in minigonna e le trasgressioni ancora come vergogna. Dopo Romina, anche Raffaella è in catene nuda (ma la versione televisiva manca di qualcosa). Un giallo e nero, dove forse il buio è preponderante più del sole, con dei gran bei tocchi retrò e le problematiche asfissianti dei ricconi annoiati, che richiedono le cure di un (ex) medico praticante l'eutanasia. E tra un whisky e una sigaretta, osserviamo attenti investigatori capaci, giudici severi e boia crudeli.
Per derivare da un racconto di Scerbanenco è nettamente inferiore agli altri film, firmati Tessari o Di Leo. Per fortuna Boisset non è un regista mediocre e con un cast limitato come numero di attori, ma valido per qualità, non ci fa sentire la tradizione francese dei film lenti e inconcludenti, almeno in quel periodo. Scene pese non ce ne sono, ma variazioni sul tema sì e il carisma di Cremer è un ottimo motore...
MEMORABILE: La scena dell'istigazione al suicidio, che è un bel calcio in bocca all'autolesionismo così comune nei giovani. Il maggiordomo impeccabile.
Impostato in modo classico ma vario a livello di situazioni e location, il lavoro di Boisset si rivela interessante e alterna momenti gustosi (dagli shoot fotografici all'arrivo del dottore nella villa, al "total look" di Adorf) ad altri più prevedibili e ingessati. Alcune potenzialità rimangono sulla carta, ma è un film discreto.
Tratto da uno dei migliori racconti di Scerbanenco cui il film si attiene abbastanza, pur eliminando alcuni personaggi, tra cui il poliziotto (Mascaranti). Cremer (il futuro perfido Espinosa de La piovra) offre un’ottima prova; peraltro beve come una spugna e fuma come una ciminiera, come costume dell’epoca (Bond docet). Appare anche la Carrà in versione bonazza, concedendo persino un nudo, peraltro molto castigato. Per una volta la Milano rappresentata è solare, a differenza di varie altre pellicole. Piacevole la colonna sonora funky style.
Non è facile esprimersi su questo film avendo letto da poco anche il libro da cui è tratto, un formidabile romanzo del grande Serbanenco. Se il libro può essere considerato nel suo genere una sorta di capolavoro, del film non si può dire certamente altrettanto. È sicuramente godibile, scorre discretamente e con una Milano affascinante, ma manca l'introspezione dei personaggi e un po' di virtuosismo nell'indagine. Si poteva sicuramente fare di meglio. Grandissimo, anche se per pochi minuti, Adorf.
Ispirato da un romanzo di Scerbanenco, il film appare come un noir discretamente strutturato che, nonostante non vi siano grandi sorprese, si guarda con interesse. Le inquietudini del giovane protagonista vengono mitigate da un corretto Cremer. Accattivante la Carrá che appare in un fugace nudo vedo non vedo, mentre la Comtell sorprende per eleganza e travestitismo; un laido Adorf completa il tutto. Valido.
Uno di quei film impossibili da apprezzare per chi ha assaporato lo spessore della fonte letteraria. Boisset, pur in buona fede cinematografica, svilisce il robusto plot di Scerbanenco, aiutandone la fruibilità ma rendendogli un cattivo servizio. Così la pellicola scorre senza colpo ferire (e per un giallo non è un complimento), penalizzando particolarmente lo sviluppo dei rapporti tra i personaggi (Duca Lamberti/Davide e ancor più Duca/Livia). Cremer è credibile ma sfocato, Adorf laido il giusto, Raffa non è male... fin quando non le tocca fare il piagnisteo.
Il suicidio di una prostituta manda in crisi profonda un giovane di una famiglia perbene, con tutti i colpi di scena che ci si aspetta da un thriller. Si tratta in realtà solo di un giallo pallido con screziature noir, dove l'introspezione psicologica (che nel libro da cui è tratto c'è) viene superficialmente sorvolata, puntando sull'effetto action. Tra gli interpreti una giovanissima Raffaella Carrà (non doppiata) che, fortunatamente per lei e noi, prenderà altre strade nel sulfureo mondo dello spettacolo.
Alcune cose buone per un piccolo film tratto dal classico del milanese di Kiev, che tanto ha influenzato il noir cinematografico italiano. Coppia d'attori ben scelta, buone location con bel senso opprimente e melanconico ma il film nel secondo tempo non raggiunge la tensione adeguata dipanandosi abbastanza piattamente nella soluzione del caso. Adorf, sempre magnifico caratterista (che incontrerà Scerbanenco di nuovo) ha le physique du rôle ma si vede poco. Un'occasione in parte perduta di girare un gioiellino.
MEMORABILE: La "terapia"di Lamberti a base di rimorchio; Il cameo della giovane e deliziosa Raffa.
È una sorpresa questo giallo (più thriller), ha un fascino particolare che non risiede in una caratteristica individuabile ma in un insieme che funziona bene, nonostante alcune pecche, per lo più attoriali, ma di contorno. Riesce a intrigare per le sue atmosfere che variano come le diverse ambientazioni. La figura di Cremer è determinante, leader indiscusso dai modi spicci; bene anche la Comtell e naturalmente il misterioso biondo (Adorf). La regia appare sicura, priva di fronzoli ed efficace. Buona e calibrata la colonna sonora.
Molto meglio leggere il bel romanzo di Giorgio Scerbanenco anziché perdere tempo con questa sua fiacca e deludente trasposizione cinematografica, nettamente inferiore a quelle di Di Leo e, sopratutto, Tessari. Boisset altrove è riuscito a conciliare efficacemente spettacolo e denuncia sociale, ma qui fallisce su entrambi i fronti. Cremer era un buon attore, ma non c'entrava nulla con Duca Lamberti. Alla fine rimangono impressi l'insolito ruolo della Carrà e l'improbabile look di Mario Adorf. Trascurabile.
A Milano, all'inizio di un decennio italico turbolento che sarà riscaldato da minigonne, solcato da trame incriptate, incendiato da bombe e colpito da pallottole; Bruno Cremer si muove disinvolto in un giallo (tratto dal mago Scerbanenco) virato in thriller dalle venature morbose. Oggetto inquieto, emotivo, non eccellente ma decente; intrattiene con onestà di genere. Non dispiace la giovane Raffaella Carrà e conquista il solido Mario Adorf nella parte di un ambiguo e viscido (nonché pericoloso) personaggio, squilibrato quanto basta.
Apprezzabile la prima parte con un Cremer asciutto e puntuale come di consueto. La costruzione procede con ritmo sicuro pur se prevedibile nel suo svolgimento. In discesa il secondo tempo quando la storia, già dilavata della complessità psicologica del romanzo ispiratore, scade in un crescendo di pura azione: Boisset è troppo semplicistico nella trasposizione di un testo intriso di malinconia e torbidezza. Efficace Adorf; incredibilmente si comporta bene pure la Carrà.
Buon noir francese con tanta Italia al suo interno. Lo splendido romanzo di Scerbanenco è trattato abbastanza bene anche se la regia non riesce a donare al personaggio di Lamberti tutte le sfumature che traspaiono dall'opera letteraria. Nonostante ciò il cast è efficace e Cremer appare una scelta più che azzeccata. Il finale viene un po' alleggerito (non vi è traccia delle violenze subite da Livia) ma tutto sommato l'operazione riesce.
Yves Boisset, già aiuto regista di Riccardo Freda, dimostra di avere buona dimestichezza con il noir. Però non lo sorregge la sceneggiatura, visto che il finale non è credibile e che la storia non funziona troppo bene. Però Cremer sa il fatto suo, la Comtell è molto bella, Adorf è inquietante e soprattutto Raffaella Carrà in un ruolo piuttosto spinto è tutta da vedere, anche a futura memoria. Coproduzione italo-francese girata interamente in Italia.
MEMORABILE: La visita alla casa di ringhiera dove vive la famiglia della Carrà.
Tratto da un romanzo di Giorgio Scerbanenco, il film non è male ed è anzi girato piuttosto bene e con buona classe. Gode anche di una buona recitazione generale di tutto il cast, con la particolare presenza di una brunissima Raffaella Carrà. Peccato che l'aura di mistero che viene fatta abilmente crescere durante tutto il film finisca inesorabilmente in un finale insipido, scontato e sbrigativo. Non è dunque da guardare come giallo (un appassionato potrebbe rimanerne estremamente deluso) quanto come un esercizio di stile ben riuscito, pur con qualche errore qua e là.
Basato sul romanzo "Venere privata" di Scerbanenco, è un giallo investigativo poco incisivo. È infatti lento, pur se non troppo noioso e non mantiene l'aria oscura e malata del romanzo, risultando una pellicola scarna e inconcludente, pur di breve durata. Se il film di Tessari valeva tre pallini, questo ne merita uno in meno. Scarsi Cremer e la Comtell ma bravo Adorf, anche se compare troppo poco.
MEMORABILE: Il set fotografico iniziale; Adorf adopera il rasoio contro la Comtell; L'inseguimento finale in auto.
Buon giallo-noir da Scerbanenco, di stampo francese ma ben ambientato a Milano. Boisset dirige senza sbavature, l'intrigo è lineare e procede a ritmo piacevolmente blando. Alla base ci sono foto "artistiche" fatte alla Carrà, che comunque mostra poco. Conta di più l'approfondimento dei personaggi e per fortuna non ci si perde in verbosità. Ottima prova di Cremer come Duca. La OST è particolarmente riuscita. Perde qualcosa in fase d'arrivo, la risoluzione è fortunosa per stessa ammissione dei protagonisti, ancorché a lungo inseguita, e il finale è piuttosto debole. Asciutto e gustoso.
MEMORABILE: Le schermaglie tra il Duca e il maggiordomo, col povero servitore deve mantenere l'aplomb di fronte alle pur misurate sfacciataggini di Cremer.
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DiscussioneZender • 4/02/11 15:32 Capo scrivano - 48365 interventi
Sì sì, la mia era più che altro una notazione bizzarra, so che ce n'erano molti. E' che insomma, Consalvi il mangiagatti che va in giro con la scritta miao dietro mi piaceva. Ehe eh, lo ricordo bene il giornaletto Miao, lo acquistavo. Spero sognifichi che lo acquistavo a meno di 6 anni, perché mi pare che dopo i 6 si sa leggere...
Grazie Dandi, ti rispondo qui. Sì, concordo, è una bella Milano ma soprattutto è una bella periferia, quella di Venere privata. i palazzoni di via Grandi sullo sfondo del Parco Nord sono un tuffo al cuore :) Adesso posto anche l'incidente finale e la chiudiamo.
DiscussioneManfrin • 4/02/11 17:11 Servizio caffè - 477 interventi
Il Dandi ebbe a dire: Le auto targate MIAO sono oggi quotatissime sul mercato vintage. Anche se hai solo il telaio di un'auto distrutta, ma NON radiata e ancora con targa e documenti originali, ha un valore considerevole perché può essere restaurata SENZA essere reimmatricolata. Forse all'epoca hanno scelto questa solo perché era già vecchiotta e si poteva sfasciare senza rimorsi (non stavano a pensare che oggi sarebbe diventata d'epoca).
Comunque esistono altri casi analoghi, come Milano-Elle-Zero (MILO, la targa omonima di Fabio Testi in Revolver che si sente così autorizzato a rubare l'auto); oppure Roma-Enne-Zero: non è mica da tutti essere targato Romano!
C'era una rubrica ne "La domenica del Corriere" che si chiamava "La foto curiosa"(Legnani certamente ricorderà):una settimana pubblicarono un'auto targata MIAO parcheggiata a fianco di un'auto tedesca targata BAU!
Inoltre l'attore(sic)molto più noto come cantante Mino Reitano aveva una FIAT 130 targata ovviamente MI NO
Direttamente dalla prestigiosa collezione Lucius, il 45 giri originale giapponese abbinato a quello di "Due occhi pieni di sole" (1970):
La cosa strana è che il musicista della ost di "Due occhi pieni di sole" viene indicato in Francis Lai, mentre quello de: Il caso Venere privata" risulta essere Masaro Sato. Dal booklet interno:
Il compositore è indicato in Michel Magne in tutti i credits, da wikipedia francese a soundrtack collectors. Trattandosi di disco giapponese, trovo più logico che la musica sia stata sostituita con una di Masato Sato solo per l'edizione nipponica del film.